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Capitolo sesto

Il sabato mattina arrivò troppo presto e non abbastanza presto. Adara si stiracchiò le braccia mentre il sole si rivelava lentamente, ammiccando grigio attraverso i sempreverdi misti e gli alberi spogli del suo cortile. Da quando Joey si era ammalato, il sonno era stato una bestia imprevedibile e lei aveva imparato a non combatterlo. Le pillole non sempre funzionavano e meglio essere una brontolona naturale che una zombie chimica.

Dopo essersi riscaldata e aver fatto stretching, indossò la giacca e fece scivolare la fascia in pile dal collo alle orecchie. Anche se il nero era il colore dominante del suo guardaroba, faceva delle eccezioni per le corse in penombra e indossò dei guanti, degli scaldaorecchie e una giacca di colore rosso. Restare da sola non voleva dire aver voglia di morire.

L’aria fredda le punse il viso mentre apriva la porta. Adara indossò i guanti e scese con cautela i gradini, verificando che non ci fossero punti scivolosi. La neve scintillava alla luce appena accennata e i rami degli alberi spogli mostravano un paio di centimetri di lanugine bianca. Non c’era nessun altro sul marciapiede. Solo gli psicopatici, gli idioti e gli squilibrati andavano in giro così presto in un sabato mattina invernale. Il tipo di folla che Adara amava.

Impiegava solitamente mezz’ora per arrivare da casa al parco, abbastanza da avere il sangue che pompava caldo con un ritmo sincrono. Il silenzio dell’alba, quando la vita era sul punto di risvegliarsi, aveva sempre qualcosa di magico, come se corresse abbastanza velocemente da poter scivolare in un mondo diverso. La neve scricchiolava con un ritmo costante sotto le sue scarpe e l’aria, fresca e frizzante, le frustava i capelli, un richiamo alla libertà temporanea dal suo passato, dal suo dolore, dai suoi pensieri. Aumentò il passo, lasciandosi tutto alle spalle tranne il sangue che le ruggiva nelle vene, il battito dei piedi e il bruciore delle gambe.

Se solo fosse stato possibile lasciare tutto alle spalle così facilmente.

Svoltando nel parcheggio che conduceva ai sentieri dedicati al jogging, non rallentò. Il sentiero più difficile la chiamava, ma era più lungo degli altri e le nuvole color grigio canna di fucile e la temperatura in calo promettevano presto altra neve. O peggio, ghiaccio. Inoltre, aveva bisogno di tempo in più per capire il budget di quel fine settimana, per trovare una soluzione e presentarla ad Austin, per dargli il tempo di studiarla da solo. Qualunque fosse stato il piano, doveva renderlo abbastanza buono e convincente da salvare il suo lavoro.

Amava il suo lavoro. Prima di Joey, sapeva di essere stata un’insegnante divertente, quella che piaceva ai bambini e che i genitori speravano che avessero i loro figli. Dopo Joey, era passata alla severità, e non sapeva se poteva tornare come prima, ma non aveva idea di cosa avrebbe fatto se non fosse stata un’insegnante, come avrebbe potuto ricominciare da qualche altra parte. Da sola. Il suo respiro intorbidò l’aria, un fantasma momentaneo scomparso in un batter d’occhio. Doveva mantenere il suo lavoro.

Il terreno passò dall’asfalto alla terra, schiacciandosi sotto le scarpe tanto da farla rallentare. Una macchia colorata balenò tra gli alberi più avanti, dietro una curva del sentiero. Accidenti. Un altro mattiniero. Voleva i sentieri tutti per sé.

Ogni passo fangoso la portava più vicina all’altro corridore. Spalle larghe, fianchi stretti, sicuramente un uomo e stava faticando. Ansimava al ritmo della sua corsa lenta e un berretto rosa e arancione brillante gli rimbalzava sulla testa, scivolando lentamente. Buon per lui, lavorare per mettersi in forma.

Il berretto scivolò di un altro centimetro e cadde a terra, esponendo i capelli del corridore, dorati nella luce tenue, tirati indietro in uno chignon disordinato. Il corridore si fermò e si voltò per prendere il cappello.

Garret.

Ma stiamo scherzando! Sia che si girasse e corresse nella direzione opposta sia che scattasse in avanti, Adara non poteva evitare di essere notata. L’uomo era a meno di dieci metri di distanza.

Garret si fermò e appoggiò le mani sulle cosce, ansimando. Almeno non stava vomitando. Il giovane ripulì dalla neve il cappello che assomigliava molto al copriteiera trasandato che Tatum le aveva fatto all’uncinetto come regalo di Natale.

Adara provò qualcosa d’inquietante al petto. Garret avrebbe potuto scegliere qualsiasi cappello, ma aveva scelto una mostruosità colorata fatta all’uncinetto dalle dita inesperte di terza elementare di sua nipote. Adara scosse la testa, scacciando il pensiero dalla sua testa e dal suo cuore. Qualsiasi zio decente avrebbe fatto lo stesso.

Continuando ad ansimare, Garret si rimise il berretto in testa e cercò di sorridere. Sembrava più la smorfia di qualcuno che stava per lanciare i suoi biscotti. “Bella mattinata” - inspirò con un respiro veloce - “per una corsa.”

Sospirando, Adara si fermò accanto a lui. “Non sono sicura che quello che stai facendo possa essere chiamato correre. Sembri un po’... flaccido.”

“Flaccido?” sussultò l’uomo, sollevando le sopracciglia. “Come quel piccolo fornaio”-huff-”fatto di pasta”-puff-”che ridacchia quando gli dai un pugno nello stomaco?

Adara gli toccò la pancia e una sensazione di calore si diffuse sul suo viso. Che cosa sto facendo? Toccare qualcuno che conosco a malapena, per non parlare di punzecchiarlo come una pasta poco cotta?

A suo credito, Garret cercò di farsene una ragione e di ridacchiare, ma il risultato fu più un gorgoglio da Wookie morente.

Adara si asciugò la fronte per nascondere un lieve sorriso. Il pallore di lui poteva sembrare pastoso, ma il suo stomaco non si era sentito molliccio. Per niente. Adara si mise a correre prima di fare qualcos’altro di stupido. “Va bene, allora. Buona zoppicata.”

“Potrei usare un mentore per la corsa,” disse Garret, “per avere una motivazione.” La sua voce divenne più distante mentre lei metteva spazio tra di loro. “O per andare in rianimazione!”

Dato che lui non poteva vederla, Adara si arrese a un sorriso. Uno piccolo. Se Garret stava abbastanza bene da scherzare, ce l’avrebbe fatta senza di lei e sperava che se ne fosse andato per quando lei avrebbe fatto il secondo giro.

Il freddo mantenne il ritmo del calore che si stava accumulando con la sua corsa e il cielo si oscurò lentamente in un inquietante colore blu-nero. Adara corse più velocemente, spingendo le gambe e i polmoni. Il suo respiro lasciò delle nuvole persistenti nell’aria. La neve non la preoccupava, ma se il cielo avesse deciso di spargere ghiaccio, sarebbe stato lento e difficile tornare a casa a piedi.

A tre quarti del suo secondo giro, trovò Garret che zoppicava. Adara rallentò. Se ci fosse stata una tempesta di neve e lui fosse morto assiderato perché non era riuscito a tornare a casa in tempo, la sua morte avrebbe potuto pesarle sulla coscienza. D’altra parte, se lui avesse avuto una barretta di muesli a portata di mano e l’avesse condivisa con lei, avrebbe potuto contare totalmente come adempimento della loro scommessa per la cena. L’idea di cena di lei era aperta a qualsiasi interpretazione. A volte erano popcorn, quando si ricordava di mangiare.

Adara rallentò per andare al passo con lui. “Ti sei fatto male alla caviglia?”

Sul volto di Garret esplose un sorriso come la luce del sole da dietro una nuvola. “Sapevo che ci tenevi a me.”

Adara sbuffò e si aggiustò lo scaldaorecchie, avvertendo il suo sangue che pulsava caldo e veloce. Morire di freddo non sarebbe stata una preoccupazione per almeno qualche altro minuto. “Stai sopravvalutando il tuo fascino.”

“Adara, non hai bisogno di fingere, non con me. Ammetti semplicemente che non potevi aspettare il nostro appuntamento a cena per godere della mia presenza.” Gli occhi scuri di lui brillarono. “Non mi offendo... davvero.”

Adara riuscì a non sollevare gli occhi al cielo. “Hai una barretta di muesli a portata di mano?”

L’improvviso cambio di argomento lo spiazzò. Il suo sorriso si smorzò e si diede una pacca sulla giacca, come se cercasse uno spuntino. “Mi dispiace, no!”

Tanti saluti al suo piano di evitare la cena con lui. Adara s’infilò le mani in tasca e calmò il respiro. “Con la tua andatura probabilmente finirai il sentiero in un’ora o giù di lì. Sono sicura che ce la farai prima che arrivi la tempesta.” Come se anche il tempo tramasse contro di lei, una spolverata di neve scelse quel momento per scendere dal cielo. Lasciarlo diventare un ghiacciolo era troppo insensibile, persino per lei. Poteva almeno assicurarsi che lui uscisse dal parco. Se fosse crollato per strada, alla fine qualcuno l’avrebbe trovato. “Quando lunedì vedrò Tatum, le chiederò se sei arrivato a casa. Altrimenti, saprò dove inviare la squadra di ricerca.”

“Mi vedrai prima di lunedì. Non si può sottrarre alla nostra scommessa, signorina Dumont.”

“Non abbiamo fissato un giorno o un’ora particolare. Chi ci dice che non possa accadere tra un anno? O meglio ancora, tra dieci anni? Se tu avessi una barretta di muesli, potrebbe accadere anche adesso.”

“Furbacchiona.” L’espressione di Garret lasciava trapelare un misto di accusa e approvazione. “Stavi cercando di evitare il nostro appuntamento?”

“Non è un appuntamento. È una cena per gongolare per una vittoria molto fortunata.”

Garret si mise una mano sul cuore. “Io non gongolo. Io festeggio.”

“È una questione di semantica. Perché corri così presto stamattina? E proprio qui, tra tanti posti?” Adara avrebbe ucciso Gia per aver divulgato quali fossero le sue abitudini quando andava a correre.

Il rapido cambio di argomento non sembrò averlo turbato. “Questo parco confina con il mio cortile, ero già sveglio e ho trascurato l’esercizio fisico. Non sono pronto per essere di nuovo paffuto.”

Adara lo fissò dalla testa ai piedi, camminando, incapace di immaginarlo se non alto, magro e forte.

“È vero,” continuò lui, senza che lei lo pungolasse. “Da anatroccolo grassottello a cigno sexy.” Garret ignorò la battuta esagerata di Adara. “La mia vita era violino, scuola e sonno. Esercitazioni di violino prima della scuola, violino a scuola, lezioni private dopo la scuola, violino, violino, violino. In più, amavo il cibo.” Le rivolse un sorriso. “Amo ancora il cibo.”

Adara non voleva conoscere il passato di Garret, non voleva trascorrere altro tempo con lui, non voleva continuare a camminare accanto a lui come se fossero una coppia uscita per la solita corsa mattutina, perché sembrava così. Le sembrava che sarebbe stato semplice continuare al passo con lui e mantenere quel ritmo per giorni, mesi, anni. Adara aumentò il passo. “Così hai superato il tuo aspetto paffuto e le tue lezioni di violino hanno dato i loro frutti. Fine della storia.”

“Sì e no.” Garret abbassò lo sguardo sul sentiero, accigliandosi leggermente. “A volte ho fantasticato di smettere per qualcosa di figo, come il football o il basket, ma il mio momento di chiarezza è arrivato quando ho chiesto alla ragazza che mi piaceva di andare al ballo della terza media. L’evento più importante della scuola media, giusto? Lei mi ha riso in faccia e mi ha detto che non sarebbe mai andata da nessuna parte con un grasso secchione della band.”

“Che sfortuna.” Adara mantenne la sua voce senza tono. Non le importava, ma ahi. Fu dura.

“Devastante.” Garret non sembrava particolarmente infastidito dal ricordo. “Decisi allora che non avrei mai permesso a nessun altro di emarginarmi. Ho fatto il punto su quello che mi piaceva e non mi piaceva di me stesso, su quello che potevo cambiare e su quello che non volevo. Il violino è una parte essenziale di ciò che sono, un fatto che ho capito già allora. Mi piace il cibo, e questo non sarebbe cambiato. La mia imbottitura extra, invece, era una fonte di dolore.”

Adara nascose un altro sorriso. A malapena. “Una fonte di dolore?”

Garret annuì, solenne. “Ho iniziato ad alzare presto il mio grosso sedere dal letto e mi sono allenato prima delle prove mattutine di violino. Ho eliminato le ciambelle, le patatine e le caramelle e ho imparato ad apprezzare le verdure, il che è stato più difficile che suonare Bach, tra l’altro. Ma non credo nella resa.”

Non le importava quanto lui fosse determinato, nell’inseguirla, lui avrebbe smesso. Lei se ne sarebbe assicurata. “È questo che ti ha fatto desiderare di essere un pirata? Per sfuggire a tutte quelle ragazze meschine navigando per i sette mari e suonando il tuo violino mentre pulisci il ponte? Non posso credere che tu abbia lasciato gli stivali e gli anelli d’argento durante la tua fuga e nessun dente d’oro? Un fallimento totale”.

Garret la fissò un momento poi gettò la testa indietro e rise, un suono che sembrò riempire il parco ed espandersi nel cielo.

Per un secondo, il respiro di lei si bloccò e, per quanto lo volesse, non riuscì a voltarsi. Lui era la gioia personificata, pura e disinteressata, assolutamente accattivante.

La risata di Garret svanì ma il suo sorriso no. Si sistemò il cappello e sospirò. “Ah, mi ricordi com’è tornare nel mondo reale!”

Adara distolse lo sguardo. “Al contrario dell’Isola che non c’è?”

L’Isola che non c’è è la descrizione esatta dei miei ultimi tre anni. Le giornate erano tutte uguali finché non sono riuscito a ricordare l’ultima volta che avevo visto la mia famiglia. Ho composto la mia ultima canzone prima di andare in tour.” Garret abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, i suoi occhi si strinsero mentre il suo sorriso si affievoliva. “Nella sfilza di pubblico anonimo e feste vuote con gente ancora più vuota, ho avuto un momento di chiarezza. Se non fossi sceso dalla giostra, almeno per un po’, mi sarei bruciato. Stavo realizzando il mio sogno ma non vivevo veramente.” Garret sollevò la testa e incontrò lo sguardo di Adara. “A volte, devi allontanarti dalla folla e concentrarti sul singolo. Così sono tornato a casa ed eccomi qui.”

Quella sensazione svolazzante nel suo cuore si agitò di nuovo debolmente e lei la contrastò rivolgendogli uno sguardo freddo. È questa la sessione di terapia che Gia voleva per me con il dottor Violinista? Non sta succedendo. “Qualunque cosa ti abbia detto Gia, io non sono il progetto di nessuno. Non ho bisogno di essere aggiustata.”

“Non ti aggiusterei per niente al mondo,” disse lui dolcemente, senza più umorismo. “Sono le nostre rotture che ci rendono ciò che siamo. Senza i pezzi in frantumi, la nostra luce non filtrerebbe mai al resto del mondo.”

Il battito nel petto di lei aumentò, fuori portata. Serrò i pugni, per ancorarsi alla terra cui apparteneva, dove era al sicuro.

“Il che mi ricorda,” disse lui, “a che ora è il tramonto?”

Strano cambio di argomento, ma se si allontanava dalle cose rotte e dalle storie di vita, ci stava. “Immagino alle sei meno un quarto.”

Lui annuì. “Va bene le sei meno un quarto?”

“Per un’altra corsa?” Adara guardò l’orologio, fingendo che lui non stesse parlando della loro scommessa. Si rifiutava di chiamarlo appuntamento. “Certo.”

“Ti piace fare la difficile, vero?”

“Fare la difficile mantiene il mio spazio personale libero, come piace a me.” Lei inarcò un sopracciglio vedendo il ghigno di lui. “Di solito.”

“Deve richiedere molta energia, tenere la gente lontana.”

“Tonnellate.”

“Faresti meglio a fare scorta di carboidrati, ragazza.” La urtò con la spalla, facendole fare un passo di lato. “Ne avrai bisogno”.

Adara riacquistò l’equilibrio e si concentrò sugli abeti famigliari che costeggiavano il sentiero, segno che il parcheggio era vicino. Grazie a Dio. Per ragioni che andavano oltre la sua comprensione, Garret si rifiutava di essere ignorato. Le piacevano le altre persone, ma i legami più che casuali erano rari, e solo Joey l’aveva spinta ad abbandonare la sua solitudine. Con Garret, le sembrava di approdare accidentalmente sulla terraferma dopo aver fluttuato nel vento, e qualunque cosa significasse, non poteva tornare a essere parte di qualcun altro. Faceva troppo male quando il pezzo più importante veniva a mancare.

Gli alberi si aprivano sul parcheggio vuoto. Il cielo incombeva basso, le nuvole si contorcevano in forme minacciose modellate dalla mano di un vento rastrellante e l’oscurità ombreggiava la neve, rubandone la luminosità. Era ora di tornare a casa, il più velocemente possibile, il più lontano possibile da Garret Ambrose.

“Lunedì inizieremo a lavorare insieme.” Il tono di lui era ragionevole e logico. “Dovremmo prima conoscerci meglio.”

“Ne so abbastanza di te.” Adara scivolò più velocemente nella neve. Aveva aspettato con lui più del necessario. Poteva tornare a casa da solo.

Garret le rivolse uno sguardo da cucciolo indifeso, la sua zoppia sembrava migliorare. Un uomo insopportabile.

Ma farla finita era meglio che dargli un altro motivo per tormentarla. “Bene. Cinque e quarantacinque. Cena. Solo questo.”

“Per essere chiari, stasera cinque e quarantacinque. La cena. L’inizio...” Garret usò la stessa enfasi di Adara, con l’eccezione delle ultime due parole che proferì con un tono delicato e seducente.

Adara sbuffò, il suo respiro si annebbiò nell’aria. “E tu dici che io sono difficile?”

“Ostinata,” rispose lui senza problemi, cercando qualcosa nella tasca della sua giacca. “Completamente diverso.” Tirò fuori una penna e un pezzo di carta e scarabocchiò qualcosa.

“Porti sempre della carta e una penna quando corri?” Strano.

“Certamente. Quando arriva l’ispirazione, bisogna essere preparati.” Con dita agili, Garret piegò la carta in un origami a forma di barchetta e gliela mise in mano.

“Non ho bisogno del tuo numero di telefono.”

“Non è il mio numero di telefono.” Anche se Adara lo conosceva appena, riconosceva un sorriso subdolo quando ne vedeva uno.

La giovane spiegò il biglietto. ‘GAA’ era impresso in basso in argento e piccoli numeri ordinati occupavano il centro. Quarantasette. Non aveva alcun senso. “Cos’è questo?”

“Qualcosa che devi capire.” Garret continuò a camminare verso il marciapiede, con aria compiaciuta. “Ho sentito che ti piacciono i puzzle.”

Adara strinse i denti. Odiava i puzzle, soprattutto perché non era capace a farli ed era troppo orgogliosa per ammetterlo. In qualche modo, si sarebbe vendicata con Gia per aver rivelato dettagli personali non autorizzati. Le buone intenzioni non significavano nulla.

“Non preoccuparti, Adara. Se ti blocchi, ti darò un suggerimento.” Garret si voltò per affrontarla, indietreggiando all’indietro di qualche passo, abbastanza a lungo da muovere le sopracciglia. “Anche se potrebbe costarti.”

Adara stropicciò il numero in mano e lo mise in tasca. Si mise a correre e lasciò lui e le sue risate alle spalle. Se solo lui l’avesse sfidata a una gara. Così non sarebbe dovuta uscire con lui quella sera. Sollevò il viso verso le scaglie di ghiaccio che cadevano dal cielo scuro. D’altra parte, convincerlo a puntare altrove durante la cena sarebbe stata una sfida più soddisfacente.

E quella era una sfida che non avrebbe perso.

Ogni Minuto

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