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CAPITOLO QUATTRO

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Lana appoggiò la testa sul cuscino e sospirò. Essere una paziente non era mai stato il suo forte. Non poteva dire di odiare l’ospedale, considerando la professione che aveva scelto, ma stava iniziando a non piacerle seriamente. Se non l’avessero dimessa presto avrebbe iniziato una rivolta presso la postazione delle infermiere, avanzando richieste veramente irragionevoli. Non era colpa loro se si trovava nella situazione in cui versava, ad ogni modo avrebbero potuto chiudere un occhio ed aiutare una collega infermiera.

Si voltò e portò le gambe oltre il bordo del letto. Forse se si fosse preparata per andarsene, avrebbero colto l’indizio. Diamine, chi stava prendendo in giro? Non sarebbe successo niente più velocemente del normale solamente perché lei lo voleva. Era assolutamente consapevole di come funzionava l’ospedale. Tra l’altro Jessica non le aveva ancora portato un cambio di vestiti con il quale tornare a casa, e Lana non aveva intenzione di indossare il camice da ospedale nel mondo esterno. Presto si sarebbe dimenticata delle settimane trascorse in ospedale in convalescenza. Tristemente doveva ancora prendersi del tempo per terminare la convalescenza a casa. Forse le avrebbero permesso di tornare a lavorare qualche settimana più tardi, ma anche allora avrebbe svolto dei compiti leggeri.

Lana abbassò lo sguardo sui suoi piedi. Le calze dell’ospedale facevano schifo. Avevano gli spigoli ruvidi e le sfregavano la pelle, ma la base antiscivolo l’aiutava quando camminava. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era scivolare e ritardare la sua convalescenza di qualche altro giorno. Una fitta le attraversò il petto come una lama nella pelle. Prese un respiro che esalò lentamente. L’effetto degli antidolorifici stavano iniziando a scemare, ed avrebbe avuto bisogno di un’altra dose per non ricadere in una situazione poco piacevole. Le avevano tolto la flebo dandole le pillole quel giorno, e le mancava il succo delle felicità—non che se ne fosse iniettato di più della dose raccomandata. Il senso del regolatore era di dosare la quantità di cui il paziente necessitava, ma era bello averlo sempre pronto quando serviva.

“Sembra che sia arrivata al momento giusto” disse Jessica entrando nella stanza. “Ho paura e pensare che cosa stessi programmando”.

“Niente di che” Lana alzò la testa per portare lo sguardo sul suo. “Pensavo che potremmo fermarci al centro della comunità ed iscriverci alla maratona di domani”. Schioccò le dita. “No, non è abbastanza rischioso. Che cosa dici di rapinare una banca?”

Jessica ridacchiò e posò una borsa sul bordo del letto di Lana. “Se me l’avessi chiesto qualche settimana fa avrei potuto aiutarti a programmarla nei dettagli. Fortunatamente i miei soldi stanno ritornando lentamente dove devono stare—sui miei conti. Ci vorrà però un po’ per chiarire tutta quella confusione. Mia sorella ci ha finalmente fornito i dettagli su come risalire al tutto”.

“Bene”. Era così. Veramente. Lana era grata che Jessica stesse comprendendo la propria vita. Aveva avuto molti problemi fra cui destreggiarsi, e la sua salute vi aveva infierito. Lana non poteva non chiedersi se la sua stessa vita non sarebbe stata così incasinata se avesse trovato un modo per non legarsi a Jessica. Scosse il capo allontanando gli spiacevoli pensieri. Non era colpa di Jessica se si trovava in convalescenza da ferite quasi fatali. Imogen aveva esagerato, cercando di farla pagare a Jessica per cose sulle quali non aveva il controllo.

Sì, Jessica era stata una persona terribile ad un certo punto, ma stava cercando di cambiare. La versione egoista di sé era rimasta nel passato.

“Come procede il caso contro tua sorella?” Parte di lei non voleva sapere, ma la masochista in lei aveva dovuto chiedere. Sullivan aveva voluto che Imogen camminasse sui carboni ardenti ed anche di più. Il suo istinto invece era stato quello di fare il contrario di ciò che avrebbe suggerito lui. Se non fosse stato per desiderio adamante di Sullivan di farla pagare ad Imogen, forse non avrebbe desiderato restare dalla parte della Stronza Psicopatica. Sperava di poter tenere a freno la loro attitudine negativa in modo che Jessica non potesse scoprire quanto odiasse veramente la sua ritrovata sorella.

“Lei è…” Jessica si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo da Lana. “Mi rendo conto che ha fatto cose orribili, e tali decisioni non hanno ferito solamente me. Mi sento malissimo riguardo al mio rapporto con Imogen, o nella mancanza dello stesso, perché ti ha causato questo dolore. Se potessi ritornare indietro lo farei”.

Lana raddrizzò la schiena. “Tu non hai fatto in modo che ci tamponasse mentre ti stavo accompagnando in ospedale. Ha fatto tutto da sola. Per quanto ne so tu non hai niente di cui scusarti, ed è insultante che ritenga di doverlo fare. È Imogen a dover fare ammenda, e non ho intenzione di mentirti”. Si alzò in piedi e si diresse vero Jessica. Lana alzò il volto della ragazza in modo che la guardasse negli occhi. “Non mi piace Imogen, e non mi è mai piaciuta. Indorare la pillola non è mai stato qualcosa che so fare, ma se credi che lei trarrebbe più beneficio dalla terapia piuttosto che dalla prigione, io ti supporterò”.

“Grazie” disse Jessica. La sua voce tremò un po’ quando cercò di trattenere le lacrime. “Lo apprezzo. Non volevo perdonarla, ma ho avuto tempo per pensare senza pregiudizio ad annebbiarmi il giudizio. Voglio vederla e lasciare che mi spieghi la sua versione”.

Lana non desiderava perdonare Imogen, ma comprendeva la ragione per la quale Jessica lo desiderasse. “Non avevo una sorella. Mi piacerebbe pensare che se scoprissi una sorella che non sapevo di avere, anch’io gradirei avere un rapporto con lei. Lo capisco—ma lo dico qui e adesso, non sarò così buona se deciderà di danneggiare la mia vita in futuro”.

Ea l’unica cosa nella quale aveva sempre creduto. Odiava essere giudicata in base al suo stato sociale o la sua apparenza. La crudeltà degli snob spesso seguiva i Brady ed aveva scheggiato il suo orgoglio. Fece del proprio meglio per non fare lo stesso per gli altri. C’erano volte in cui aveva fallito. Imogen l’aveva trattata nel modo sbagliato dall’inizio, e non solo perché Sullivan era uscito con lei. Qualcosa riguardo ad Imogen era sempre sembrato strano, e Lana era sempre stata brava a misurare la personalità delle persone.

“È giusto” disse Jessica. “Verrà seguita da dei professionisti, e non le sarà concesso di uscire dal reparto psichiatrico fino quando il tribunale la giudicherà abbastanza sana. Seguirà un’altra sentenza ad un certo punto”.

“Certo” rispose Lana. “Non si più far sparire un tentato omicidio ed un furto d’identità con la bacchetta magica”.

“Non sarebbe bello” rispose Jessica seccamente.

Non proprio…se fosse veramente possibile il mondo cadrebbe nel caos. A Lana vennero i brividi al pensiero del mondo che erutta nella pazzia dell’attività criminale. Le sarebbe piaciuto ritornare alla sua vita noiosa di lavoro e niente svago. Ad un certo punto avrebbe dovuto provare ad uscire ancora con qualcuno. Non faceva molto di più al di fuori della sua posizione all’ospedale. Jessica era l'unica amica con cui si fosse presa la briga di uscire, e questo era stato più preoccupante per la sua salute di qualsiasi desiderio di avere una vita sociale.

“Che vestiti mi hai portato?” domandò Lana per cambiare argomento. Aveva parlato di più di Imogen di quanto volesse. “Non vedo l’ora di andare a casa”.

“Preston ha suggerito qualcosa di leggero e comodo. Non sapeva che tu non possedessi nient’altro che vestiti comodi. Quando starai meglio ti porterò a fare shopping perché hai il bisogno disperato di qualcosa di coraggioso, sexy e scomodo in tutti i modi”.

Lana alzò gli occhi al cielo. “Tesoro, non ho bisogno di vestiti per esprimere quelle parole. Sono abbastanza pericolosa così. Abbi pietà della specie maschile—non sarebbero in grado di gestirmi se mi vestissi in quel modo”.

Jessica scoppiò a ridere. “Credo che ciò che ti ho portato si adatterà perfettamente al tuo umore di adesso”.

Lana aprì la cerniera della borsa e vi estrasse una t-shirt nera decorata da una corona di color rosso accesso posizionata sul lato, ed un cuore al centro. La scritta ricamata sulla stessa recitava “Tagliategli la testa”. Nella borsa si trovavano anche una felpa con la cerniera ed il cappuccio ed un paio di pantaloni della tuta della stessa sfumatura, insieme ad altri oggetti essenziali che le servivano. “Non ho mai detto di essere sana” disse Lana. “Altrimenti perché sarei diventata tua amica?”. Alcune volte era stata in sintonia con le parole che la Regina di Cuori mormorava giornalmente. Forse aveva staccato verbalmente a morsi la testa di qualcuno da quando si era svegliata all’ospedale.

“Vero” commentò Jessica. “Hai bisogno di aiuto per cambiarti?”

Come se l’avrebbe mai ammesso…no, era determinata a fare tutto da sola. Se non fosse stata in grado, allora non aveva il diritto di andare a casa. Sarebbe stata dannata se avesse dato ragione a Sullivan, dovendo restare alla villa. Abitazione che, per quanto possa sembrare strano, l’avrebbe soffocata. Lui sarebbe stato lì. Tutto. Il. Tempo. Non sarebbe mai stata in grado di scappare, e di per sé avrebbe distrutto la decisione che lei aveva preso in merito.

“Ce la faccio” le disse Lana. “Fammi un favore e trova i documenti per dimettermi mentre mi cambio”.

“Vado” disse Jessica prima di uscire dalla stanza. Chiuse la porta dietro di sé ed uscì lasciando Lana in pace. Ora doveva capire come sarebbe stata in grado di infilarsi quei vestiti senza farsi male. Avrebbe dovuto sopportare il dolore di indossare la maglietta. Non si sarebbe assolutamente disturbata ad indossare un reggiseno. Alcune cose non valevano la pena, e l’indumento era in cima alla lista.

Saluta Il Mio Cuore Con Un Bacio

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