Читать книгу Prima Che Faccia Del Male - Блейк Пирс - Страница 8

CAPITOLO CINQUE

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A metà del loro volo verso lo Utah, Mackenzie era alla seconda tazza del caffè amaro offerto dalla compagnia aerea, quando i primi segnali di preoccupazione iniziarono a manifestarsi. Guardò nel finestrino la luce dell'alba all'orizzonte, poi si voltò verso Ellington.

"Ti senti ancora tranquillo?"

"Io sì. Perché? Stai cambiando idea?"

"No. È solo che conosco mia madre. Voglio dire, è evidente che sta cambiando la sua vita in meglio e spero che passare un po' di tempo con Kevin contribuisca ad accelerare questi cambiamenti. Ma la conosco. So quanto può essere testarda. So quanto può mettersi sulla difensiva. Non posso fare a meno di chiedermi se le la convivenza tra le nostre madri finirà per trasformarsi in un incontro di wrestling".

"Basta che tengano Kevin al sicuro, e a me sta bene. A proposito, io scommetterei su tua madre".

Mackenzie capiva che era un po' preoccupato, ma stava cercando di fare il marito forte su cui lei potesse contare. Durante il loro matrimonio e gli anni di convivenza, lui aveva imparato quando assumere quel ruolo e quando fare un passo indietro e lasciare che fosse lei quella forte. Stava diventando molto bravo a fare entrambe le cose e sapeva quale ruolo ricoprire al momento opportuno. Mackenzie sospirò, si voltò a guardare fuori dal finestrino e gli prese la mano.

"Ehi, Mac? Va tutto bene, davvero. Andrà tutto bene. Questo fa parte dell'essere una famiglia, sai? Suoceri, parenti, tutto quanto."

"Lo so. Ma oggi è mia madre. E se domani all'improvviso mia sorella volesse mettersi a fare la zia?"

"Allora dovresti lasciarla fare. O, almeno, lasciarla provare".

"Oh, ma tu non conosci Stephanie…"

"E non conoscevo tua madre, fino a ieri. Eppure eccoci qui, in cielo, mentre lei e mia madre sono giù, a prendersi cura di nostro figlio. Posso dirti una cosa in tutta onestà…?"

"Certo."

"Penso che tu sia preoccupata perché non sei preoccupata. Tu ed io siamo stati entrambi sconvolti da quanto sia stato naturale. Forse dobbiamo solo andare avanti e concentrarci su questo caso. Le nostre madri ci hanno cresciuti e alla fine siamo venuti su bene".

"Sicuro?" fece lei con un sorrisetto.

"Beh, abbastanza bene".

Mackenzie continuò a sorseggiare il suo caffè e fece esattamente quello che aveva suggerito Ellington, allontanando i suoi pensieri dalla situazione sorprendente che avevano lasciato a casa e rivolgendoli al caso.

***

Noleggiarono un'auto e percorsero venticinque chilometri fuori da Salt Lake City, con l'obiettivo di battere di quasi un'ora la previsione di McGrath, che aveva previsto il loro arrivo a mezzogiorno. Il paese dove la donna senza identità era stata uccisa era un grazioso posticino chiamato Fellsburg. Era una cittadina piuttosto elegante, probabilmente il tipo di città che prosperava solo perché era così vicina a Salt Lake City. Mackenzie immaginava che quasi tutti gli abitanti facessero i pendolari ogni giorno, lavorando in città e poi tornando a casa in uno dei numerosi quartieri di Fellsburg.

Seguendo le annotazioni e le istruzioni contenute nelle informazioni inviate via e-mail da McGrath, Ellington guidò fino a un quartiere chiamato Plainsview. Aveva lo stesso aspetto degli altri due quartieri che avevano dovuto attraversare per arrivarci: case a due piani che sembravano fatte con lo stampino, giardini ben curati, lampioni ogni trenta metri.

Ma non dovettero avventurarsi molto lontano, a Plainsview. Dopo appena quattro case, videro un'auto della polizia parcheggiata sul lato della strada. Era l'agente con il quale Mackenzie aveva organizzato l'incontro quando aveva chiamato dall'aeroporto per annunciare il loro arrivo. Stava già scendendo dalla sua auto di pattuglia, quando Ellington accostò dietro di lui.

I tre si incontrarono tra le auto, facendo un giro di presentazioni. Il distintivo e la spilla che indossava sul petto indicavano che si trattava dello Sceriffo Burke.

"Agenti", disse Burke. "Grazie per essere venuti. Sono lo sceriffo Declan Burke."

Mackenzie ed Ellington gli diedero i loro nomi, stringendogli la mano. Mackenzie supponeva che Burke avesse una cinquantina d’anni. Aveva una folta barba che aveva bisogno di una spuntatina e un viso duro. Gli occhi erano nascosti dietro un paio di occhiali da sole modello aviatore, anche se la mattinata non era affatto luminosa.

"È qui che è stato scoperto il corpo?" Chiese Mackenzie.

"È così. Proprio lì". Burke indicò un punto leggermente a destra del centro della carreggiata.

"Secondo il rapporto, non aveva niente con sé, tranne la patente di guida, giusto?"

"Quella, e un paio di sandali. Erano bagnati dalla poca pioggia che c'era stata quel giorno. Ma non li aveva ai piedi, i sandali. All'inizio ho pensato che li avesse persi nell'impatto con la macchina, ma il medico legale mi ha fatto notare che aveva dei tagli e delle abrasioni ai piedi che suggerivano che se li era tolti nella speranza di correre più veloce".

"Ha idea di quanto abbia corso?" Chiese Ellington.

"Non ne siamo molto sicuri. C'è un campo, a circa due chilometri e mezzo da qui, che presenta segni del passaggio di qualcuno quella stessa notte. Ma con tutte quelle erbacce è impossibile dire con certezza se si trattasse di questa donna – o di un essere umano. Potrebbe essere stato un cervo o qualcosa del genere".

"E nessuno ha visto niente da queste parti?" Chiese Mackenzie. Guardò le belle abitazioni in fondo alla strada, che saliva in una leggera pendenza. C'erano un sacco di lampioni. Era difficile credere che nessuno avesse visto niente.

"Io e i miei uomini abbiamo interrogato tutti i proprietari che abitano su questa strada. Una persona che era ancora sveglia sostiene di aver visto una vecchia auto attraversare il quartiere con i fari spenti. Ma non ha preso il numero di targa".

"E la ragazza?" disse Ellington. "Non si sa nulla della sua identità?"

"Non abbiamo scoperto niente. La patente di guida era falsa. E anche dannatamente credibile. Naturalmente le abbiamo preso le impronte digitali e le abbiamo prelevato il sangue. Non corrispondono a nessuno nel sistema."

"Non ha senso", commentò Ellington.

"Ed è per questo che vi abbiamo chiamati. Avete visto le foto del corpo sulla scena, presumo?"

"Sì", disse Mackenzie. "Nastro adesivo nero sulla bocca". Il medico legale ritiene che sia stato messo dopo la morte".

"È così. Abbiamo controllato il nastro in cerca di impronte, ma non abbiamo trovato nulla".

Mackenzie aveva studiato per un po' quella striscia di nastro adesivo nelle fotografie, la sera prima e quella mattina sull'aereo. Riteneva che potesse essere simbolica, un modo per l'assassino di far sapere alla donna che anche da morta doveva stare zitta. Ma perché? Che cosa aveva da dire?

"Senza un'identità, immagino che sia stato praticamente impossibile individuare amici o familiari", disse Ellington.

"Esatto. Non abbiamo niente. Quindi ora vi passo volentieri il testimone. Volete che faccia qualcosa per voi?"

"In realtà, sì", disse Mackenzie. "Non sono state trovate impronte sulla patente di guida?"

"Solo quelle della ragazza."

"Com'è il laboratorio della scientifica della vostra stazione di polizia?"

"Non certo all'avanguardia, ma è migliore rispetto a quelli della maggior parte delle città di queste dimensioni".

"Chieda a quelli della scientifica di esaminare meglio quella patente. Devono controllarla al microscopio con una luce ultravioletta. Alcuni falsari appongono una firma o un marchio sul loro lavoro. È sempre ben nascosto, ma a volte c'è. Una specie di dito medio rivolto a gente come noi".

"Lo farò", disse Burke. "C'è altro?"

Mackenzie stava per chiedere a Ellington cosa ne pensasse, ma fu interrotta dal suo cellulare. Era in modalità silenziosa, ma tutti potevano sentirlo vibrare da dentro la tasca della sua giacca. Si girò e tirò fuori il telefono dalla tasca. Era irritata e un po' allarmata nel vedere che era sua madre. Fu tentata di ignorare la chiamata, ma il pensiero che lei e Frances stessero badando a Kevin la spinse a rispondere.

Si allontanò di qualche passo e rispose, temendo già le notizie che l'attendevano.

"Ciao, mamma. Va tutto bene?"

"Sì, tutto va bene. Kevin sta benissimo".

"Allora perché hai chiamato? Lo sai che sono proprio all'inizio delle indagini, vero?"

"Certo. Ma voglio solo sapere una cosa. Frances è sempre così autoritaria?"

"Che cosa intendi dire?"

"Solo che è un po' prepotente. So che ha frequentato Kevin più di me, ma si comporta come se conoscesse ogni singolo dettaglio di lui, e mette in discussione tutto quello che faccio io".

"E mi chiami per questo?"

"Sì, mi dispiace, Mackenzie, io…"

"Siete entrambe donne adulte. Troverete un modo per lavorare insieme. Ora devo andare. Per favore, mamma… non chiamarmi più, a meno che non sia urgente".

"D'accordo." C'erano dolore e delusione nella sua voce, ma Mackenzie li ignorò.

Riagganciò e tornò da Ellington e Burke. Burke la guardò quasi in segno di scuse mentre tornava alla sua auto di pattuglia. "Stavo giusto dicendo al suo collega che abbiamo preparato un ufficio per voi alla stazione di polizia. Io devo occuparmi di qualcos'altro ora, ma voi accomodatevi pure. E non esitate a chiamarmi subito se salta fuori qualcosa di urgente".

Sembrava sollevato di uscire di scena, mentre saliva in macchina. Rivolse loro un rapido cenno prima di partire, lasciandoli a osservare il tratto di strada dove la donna misteriosa era stata uccisa.

"Chiamata importante?” Chiese Ellington.

"Era mia madre".

"Oh? Tutto bene?"

"Sì, mi ha chiamato solo per farmi sapere che l'incontro di wrestling è ufficialmente iniziato".

Prima Che Faccia Del Male

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