Читать книгу Il Gran Gesto Di Garron - Carol Lynne - Страница 10
ОглавлениеCapitolo Due
Il giorno dopo, prima di andare al lavoro, Garron si fermò da suo fratello Jeb. Passando sotto la vecchia insegna del ranch, si ricordò di una cosa. Doveva parlargli del fatto di dargli un nuovo nome, perché Il Grande A non andava più bene. Parcheggiò la moto e poi salì i gradini del portico due alla volta. Aprì la porta d’ingresso e chiamo Jeb. Quando non ricevette risposta, tornò fuori e guardò il fienile. Se fosse stato nei paraggi, si sarebbe fatto vedere non appena avesse sentito la sua moto.
Scuotendo la testa, si incamminò verso il fienile. “Jeb?”. Raggiunse l’enorme costruzione rossa e infilò dentro la testa. “Jeb?” disse di nuovo.
“Arrivo tra un minuto” rispose suo fratello.
Garron seguì la voce fino alla selleria. Jeb era seduto su uno sgabello e parlava al telefono. Dall’espressione un po’ tonta che aveva, capì che stava parlando con Rawley.
“Ok, sì, ti chiamo se vedo qualcosa. Ci sentiamo”. Jeb attaccò e si rimise il telefono in tasca. “Ehi, fratellone”.
Garron indicò con un sorriso la tasca. “Che dice il tuo amore?”.
“Falla finita. Rawley ha chiamato per dirmi che sta portando Lionel in centrale per interrogarlo. Ha fatto fare una perizia balistica al proiettile, ma dice che di solito ci vuole un po’. Mi ha chiesto di tenere gli occhi aperti”. Incrociò le braccia e guardò il fratello. “Allora, che ci fai qui?”.
“Sono passato solo per dirti che mi sposo. O mi impegno. Non so bene come chiamarlo, ma la cosa succederà il giorno del mio compleanno. Sonny affitterà la stanza sul retro del Dead Zone, volevo chiederti se ti andava di stare al mio fianco”. Garron sentì il suo viso avvampare, cosa che lo fece sentire alquanto incazzato. Non c’era assolutamente alcun motivo per imbarazzarsi, quindi perché stava arrossendo? Guardo Jeb in attesa del commento che sapeva stava per arrivare.
Ma invece di una ramanzina come quella di Rawley, Jeb si tuffò tra le sue braccia. “Sono davvero felice per te”. Gli diede un bacio sulla guancia, prima di lasciarlo andare. “Naturalmente, penso che siate più fuori del balcone della zia May. Ma, ehi, chi sono io per giudicare?”.
“Secondo te sono fuori solo perché voglio sposarmi?”. Garron si sentiva destabilizzato, sia per l’abbraccio inaspettato che per la storia del balcone della zia.
“No, però secondo me se volete sposarvi dovreste andare alle Hawaii e portarmi con voi”. Jeb smise di sorridere e gli appoggiò una mano sulla spalla. “Sai che questo farà agitare la città, vero?”
“Non tutta la città, solo Lionel e i suoi tirapiedi”. Guardò suo fratello negli occhi. “Lo amo. Sonny lo desidera davvero, e io farei qualsiasi cosa per lui”.
Jeb lo guardò ancora per qualche secondo, prima di annuire. “Bene, allora faremo in modo che con voi ci siano solo quelli che vi vogliono bene”.
“Grazie, fratellino”. Garron scompigliò i ricci biondi di Jeb, come faceva quando erano piccoli.
Lui gli spinse via la mano. “Ora è meglio che tu vada a Lincoln. Non vorrai perderti qualche grossa operazione di droga o di altra roba del genere, mister Buoncostume”.
Garron sorrise e lo salutò mentre usciva. Salì sulla Harley sentendosi bene, meglio di quanto non gli accadesse da molto tempo. Non riusciva ancora a credere che Sonny Good avrebbe finalmente fatto di lui un uomo onesto.
* * * *
Rawley spense il motore e si passò una mano tra i folti capelli neri con aria afflitta. Era stato un pomeriggio infernale destinato a peggiorare. Guardò l’insegna dell’”R&R”, l’allevamento dei suoi fratelli, e pensò che fosse ora che parlassero un po’. Le cose in città si erano un po’ complicate, aveva bisogno che almeno i suoi fratelli tenessero un profilo basso. Non era sicuro che l’avrebbero ascoltato, però doveva almeno provarci.
Ranger e Ryker avevano sempre avuto un rapporto particolare. Era come se un legame inscindibile li avesse uniti nella pancia della madre, proprio come quei gemelli che Rawley aveva visto in TV. Il fatto che comunicassero con una lingua segreta era solo una delle loro tante stranezze.
Da bambini si rifiutavano di dormire separati. Non importa quante volte i loro genitori avevano provato a dividerli, alla fine si risvegliavano sempre nello stesso letto. E finché erano piccoli, andava bene. Ma una volta diventati adulti il padre si era impuntato. I gemelli, quindi, avevano fatto l’unica cosa possibile: appena compiuti i diciotto anni, se n’erano andati via di casa. E visto che entrambi avevano lavorato in quell’allevamento durante tutte le scuole superiori, quando il Vecchio Zook era andato in pensione, aveva deciso di venderlo a loro. Per fortuna che avevano fatto pace con il padre, per allora, così lui aveva accettato di farsi cointestare un prestito. E questo era successo quasi sette anni prima.
Scendendo dalla macchina da sceriffo, Rawley andò verso la piccola costruzione che ospitava il loro ufficio. Da quando avevano iniziato a gestire quel posto, gli affari erano più che raddoppiati. Era evidente che, quando si trattava di far ingrassare mucche, a nessuno importava che tipo di relazione avessero Ryker e Ranger. Di certo aiutava il fatto che i gemelli non ostentassero mai niente davanti agli altri. I vari pettegolezzi, in città, non facevano altro che supporre che i due fossero amanti. Nessuno aveva mai visto qualcosa. Non si tenevano nemmeno per mano, in pubblico.
Una volta o due aveva sentito di alcune donne con cui erano andati a letto. Ma a dirla tutta, queste donne non avevano mai parlato con nessuno delle serate passate con i gemelli Good. Aprì la porta e la campanella in cima annunciò la sua presenza. Sapeva benissimo che era meglio non andarli a cercare, quindi si mise seduto ad aspettarli lì all’ingresso. Osservando le sedie dorate di vinile, la cui pelle era tutta screpolata, Rawley scosse la testa.
“Che c’è che non va?” disse Ryker, entrando nella stanza seguito da Ranger.
“Secondo me avete fatto abbastanza soldi da potervi permettere di cambiare queste sedie vecchie di trent’anni”. Rawley raschiò via un po’ del materiale crepato.
“E perché mai dovremmo farlo? Qui vengono quasi solo allevatori di bestiame. Se rinnovassimo questo posto, potrebbero pensare che ci stiamo arricchendo troppo a spese loro”. Ryker guardò Ranger e gli fece l’occhiolino. “Ovviamente è vero, ma loro non devono mica saperlo”.
“Beh, allora non invitare mai nessuno di loro a casa vostra”. Rawley pensò all’enorme casa in legno e pietra che i gemelli avevano costruito qualche anno prima sul limitare della proprietà di famiglia. Tutta circondata dagli alberi, la casa era una meraviglia di cui Rawley era sempre stato un po’ geloso.
Ranger prese posto accanto a lui. “Infatti non ne abbiamo affatto intenzione. La nostra casa è un tempio. Lì non c’è spazio per gli affari, mai”. Guardò prima Ranger e poi Rawley. “Allora, vuoi dirci cosa ci fai qui? Se è per raccontarci del toro e della festa, ci ha già chiamato Sonny”. Strinse appena gli occhi. “C’è forse qualcos’altro?”.
Con un sonoro sospiro, Rawley si passò una mano dietro il collo. “Ho chiamato Lionel in centrale per interrogarlo. So che è lui il responsabile, e lui sa che io lo so. Ma non ho niente contro di lui. Ho richiesto dei test per il proiettile, ma potrebbe volerci tempo. È una situazione davvero troppo frustrante. Come posso proteggere Sonny, se lui ha intenzione di sbandierare ai quattro venti che sta per sposarsi? Pensa che la gente in città non lo verrà a sapere?”.
Ryker si morse il labbro inferiore, facendo spallucce. “Magari non gli importa chi lo verrà a sapere qualcuno. Se tu amassi qualcuno tanto da volerci passare insieme il resto della tua vita, non lo faresti anche tu? Secondo me, quando finalmente ti innamorerai sul serio, sarai pronto a sacrificare ogni cosa per stare insieme a quella persona. È che ancora non ti è capitato”.
“Amo Meg. Stiamo insieme da più di due anni” disse Rawley sulla difensiva.
Ranger si girò verso di lui e lo afferrò per le spalle. “Tu non sei innamorato di Meg. Non dico che non le vuoi bene, ma non sarà mai abbastanza per te”.
Irrigidendosi, Rawley si alzò di scatto e guardò i suoi fratelli. “Non voglio più parlare di Meg con voi. Siete proprio uguali a Sonny”.
Fece per andarsene, ma Ryker gli mise una mano sul braccio. “Una cosa in comune con Sonny ce l’abbiamo di certo. Ti vogliamo bene e ci piacerebbe che tu fossi felice”.
“Sarò felice solo quando voi tre la smetterete di ficcare il naso nella mia vita sentimentale”. Li guardò entrambi, poi scosse la testa dirigendosi verso la porta. “Tenete gli occhi aperti. La mia ipotesi è che tutta questa storia con Lionel sia solo all’inizio, e secondo me i prossimi sarete voi due. Lasciate fuori dalla città qualsiasi cosa stia succedendo”.
Ranger si alzò in piedi e si mise accanto a Ryker, stringendo gli occhi. “Ci fa piacere che ti preoccupi per noi, fratellone, ma facci il favore di stare fuori dai nostri affari e di non dirci come vivere. Non lasciavamo che lo facesse papà, figurati se lo lasciamo fare a te”.
Lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla, Rawley annuì. “Mi pare giusto. Voi allora state attenti e fatemi il favore di non intromettervi nella mia vita amorosa”.
Rawley uscì e risalì sulla macchina della polizia. Dopo essersi allacciato la cintura, si passò le mani sul viso. Era davvero stanco di doversi sempre difendere, con i suoi fratelli. Era da quando era un ragazzo che non desiderava altro che diventare poliziotto. E aveva addirittura superato quel sogno quando era stato nominato sceriffo. Col cavolo che avrebbe messo tutto a repentaglio per una stupida fantasia romantica.
* * * *
Garron parcheggiò nel cortile del ranch bagnato come un pulcino. Era stato colto da un improvviso temporale estivo che lo aveva accompagnato e inzuppato per quasi tutto il tragitto verso casa. Scese dalla moto e fu contento di vedere Sonny sul portico, seduto sulla sua sedia preferita. Gli sorrise quando lui gli porse un asciugamano e una birra fredda.
“Pensavo che ne avresti avuto bisogno, una volta tornato a casa” disse Sonny, mentre lui saliva i gradini.
“Hai pensato bene, ma quello che mi serve davvero subito è un bacio”. Mise le sue labbra su quelle di Sonny, aprendogliele piano. Infilandoci dentro la lingua, Garron gemette sia per il sapore della birra fredda che per quello di Sonny stesso. “È di te che ho sempre bisogno per primo”.
Sonny gli fece l’occhiolino. “Credo di poterci convivere. Ora però datti un’asciugata e raggiungimi in cucina. Visto che pioveva ho passato tutto il pomeriggio chiuso in casa a cucinare. Per quanto vorrei venire di sopra con te, mi piacerebbe che la mia cena fosse calda”. Gli diede un altro rapido bacio. “Tu sei sempre caldo, quindi lo so già che dopo avrò il mio dessert”.
Ridendo, Garron gli diede una pacca sul sedere. “Ci sarà anche Rawley o posso mangiare in mutande?”.
Sonny si bloccò dov’era. “Al diavolo Rawley. Ora lo chiamo e gli dico di andarsela a cercare da solo, la cena”. Si leccò le labbra e lanciò un’occhiata al pacco di Garron. “Vatti a fare una doccia e torna giù con quella biancheria sexy che ti ho comprato l’altro giorno”.
Garron sgranò gli occhi. “Vuoi che le metta davvero? Pensavo me le avessi regalate per scherzo. Non so nemmeno se mi stanno bene”.
Squadrandolo dalla testa ai piedi, Sonny gemette. “Oh, ti staranno benissimo”.
* * * *
Sonny aveva appena finito di preparare l’insalata, quando Garron entrò. Quasi si strozzò con la sua stessa lingua, vedendo l’uomo splendido in piedi sulla porta. “Porca puttana”.
Poggiò l’insalata sul tavolo e si avvicinò per guardare meglio il perizoma di raso bianco che a malapena lo copriva. Gli girò intorno, per dare una bella occhiata al suo culo, ma Garron se lo coprì con le mani. “Smettila di guardarmi così. Mi fai sentire come un pezzo di carne”.
Con un gemito, Sonny si spinse contro la sua schiena. “Il mio pezzo di carne” disse, stringendolo con le braccia. Mordicchiandogli una spalla, fece scendere piano le mani dal petto muscoloso al pacco avvolto nel raso. Il materiale era così morbido e le sue mani così ruvide e callose, che poteva sentire la stoffa impigliarsi sulla sua pelle. “Mani del cavolo”, mormorò tra sé e sé.
Prendendole tra le sue, Garron se le premette sull’erezione. “Amo le tue mani. È di questa biancheria intima, che non sono così sicuro”.
Sonny gli passò lentamente la lingua sul collo, sospirando. “Puoi sempre toglierle, no?”.
“E mangiare nudo? No, grazie. Sbrighiamoci a cenare, così poi possiamo salire al piano di sopra”. Garron lo tirò verso il tavolo della cucina. “C’è un profumo buonissimo”.
Ma guardando la grande teglia di lasagna sul tavolo, Sonny all’improvviso non aveva più fame. “Perché non la scaldiamo più tardi?”.
Garron scosse la testa. “No. Sei tu che mi hai fatto mettere questo stupido affare addosso, ora mi merito la mia bella fetta di lasagna”.
Sapendo di non poter vincere, Sonny lo lasciò andare e si mise seduto. Non fece in tempo a girare il condimento nell’insalata, che già Garron si era servito una porzione grande quasi quanto metà della teglia. “Fame?” gli chiese, osservando la quantità di cibo.
“Da morire” rispose lui con un occhiolino.
Iniziarono a mangiare ma, dopo un paio di bocconi, Sonny era già pieno. Guardò Garron, che invece non sembrava aver neanche lontanamente finito. Tamburellò sul tavolo con le dita mentre lo guardava divorare la lasagna.
Non era sicuro di riuscire ad aspettare di arrivare di sopra, visto quanto era sexy. Ma la cosa gli fece venire in mente un’idea. Dopo essersi pulito la bocca, Sonny posò il tovagliolo sul tavolo e scivolò dalla sedia fino al pavimento. Da sotto, il panorama era addirittura migliore.
Mentre si avvicinava a Garron, vide le sue gambe aprirsi e il cazzo cominciare a indurirsi. Si posizionò tra le sue cosce e premette il viso contro la stoffa, inspirando a fondo. ”Hmm, che bello”.
Leccando e mordicchiando Garron attraverso il raso, rimase molto compiaciuto nel vedere che il tessuto diventava trasparente. “Il raso bianco ti sta una meraviglia”. Spostò di lato la mutanda, liberando così l’erezione imbrigliata di Garron. Con un sorriso, Sonny prese subito in bocca la punta già bagnata.
“Cazzo” gemette Garron, allungando una mano sotto il tavolo e infilando le dita tra i suoi capelli.
Sonny sapeva benissimo quali erano le intenzioni di Garron, quindi decise di lasciarglielo fare. Rilassò la gola, spalancò la bocca e accolse quanto più riuscì a prendere. E proprio quando pensò di non poter prendere oltre, Garron si spinse ancora più a fondo.
“Sì. Oh, merda” gridò lui, scopando la bocca di Sonny.
Con la mascella ancora rilassata, lo lasciò fare, venendo presto ricompensato per i suoi sforzi. Il sapore del seme di Garron gli scoppiò nella bocca e giù per la gola, facendo così esplodere anche il suo cazzo. Rabbrividì per la sensazione bagnata e appiccicosa quando il suo stesso sperma gli riempì le mutande e i jeans.
Garron si lasciò andare ancora di più sulla sedia proprio quando la porta di casa si aprì. Sonny lasciò andare il cazzo di Garron e vide i lucidi stivali marroni da cowboy di Rawley.
“Dov’è Sonny?” chiese con la sua voce profonda.
Alzando gli occhi al cielo, Sonny rispose da sotto il tavolo. “Mi sembrava di averti lasciato un messaggio in cui ti dicevo di cercarti la cena da solo, stasera”.
Per alcuni secondi, Rawley non disse niente. “Ehm… Non pensavo dicessi sul serio. Vado… me ne vado un po’ in camera mia”. Parve notare solo in quel momento che Garron era nudo dalla vita in su. “Scusa, amico” gli disse, uscendo dalla cucina.
Non appena suo fratello se ne fu andato, Sonny scoppiò a ridere. Sentì Garron spostare la sedia, raschiando il pavimento di legno, e poi sporgersi a guardare in basso verso di lui. “Si può sapere che cavolo hai da ridere? Le brucio, queste mutande”.
Strisciando fuori da sotto il tavolo, Sonny si inginocchiò accanto a Garron. “Non avremo mai una vita noiosa, con la mia famiglia in giro”.