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CAPITOLO UNO

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Kyran inciampò quando la gravità lo tradì, e per poco non fece cadere il carico prezioso che reggeva. Strinse ulteriormente la presa attorno alle gambe di lei nel momento in cui lo raggiunse la sensazione a lui nota di aver attraversato un portale. L’ultima cosa che desiderava era perderla nell’etere. Nel compiere un passo e poi l’altro brillarono delle forti luci bianche, e svanì improvvisamente l’odore del fumo, così come il rumore dell’incendio e delle sirene.

Riprese in fretta l’equilibrio e si guardò attorno; l’aria era calda e umida. Il mondo che lo circondava era completamente diverso dal solito, e gli era totalmente sconosciuto. Persino la luna e il cielo risultavano differenti. Gli insetti volavano attorno ai due, e si accorse di non aver mai visto una flora simile. Non sapeva dove si trovassero, ma i suoi sensi gli suggerivano che non erano nei pressi della civiltà. La calma della notte sparì nel momento in cui Mackendra prese a urlargli contro.

“Mettimi giù, babbeo! Che cazzo è successo? Smetti di camminare e mettimi giù!” Ordinò.

“Fa’ silenzio. Il mio nome non è babbeo. Mi chiamo Kyran, e sto cercando di capire dove ci troviamo” spiegò nel rivolgere la propria attenzione al cielo. La luna brillava di una luce violacea, e l’uomo era infinitamente grato del fatto che non fosse giorno poiché in tal caso avrebbe preso fuoco. Si chiese se in quel luogo fosse giorno, e in tal caso che aspetto avesse il sole. Kyran sapeva per certo che non si trovavano sul pianeta terra.

La sculacciò nuovamente quando la sentì prendere un respiro. “Non provare a fottermi” l’informò. Sorprendentemente la ragazza rimase in silenzio, ma incrociò le braccia al petto frapponendole tra la schiena di lui e il petto di lei.

Kyran osservò con attenzione ciò che li circondava. L’area circostante era coperta da alberi dalle fronde rigogliose, e in lontananza percepì l’odore di acqua salata oltre a quello di vari animali che però non riconobbe. Si chiese dove si trovassero.

I demoni di livello inferiore stavano attraversando i portali tra la terra e l’inferno. Non sapeva se avessero avuto accesso all’inferno, ma doveva indubbiamente stare allerta. Era plausibile che avessero raggiunto uno dei nove gironi dell’inferno. Esistevano molte leggende al riguardo, e non tutte corrispondevano a quelle umane che prospettavano fuoco e fiamme. Era superfluo aggiungere che Kyran non avesse idea di che cosa avrebbero trovato sul loro cammino.

Quando si guardò indietro vide il portale che avevano appena attraversato, e notò che era delimitato da un arco di pietra su cui erano stati incisi dei simboli a lui sconosciuti, ma era inequivocabile che detenessero un vasto potere. La pietra dell’arco era ricoperta in diversi punti da piante rampicanti, mentre in altri era usurata. Si trattava di un luogo antico, che stimò antecedente ai propri settecento quindici anni.

Normalmente era possibile attraversare il portale per fare ritorno al luogo d’origine. Kyran era però piuttosto certo che il confine appena varcato si fosse richiuso; ciononostante si voltò e fece ritorno all’arco. Quando l’attraversò, avanzò di cinque passi prima di ritrovarsi davanti a un muro di roccia ricoperto di detriti.

La femmina infuriata lo colpì nuovamente alla schiena. “Signorina, se continui così ti spoglio nuda e ti infliggo una punizione che non dimenticherai”. Gli venne da sorridere quando la udì trasalire dalla sorpresa, e allo stesso tempo trattenne a stento un grugnito indotto dall’immagine descritta. Gli piaceva l’idea di punirla molto più di quanto avrebbe dovuto. Non si intratteneva mai con gli umani perché i loro corpi erano troppo deboli per resistere alla propria depravazione.

“Toccami e sei morto, stronzo. Adesso mettimi giù”. La ragazza si agitava con vigore tra le braccia di Kyran, il quale doveva ammettere che era forte per essere un’umana, e non poteva non ammirare il suo coraggio nell’affrontare l’ignoto. La maggior parte delle sue simili in quella situazione si sarebbero rannicchiate in un angolo a piangere. Sicuramente Mackendra era al corrente che non si trovassero più nei pressi della propria casa. L’uomo si chiese se la ragazza avesse avuto il sospetto che fosse accaduto qualcosa di magico.

Quando gli stivali di lei lo raggiunsero ai testicoli, Kyran la scagliò a terra protestando. Il dolore lo fece piegare in due, e si massaggiò l’area dolorante. Il suo primo istinto fu quello di afferrarla per i capelli e punirla per l’insulto inflittogli. L’aveva salvata da morte certa e lei lo ripagava con un calcio nelle palle? Doveva impartirle una lezione, e gli sarebbe piaciuto farlo.

Mackendra si affrettò a girarsi, e Kyran sorrise quando lesse la scritta sulla sua maglietta. Solamente qualcuno di così sarcastico poteva portare con disinvoltura una maglietta che recitava ‘Armata Fino ai Denti e dall’Incazzatura Facile’. Si accorse in quel momento che portava sulle spalle uno zaino, e si chiese dove l’avesse trovato. Quando l’aveva presa in braccio a casa sua non l’aveva notato.

Un istante dopo la ragazza era in piedi, era chiaro che fosse arrabbiatissima e pronta a fargliene vedere di ogni. L’interruppe prima che potesse dire qualsiasi cosa. “Andiamo” commentò prima di prenderla per un braccio e tirarla via da dove si trovava. “Dobbiamo andarcene da qui. Le creature di questo Reame hanno percepito il nostro arrivo. Non voglio esserci quando verranno a cercarci. Dobbiamo trovare un luogo sicuro dove decidere il da farsi”.

Le parole di lui la fecero reagire in fretta, e Mackendra si corrucciò con fare confuso. “In che senso ‘questo Reame’? Dove mi hai portata? E, per la cronaca, non vado da nessuna parte insieme a te” disse liberandosi dalla stretta di lui.

“Molto bene. Allora resta qui a farti mangiare” ribatté lui rivolgendole un’occhiataccia. Desiderava non essere talmente attratto dalla testardaggine di lei. Kyran prediligeva le femmine che si facevano sottomettere, mentre il carattere di Mackendra era l’opposto. Si voltò e si allontanò da lei di qualche passo, lasciandola indietro.

“Farmi mangiare da cosa?” Domandò Mackendra. Quando Kyran si voltò si rese conto che la ragazza stava osservando con attenzione l’area circostante. Doveva ammettere che la femmina era una guerriera, in posa d’attacco e con i pugni chiusi.

“Non lo so, è quello il problema. Non è sicuro restare qui, le creature che abitano questo Reame si stanno avvicinando”. Kyran udì un battito d’ali in lontananza e qualcosa che girovagava nella giungla che li circondava. Anche Mackendra doveva essersene accorta perché qualche minuto più tardi la sentì correre verso di sé a passo pesante. Era minuta, ma faceva tanto rumore quanto un elefante.

Kyran si voltò di scatto e le mostrò i canini. “Porca puttana, fa’ meno rumore! Attirerai le creature”.

Mackendra trasalì dallo spavento e sgranò gli occhi. In un istante la mano di lei scomparve dietro la schiena prima di ripresentarsi stringendo un oggetto che brillava alla luce violacea della luna. Balzò in avanti verso di lui “Sei uno di quei fottuti vampiri!” Esclamò affondando la lama nel petto di Kyran. Il freddo metallo gli ferì il cuore come se fosse stato burro.

Il dolore e lo shock del gesto di lei lo fecero trasalire. Cadde in ginocchio quando non riuscì a reggersi in piedi. “Perché non sei morto? Dovresti ridurti in cenere…Non dovresti sanguinare…” La ragazza sembrava terrorizzata. Aveva lo sguardo fisso sulla ferita che sanguinava attorno alla lama.

“Non sono uno Skirm” disse respirando pesantemente. Portò l’attenzione sulla ferita prima di afferrare il coltello. Si preparò per il dolore che sapeva avrebbe provato. Prima di estrarselo dal petto si rese conto che Mackendra aveva preso a correre. Per un momento non la considerò; doveva attendere qualche minuto affinché la ferita si rimarginasse, in modo da non dissanguarsi nella giungla. L’ultima cosa che voleva era lasciare una traccia per le creature.

Non si erano allontanati a sufficienza dal portale a parere di Kyran. Se qualcuna delle creature che abitavano quel Reame avesse percepito la magia del loro arrivo, il primo luogo dove si sarebbero recati sarebbe stato il portale. Una cosa per volta. Kyran strinse i denti ed estrasse la lama dal petto.

Cadde in avanti e abbassò il capo, cercando di respirare normalmente nonostante il dolore. Stava perdendo sangue rapidamente, il flusso veniva spinto dal battito cardiaco accelerato. Tentò di alzarsi in piedi ma ricadde a terra. Strisciò per alcuni metri prima di collassare e non riuscire più a muoversi. Quando iniziò a vedere i puntini di luce gli si allargò un sorriso in volto. Quella femmina era coraggiosa come lui e gli altri guerrieri, nonché forte e testarda.

Chiuse gli occhi quando percepì le proprie membra rimarginarsi. Mentre gli si chiuse la ferita inflittagli da Mack al cuore, Kyran s’immaginò quanto sarebbe stato piacevole punirla. L’ascoltò allontanarsi; era certo che non avrebbe frapposto troppa distanza tra sé e il vampiro. Kyran prese un respiro profondo, crogiolandosi nel profumo unico di lei, di agrumi e vaniglia. Gli sarebbe piaciuto farle del male.

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* * *

Un incubo. Fu l’unica spiegazione che si diede Mack. Era stata svegliata dalle fiamme che stavano divorando casa sua, e quando stava per saltare dal secondo piano, era apparso un uomo strano nella stanza. Inizialmente aveva pensato si trattasse di un pompiere in quanto l’aveva presa in braccio sistemandosela sulla spalla. Poi era stata tutta una confusione di fiamme e fumo, e si era ritrovata nel proprio giardino sul retro.

Le era andato il sangue alla testa e aveva sentito lo stomaco agitarsi minacciosamente. Le erano bastati due secondi per comprendere che quel tizio non era un pompiere. Non l’aveva messa giù appena dopo averla allontanata dalle fiamme, nonostante le numerose richieste. Quando l’uomo non aveva obbedito Mack aveva preso a colpirlo, percependo sotto di sé un corpo talmente muscoloso da darle l’impressione di star infierendo su un muro.

Qualche istante più tardi le era sembrato di trovarsi in caduta libera, e credette che l’uomo la stesse facendo scendere. Si era quindi preparata per l’impatto con il suolo, e nello stesso momento aveva visto delle luci accecanti davanti a sé. L’improvvisa assenza di rumori e di luce le aveva fatto capire che era successo qualcosa, e la ragazza si era messa subito in allerta. Era perfettamente cosciente che nulla al mondo fosse come sembrava. Ciò che la spaventava di più erano le creature che si aggiravano con il favore delle tenebre.

Non sapeva per certo per quanto avesse tenuto gli occhi chiusi, ma quando Mack li aveva riaperti si era ritrovata in un luogo sconosciuto; indubbiamente non era più nel suo giardino. Si trovava ancora sulle spalle dell’uomo che l’aveva salvata.

Non era il tipo da farsi scombussolare facilmente da un bel ragazzo. Dopo tutto non aveva importanza quanto qualcuno fosse attraente, ciò che contava era la bellezza interiore. Mackendra doveva però ammettere che lo sconosciuto aveva il sedere più bello che avesse mai visto, e le era risultato difficile concentrarsi sulla propria richiesta di venir messa giù quando con le mani continuava a raggiungere la carne soda del didietro di lui.

Inizialmente, quando l’uomo era apparso in camera della ragazza, quest’ultima era stata sollevata dalla presenza di lui in quanto l’aveva scambiato per un pompiere, ma in quel momento le sovvenne dove l’aveva già visto. Lo sconosciuto aveva presenziato a un incontro dove Mackendra si era recata con la sua amica Elsie, ma non si era trattenuto molto a lungo.

Quando le aveva inveito contro nel suo accento scozzese sexy e aveva osato sculacciarla per la seconda volta, si era dimenticata di averlo già incontrato e aveva protestato con più forza per farsi mettere giù. Non le importava di quanto quel ragazzo fosse bello, non aveva il diritto di metterle le mani addosso.

Non aveva provato rimorso quando gli aveva dato un calcio all’inguine, e non era rimasta sorpresa dal fatto che l’avesse lasciata cadere di conseguenza. Quel tizio si meritava un trattamento simile. Mackendra non era riuscita a trattenere il ghigno che si era fatto strada sul proprio volto, ma quando si era alzata in piedi aveva vissuto il secondo shock di quella notte.

Quando vide la luna viola nel cielo scuro convenne che non si trovassero più in Kansas. Sapeva che i pericoli si nascondevano al buio, ma quelle circostanze erano completamente diverse. Mackendra non era più nel suo territorio e non aveva idea di che cosa aspettarsi. Il sapere che il proprio coltello preferito era al sicuro nella cinta che indossava le aveva dato una sorta di conforto prima che l’ansia le facesse provare una scarica di adrenalina.

Era stata diffidente nei confronti di quel tizio, ma aveva dedotto che restare con lui sarebbe stato l’unico modo per essere sicura di fare ritorno a casa; almeno fino a quando le aveva mostrato i canini. Era un dannato vampiro e quindi un nemico! A quel punto non aveva nemmeno dovuto pensare: avevano avuto il sopravvento anni di allenamento e l’istinto. Odiava i vampiri e li voleva tutti morti, quindi aveva estratto il coltello e l’aveva affondato nel cuore di lui. Era così che eliminava i vampiri. Quando però l’uomo non si era fatto cenere come Mack si aspettava, prendendo invece a sanguinare, la ragazza era andata nel panico. Aveva trasalito alla vista del rivolo scarlatto, incredula. Nelle altre uccisioni non era mai comparsa nemmeno una goccia di sangue.

Nello stesso momento la mente di lei era stata pervasa da un migliaio di pensieri diversi. Non sapeva se si trattasse di una nuova razza di vampiri, ma di una cosa era certa: non voleva restare per scoprirlo, quindi era corsa via.

L’ultima immagine di lui era quella in cui il coltello di Mackendra gli fuoriusciva dal petto e il sangue gli colava dalla ferita. Il commento di lui che si difendeva sostenendo di non essere un Skirm la assillava, e le fece risalire la bile in gola. Non era la prima volta in cui sentiva il termine Skirm. Aveva quindi accelerato il proprio passo, volendo frapporre una certa distanza tra sé e il nemico—era ciò che era diventato. Se fosse sopravvissuto all’attacco di lei non avrebbe provato affetto nei suoi confronti.

Inciampò nella propria corsa, finendo faccia a terra. Nel cadere colpì una roccia con la guancia, e percepì un dolore lancinante; indubbiamente si sarebbe formato un livido. Tentò quindi d’issarsi sulle braccia, ma gli arti tremanti non ressero il peso, quindi collassò nuovamente a terra. L’effetto dell’adrenalina scemò, lasciandola senza energie. Riuscì a girarsi di schiena e soppesare le proprie opzioni guardando il cielo violaceo oltre le fronde degli alberi.

Mack non sapeva che cosa avrebbe incontrato, ma sapeva di avere almeno un nemico. Non poteva permettersi di abbassare la guardia. Sfortunatamente, a causa dello shock, la ragazza era fuggita abbandonando la sua unica arma. Tornò con la mente agli eventi precedenti, nel tentativo d’individuare qualcosa da usare contro il vampiro. All’incontro avevano presenziato due altri ragazzi oltre a Mackendra, Elsie e lo sconosciuto. Oltre allo shock dovuto dal fatto che la sua amica si era risposata, uno dei ragazzi era un detective della Polizia di Seattle che le aveva comunicato che uno dei colleghi del SOVA era morto.

Mack chiuse gli occhi nel tentativo di ricordare che cos’altro si fossero detti. Il detective le aveva detto che uno Skirm aveva ucciso Ellen, non l’aveva definito un vampiro. Aveva insistito sul fatto che i vampiri non fossero malvagi come gli Skirm. Inizialmente Mackendra non credeva ci fossero differenze tra una specie e l’altra, almeno fino a quando non aveva visto quelle donne che erano state tenute prigioniere nelle gabbie sotto a Pioneer Square. Una di loro aveva asserito la stessa cosa circa gli Skirm, insistendo affinché Mackendra trovasse il Re Vampiro e i Guerrieri Oscuri che le avrebbero salvate.

Quando la ragazza ritornò sul fatto che Kyran non si era dissolto in un cumulo di cenere, non riuscì a non chiedersi se quella donna non le avesse detto la verità. Forse in quel momento l’uomo stava morendo dissanguato. I pensieri di Mackendra vennero interrotti quando udì qualcosa sopra di sé; aprì gli occhi e portò l’attenzione verso gli alberi, ma non vide nulla.

Dopo anni trascorsi a dare la caccia ai vampiri, il suo istinto l’avvisava immediatamente quando rilevava un pericolo. Rotolò in posizione prona e restò in silenzio. Il suono svanì, quindi si mise a sedere, limitandosi ad ascoltare per qualche minuto. Una volta certa che Kyran non la stava seguendo, si tolse lo zaino dalle spalle e cercò qualcosa da poter usare come arma.

Grazie a Dio si era sistemata lo zaino in spalla prima che lo sconosciuto infrangesse il vetro della finestra. Ne aveva sempre uno pronto per le emergenze. Imprecò quando non vi trovò nemmeno un’arma all’interno. Tutto ciò che aveva sistemato nella sacca era un piccolo kit di pronto soccorso nella tasca frontale, un paio di bottigliette d’acqua, delle barrette proteiche e dei vestiti di ricambio. Non aveva portato con sé altro, oltre a qualche spicciolo e i documenti. Non aveva nulla con cui potersi difendere.

Si guardò attorno nella giungla buia in cerca di qualcosa che avrebbe potuto fungere da arma. Era circondata da diversi sassi e rami, quindi ne raccolse qualcuno e lo sistemò nello zaino. I bastoni erano sottili e non le sarebbero stati utili per penetrare la pelle, ma indubbiamente avrebbe potuto conficcarli in un occhio. Si armò di uno di essi, stringendolo in mano. Si accorse della temperatura elevata solo quando il sudore le gocciolò lungo la schiena. Era cresciuta a Seattle dove pioveva sempre e non facevano mai più di 30 gradi. Le risultava quindi strano percepire il caldo umido.

Si alzò in piedi e prese a camminare, ma cadde contro un albero quando sentì un dolore lancinante alla caviglia. Doveva essersela slogata nell’inciampare. Mackendra restò ferma a pensare; si sentiva esposta e impotente. Era ferita e non aveva alcuna vera possibilità di difendersi; non poteva nemmeno correre se avesse dovuto scappare. La giornata continuava a migliorare. D’altronde la sua vita andava sempre così.

L’infanzia di Mackendra non era stata la più facile di tutte, e la vita da adulta non era un granché meglio. Era passata dall’assistere al padre alcolizzato che picchiava la madre al venire attaccata e segnata a vita da un feroce succhia-sangue. Si rifiutava di far sì che tale episodio controllasse la propria vita, nonostante l’avesse sfigurata. Continuava a fare dei tentativi per migliorarsi ogni giorno, nonostante tutti i momenti negativi che aveva vissuto.

Non voleva essere una vittima come la madre, quindi Mack si era allenata per padroneggiare ogni forma di auto difesa oltre all’utilizzo di tutte le armi conosciute al genere umano. La sua routine si compose presto di giornate in cui lavorava come meccanico, e di serate in cui plasmava il proprio corpo nell’arma migliore di sempre. Era determinata a non volersi ritrovare mai più talmente inerme. Aveva quindi costituito il SOVA per portare avanti la propria missione, supportando le vittime di attacchi simili a quello che aveva subito.

Individuava immediatamente nei report quotidiani di TwiKills le vittime di attacchi di vampiri, il che la consumava dall’ira. Aveva un solo obiettivo nella vita: rendere sicura Seattle. Avrebbe impedito ai vampiri di prendere il controllo della sua città, e si era fatta carico di dare la caccia alle prede e ucciderle. Non sarebbe stata soddisfatta fino a quando tutti i vampiri non sarebbero stati sterminati.

Il SOVA era il suo unico scopo di vita da quando il suo promesso sposo l’aveva lasciata. Il bastardo era talmente disgustato dall’aspetto di lei dopo l’attacco subito da troncare la relazione. Meglio così. Si prefissò di non vivere nel passato.

Si issò nuovamente in piedi e avanzò zoppicando, decisa a frapporre più distanza possibile tra sé e il vampiro. Indubbiamente quel mostro sarebbe stato arrabbiato se fosse sopravvissuto all’attacco, e sicuramente si sarebbe messo sulle sue tracce. Si ritrovò a sperare che il vampiro fosse ancora vivo; doveva ammettere che la elettrizzava il pensiero di lui che le dava la caccia. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta in cui qualcuno l’aveva fatta eccitare.

Qualche metro più là si rese conto di essere più ferita di quanto pensasse. Le faceva male tutto dalla caduta, e la caviglia le pulsava dal dolore. Quando si guardò intorno notò un albero il cui tronco era cavo, quindi vi si rannicchiò all’interno. Doveva riposare. Una volta nel tronco chiuse gli occhi e restò allerta. La colse di sorpresa rendersi conto che i rumori circostanti non erano così diversi da quelli del proprio mondo, con gli insetti e gli uccelli che svolazzavano in giro. Pregava che non ci fossero tanti dannati serpenti, perché se c’era una cosa che odiava più dei vampiri erano i serpenti.

Quando Mackendra portò indietro il capo, la stanchezza ebbe la meglio su di lei. Aveva i polmoni in fiamme a causa della fatica e del fumo che aveva inalato, ma almeno respirava con più agevolezza. Si stava per addormentare quando la raggiunse un dolore lancinante al braccio destro, a cui seguì la sensazione che un milione di formichine le stessero camminando sulle braccia. Si affrettò quindi fuori dall’albero e si strofinò gli arti; fu in quel momento che si accorse di essere ricoperta dai ragni più grandi che avesse mai visto.

Prese a urlare dallo spavento nel togliersi di dosso gli insetti, e li schiacciò con i piedi quando caddero a terra. Buon Dio, le erano finiti anche nei capelli e si stavano facendo strada nella maglietta. Scosse il capo e si tolse il top, pestandolo una volta al suolo. S’immobilizzò qualche minuto più tardi, quando non percepì altro movimento sulla pelle. Quindi abbassò il capo e notò il cimitero d’insetti di cui era artefice.

Mackendra aggiunse i ragni alle creature che odiava. Si rese conto che la lista si stava facendo abbastanza lunga. Fece quindi ritorno all’albero, dove si riappropriò dello zaino. Faceva ancora fatica a prendere un respiro profondo. Aveva la bocca secca e le braccia infiammate a causa dei morsi degli insetti. Era disidratata, e quando estrasse dalla sacca una bottiglietta d’acqua ne prese un sorso generoso. Doveva però preservare le proprie scorte, quindi si impose di smettere di bere nonostante avesse ancora sete. Aveva le vertigini e vedeva i puntini di luce. Si ricordò del kit di pronto soccorso e lo spray antisettico, di cui si ricoprì le braccia.

Saltellò sul posto quando l’irritazione cutanea non fece che peggiorare. Quando prese a sudare freddo le sovvenne che probabilmente quei demoni a otto zampe erano velenosi. Perse un battito, come a confermare la propria teoria. Si mise a sedere tra le foglie primaverili; aveva la vista offuscata e il petto come costretto. Abbandonò il busto all’indietro, rivolgendo lo sguardo alle fronde degli alberi. Si chiese se sarebbe stata la propria fine. Non sarebbe stata la ciliegina sulla torta se fosse morta in una giungla di un pianeta dimenticato da Dio? La sua solita fortuna, pensò, prima che tutto si fece nero.

Il Guerriero Depravato

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