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CAPITOLO QUATTRO
Оглавление28 Giugno, 1914
Catherine si sedette alla sua toeletta. Un nuovo giorno e un'altra cena all'ambasciata… La sua vita a Parigi era diventata monotona con un solo elemento brillante a impedirle di perdere la testa – Asher. Avevano passato un bel pomeriggio al Louvre e, come previsto, Sir Benjamin ne era stato contento. Non aveva avuto cuore di dire al suo tutore che non aveva idea se Ash considerasse la loro uscita l'inizio di un corteggiamento, o se avesse avuto pietà di lei e avesse deciso di darle qualcosa al di fuori dell'ambasciata con cui svagarsi.
Se avesse dovuto definire la loro relazione, avrebbe detto che erano amici. Poteva trasformarsi in qualcosa di più, ma al punto in cui trovavano, nulla di romantico era successo. Ash sembrava troppo triste per qualcosa di più serio, e lei era grata di avere qualcuno con cui potesse relazionarsi. Non avevano iniziato in modo tanto cordiale; comunque, aveva iniziato a piacerle. Questo significava di più per lei che trovare un potenziale marito.
Ash era stato invitato a cena all'ambasciata. Ogni volta che il suo tutore poteva infilarlo nella lista degli inviti, lo faceva. Catherine non si lamentava. Soprattutto dal momento che tornava a suo vantaggio… Le piaceva passare il tempo in compagnia di Asher, e pensava che anche a lui piacesse. Quella sera, decise di prendersi cura del proprio aspetto. Non osava ammettere che voleva apparire al meglio per Asher. Indossò un abito marrone con uno strato di pizzo nero. Invece dei tradizionali guanti bianchi, ne mise un paio di neri. I suoi capelli scuri erano intrecciati in un elegante chignon con piccole onde sulla parte superiore, un ciuffo ribelle che le ricadeva sulla fronte e si arricciava intorno alla guancia fino alla linea della mascella.
Il tocco finale era un gioiello che era stato tramandato da generazioni – un filo di perle rosse. Un pendente di rubino era il fulcro della collana. Era appartenuto ai suoi parenti, a partire dal sedicesimo secolo – da Caitrìona Dalais Guaire. La donna di cui portava il nome, e della quale era diretta discendente. Il suo dono principale – le visioni che non poteva controllare – veniva da lei, ma tutti i discendenti del clan dei Dalais avevano qualcosa, anche se non se ne rendevano conto.
Quando indossava la collana, si sentiva vicina ai suoi antichi antenati e apprezzava il loro sacrificio. Se non fosse stato per la loro forza e determinazione, avrebbe potuto non nascere mai. Le figlie gemelle di Caitrìona si erano assicurate che venisse ricordata e avevano condiviso la sua storia con i loro figli. Poi essi, a loro volta, l'avevano raccontato ai loro e così era continuato ogni generazione fino a quando la madre di Catherine lo aveva detto a lei. Un giorno lei avrebbe avuto dei figli suoi, e avrebbe fatto lo stesso.
Catherine fece scorrere le dita sul ciondolo. Non lo avrebbe avuto affatto se Lili Guaire, una delle gemelle, non ne fosse rimasta affascinata e non l'avesse nascosto in tasca il giorno in cui sua madre era stata accusata di essere una strega. Nessuno sapeva che l'avesse, quindi era stata in grado di tenerlo al sicuro: l'ultimo ricordo di sua madre che avrebbe mai avuto. La madre di Catherine si era ammalata e l'aveva tramandata a lei prima del previsto. Doveva essere un regalo di nozze, e invece, per lei, era stato un ultimo ricordo della madre morente.
Sospirò e poi lasciò le sue stanze. La cena sarebbe iniziata presto, e lei voleva visitare Asher prima di sedersi a tavola. Sir Benjamin poteva assicurarsi che il marchese fosse invitato, ma non poteva essere sicuro che si sarebbe seduto accanto a Catherine mentre cenavano. Anche se, più spesso che no, era vicino a lei. Erano quasi uguali in rango e questo rendeva le cose più facili per i tentativi di combinare matrimoni del suo tutore. A volte, Catherine pensava che egli volesse liberarsi dalla responsabilità nei suoi confronti, e in altri, si chiedeva perché si prendesse il disturbo. Sir Benjamin era un uomo riservato, e sembrava che si nascondesse dietro le porte e ascoltasse quando non doveva, o forse questo faceva parte dei suoi doveri. Non si era mai preoccupata di chiedere.
Quando entrò nel salotto sorrise mentre il suo sguardo incontrava immediatamente quello di Asher. Stava fissando la porta con le labbra piegate in un ghigno malvagio. Catherine accorciò la distanza tra loro. Passò un cameriere e Asher afferrò due calici di champagne. Quando lo raggiunse, lui gliene porse uno. "Un brindisi." Sollevò il bicchiere. "Alla sola persona nella stanza con cui sono felice di passare la notte."
"Sarebbe piuttosto narcisista da parte mia bere in onore di una cosa del genere" replicò lei con una piccola risata. "Sarebbe come presumere che preferisca la mia stessa compagnia a quella di chiunque altro."
"Direi che saresti dannatamente brillante se lo facessi." Si chinò e sussurrò: "Hai parlato con qualcuno di questi fanfaroni?" Ash bevve un sorso di champagne e poi indicò la stanza nel suo complesso. "Sono così egocentrici; è ridicolo. Penso che la maggior parte di loro ami ascoltare il suono della propria voce."
Catherine ridacchiò. Si coprì la bocca con la mano. Era un suono ridicolo. "Smettila" gli disse. "Ti sentiranno."
"Non mi interessa." Scrollò le spalle. "Non significano niente per me." Ash inclinò il bicchiere verso di lei. "Tu, d'altra parte, conti. Quindi, sì, brinderò a te tutte le volte che posso. Mi hai aiutato in uno dei miei momenti più bui, e nessuna semplice parola può esprimere fino a che punto."
Le scaldò il cuore che a lui importasse tanto. A volte il suo dono faceva davvero la differenza, e questo la rendeva felice. Ma la visione che aveva avuto l'altro giorno la turbava ancora. Non avrebbe permesso che rovinasse il suo tempo con Asher. "Non ho fatto niente" rispose. "Abbiamo trascorso la giornata insieme, tutto qui."
"È stato abbastanza" disse. "Mi ha fatto apprezzare la mia vita e mi ha aiutato a decidere dove dovevo essere. Avevo da poco scoperto che mio padre era morto, e io…" Distolse lo sguardo. "Tutto era stato desolante fino a quando non ti ho vista sul ponte."
Non se n'era resa conto… Era triste, ma non aveva mai detto perché. Terribile – e significava anche qualcos'altro. "Hai ereditato il titolo." Gli mise una mano sulla spalla. "Se ti fossi presentato a me la prima sera che ci siamo incontrati, non saresti stato un marchese, vero?"
Lui scosse la testa. "Sarei stato ancora io."
Sì, lo sarebbe stato, ma quella traccia di dolore non sarebbe stata lì. Non era lo stesso, e probabilmente non lo sarebbe mai stato. Quell'uomo era stato arrogante e presuntuoso. Era stata attratta da lui allora, ma ancora di più adesso che le mostrava il suo lato vulnerabile. "Questa è una buona cosa" disse Catherine calorosamente. "Mi piaci, non importa quale titolo è attaccato al tuo nome."
I suoi occhi sembrarono quasi illuminarsi di qualcosa. Forse felicità? Non poteva essere certa, ma Catherine apprezzava l'effetto che aveva su di lui. Un forte mormorio echeggiò attraverso la stanza e alcuni degli ospiti fissarono il punto da cui era partito. L'ambasciatore era entrato nella stanza. Il suo tutore lo fermò e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. L'ambasciatore si rivolse a quelli riuniti e disse: "Ho alcune sfortunate notizie da riferire. L'erede dell'Impero Austro-Ungarico, Franz Ferdinand e sua moglie, Sophie, sono stati assassinati in Bosnia oggi."
Sophie… Catherine si portò una mano al petto. Ecco cosa riguardava la sua visione. Se l'avesse saputo, avrebbe potuto fare qualcosa per impedirlo. Perché le sue visioni lasciavano più domande che risposte? Quella povera gente era morta per niente.
"Stai bene?" chiese Asher sommessamente. "Sei impallidita. Per favore dimmi che non stai per svenire."
"No" lo rassicurò. "Starò bene. La notizia mi ha sorpreso."
"Li conoscevi?" Bevve lo champagne e posò il suo calice, insieme a quello di lei, su un tavolo vicino. "Vuoi andare da qualche altra parte?"
Lei scosse la testa. "Non li ho mai incontrati." Catherine li aveva visti una volta nella sua visione, ed era stato sufficiente a raggelarla. Odiava vedere la gente morire senza motivo. Non che ci fosse una morte buona, ma una come la loro poteva essere considerata tragica. "Ci saranno ripercussioni." Lei alzò lo sguardo su di lui. "Qualcosa del genere non può essere ignorato."
"Hai ragione" concordò lui. "Ho paura a cosa porterà questo."
Tutti provarono un senso di disagio per la notizia. Nessuno di loro capiva fino in fondo quello che era successo, e persino Catherine, con le sue visioni, non poteva prevedere cosa avrebbe potuto succedere. L'apprensione aumentava dentro di lei ogni secondo che passava. Non poteva fare a meno di sentirsi come se il mondo potesse esplodere in qualsiasi momento, e se così fosse stato, il caos avrebbe regnato più a lungo di quanto chiunque avrebbe voluto.
Tutti loro camminarono silenziosamente verso la sala da pranzo quando suonò il campanello. Ognuno fece del suo meglio per mantenere un umore gioviale, ma la notizia aveva creato un precedente per la serata. Asher si era seduto accanto a lei, ma anche quello non le era bastato. Dopo cena non andò in salotto e chiese invece di essere scusata. Catherine aveva molto a cui pensare, ed era certa che, a un certo punto, un'altra visione l'avrebbe colpita. Non voleva essere nel salotto quando sarebbe successo.
30 Agosto, 1914
Asher si precipitò verso l'ambasciata. Era in corrispondenza con il conte di Derby, e presto avrebbe lasciato la Francia. Avevano bisogno di qualcuno con le sue competenze in Belgio e, se fosse stato possibile, in Germania. Avevano bisogno di informazioni per vincere la guerra – ed erano tutti in guerra. Così tanti paesi avevano dichiarato guerra che aveva perso di vista chi era contro chi a un certo punto. La Francia era alleata con l'Inghilterra e, per ora, Catherine era al sicuro. Non sapeva per quanto tempo però…
La porta dell'ambasciata si aprì. "Buona sera, mio signore" lo salutò il domestico. "Lady Catherine è nella biblioteca."
Faceva visita a Catherine quasi tutti i giorni. L'intero staff ci aveva fatto l'abitudine e indicava ad Ash la posizione di Catherine immediatamente al suo arrivo. Ash annuì e andò dritto in biblioteca. Voleva avvertirla che non sarebbe tornato per un po'. Quando entrò nella stanza, trovò Catherine seduta sul divano, che accarezzava Merlin. "Le mie due persone preferite" disse, annunciando la sua presenza.
"Ash" esclamò Catherine. "Merlin ama che tu lo consideri umano." Accarezzò la sua testa pelosa, poi guardò Ash. "Non pensavo che saresti passato oggi."
Normalmente, sarebbe venuto a trovarla molto prima. Quindi, non fu sorpreso che lei credesse che non sarebbe arrivato. La guerra aveva gettato tutto nel caos. "Mi scuso per essere arrivato così tardi. Non poteva essere evitato."
"Non hai bisogno di venire ogni giorno" disse con tono spensierato. "Sopravviverò anche se manchi di quando in quando."
Odiava doverle dire che doveva andarsene. Ash si sedette dall'altra parte di Merlin e lo accarezzò dietro le orecchie. "Mi mancherete, voi due."
"Non stiamo andando da nessuna parte" disse Catherine, confusione nel suo tono.
"No, ma io sì." Questa era la parte difficile. Aprì la bocca per dirle dove si stava dirigendo, ma un sonoro boom riecheggiò nella stanza. Sirene suonarono fuori dall'edificio, subito dopo.
"Che cos'era?" Catherine si alzò e si precipitò verso una finestra.
"Cat" urlò. "Torna qui. Non è sicuro."
Raccolse Merlin e poi la prese per mano. Artigli si fecero strada nella sua spalla. Ash li strattonò via e il gatto subito li piantò di nuovo. In quel particolare momento, Merlin divenne il suo gatto meno preferito, ma Catherine lo amava così cercò di aiutare la bestia.
Le sirene erano state installate in caso di emergenza, e il rombo forte poteva significare solo una cosa: bombe. Un'altra esplosione risuonò nella stanza scuotendo tutto. Una lampada cadde e colpì il pavimento. Alcuni libri si rovesciarono sullo scaffale, ma restarono lì. Un altro forte colpo e probabilmente sarebbero caduti. L'attentatore era riuscito a colpire più vicino all'ambasciata. Finché Ash non avesse avuto la certezza che Catherine fosse al sicuro, non l'avrebbe lasciata sola. Si rannicchiò con lei in fondo alla biblioteca, pregando che il bombardamento non durasse a lungo. Udirono altre tre esplosioni che si fecero più distanti a ogni detonazione. Quindi nient'altro che un benedetto silenzio…
Catherine tremava tra le sue braccia. "Questo peggiorerà di giorno in giorno."
"Lo farà" convenne. "Ecco perché devo andarmene." Merlin lasciò andare la sua spalla e gli graffiò il collo. Ash lo lasciò andare istintivamente, e il gatto saltò via dalle sue braccia. Corse sotto una sedia vicina e vi si rannicchiò. Il poveretto era terrorizzato, e Ash non lo biasimava, anche se gli sarebbe piaciuto essere meno mutilato dai suoi artigli.
"No." Catherine incontrò il suo sguardo. Le sue labbra fremevano un po' e le sue mani tremavano. Sembrava che si sentisse come Merlin. "Potresti restare, ma non lo farai. Capisco. Abbiamo tutti una parte da giocare. Ora lo vedo."
Non capiva cosa intendesse, ma era contento non rendesse le cose difficili. "Tornerò a trovarti quando posso."
"Non fare promesse che potresti non essere in grado di mantenere. Inoltre, potrei non essere qui quando tornerai. C'è un posto dove potrei dover andare invece."
Si stava comportando in modo enigmatico. Ad Ash non piaceva, ma non era nella posizione per dirle cosa fare. Avevano una strana relazione che non riusciva a definire. Non si stavano facendo la corte. A un certo punto, avrebbe potuto volerlo, ma non avrebbero avuto questa possibilità ora. Quello che avevano era una fragile amicizia che veniva dilaniata da una guerra che non era stata fatta da loro. "Scriverò quando posso."
Lei sorrise, ma c'era un filo di tristezza. "Se le ricevo, cercherò di restituire il favore."
Ash non sapeva perché decise di fare quello che fece dopo. Forse lo aveva sempre desiderato, o forse pensava che non avrebbe mai più avuto la possibilità. In ogni caso, non mise in dubbio l'istinto. Si chinò e premette le labbra sulle sue. Il bacio non durò a lungo, ma gli diede uno scopo che non aveva avuto prima. Un giorno l'avrebbe trovata di nuovo, e quando l'avrebbe fatto, Ash intendeva assolutamente portare la loro relazione in una direzione diversa. L'aveva incontrata per una ragione, e credeva che fosse per qualcosa di più dell'amicizia. Perché altrimenti avrebbe passato così tanto tempo con lei? Il destino poteva essere volubile, ma in questo caso, gli aveva dato l'unica persona di cui aveva bisogno più di ogni altra cosa – Catherine.
L'aiutò a rialzarsi e camminò con lei finché non raggiunsero le sue stanze. Ash non la seguì dentro. Sarebbe stato più che presuntuoso e inaudito. Alcune convenzioni dovevano essere osservate. Avrebbe mantenuto la sua promessa con lei. Le avrebbe scritto il più spesso possibile e sarebbe andato a trovarla ovunque lei fosse finita. Una parte di lui sperava che sarebbe tornata in Inghilterra. Sarebbe stato molto meno pericoloso lì… In qualche modo, dubitava che Catherine sarebbe andata in un qualunque luogo ritenuto sicuro. Dopo aver chiuso la porta, uscì dall'ambasciata e andò nel suo appartamento a prendere la borsa da viaggio. Non sapeva per quanto tempo sarebbe stato via, ma pensò che sarebbe passato un bel po' prima che fosse di nuovo di ritorno… Questa grande guerra era appena iniziata, e non mostrava alcun segno di finire presto.