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CAPITOLO UNO

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Zoe seguì le crepe sul bracciolo della poltrona in pelle, notando come il loro schema rivelasse una storia di invecchiamento, di tutte quelle mani e quelle braccia diverse che si erano poggiate proprio su quel punto. Non riusciva a capire se si trattasse di una cosa confortevole, di un indice di esperienza o se fosse semplicemente una cosa disgustosa. Chissà quali germi si annidavano all’interno del tessuto.

“Zoe?” la dottoressa Lauren Monk la richiamò all’attenzione, da una sedia altrettanto confortevole posizionata di fronte a lei.

Zoe alzò lo sguardo con aria colpevole. “Mi scusi, avrei dovuto risponderle?”

La dottoressa Monk sospirò, battendo la penna su un blocchetto d’appunti che aveva in mano. Nonostante la presenza di un registratore sulla scrivania durante tutte le loro sedute, sembrava che la dottoressa Monk fosse ancora un’amante dei metodi tradizionali. “Cambiamo approccio per un momento,” disse. “Ormai abbiamo svolto insieme diverse sedute, non è così Zoe? Noto che a volte hai qualche problema con i segnali sociali.”

Ah. Quello. Zoe minimizzò, cercando di assumere un’aria di indifferenza. “Non sempre riesco a capire le reazioni delle persone.”

“O i modi in cui si aspettano che tu reagisca?”

Zoe scrollò nuovamente le spalle, il suo sguardo si spostò alla finestra. Quindi si sforzò di concentrarsi di più: avrebbe dovuto prendere parte attivamente a queste sedute, non comportarsi come un’adolescente complessata. “La mia logica è diversa dalla loro.”

“Perché pensi che lo sia?”

Zoe sapeva perché, o almeno pensava di saperlo. I numeri. I numeri che erano ovunque guardasse, in qualsiasi momento della giornata. Persino adesso le stavano rivelando la gradazione degli occhiali indossati dalla dottoressa (abbastanza forti da richiedere a malapena un qualche tipo di aiuto), il fatto che c’era mezzo millimetro di polvere sulle cornici dei certificati appesi alle pareti ma solo un quarto di millimetro sulla cornice della laurea in psicologia (che indicava un forte senso di orgoglio per aver raggiunto quel risultato rispetto a tutti gli altri), e che finora la dottoressa Monk aveva scritto esattamente sette parole durante la loro conversazione.

Desiderava dirglielo, o almeno una parte di lei lo voleva. Non aveva ancora ammesso alla dottoressa Monk di avere una capacità che, a quanto pare, nessun altro possedeva. Nessuno a parte il serial killer occasionale, se il caso al quale aveva lavorato un mesetto fa le aveva insegnato qualcosa.

Ma c’era un’altra parte di lei, quella tuttora prevalente, che non aveva intenzione di ammettere proprio un bel niente.

“Sono semplicemente nata così,” rispose Zoe.

La dottoressa Monk annuì, ma stavolta non scrisse nulla. A quanto pare la risposta non era abbastanza significativa. “Come ti senti quando non cogli questi segnali sociali? Ti infastidisce?”

Forse fu il fatto che ormai avevano svolto abbastanza sedute da far svanire l’imbarazzo iniziale. Forse soltanto la libertà di parlare con qualcuno con cui non aveva un vero e proprio legame professionale o personale. Ad ogni modo, e senza il suo permesso consapevole, la bocca di Zoe si lasciò sfuggire una verità che la sua mente aveva tenuto celata fino a quel momento. “Per Shelley è così facile.”

Zoe si maledisse un istante dopo. Per quale accidenti di motivo aveva detto una cosa del genere? Ora avrebbero trascorso il resto della seduta a scavare nella gelosia che covava verso Shelley, piuttosto che lavorare sui veri problemi. E, fino a quel momento, non era neanche stata conscia di quell’invidia.

“L’Agente Shelley Rose,” disse la dottoressa Monk, consultando i suoi appunti, presi durante una precedente seduta nel suo studio. “In passato, mi hai detto di sentirti più a tuo agio con lei che con i tuoi ex colleghi. Ma sei gelosa di lei. Puoi spiegarti meglio?”

Zoe fece un respiro. Certo che poteva, ma non voleva farlo. Fissò le proprie dita, ritenendo suo malgrado che fosse meglio vuotare il sacco. “Shelley ci sa fare con le persone. Le induce ad ammettere le cose. E lei piace alla gente. Non soltanto ai sospettati. A chiunque.”

“Ritieni di non piacere alle persone, Zoe?”

Zoe si agitò, sentendosi a disagio. Era tutta colpa sua. Non avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire quella frase. Ammettere una debolezza era un palese invito ad approfondire. Era per questo che non aveva ancora parlato dei numeri. Il fatto che questa terapista le fosse stata consigliata dalla dottoressa Applewhite, la sua più fidata amica e mentore, non voleva dire che Zoe potesse confidarle il suo più profondo e oscuro segreto. “Non ho molti amici. I colleghi solitamente chiedono il trasferimento pur di non lavorare più con me,” ammise.

“Credi che questo abbia a che fare con la tua difficoltà con i segnali sociali?”

La donna le stava rivolgendo una domanda scontata. “Quello e altre cose.”

“Quali cose?”

La domanda scontata. Zoe gemette tra sé e sé. Si era preparata per quella trappola. “Il mio lavoro è difficile. Sono spesso via. Non ho molto tempo per mettere radici.”

La dottoressa Monk annuì gentilmente. Stava sorridendo in modo incoraggiante, come se Zoe stesse davvero facendo progressi. La parte di lei che desiderava l’attenzione positiva e l’affetto che non aveva mai ricevuto da sua madre ne fu entusiasta, nonostante lei non lo volesse. Finora, la terapia aveva soltanto messo in risalto tutti i suoi difetti. “Cosa mi dici di Shelley? Lei ha messo radici?”

Zoe annuì, ingoiando il rospo. “Ha un marito e una figlia piccola. Amelia. Parla un sacco di lei.”

La dottoressa Monk portò la penna alle labbra, picchiettandola significativamente per tre volte. “Vuoi anche tu una famiglia.”

Zoe alzò bruscamente lo sguardo, quindi ricordò che non c’era da sorprendersi che una terapista riuscisse a distinguere i pensieri più sinceri che si celavano dietro qualsiasi altra cosa venisse detta. “Sì,” rispose semplicemente. Non c’era alcun motivo di negarlo. “Ma sono decisamente lontana da quel punto.”

“Quando ci siamo incontrate per la nostra prima seduta, mi hai detto di aver avuto un appuntamento.” Alla dottoressa Monk non fu necessario controllare i suoi appunti per ricordarsene, notò Zoe. “Lui ti ha contattato, giusto? Gli hai risposto?”

Zoe scosse la testa, negando. “Mi ha inviato alcune e-mail e ha cercato di chiamarmi. Non gli ho mai risposto.”

“Per quale motivo?”

Zoe scrollò le spalle. Non lo sapeva con esattezza. Allungò consapevolmente una mano per toccare alcune ciocche dei suoi capelli castani, tagliati corti per praticità piuttosto che per moda. C’erano molte cose di lei che forse non erano attraenti in modo convenzionale, e lei lo sapeva, anche se non capiva esattamente in che modo gli altri la vedessero. “Forse perché il primo appuntamento è stato imbarazzante. Ero troppo distratta. Non riuscivo a concentrarmi su quello che stava dicendo. Ero noiosa.”

“Ma non è quello che ha pensato lui, no? Questo …?”

“John.”

“Questo John sembra interessato. Continua a cercarti. È un buon segno.”

Zoe annuì. Non c’era nient’altro da aggiungere. Il discorso della dottoressa Monk era sensato, anche se odiava ammetterlo.

“Lascia che ti dica cosa vedo,” continuò la dottoressa Monk. “Mi hai fatto capire che Shelley ha il tipo di vita che desideri. Lei è felicemente sposata e ha una figlia, la sua carriera va a gonfie vele e ha abilità che tu non hai. Saremo sempre gelosi di chi può fare cose che a noi sono precluse. Fa parte della natura umana. La cosa importante è non lasciare che questo ti consumi, e focalizzarti piuttosto sui risultati che puoi raggiungere.”

Prima di continuare, attese che Zoe annuisse nuovamente per essere certa che stesse ascoltando.

“Le cose non accadono da sole. O, in altri termini, è improbabile che tu possa sposarti se eviti qualsiasi appuntamento. Ti suggerisco di chiamare John e di concedergli una seconda possibilità. Forse non andrà bene, o forse andrà incredibilmente bene. L’unico modo per scoprirlo è provarci.”

“Crede che dovrei sposare John?” Zoe aggrottò la fronte.

“Credo che dovresti uscire con lui.” La dottoressa Monk sorrise. “E se lui non dovesse andar bene, credo che dovresti uscire con qualcun altro. È così che agisci per raggiungere i tuoi obiettivi. Un passo alla volta.”

Zoe non era del tutto convinta, ma annuì ugualmente. Inoltre, aveva qualcosa di importante di cui occuparsi, adesso. “Credo che il nostro tempo sia scaduto.”

La dottoressa Monk scoppiò a ridere. “Questo dovrei dirlo io,” disse, alzandosi per accompagnare alla porta Zoe. “E non pensare che sia così facile confondermi. La prossima volta torneremo sulla faccenda dei segnali sociali e sul fatto di vedere le cose in maniera differente rispetto agli altri. Ne verremo a capo, anche se non sei ancora pronta per essere completamente sincera con me.”

Zoe evitò lo sguardo della terapista mentre si dirigeva fuori dallo studio, non volendo tradire il fatto di sperare ancora che la dottoressa se ne dimenticasse davvero.

Il Volto dell’Omicidio

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