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CAPITOLO CINQUE

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Shelley occupò il sedile del guidatore, un evento raro quando andava in auto con la sua partner. Shelley sapeva che Zoe solitamente aveva mal d’auto, ma oggi era talmente concentrata sulle sue equazioni che sembrava notare a stento la strada. Non stava neanche stringendo la cintura di sicurezza, il suo consueto segnale di disagio.

Shelley le rivolgeva uno sguardo ogni volta che ne aveva la possibilità, quando era in attesa agli incroci o ferma nel traffico. Quello che Zoe stava scarabocchiando freneticamente su diverse pagine del suo taccuino non aveva alcun senso per lei. Avrebbero potuto benissimo essere geroglifici.

Zoe aveva un vero dono quando si trattava di numeri, ma c’era anche il rovescio della medaglia. A volte, come ora, poteva prendere il controllo un’ostinata ossessione. Per quanto Shelley volesse esserle d’aiuto, non aveva idea di cosa fosse necessario, e Zoe non aveva intenzione di dirglielo. Lei era così, anche piuttosto spesso. Silenziosa, chiusa. Shelley aveva sentito delle voci a proposito dei suoi precedenti partner, e non le fu difficile dedurre che, nella sua mente, forse Zoe aveva smesso di fidarsi delle persone un sacco di tempo fa.

Zoe era abituata a lavorare da sola. Se fosse dipeso da lei, Shelley l’avrebbe cambiata. Ma ci sarebbe voluto un sacco di tempo per farlo. Nel frattempo, avrebbe dovuto continuare a incitarla e a ricordarle di condividere le sue riflessioni.

Ecco, magari non quelle relative alla matematica. Shelley poteva lasciare che Zoe lavorasse da sola con la matematica.

Il professore di Inglese viveva dall’altra parte della città, in uno dei quartieri più lussuosi, case dipinte di bianco con larghi giardini e steccati altrettanto bianchi. Shelley parcheggiò in strada, spegnendo il motore, e attese che Zoe capisse che erano arrivate.

Lei non alzò neanche lo sguardo.

C’erano volte in cui Shelley sentiva di doversi muovere con attenzione accanto a Zoe, gestirla con estrema cautela. Come se fosse una bambina. Il che era in un certo modo ironico, dato che Shelley trascorreva tutto il suo tempo a casa a fare il genitore. Non erano poche le volte in cui sentiva di fare la stessa cosa al lavoro, nonostante Zoe fosse più grande di lei.

“Ci siamo,” disse delicatamente Shelley, per non far trasalire Zoe dai calcoli sui quali stava lavorando.

La penna di Zoe esitò a mezz’aria, e finalmente alzò lo sguardo. Sembrava sorpresa di essere altrove rispetto al parcheggio dell’ufficio del medico legale. “Devo solo finire …”

Shelley inarcò un sopracciglio. “Z, ci vogliono meno di due minuti a finire? Altrimenti forse dovremmo entrare e parlare con la moglie del professore, e tornare più tardi sulle equazioni.”

Zoe sospirò rumorosamente, ma sembrò acconsentire. Mise via il suo quadernetto, riponendolo in una tasca, e uscì dall’auto, cosa che Shelley prese come segnale per fare lo stesso. Rielaborò la sua precedente riflessione: avere a che fare con Zoe non era esattamente come avere a che fare con un bambino. A volte era più simile a un’adolescente scontrosa.

La signora Henderson sembrava aspettarle, o quantomeno sembrava aspettare qualcuno. Indossava un appropriato vestito scuro a fiori, i colori tenui trasmettevano quello che stava vivendo. I suoi occhi erano arrossati, ma aperti e acuti, e valutarono Shelley e Zoe in pochi istanti quando si incontrarono alla porta.

“Sono l’Agente Speciale Shelley Rose, e lei è l’Agente Speciale Zoe Prime. Vorremmo entrare e parlare di suo marito, signora Henderson.”

La donna annuì, invitandole a entrare, spostandosi per chiudere la porta dopo il loro ingresso. La casa era arredata in stile classico sobrio, tutta in legno scuro, con comodi cuscini e copriletto. La signora Henderson le fece accomodare in salotto, dove Shelley accettò con gratitudine l’offerta di caffè per conto suo e di Zoe.

“La sta prendendo piuttosto bene,” mormorò Shelley, dando un’occhiata all’ambiente in cui si trovavano. Era ordinato, non un singolo oggetto fuori posto. Niente polvere sul basso tavolino con ripiano in marmo o sulla scura credenza appesantita da ricordi e cianfrusaglie. Diversi frutti  erano collocati in una ciotola brunita al centro del tavolo. Sembrava più un set televisivo che una casa davvero abitata.

Forse il modo della signora Henderson di affrontare il lutto era pulire e riordinare la casa, prepararla ad accogliere ospiti. Non sarebbe stata una cosa del tutto insolita. Shelley l’aveva già visto fare prima. Era collegato al rifiuto: il pensiero che se si fosse semplicemente assicurata che tutto fosse perfetto, suo marito avrebbe potuto fare ritorno a casa come se niente fosse successo.

Anche le faccende rimandavano il dolore.

Sul caminetto c’era una fotografia incorniciata: il professore e sua moglie, in tempi più felici. Shelley la guardò e cercò di non vederci l’orribile disastro nel quale si era trasformata la testa del professore.

“Diciassette statuette,” mormorò Zoe. Shelley seguì il suo sguardo verso la credenza e capì che Zoe stava facendo ciò che le riusciva meglio: cercare i numeri. In questo caso, comunque, i numeri avevano già assunto un nuovo significato. Stava cercando un indizio che avrebbe portato a un passo avanti con le equazioni.

La padrona di casa tornò dopo appena qualche minuto, portando un vassoio con tre tazze di caffè caldo. Il delicato design della porcellana della tazza della signora Henderson era bilanciato dalla semplice praticità delle altre due. Due differenti personalità, che si riflettevano nei contenuti di una casa. E forse un’indicazione che i visitatori che aveva ricevuto oggi non erano degni della porcellana migliore.

“Deve essere stato scioccante per lei,” disse Shelley, sollevando la sua tazza e soffiando delicatamente sulla superficie del caffè prima di sorseggiarlo. Domande o affermazioni come questa, aperte e invitanti, spesso stimolavano le persone a fornire maggiori informazioni. Il tipo di informazioni che altrimenti non sarebbe neanche pensabile chiedere.

“Oh, sì.” La signora Henderson sospirò profondamente, sistemandosi sulla poltrona che doveva essere stato il suo posto abituale. “Quasi non riesco ancora a crederci. Il mio Ralph, morto, all’improvviso. E così violentemente, poi. Non voglio neanche immaginarlo.”

“Le viene in mente un motivo dietro un tale livello di violenza, signora Henderson?”

La donna chiuse brevemente i suoi occhi, portando una mano alla fronte. Indossava ancora una semplice fede nuziale dorata, insieme a un più elaborato insieme di piccoli brillanti. Forse un anello di fidanzamento, vecchio di decenni. “All’inizio ho pensato volessero rubare qualcosa. La sua auto o il portafogli. Ma la polizia ha detto che non manca niente.”

“Gli psicologi ci hanno riferito la presenza di tracce di una forte rabbia sulla scena del crimine. Quel genere di rabbia che, beh, solitamente deriva dal conoscere qualcuno personalmente. Le viene in mente nessuno? Qualcuno che potesse avercela con suo marito, abbastanza da fargli del male?”

La donna tirò fuori un fazzoletto ricamato per asciugare i suoi occhi, la mano con l’anello si alzò per spostare una ciocca dei suoi capelli castano chiaro. “Non mi viene in mente nessuno. Insomma, Ralph era … era Ralph. Non ha mai fatto del male a una mosca. Andava d’accordo con i suoi colleghi, era benvoluto dagli studenti. Abbiamo alcuni amici nel vicinato che vengono a cena da noi, di tanto in tanto. Non ha mai discusso molto con gli estranei. Non c’era nulla di strano in lui. Tutti lo amavano!”

“Va bene, quindi apparentemente non aveva nemici,” disse Shelley, annuendo in modo incoraggiante sebbene si sentisse frustrata da quella risposta. Era sempre meglio avere una pista da seguire. “In tutta la sua carriera, crede? Non ha mai avuto alcun problema?”

La signora tirò su con il naso, scrollando le spalle. “Beh, c’era sempre qualcosa di poco conto,” disse, sebbene il suo tono indicasse un’assoluta mancanza di rilevanza, secondo la propria opinione. “Era un professore. C’erano studenti che non erano contenti dei voti. O studenti che venivano bocciati perché non seguivano le lezioni o non consegnavano i lavori in tempo. Pensano tutti di meritare un trattamento di favore. Ma è normale, fa parte del lavoro. Nessuno ucciderebbe per qualcosa come un voto, no?”

Shelley si rese conto che la signora Henderson stava davvero ponendo quella domanda, cercando di essere rassicurata. Purtroppo, Shelley sapeva di non poterla tranquillizzare. Le persone uccidevano per ogni tipo di ragione. Non sempre c’era razionalità, dietro. A volte era semplicemente l’ultima goccia a farli scattare.

Forse era un’idea che valeva la pena approfondire. Un ragazzo ricco, che si ritiene un privilegiato e che ha ricevuto tutto dalla vita, all’improvviso inizia a fallire, per la prima volta nella sua vita. Dà di matto, spinto dall’orgoglio. Oppure uno studente sul lastrico, senza più nessuna ragione di vita: una persona alla quale sono recentemente morti i genitori, con una relazione appena terminata e, per finire, un brutto voto. Sì, era decisamente qualcosa da prendere in considerazione.

“Speriamo di no,” disse, rivolgendole un leggero sorriso pensato per trasmettere la sua solidarietà. “Le viene in mente qualsiasi cosa insolita che possa essere successa negli ultimi giorni o settimane, o persino mesi?”

La signora Henderson scosse il capo, asciugandosi nuovamente gli occhi. “Ci ho pensato continuamente. Era tutto così … normale. Per questo è stato un tale shock. Del tutto inaspettato. Non riesco affatto a capire per quale motivo qualcuno abbia voluto far del male al mio Ralph.”

La donna stava diventando sempre più angosciata. Forse sarebbe stato meglio concludere la conversazione e lasciarla in pace. “Non c’è nient’altro che possa dirci? Proprio niente? Potrebbe anche non sembrarle qualcosa di rilevante, ma ogni piccola informazione è un altro pezzo del puzzle.”

La signora Henderson scosse la testa con un’espressione impotente.

“Va bene, un’ultima domanda. Ricorda se suo marito ha mai parlato di uno studente di nome Cole Davidson?”

“Non fino a quando il suo nome non è apparso sui giornali,” rispose la signora Henderson. “Povero ragazzo. Credete … credete che siano collegati? Devono esserlo, no? Due omicidi in un arco di tempo così breve?”

“Per noi non è utile fare speculazioni in questa fase.” Shelley bevve un ultimo sorso di caffè, rammaricandosi di dover lasciare ben metà di quella che era stata una tazza molto saporita. “Ma la contatteremo, nel caso dovessimo avere altro da dirle.”

Shelley si alzò, quindi aspettò che Zoe si unisse a lei. “Signora Henderson, c’è qualcuno che può farle compagnia oggi?”

La donna annuì lentamente, alzandosi per accompagnarle alla porta. “Mia figlia sta tornando a casa. Dovrebbe essere qui in serata.”

Questo tranquillizzò Shelley. Lasciare una donna sola con il suo dolore non le sembrava mai una cosa giusta, indipendentemente da quante famiglie avesse interrogato. “Allora ci terremo in contatto, signora Henderson. Nel frattempo, cerchi di riposare un po’.”

Tornarono in auto, e Zoe tirò immediatamente fuori il suo taccuino per ricominciare a scrivere. Shelley si chiese se avesse ascoltato una sola parola della conversazione, o se l’avesse subito liquidata come inutile e avesse passato tutto il tempo a pensare ai numeri.

In ogni caso, Shelley non riusciva ad arrabbiarsi. Al momento, le equazioni erano l’unico vero indizio che avevano. Mentre tornavano alla base, Shelley non riuscì a fare a meno di preoccuparsi del fatto che non avrebbero trovato niente di utile in grado di dare una svolta al caso. Con Zoe così fissata sui numeri, sarebbe stato compito di Shelley trovare qualcos’altro che avrebbe potuto fare la differenza.

Il punto era capire in che direzione cercare.

Il Volto dell’Omicidio

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