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CAPITOLO DUE

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Un incommensurabile silenzio avvolgeva la carrozza mentre si dirigevano verso la casa di Coventry. Jonas non era sorpreso dal fatto che Lady Marian avesse tentato di ottenere l’accesso alla Royal Medical Society. Coventry parlava spesso di quella sua inclinazione. Il conte caldeggiava l’hobby di sua figlia quando avrebbe dovuto scoraggiarla molto tempo prima.

Una donna non poteva guadagnare praticando qualcosa di rozzo come la medicina. La loro sensibilità era troppo delicata per tali questioni. In teoria, probabilmente Lady Marian pensava che fosse una grande idea ma, se mai avesse affrontato la realtà, senza dubbio sarebbe svenuta alla vista di una persona malata. Le malattie e le ferite erano una questione complicata e spiacevole. Lui quasi rabbrividiva all’idea di avvicinarsi a qualcuno malato o insanguinato.

«Credevate davvero che Sir Anthony avrebbe permesso a una donna di diventare membro?» le chiese Jonas. «È più all’antica della maggior parte degli uomini della sua generazione.».

«Speravo che comprendesse le mie ragioni.» rispose Lady Marian, «Sono abbastanza ferrata e tutto ciò di cui ho bisogno è una guida adeguata per raggiungere il livello successivo. Non permetteranno mai a una donna di studiare liberamente all’università. Questa era la mia ultima possibilità per acquisire le competenze necessarie per assistere le persone bisognose di cure mediche.». Emise un respiro esasperato. «Ma non mi aspetto che voi capiate.».

In effetti, lui non capiva e non aveva intenzione di provarci. Perché qualcuno, uomo o donna che sia, si lascerebbe coinvolgere dalla medicina? Jonas non ne comprendeva l’attrattiva. C’erano cose migliori da fare con una donna, specialmente nel suo letto. Riguardo agli uomini, l’idea di toccarne uno per qualsiasi motivo al di fuori degli incontri di pugilato al “Gentlemen Jack” lo faceva rabbrividire. Preferiva colpirli, piuttosto che sanare qualunque malattia li affliggesse.

«Bene.» le disse con calma, «Dovremo convenire di non essere d’accordo sulla questione. Fortunatamente per entrambi, non dipende da me che voi proseguiate con questa ridicola abitudine. Lascerò che sia vostro padre a guidarvi correttamente.».

Lei si voltò a guardarlo. «Avete perfettamente ragione. Se io dovessi sopportare la vostra compagnia ogni giorno, potrei persuadere un essere supremo affinché ponesse fine alla mia miseria. Grazie al cielo, il destino ci ha collocati agli opposti di ogni questione immaginabile e ci ha salvati da un innegabile disastro.».

«Dubito che sia così grave, mia cara.» rispose lui seccamente, «Deve pur esserci qualcosa che ci accomuni.».

«Non credo.» ribatté lei, «Voi siete il peggior tipo di uomo. Condiscendente e ignorante, convinto del contrario.».

Lui alzò un sopracciglio. «Come mai? Che cosa ho fatto per darvi un’impressione così riprovevole?».

«Respirate.» gli disse lanciandogli un’occhiataccia, «Non è già abbastanza?».

Jonas non riuscì a ricordare di essersi divertito di più. Di solito gli piaceva colpire qualcosa per alleviare la mente dallo stress di vivere la sua vita. Apparentemente, gli sembrava di avere tutto. Un futuro titolo di duca e una considerevole fortuna di diritto… peccato che non desiderasse ottenere il titolo di suo nonno né cercasse moglie. Era in guerra con se stesso. Voleva che il Duca di Southington morisse di una miserabile morte e vivesse per sempre allo stesso tempo. Ad ogni modo, lui era sia vincitore che vinto. Lady Marian gli aveva fatto dimenticare tutto per qualche istante. Una cosa che non accadeva spesso, e avrebbe dovuto ringraziarla per questo. Tuttavia, non pensava che lei avrebbe accettato la sua gratitudine.

«È increscioso che troviate irritante la mia capacità di vivere.» le rispose, «Odio creare fastidio.». Mantenne la voce più neutra possibile, «Fortunatamente per voi, stiamo per essere separati. Forse, quando ci incontreremo di nuovo, non sarete così avversa alla mia esistenza.».

«Preferirei non rivedervi mai più.», lei si agitò sul sedile. I suoi capelli rossi, ancora umidi per la pioggia, si erano appiccicati al suo collo. Grosse ciocche ricadevano dagli spilloni che li tenevano in ordine, conferendole un aspetto quasi mascolino. Il che le si addiceva abbastanza: aveva idee contro natura e un’aura selvaggia che la circondava. Niente e nessuno avrebbe potuto impedirle di fare ciò che voleva. Jonas la trovava piuttosto attraente e la cosa non gli piaceva. «Le buone maniere prevedono che io vi sia grata per il vostro aiuto e vi esterni la mia gratitudine… non sono in grado di soddisfare tali aspettative. Vi trovo piuttosto rozzo e indelicato. È stato difficile trattenere la mia piena opinione.».

«Allora lasciatela andare.» la incoraggiò. La sua voce aveva un tono forte che lui non poté evitare neanche se avesse voluto. Quella conversazione aveva preso la piega sbagliata e trasformarla in qualcosa di più piacevole era al di sopra delle sue capacità. «Non vorrei che soffriste per lo sforzo. Fidatevi di me, sono in grado di gestire tutto ciò che vorrete scagliarmi contro.».

«Per quanto sia tentata di fare come suggerite, devo rifiutare.». Gli rivolse un sorriso sensuale, quel piccolo sfacciato doveva sapere che cosa stava facendo. Ciò aumentò il livello di calore tra loro, già sull’orlo dell’ebollizione; tuttavia, questa volta bruciava in un modo completamente diverso. La rabbia che si scatenava nel profondo si era placata, e rapidamente si era trasformata in un desiderio che non aveva mai provato prima. L’impulso di baciarla era troppo allettante e dovette tenersi a distanza. Lei lo aveva incantato con le sue parole dure, l’arguzia acuta e il viso stupendo.

«Non vi capiterà di nuovo.» ribatté lui, non poteva fare a meno di provocarla. Si comportava come il mascalzone che lei credeva che fosse e non le mostrava un briciolo di più. Se lei voleva che fosse scortese, allora non avrebbe potuto deluderla. «Siete sicura di voler rifiutare?». La parte malata e contorta di sé preferiva quel loro fervido battibecco.

«È meglio che io rifiuti.». La carrozza si fermò e lei aprì la porta per uscire in fretta. «Se mi vedrete di nuovo, fate un favore ad entrambi e ignoratemi. Sarebbe spiacevole dover trovare qualcos’altro di odioso l’uno dell’altra… ma, d’altra parte, che cosa abbiamo da perdere? A mai più rivederci, Lord Harrington. Non mi trovereste così ben disposta, se accadesse. Non ho paura di dire ciò che penso.». Con quelle ultime parole, scese dalla carrozza e non si voltò indietro.

Non c’era bisogno che lo informasse della propria schiettezza, lui lo aveva dedotto appena l’aveva incontrata. Era sempre stata una donnina sfacciata. Ad essere onesti, quella era stata forse la conversazione più lunga che avessero mai tenuto. Una parte di sé non poteva fare a meno di ammirare la sua tenacia. Una cosa era certa però, lei si era fatta strada e aveva ottenuto la sua attenzione. Non c’era modo di tornare indietro. Che cosa diavolo era successo? E, ancora più sorprendente, non vedeva l’ora di farlo di nuovo…


Marian entrò in casa e andò direttamente in salotto. Le sue care amiche dovevano essere già lì, in attesa del suo arrivo. Le risate che echeggiavano lungo il corridoio la misero a suo agio. Entrò e vide sua cugina, Lady Kaitlin Evans, con la sua cara amica Lady Samantha Chase, che confabulavano. Le due donne erano tutto per Marian, non sapeva che cosa avrebbe fatto senza di loro. Sostenevano e incoraggiavano i suoi sogni, mentre suo padre non credeva che li avrebbe mai realizzati. Marian voleva dimostrargli che si sbagliava. Lo amava, dopotutto era suo padre, ma in qualche modo era cattivo come Sir Anthony e Lord Harrington.

Samantha alzò lo sguardo all’arrivo di Marian. Le sue trecce color mezzanotte erano raccolte in un elegante chignon, con dei riccioli che incorniciavano il suo bel viso. I suoi occhi erano di un blu così scuro da sconfinare nel nero. Un tratto distintivo della sua famiglia che era stato tramandato di generazione in generazione: anche suo fratello, Gregory Cain, l’attuale Conte di Shelby, li aveva uguali. Lo rendevano quasi diabolico. Un qualcosa che molte donne immaginavano, e ognuna di esse credeva di poterlo accalappiare. Era un libertino e un mascalzone peggiore di Lord Harrington.

«Oh, sei tornata.» disse Samantha alzandosi in piedi. «Vieni, siediti e raccontaci tutto.» disse indicando un posto vuoto.

«Sir Anthony ha accettato di aiutarti?» chiese Kaitlin. Si portò una ciocca dorata dietro l’orecchio, i suoi occhi blu erano l’opposto di quelli di Samantha, erano del colore di un fiordaliso. Kaitlin era l’epitome di tutto ciò che un gentiluomo inglese avrebbe potuto desiderare. Era bionda, con gli occhi azzurri e dolce come i dessert più deliziosi. Sfortunatamente, la sua timidezza la penalizzava. La maggior parte dei possibili pretendenti la ignorava perché non spiccava.

Marian scosse la testa, «Ha rifiutato.».

«Mi dispiace.» disse Kaitlin.

«Non è colpa tua, Katie.» disse Marian dolcemente, «Ad essere sincera, non mi aspettavo che accettasse.».

Anche se Lord Harrington non fosse stato lì, Sir Anthony l’avrebbe comunque allontanata. Non era incline a pensare che le donne fossero abbastanza intelligenti per le letture, figuriamoci per studiare medicina. Non avrebbe dovuto darvi peso, ma doveva tentare qualcosa. In quale altro modo avrebbe potuto continuare gli studi?

«Può darsi.» iniziò Samantha, «Ma ci sarà un altro modo.».

«Per essere ammessa?» Marian era confusa. Non c’era un altro modo per essere ammessa alla Royal Medical Society. «Non è possibile.».

«Hai ragione.» disse Samantha, «Non ha niente a che vedere con quegli uomini antiquati e presuntuosi.» disse Kaitlin, poi sorrise. «Abbiamo sentito parlare di una dottoressa che sa più cose di tutti i membri della Royal Medical Society messi insieme.».

«Una diceria non è mai veritiera.» rispose tristemente Marian. Loro volevano il suo bene, ma lei non poteva affidare tutte le sue speranze e i sogni a qualcosa che non avrebbe mai potuto realizzarsi. Non esisteva nessuna mitica dottoressa in grado di insegnarle. «Non ho speranze.», voleva continuare a lavorare per il suo sogno, ma a volte sognare è l’unica cosa che rimane.

«Non capisci.» insistette Samantha, «È tutto vero.».

«No.» replicò Marian, «Non posso continuare così. È ora di lasciar perdere.».

Kaitlin sussultò sulla sedia e iniziò a battere le mani. «Tu non farai niente del genere. Andrai a una festa privata.». Prese un invito dal tavolo e lo porse a Marian. «La Duchessa di Weston sarà lì e le parlerai dei tuoi sogni.».

«E perché mai questa duchessa dovrebbe degnarsi di ascoltare che cosa ho da dire?». Era ridicolo. Doveva finirla una volta per tutte. «Una festa in casa non fa per me. Non socializzo, lo sapete entrambe. Inoltre, dubito che mio padre mi darebbe il permesso di andare. I suoi affari lo tengono occupato qui a Londra e non si prenderà il tempo di portarmi lì.».

«Penseremo a questo più tardi. Sono sicuro che ci sia qualcuno in grado di farlo, potrei parlare con Shelby.».

«A mio padre piace tuo fratello.» disse Marian, «Ma dubito che gli affiderebbe la mia virtù.». Non che lei avrebbe ceduto a quel mascalzone, ma non aveva importanza. Se fosse rimasta da sola con lui per un lungo viaggio in carrozza, la sua reputazione sarebbe stata rovinata. Anche la breve distanza percorsa con Lord Harrington era stata rischiosa, avrebbe dovuto trovare un modo per rifiutare. Non aveva una dama di compagnia come accompagnatrice, e se qualcuno li avesse visti… in questo caso, la pioggia era stata la sua ancora di salvezza. Di solito, nessuno nella società si prendeva la briga di uscire con un forte acquazzone.

«Ti accompagno io, ovviamente.» disse Samantha, «Questo eviterebbe ogni biasimo.».

Marian sospirò, «So che lo fate per me ma…».

«Non puoi dire di no.» la interruppe Kaitlin, «La duchessa è un medico. Lo so.».

«Come puoi esserne certa?», odiava essere dura… beh, almeno con sua cugina. Kaitlin aveva avuto una vita difficile e lei non voleva rincarare la dose. Adesso la sua famiglia erano loro due, il fratello di Kaitlin, Colin, e suo padre. Dovevano restare uniti. Colin si trovava a Eton per terminare gli studi e raramente tornava alla residenza, quindi in realtà erano solo loro due. «E se ti sbagliassi?».

«Impossibile.» disse, «Ho sentito per caso il Marchese e la Marchesa di Seabrook ad un ballo. Non si erano accorti della mia presenza, come accade sempre.».

Povera Kaitlin… «E che cosa hanno detto?», Marian poteva almeno ascoltarla. «Qual è il loro legame con la duchessa?».

«La marchesa è la sorella del duca. Sono parenti.».

Questo cambiava tutto. Se erano imparentati, dovevano essere a conoscenza delle abilità della duchessa. Forse incontrarla non era una cattiva idea, dopo tutto. Tuttavia, aveva bisogno di ulteriori informazioni prima di prendere una decisione.

«Ti abbiamo convinta, vero?» disse Samantha. Le sue labbra si curvarono in un sorriso, «Non dire una parola. Vado a casa e inizio l’opera di convincimento con Shelby affinché ci accompagni. Mio cara, dovrai preparare le valigie per due settimane in campagna.».

«Non ho detto di sì.» la informò Marian.

«Ma lo farai.» ribatté Samantha. La sua voce conteneva un pizzico di arroganza. «So come la pensi, ti abbiamo irretita con quelle poche informazioni. Ammettilo.».

Marian sospirò, «D’accordo. Sono curiosa. Di che cosa hanno discusso il Marchese e la Marchesa?».

«Erano piuttosto riservati e cercavano di mantenere la voce bassa.» rispose Kaitlin, «Ma hanno detto che, una volta, lei ha salvato la vita a suo marito. Ha eseguito un intervento chirurgico su di lui prima che si sposassero. Ma, soprattutto, pensavano che fosse in grado di aiutare qualcuno che conoscevano e che era stato ferito nello stesso modo in cui era stato ferito il duca. Il marchese non credeva che il duca sarebbe stato felice di darle il permesso.».

«Oh.». La storia era affascinante. Che cosa sapeva esattamente la duchessa, e come lo aveva appreso? «Di che ferita si trattava?».

«Un colpo di pistola.» rispose Kaitlin compiaciuta.

Accidenti… il cuore le batteva per l’emozione… quante possibilità… «D’accordo. Avete ragione, devo incontrarla.». Poi si rivolse a Samantha: «Fammi sapere quando avrai convinto tuo fratello.». Incrociò lo sguardo di Kaitlin, «Verrai anche tu?».

Lei annuì, «Questo è il tuo sogno, Mary. Voglio essere presente quando lo raggiungerai. E poi mi piacerebbe conoscere la duchessa.».

«Sembra decisamente audace.» rispose Marian allegramente, «Non vedo l’ora di incontrarla.».

«Ti scriverò dopo che avrò parlato con Shelby.» disse Samantha alzandosi, «Mi aspetto che tu sia pronta non appena avremo organizzato tutto, spero che non ci voglia molto a convincerlo.».

Con queste parole, Samantha uscì dal salotto, lasciando Kaitlin e Marian da sole. C’era molto da fare. Prima di tutto c’era da convincere suo padre a permetterle di viaggiare. Poteva dare ordine alla cameriera di iniziare a preparare le valigie mentre lei studiava l’approccio migliore. Doveva funzionare, era la sua ultima speranza.

Il Conte Libertino

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