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Capitolo Terzo
ОглавлениеFebbraio 1916
Scendendo dal treno, Victoria emise un profondo sospiro. Finalmente era a Parigi! Ne aveva abbastanza, ormai, di ospedali da campo. Non sapeva cosa aspettarsi, da un ospedale civile, ma almeno non sarebbe stata costretta a camminare nel fango! Sicuramente, la sua salute ne avrebbe risentito positivamente. Anche se non pioveva più così spesso da ridurre a fango il terreno. Quell’esperienza le si era fissata nella testa: cominciava a provare una forte avversione per quel miscuglio di letame e sporcizia che aveva dovuto sopportare costantemente sotto i piedi!
Salì sulla banchina. Era un miracolo che i Tedeschi non avessero ancora bombardato la ferrovia. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che temere una simile eventualità, e il terrore di doversela fare a piedi. Almeno così non era stata costretta a scarpinare per mezza Parigi.
Infilò una mano nella tasca del cappotto, per sincerarsi di avere ancora quel fascio di lettere: forse avrebbe dovuto distruggerle, ma era tutto ciò che le era rimasto di William. Ormai riuscivano a scriversi raramente e con lunghi intervalli. A volte la corrispondenza non arrivava, o magari William cambiava residenza. Ma lui cercava sempre di scriverle. Victoria non faceva che stare in ansia per lui, e aveva una tremenda paura di non rivederlo più. Tremando, rimise le lettere in tasca. Avrebbe voluto sedersi da qualche parte e rileggere le sue parole, ma cercò di controllarsi. Non era quello il momento di perdersi nei ricordi. A lei succedeva spesso, leggendo le lettere, ma era una brutta abitudine che doveva assolutamente perdere.
Cercò di pensare ad altro e si concentrò sulla stazione. La cosa importante, ora, era arrivare all’ospedale e smetterla di crogiolarsi nei ricordi. Aveva solo un baule a cui pensare. Aveva fatto piazza pulita di tutto il superfluo e di ciò che era ormai troppo consumato per poterlo usare. Così il suo bagaglio si era ridotto ad un’unica valigia in cui teneva le ultime tre divise che le erano rimaste, e qualche effetto personale. Sperava di trovare qualcuno a Parigi in grado di cucirgliene almeno un’altra. Allungò il passo e si diresse di buona lena verso l’uscita della stazione, sperando di buttarsi il passato alle spalle.
Come Dio volle, riuscì a trovare l’ospedale e finalmente vi entrò. Nessuno fece caso a lei le chiese chi fosse. Tutti correvano affannosamente di qua e di là, impegnati in qualcosa da fare. Victoria alzò una mano, cercando di farsi notare, ma nessuno le prestò attenzione. Lei sospirò e si diresse verso l’ala principale della struttura. Sembrava stesse per scoppiare: le stanze erano piene zeppe di feriti, e medici e infermieri si muovevano alacremente sui malati.
Una donna dai capelli rosso rame raccolti in un severo chignon le si avvicinò. Aveva gli occhi rossi e gonfi per la stanchezza. “Chi siete?” chiese.
“Sono l’infermiera Grant e sono stata assegnata a quest’ospedale – rispose lei.
La donna sospirò: “Grazie a Dio! Non potevate arrivare in un momento migliore! E’ arrivato da poco un altro carico di feriti e non sappiamo davvero dove mettere le mani!” Indicò le stanze con uno stanco gesto. “I medici li stanno visitando e bisognerà prendersi cura di loro.” Sorrise alla nuova arrivata. “Io sono Catherine Langdon. Venite, vi faccio vedere dove riporre i vostri bagagli. Così potrete cambiarvi e venire subito ad aiutarci.”
“Certo – esclamò Victoria – Sono qui per questo. Non sopporterei l’idea di dovermi riposare mentre tutti voi vi affannate sui feriti! Lasciate che mi cambi e sarò subito da voi!”
Victoria fu di parola. Una volta indossata l’uniforme e riposti i suoi bagagli, andò subito in sala, dove i medici stavano lavorando. Era quasi felice di essere così impegnata: era diventata crocerossina proprio per sentirsi utile, non certo per perdere il sonno su una storia d’amore!
Aprile 1916
Victoria si era subito inserita a pieno ritmo nell’ospedale, ben felice di non dover più sopportare il fango e la sporcizia dei piccoli ospedali da campo. Inoltre, si era molto affezionata al gatto di Catherine Langdon, che si chiamava Merlino…anche se non lo aveva mai confessato alla collega. In realtà, pensava che gli animali non dovessero circolare liberamente nei reparti, ma quel gatto aveva qualcosa di speciale. Era tutto nero ma, sotto al mento, aveva dei peli grigi che somigliavano ad una barba, proprio come nelle icone del leggendario Mago! Quella specie di barba lo facevano diventare quasi imponente. Comunque sia, era una creatura strana: Victoria si diceva spesso che forse era davvero la reincarnazione di Merlino!
Ma non aveva tanto tempo per pensarci. Anche Catherine era un po’ strana, un po’ strega. Talvolta le diceva cose senza senso, che poi si avveravano, quasi potesse leggere nel destino delle persone. A Victoria faceva quasi paura. Spesso avrebbe voluta chiamarla in disparte e chiederle se aveva delle sensazioni su di lei…ma poi lasciava perdere, timorosa di sapere cosa il destino le riservasse.
Per fortuna, quella giornata era cominciata bene; l’ospedale era ben gestito e molti feriti erano tornati già a casa. Victoria aveva un paio d’ore libere da dedicare a se stessa, cosa che non le capitava a…beh, da così tanto tempo che quasi le sembrava strana una tale libertà. Aveva deciso di fare una passeggiata per Parigi, a godersi la città e la mite aria primaverile. Ignorava se in futuro avrebbe avuto altre occasioni per farlo. La sua mente corse subito a William : chissà dov’era e cosa stava facendo in quel momento!
“Victoria!” Qualcuno urlò il suo nome. Si voltò e vide William che correva verso di lei. Era in abiti civili e lei stentò a riconoscerlo. Sembrava un gentiluomo qualsiasi, vestito a quel modo.