Читать книгу Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3 - Джек Марс - Страница 14

CAPITOLO NOVE

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11:05 p.m. Ora legale in Alaska (4 settembre)

Campo sul ghiaccio ReadyGo della Marina degli Stati Uniti

Nove chilometri a nord dell’Arctic National Wildlife Refuge

Tre chilometri a ovest della Martin Frobisher Oil Platform

Mare di Beaufort

Mar Glaciale Artico

“Non esiste, gente. Non posso farlo.”

La notte era nera. Fuori dalla piccola calotta ululava il vento e cadeva una pioggia gelata. La visibilità stava peggiorando. Di lì a poco sarebbe stata pari a zero.

Luke era stanco. Aveva preso una dexie quando l’aereo era atterrato, e un’altra qualche istante prima, ma nessuna delle due aveva ancora fatto effetto.

L’intera faccenda era uno sbaglio. Avevano attraversato in fretta e furia il continente, a velocità supersonica, stavano per iniziare la missione e ora uno dei suoi uomini se ne stava tirando fuori.

“Non mi piace per niente.”

Era stato Murphy a parlare. Ovvio che fosse lui.

Murphy non voleva buttarsi in quell’avventura.

L’accampamento temporaneo, che di base consisteva in una decina di cupole modulari a tenuta stagna montate su una lastra di ghiaccio galleggiante, era spuntato come un mucchio di funghi dopo una pioggia primaverile, a quanto pareva in appena due ore. Era solo uno di tanti che circondavano la piattaforma petrolifera a distanza di sicurezza. La creazione di numerosi campi tanto lontani era dovuta alla possibilità che i terroristi li stessero spiando. In quella maniera gli sarebbe stato difficile prevedere da quale direzione sarebbe arrivato il contrattacco.

All’interno di ogni cupola era stato scavato un foro rettangolare nel pavimento di ghiaccio, all’incirca delle dimensioni e della forma di una bara. Il ghiaccio lì era grosso dai sessanta ai novanta centimetri. Attorno a ogni foro era stato incastrato una specie di pontile di un qualche materiale sintetico simile al legno. Sotto l’acqua erano state affondate torce subacquee, che davano all’apertura un inquietante chiarore blu. Sulla superficie del foro stava già iniziando a riformarsi il ghiaccio.

Luke ed Ed erano nelle loro mute in neoprene, seduti su due sedie accanto all’apertura. Brooks Donaldson era nella stessa posizione e attorno a ogni uomo erano affaccendati due assistenti, militari con indosso giacche in pile della marina degli Stati Uniti. Gli stavano caricando addosso tutto l’equipaggiamento necessario. Luke stava fermo mentre uno dei due gli montava un compensatore di galleggiamento sul torace.

“Come se lo sente?” gli chiese il tizio.

“Ingombrante, a essere sincero.”

“Bene, lo è.”

Ancora non aveva infilato i guanti sulle mani, e continuava a portarle senza pensare alla cerniera impermeabile sul suo petto. Era stretta e difficile da tirare, così come doveva essere. Laggiù l’acqua sarebbe stata gelida e la cerniera doveva tenere ferma. Ma significava anche che sarebbe stato complicato abbassarla una volta che fossero arrivati a destinazione.

“Come dovrei fare per sfilarmi questa cosa?”

“Adrenalina,” rispose uno degli assistenti. “Quando va tutto a puttane, di solito i soldati si strappano di dosso la tuta a mani nude.”

Ed scoppiò a ridere e guardò Luke. Il suo sguardo diceva che non lo stava trovando affatto divertente.

“Oh, accidenti.”

Murphy non rideva per niente. Era arrivato fin lì da Deadhorse, ma non aveva nemmeno iniziato a infilarsi la muta.

“È una trappola mortale, Stone,” stava dicendo. “Come l’ultima volta.”

“Non mi devi dimostrare niente,” gli rispose lui. “Né a me né a nessun altro. Non sei costretto a venire. Non è come l’ultima volta.”

L’ultima volta.

Quando entrambi erano stati ancora nella Delta, in missione nell’est dell’Afghanistan. Luke era stato il capo della squadra, e non aveva scavalcato un tenente colonnello a caccia di gloria che aveva condotto tutti — a esclusione di lui e Murphy — alla morte.

Era vero. Lui avrebbe potuto annullare la missione. I suoi uomini non avevano avuto alcun obbligo nei confronti del tenente colonnello. Se Luke avesse dato l’alt, la missione si sarebbe interrotta, ma lui avrebbe rischiato di finire di fronte alla corte marziale per insubordinazione. Si sarebbe giocato tutta la sua carriera nell’esercito, quella stessa carriera che stranamente era finita ugualmente quella notte.

Murphy guardò Ed. “Perché vuoi andare?”

Il grosso uomo di colore fece spallucce. “Mi piace l’emozione.”

Lui agitò la testa. “Guarda quel buco, bello. È come se ci avessero scavato la tomba. Basta gettarci dentro una bara e siamo a posto.”

Murphy non era un codardo. Luke lo sapeva. Avevano partecipato a decine di scontri a fuoco fianco a fianco nella Delta. Avevano lottato insieme durante la sparatoria a Montreal, nella quale avevano salvato la vita di Lawrence Keller e consegnato alla giustizia gli assassini del presidente David Barrett. Avevano persino fatto a botte sopra la fiamma eterna di John F. Kennedy. Quell’uomo era un duro.

Ma non voleva andare. Era palese quanto fosse spaventato. Forse perché non era stato addestrato per quello che stavano per fare. Ma poteva anche essere perché…

“Va bene, uomini, ascoltate!”

Un uomo corpulento con una felpa della marina era appena entrato nella cupola. Per un istante, mentre attraversava i pesanti teli di plastica che facevano da portellone per l’esterno, gli occupanti dello spazio sentirono fischiare il vento. Il nuovo arrivato era rosso in viso per il freddo.

“Da quello che ho capito, siete stati aggiornati a Deadhorse.”

Poi si interruppe, notando la sedia vuota dove avrebbe dovuto trovarsi Murphy. Spostò lo sguardo sull’ex soldato.

Murphy scosse la testa.

“Io non ci vado.”

Il nuovo arrivato scrollò le spalle. “Come preferisci. Ma questa è un’operazione segreta. Se non partecipi, non puoi ascoltare quello che sto per dire.”

“Faccio parte della squadra di supervisione civile,” ribatté Murphy.

L’uomo fece un cenno di diniego. “Secondo le mie informazioni i due membri della squadra di supervisione civile sono al centro di comando a Deadhorse, mentre il resto del team deve indossare la muta e andare con i SEAL.”

Alzò le mani che per dire: È tutto quello che so.

“Se non sei al centro di comando e non hai la muta, non sei nel team.”

Murphy chinò la testa con un sospiro. “Ah, che diavolo.”

Si infilò un pesante parka verde sulla grossa tuta da lavoro.

“Murph,” gli disse Luke. “Chiama Swann e Trudy. Ti manderanno un elicottero.”

Il nuovo arrivato fece un cenno di diniego. “Tutti i mezzi sono bloccati a terra. Sta arrivando la tempesta e non vogliamo incidenti. La missione è già abbastanza complicata così com’è.”

Murphy imprecò sottovoce e uscì dalla stessa apertura da cui era appena entrato l’uomo corpulento. La plastica svolazzò e il fischio del vento risuonò. Il tizio lo guardò andarsene e poi fissò i tre sommozzatori rimanenti.

“Okay,” disse. “Questa sarà un’immersione in acqua gelata, di notte, verso un ambiente sopraelevato. Non riesco a pensare a un incarico più difficile. Un anno fa abbiamo perso due sub esperti in una missione simile, ma era un’immersione d’addestramento durante il giorno, non c’era maltempo e gli uomini erano collegati con una corda al campo base. È chiaro? Dovete saperlo.”

“Stavano anche nuotando verso uno scontro a fuoco?” domandò Ed.

L’uomo si limitò a guardarlo. Non aveva voglia di fare battute e Luke si sentiva allo stesso modo. Non c’era niente di divertente in quella missione.

“Come probabilmente avrete capito vi immergerete senza fune di sicurezza. Per gran parte del vostro tragitto il ghiaccio sopra le vostre teste sarà congelato e molto duro. È meglio che non ci andiate a sbattere. Muovetevi a cinque metri dalla superficie, mantenete un galleggiamento neutro e un orientamento corretto.”

Ai suoi piedi c’erano quattro dispositivi di trasporto per nuotatori. In pratica erano piccoli siluri elettrici a batteria. Ogni uomo si sarebbe tenuto al manubrio del dispositivo con una mano, e la propulsione lo avrebbe portato a destinazione più velocemente, e con meno sforzo, che se avesse dovuto nuotare da solo.

Il tizio ne sollevò uno tra le braccia. “Chi di voi ha mai usato uno di questi?”

Tre mani si alzarono.

Lui annuì. “Bene. Di norma useremmo dispositivi Mark 8, ognuno dei quali può trasportare dai due ai quattro uomini, ma non siamo riusciti ad averli per tempo, e sono complicati da usare in questo ambiente. Quindi dobbiamo accontentarci di questi portatili. Va bene?”

Si interruppe, ma nessuno disse una parola. Era quel che era. Non aveva importanza se gli andava bene o meno.

“Tenete d’occhio le vostre bussole. Siete diretti a est. Ci saranno altri diciassette…” Diede uno sguardo alla sedia vuota di Murphy. “Sedici altri uomini laggiù. Immettetevi nel gruppo. Voi sarete il team di controllo, quindi mettetevi in coda. Se doveste confondervi, o perdervi, la via di ritorno è a ovest. Questo campo è illuminato come un albero di Natale sotto il ghiaccio, quindi seguite le luci.”

Sollevò un casco impermeabile con visore e maschera.

“Nel casco avrete un sistema radio bidirezionale. Limitate le chiacchiere. Ascoltate i capi davanti. Ci sarà una bassa visibilità. Le vostre orecchie potrebbero salvarvi mentre la lingua vi ammazzerà.”

Li guardò severamente.

“Niente supporto aereo né anfibio. La situazione potrebbe scaldarsi. Tenete d’occhio la superficie e non appena noterete aria aperta, si sarete quasi. Una volta raggiunta l’apertura del ghiaccio spegnete le torce. L’idea, signori, è di prenderli di sorpresa.”

Sollevò una mitragliatrice MP5 con il caricatore già montato. Era coperta da una grossa pellicola plastica trasparente. Poi fu il turno di un gruppo di tre granate, avvolte alla stessa maniera.

“Al momento queste sono assolutamente sigillate. Gli involucri sono impermeabili al cento percento. Quando arrivate a terra, usate il coltello per aprirli.”

Sorrise e poi scosse la testa. “Se sarà necessario, usate il coltello anche per liberarvi dalle mute.”

Luke lanciò un’occhiata a Ed. Il collega fece una smorfia, una strana espressione che non gli aveva mai visto sul volto. Sembrava un bambino delle elementari a cui l’insegnante avesse suggerito di cantare cori di Natale con tutta la classe.

Gli attendenti dietro Ed sollevarono il casco e glielo sistemarono sulla testa. Il suo respiro offuscò il visore.

Quelli dietro Luke stavano per fare lo stesso con lui.

“Ci sono domande?” chiese l’uomo davanti a loro.

Che cosa stiamo facendo? fu l’unica che gli venne in mente.

“Bene. Allora muoviamoci.”

* * *

Murphy era di pessimo umore.

“Sono stufo di questa missione, Swann. Non mi è mai piaciuta la Marina e ora li sto davvero odiando.”

Le comunicazioni funzionavano bene lì, nonostante la tempesta. Swann glielo aveva spiegato, ma Murphy non aveva ascoltato tutto il discorso. Qualcosa a proposito delle antenne integrate in quelle cupole, del modo in cui i segnali satellitari riuscivano a penetrare le nuvole in rapido movimento e le precipitazioni, e della crittografia impenetrabile per cui il loro esperto informatico era noto…

Ma a chi importava.

Aspettò che il segnale rimbalzasse in giro per il mondo, in modo che i terroristi non potessero tracciarlo e ascoltarli.

Murphy era stufo e irritato. Non era un sub. Neanche Stone e Newsam lo erano. I SEAL si addestravano per anni con squadre d’élite di sommozzatori in acque fredde proveniente dalla Norvegia e dalla Svezia. E invece il loro gruppo completamente impreparato era stato spinto in quella missione come un osceno e inutile addobbo.

L’espressione con cui il tizio corpulento aveva guardato la sua sedia vuota… poi Murphy… e poi di nuovo la sedia. La sua fortuna era stata che fossero nella stessa squadra. Altrimenti lui sarebbe stato felice di rimodellargli la faccia con la stessa sedia.

“Sì, non lo capisco,” disse alla fine Swann. “Anche noi siamo solo uno specchietto per le allodole qua al centro di comando. Nessuno vuole dei civili in questa faccenda. Hanno solo bisogno del timbro d’approvazione. Ci hanno messi in un ufficio, lontani da tutti gli altri, con un paio di computer e una macchina del caffè.”

Murphy sorrise. Riusciva a immaginarsi l’espressione dei severi ufficiali SEAL e JSOC di fronte a Swann, un nerd dei computer alto e magrolino dai capelli lunghi e gli occhiali, e alla giovane e adorabile Trudy Wellington. Cosa dovevano aver pensato…

Niente. Gli ingranaggi nei loro cervelli da militari si dovevano essere inceppati. La sola vista di Swann doveva essere stata come zucchero nel serbatoio della benzina.

Metteteli in un’altra stanza, fateli sparire.

“Gli altri si faranno ammazzare là sotto. Ho cercato di dirlo a Stone, ma un babbeo della Marina mi ha cacciato fuori perché la riunione era riservata.”

“Ora dove sei?” gli chiese l’altro.

Murphy si guardò intorno. Era dentro una cupola vuota, seduto su una sedia che fino a poco prima doveva aver accolto un Navy SEAL. Il foro nel ghiaccio brillava di blu. Da qualche parte nei dintorni c’era un centro di comando, e lo staff di supporto doveva essere andato là per seguire i movimenti della squadra sotto il ghiaccio dal radar.

“Sono all’inferno,” rispose. “In un gelido inferno.”

La voce di Trudy subentrò in linea. Era musicale, come dita su un pianoforte.

“Che cosa vuoi fare?” gli domandò.

La risposta era abbastanza facile. Voleva sparire. Voleva andarsene da quella landa desolata nell’Artico, da quell’inutile atrocità terroristica (di qualsiasi cosa si trattasse) per raggiungere la Grand Cayman, recuperare i suoi due milioni e mezzo di dollari ed evaporare.

Purtroppo era più facile a dirsi che a farsi. Gli sarebbe servito un piano e del tempo per organizzare una sparizione del genere. Tempo che non aveva. Don voleva ancora che si facesse sei mesi a Leavenworth in cambio di un congedo con onore. E nel frattempo Wallace Speck era in custodia, lontano dalla sua portata, e da un momento all’altro avrebbe potuto dire cose spiacevoli.

Nel peggiore dei casi Murphy sarebbe arrivato a Leavenworth nel momento esatto in cui Speck faceva il suo nome.

Ovviamente, quella non era una faccenda di cui poteva discutere con Mark Swann e Trudy Wellington. Ma ce n’erano altre che poteva condividere con loro. I due potevano aiutarlo, non ad andarsene via di lì, ma ad addentrarsi ancora di più nei loro ranghi.

Stone si sbagliava. Murphy aveva qualcosa da dimostrare. Lo aveva sempre. Magari non a lui, e forse non a quell’addestratore SEAL dalla testa dura, ma a se stesso. C’era qualcosa in quella missione che non gli tornava. Li avevano spediti dall’altra parte del paese alla velocità della luce, e per cosa? Una missione raffazzonata che era già un casino prima di iniziare. Chi l’aveva progettata, Wile E. Coyote? Era come l’operazione di salvataggio all’ambasciata iraniana, con il ghiaccio invece della sabbia.

Quella pessima e frettolosa organizzazione lo irritava. Il fatto che Stone avesse deciso di partecipare lo irritava ancora di più. Che Newsam facesse lo stesso portava la sua rabbia a livelli stratosferici.

Infine si sentiva umiliato dalla sua stessa incapacità di infilarsi la claustrofobica muta per immersioni e scendere in quella tomba di ghiaccio. E il modo in cui quel burattino senza cervello aveva guardato la sedia…

Murphy serrò e aprì le mani. Aveva accettato da tempo che uno dei motivi per cui era entrato nell’esercito, e poi nella Delta Force, era fare qualcosa di costruttivo con la sua ira.

Conosceva il passato. Aveva studiato i più prolifici e abili assassini delle passate guerre, Audie Murphy nella seconda guerra mondiale e Bloody Bill Anderson nella Guerra Civile americana. Era stata l’ira a sospingere quegli uomini.

Riusciva quasi a immaginarsi Audie Murphy a Colmar, ritto su un carro armato in fiamme, mentre falciava decine di tedeschi con una mitragliatrice calibro .50, preso di mira senza tregua dal fuoco nemico.

Lui, Newsam e Stone avevano preso una dexie poco prima. Murphy si era sentito stanco e ne aveva prese due. Ora gli stavano facendo effetto. Sentiva il cuore battere all’impazzata e il suo respiro era sempre più rapido. I dettagli degli oggetti all’interno della cupola presero a bombardarlo con la loro nitidezza. Soffocò la tentazione di alzarsi e cominciare a saltellare sul posto.

In quell’istante avrebbe potuto uccidere una persona, o magari diverse. E le isole Cayman erano lontane, ben fuori dalla sua portata. Stone e Newsam si erano appena gettati nella versione acquatica della Spedizione Donner, una missione suicida che poteva solo finire in tragedia. E là fuori c’erano un mucchio di terroristi che avevano già ammazzato civili innocenti. Gli uomini che avevano preso in ostaggio l’intera piattaforma petrolifera erano dei cattivi e a nessuno sarebbe importato molto se fossero morti.

Cominciò a riflettere rapidamente. Swann e Trudy erano stati banditi in un ufficio ma quello non era per forza un risvolto negativo. Entrambi erano maghi della tecnologia. Se non gli avevano tagliato le comunicazioni… un grosso se, ma…

“Murph? Che cosa vuoi fare?”

I suoi occhi erano raggi laser. Poteva lanciare sfere di fuoco dalle mani. Era inarrestabile, e lo era sempre stato. Tutti quegli anni in combattimento, senza essere mai ferito. Succedevano cose incredibili al mondo.

“Mi serve una barca,” annunciò, senza pensare a cosa stava dicendo. “Mi servono delle armi, il supporto di droni e le indicazioni per attraversare la tempesta fino all’impianto.”

Si interruppe. La sua mente ormai galoppava, ragionava in pure immagini e lui riusciva a malapena ad articolare le parole.

“Voglio scendere in campo.”

* * *

Luke si gettò nell’apertura buia.

Attraversò un sottilissimo strato di ghiaccio per ritrovarsi in un surreale mondo subacqueo. In un istante l’ambiente spartano della cupola, simile a uno spogliatoio, svanì, sostituito da…

Un mare blu scuro, che si apriva in un vuoto nero sotto di lui. Sopra la sua testa, il ghiaccio era una fredda lastra bianco-bluastro. Luccicanti rettangoli luminosi segnalavano la presenza delle cupole dove erano state tagliati gli altri fori d’ingresso.

Era un luogo alieno.

Avrebbe potuto essere un astronauta che galleggiava senza peso nello spazio profondo.

La prima cosa che notò fu il freddo, ma non era il gelo dell’oceano quando ci si buttava in acqua nell’autunno inoltrato. Non gli penetrava nelle ossa. La muta riusciva a tenere a bada le temperature che avrebbero potuto ucciderlo in un istante.

In un certo senso non aveva freddo, ma riusciva a percepirlo tutto intorno a sé, all’esterno del grosso strato di neoprene. Se avesse oltrepassato la muta sarebbe morto. Era semplice.

L’unico suono che udiva era il suo stesso respiro, fragoroso nelle orecchie. Era rapido e poco profondo, e si concentrò per rallentarlo a approfondirlo. Gli ansimi superficiali erano uno dei primi sintomi del panico. Il panico faceva perdere la testa. In un luogo come quello, poteva far perdere la vita.

Rilassati.

Luke attivò il dispositivo cilindrico motorizzato e si lasciò trascinare con delicatezza.

Davanti a lui, il gruppo di sommozzatori avanzava. Il buio era illuminato dalle loro torce, che lanciavano ombre inquietanti. Luke quasi si aspettava che un gigantesco squalo, un megalodonte preistorico emergesse dall’oscurità attorno a loro.

Man mano che si allontanavano dal campo, si accorse che il mare si muoveva turbolento, e il grosso soffitto di ghiaccio sopra le loro teste ondeggiava e si increspava come la terraferma durante un violento terremoto. Lui ed Ed nuotavano fianco a fianco, viaggiando tra le forti correnti grazie ai dispositivi motorizzati tra le loro mani.

Luke si sentiva assediato. L’acqua stava facendo di tutto per ribaltarlo e spedirlo verso Ed, ma lui assecondava i flussi e continuava ad avanzare.

Lanciò uno sguardo al collega. Ed aveva una posizione perfetta, appena reclinato in avanti, la testa sollevata. Luke non riusciva a vedere il suo viso dietro il casco. L’effetto era alienante. Ed avrebbe potuto essere un impostore o una macchina.

Attraverso la radio del casco si udiva un mormorio. Lui riusciva a malapena a percepirlo, e non distingueva le parole. Il suo respiratore era molto più rumoroso della radio. Sarebbe stato difficile comunicare.

Si guardò indietro. Le luci che penetravano l’oscurità dall’alto stavano svanendo in lontananza. Si erano già lasciati il campo base alle spalle.

Entrò in una specie di trance. Controllò l’orologio. Aveva impostato il timer per la missione appena prima di buttarsi in acqua. Erano passati appena dieci minuti dall’inizio.

Oltrepassarono il bordo della lastra di ghiaccio e l’acqua sopra di loro divenne scura, quasi nera, punteggiata da blocchi di ghiaccio in movimento. Ormai c’era solo il buio, illuminato dalle loro torce, e dalle luci davanti a loro.

Stavano per raggiungere l’obiettivo. Stava succedendo molto più in fretta di quanto si fosse aspettato.

Calma… calma.

Superò un piccolo apparecchio, che brillava verde nell’oscurità. Era una scatola metallica, a forse dieci metri alla sua destra. Se avesse dovuto tirare a indovinare, avrebbe detto che era alta un metro per cinquanta centimetri di larghezza. Su un fianco c’erano controlli di vario tipo. Era abbastanza piccolo e lontano che quasi non lo notò.

Era un robot. Luke sapeva che si trattava di un veicolo sottomarino operato da remoto, chiamato anche ROV. Era legato a una grossa fune gialla che svaniva in lontananza verso nord e che doveva essere la sua fonte principale di energia. Probabilmente conteneva anche i cavi che lo controllavano, e attraverso i quali mandava dati… ma a chi?

Era dominata da un grande occhio rotondo, probabilmente la lente della telecamera.

Che nessuno altro l’avesse vista?

Cercò di girare nella sua direzione, ma le onde lo spinsero oltre la scatola prima che potesse raggiungerla. Ed si voltò per guardarlo. Luke tentò di indicargli il ROV, ma ormai era alle loro spalle, e la muta insieme all’equipaggiamento era troppo ingombrante.

Sarebbero dovuti tornare indietro, prendere quella cosa e quanto meno ispezionarla. Nessuno aveva detto niente a proposito di telecamere controllate da remoto in quella missione. Quella cosa stava mandando le loro immagini a qualcuno.

Avrebbero dovuto tagliare la fune.

Il mormorio nel suo casco divenne più rumoroso, ma Luke continuava a non capire le parole. Una alla volta, le torce davanti a lui si spensero, lasciando il gruppo nel buio più totale.

I primi soldati avevano raggiunto le coste.

Luke si guardò alle spalle un’ultima volta. Le luci del campo erano lontane, come stelle in un cielo notturno. Se qualcuno si fosse perso, avrebbe dovuto dirigersi verso quelle.

Il robot verde galleggiava, già lontano, e lo guardava. A quella distanza, si poteva prendere per mera bioluminescenza verde.

Alzò una mano per spegnere la torcia. Alla sua sinistra, anche quella di Ed svanì.

Fu a quel punto che iniziarono le grida.

* * *

Murphy odiava tutti.

Lo capiva, era furibondo e stava lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento. Era un mondo freddo e perverso, che non meritava altro che il suo disprezzo. Disprezzo e odio. L’odio lo guidava. Lo nutriva e lo sosteneva. Lo proteggeva dai pericoli.

Non poteva uccidere il militare imbecille che lo aveva cacciato dalla riunione e l’aveva deriso con lo sguardo. Era contro le regole. Sarebbe finito in galera. Ma poteva ammazzare il nemico.

Manovrò il piccolo battello fluviale della marina attraverso la tempesta. Non era un mezzo adatto alle acque artiche, ma gli sarebbe bastato per una missione kamikaze improvvisata.

Montava due grossi motori diesel con una potenza di 440 cavalli. Lo scafo era in alluminio, con un’armatura a piastre. Gli stabilizzatori erano in schiuma solida altamente resistente. Le onde ghiacciate erano enormi, e si abbattevano sulla prua. Lui pilotò l’imbarcazione in mezzo a blocchi di ghiaccio, e ogni volta che ne colpiva uno un rumore inquietante riecheggiava. Il vento gli ululava nelle orecchie.

Murphy era nella cabina di comando, dietro una parete rinforzata. Sulla prua erano state montati un lanciagranate verde militare e una grossa mitragliatrice calibro .50. Quel cannone avrebbe fatto a brandelli anche un veicolo corazzato, ma non aveva idea se avrebbe funzionato là fuori, dato il freddo e l'acqua salata che schizzava ovunque. Oltretutto quella non era una barca adatta a essere guidata da una persona sola. Sarebbe stato costretto ad abbandonare i comandi per usare le armi.

Le luci dell’imbarcazione erano spente. Murphy avanzava nell’oscurità più assoluta. Portava occhialetti per la visione notturna, ma il mondo verdastro che gli mostravano non era confortante. Onde mostruose, acqua nera e schiuma bianca contro un cielo buio. Correva alla cieca nella furia della tempesta.

Scivolò in fondo a un cavallone, atterrando sull’acqua come in una giostra. A volte capitava che una barca arrivasse alla base di un’onda e sprofondasse sotto l’acqua, per poi svanire per sempre. Lo sapeva, ma preferiva non pensarci.

“Swann!” gridò nell’oscurità. “Dove sono?”

Quella cosa era dotata di radar, ecoscandagli, GPS, radio nautica VHF, e una miriade di sensori e sistemi di elaborazione, ma Murphy riusciva a malapena a manovrare la barca, men che meno dare un senso alle informazioni che arrivavano. In teoria Swann lo stava seguendo da remoto, monitorando la sua distanza dalla piattaforma.

Una voce gli gracchiò nelle cuffie.

“Swann!”

“Vai a nord!” lo udì urlare. “Da nord a nordest. Le correnti ti stanno spingendo a sud.”

Murphy controllò la bussola. Faceva fatica a distinguerla. Girò il timone della barca lievemente verso sinistra, cercando di seguire il nord. Non aveva idea di dove stava andando. Avrebbe potuto avere qualcosa direttamente davanti a sé e ci si sarebbe schiantato contro senza nemmeno vederlo.

Non aveva un piano. Nessuno aveva idea del suo arrivo, nemmeno i suoi colleghi. Swann e Trudy erano gli unici a sapere che aveva preso la barca, che si era infilato un giubbotto antiproiettile e che aveva caricato l’imbarcazione di armi e munizioni. Erano gli unici a sapere dov’era. Neanche lui avrebbe saputo dirlo.

E quasi non gli importava.

Era vuoto, insensibile.

Era un mero mezzo di trasporto per la dexedrina e l’adrenalina.

Là fuori c’erano dei terroristi. Loro erano i cattivi e lui era il buono. Lui era il cowboy e loro erano gli indiani. Lui era il poliziotto e loro erano i ladri. Erano l’FBI e lui era John Dillinger. Erano Batman e lui era il Joker. Era Superman e loro erano… chiunque volessero.

Non aveva importanza chi fosse chi o cosa.

Erano gli avversari e lui gli avrebbe fatto ingoiare quell’intera barca. Se fosse sopravvissuto tanto meglio. Non gli importava di morire. Era così che si era sempre gettato negli scontri, uscendone tutto intero. Con la sicurezza più totale.

Non gli importava molto della vita, della sua né di chiunque altro.

Era morto dentro.

Solo nei momenti come quello si sentiva davvero vivo.

“E est!” gridò Swann. “Dritto verso est!”

Murphy voltò leggermente il timone verso destra.

“Quanto manca?”

“Un minuto!”

Uno strano brivido lo attraversò. Stava gelando. Diavolo, era praticamente un cubetto di ghiaccio. Anche in tuta, con un grosso parka, i guanti, un cappello e il viso coperto, stava morendo di freddo. Aveva gli abiti fradici. Stava tremando, forse per la temperatura o forse per la scarica di adrenalina.

Era in gioco. C’era quasi.

Proprio lì. Stava per arrivare.

Aumentò la potenza della barca e scrutò nell’oscurità. La tempesta imperversava intorno. Raddrizzò le gambe e strinse il timone mentre l’imbarcazione ondeggiava.

Ora riusciva a vedere le luci. E sentiva dei rumori.

Pop! Pop! Pop!

Erano spari.

“Rallenta!” gridò Swann. “Stai per raggiungere la piattaforma!”

Davanti a lui, apparvero all’improvviso dei lampioni accesi.

Stava avanzando in fretta. Troppo in fretta. Swann aveva ragione. La riva era PROPRIO LÌ.

Ma tanto la barca era progettata per atterrare sulle spiagge.

Non poteva più fermarsi. Lanciò il mezzo alla massima potenza e si preparò all’impatto.

* * *

Un cadavere galleggiava nell’acqua sopra la testa di Luke.

Lui lo fissò. Era un Navy SEAL completamente equipaggiato. Era stato colpito da un proiettile mentre cercava di uscire dall’acqua. Ondeggiava da una parte all’altra, roteando come un’alga nelle correnti agitate. Le sue braccia e le gambe si agitavano scompostamente, simili a spaghetti scotti.

Poi affondò verso di lui.

Il sangue fuoriusciva da diversi fori nel suo corpo e tingeva di rosso l’acqua intorno. Luke sapeva che non avrebbe continuato a sanguinare a lungo. Ora che la sua muta si era aperta e l’uomo era stato esposto al gelo, si sarebbe congelato in fretta.

Un’accecante luce bianca brillava sopra di loro. Un momento prima aveva visto scendere lampade klieg da terra, che avevano illuminato il mare. I lampioni avevano rivelato i SEAL e a quanto pareva nessuno di loro era riuscito a uscire dall’acqua.

Il loro piano aveva previsto che si sfilassero le mute, liberassero le armi dagli involucri stagni e avanzassero dopo essersi orientati. Ma il loro attacco a sorpresa era andato completamente a monte.

Il nemico non era affatto sorpreso. Erano proprio sopra di loro e stavano sparando nell’acqua.

Sapevano del loro arrivo. Avevano previsto l’attacco sottomarino. Un’immagine lampeggiò di nuovo nella mente di Luke: il robot con la telecamera che brillava verde nelle acque scure.

Era un’imboscata. Gli stavano sparando come pesci in un barile.

Luke, a venti metri dalla superficie, vide i proiettili penetrare nell’acqua gelida sopra la sua testa, e perdere velocità nel liquido.

Nelle sue cuffie qualcuno stava strillando.

Ed era ancora accanto a lui. Gli diede uno spintone. Il collega si voltò a guardarlo e Luke indicò alle loro spalle e verso il basso. Più a fondo. Dovevano ritirarsi e andare più a fondo. Da un momento all’altro i loro nemici si sarebbero accorti che i proiettili non raggiungevano gli obiettivi, e avrebbero iniziato a usare armi più pesanti e potenti.

“Ritirata!“ gridava la voce nel suo casco. Era la prima volta che Luke riusciva a sentire chiaramente una comunicazione. “Ritirata!”

* * *

La barca scivolò sull’isola avanzando sul terreno ghiacciato.

La decelerazione fu istantanea. Il rumore del metallo sulla roccia fu orrendo. Murphy si ritrovò gettato per aria come una bambola di pezza. Volò sopra la console di comando e fuori dalla cabina. Colpì i comandi con le gambe e finì capovolto.

Roteò su se stesso per atterrare sulla schiena sulla prua della barca. Sbatté la testa sulla pavimentazione d’alluminio. BONG. Gli presero subito a fischiare le orecchie. Campane tubolari. I suoi occhiali per la visione notturna finirono chissà dove.

Ansimò, cercando di riprendere fiato. L’impatto lo aveva lasciato senza respiro.

Non c’è tempo per questo.

Gemette, si alzò a forza e avanzò come Frankenstein verso la mitragliatrice.

Si fermò, studiando il campo di battaglia.

C’erano almeno venti uomini davanti a lui, vestiti di scuro e con maschere e cuffie contro il freddo. Enormi fari brillavano da supporti alti tre metri. Gli uomini in nero erano inginocchiati sotto la pioggia e sparavano nell’acqua, dove probabilmente si trovavano ancora i Navy SEAL.

Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3

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