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CAPITOLO OTTO

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Di già? Zero era sbalordito dalla velocità con cui era arrivato un attacco successivo: aveva chiaramente sottovalutato la gravità della situazione.

Ma fu ancora più scioccato quando Maria disse loro dove si era verificato.

“L'attacco è avvenuto in una piccola città nel Midwest”. Maria scrutò lo schermo del tablet, leggendo rapidamente le informazioni che arrivavano in tempo reale. “Un posto chiamato Springfield, nel Kansas, ottocento cinquantuno abitanti”.

“Kansas?” Ripeté Zero. Se erano arrivati fino in Kansas dopo aver attaccato all'Avana, ciò significava che… “Devono aver viaggiato in aereo”.

“Il che significa che è un attacco pianificato”, aggiunse Strickland. Il giovane agente si alzò all'improvviso, come se ci fosse qualcosa che potesse fare in quel momento. “Ma perché? Cosa potrebbe esserci di significativo in un piccolo paesino nel Kansas?”

“Non ne ho idea”, mormorò Maria. Poi si portò una mano alla bocca. “Dio mio”. Guardò nuovamente Zero, con gli occhi spalancati. “Si stava svolgendo una parata. Con i ragazzi del college, famiglie e … bambini”.

Zero fece un respiro profondo, cercando di mantenere distaccata la sua sensibilità di padre ed ex professore dal suo ruolo di agente. “Vittime?”

“Non è chiaro”, riferì Maria, fissando il tablet. “È appena successo. La prima chiamata di emergenza si è verificata ventitré minuti fa. Ma…” aggiunse, poi s'interruppe. Fece un respiro profondo. “I resoconti dei primi soccorritori stimano sedici morti sulla scena. Probabilmente sono anche di più”.

Strickland camminava lungo la breve sala riunioni come una tigre in attesa di essere liberata da una gabbia. “Non possiamo presumere che le vittime siano tutte dovute agli effetti dell'arma. Alcune potrebbero essere state causate dal panico”.

“Ma forse è proprio questo il punto”, mormorò Zero.

“Aspetta, ci stanno mandando un video”. Maria inclinò il tablet e i due agenti si avvicinarono per vederlo insieme a lei. Lei premette play e sullo schermo comparve l'inquadratura traballante di qualcuno che filmava con un telefono cellulare. Stavano riprendendo la strada principale di una piccola città; si potevano vedere chiaramente i marciapiedi stipati di persone e sedie su entrambi i lati del viale.

Da dietro l'angolo arrivò un gruppo di giovani in divisa bianca e verde: una banda in marcia, che avanzava al ritmo dei propri strumenti; la musica si avvicinava sempre di più, sovrastando il frastuono degli applausi e delle grida.

“Sono quasi arrivati, Ben!” disse allegramente una voce femminile, presumibilmente la voce della donna che stava filmando. “Sei pronto? Saluta Maddie!”

La telecamera si abbassò brevemente, mostrando un ragazzino che non avrebbe potuto avere più di cinque o sei anni con un enorme sorriso sul suo volto mentre salutava la banda in arrivo. Poi ritornò a inquadrare la strada, mostrando un gruppo di giovani in magliette verdi che seguivano la banda: una squadra di calcio che lanciava manciate di caramelle da enormi secchi.

Un nodo di terrore si formò nello stomaco di Zero, sapendo del disastro che stava per colpirli.

Tuttavia, la transizione non fu improvvisa. Al contrario, fu lenta e bizzarra e si sviluppò in vari secondi. Zero si avvicinò, apprensivo ma anche rapito.

Prima di tutto, la telecamera si abbassò leggermente e la donna che la azionava mormorò: “Qualcun altro lo sente? Che cos'è?”

Quasi allo stesso tempo, diversi membri della band smisero di suonare. La musica cessò progressivamente e venne sostituita dalle grida confuse delle persone.

Una tromba cadde per terra. Poi un corpo. I membri della banda incespicavano. Dietro di loro, caddero anche alcuni giovani in maglietta. La telecamera tremò terribilmente mentre la donna si muoveva ansiosamente guardando a destra e a sinistra, cercando l'origine del suono o forse cercando semplicemente di capire cosa stesse succedendo.

“Ben?” strillò. “Ben!”

Molte urla si levarono dalla folla in tumulto. Per alcuni secondi, Zero fu testimone del caos assoluto; gente che correva l'uno sopra l'altro, tenendosi la testa e lo stomaco e cadendo rovinosamente. Poi il telefono cadde in strada e lo schermo diventò nero.

“Gesù”, mormorò Strickland.

Zero si strofinò il mento mentre si allontanava dal tavolo. In parte aveva ragione; era vero che un singolo fucile d'assalto avrebbe fatto più danni, ma questo, una forza invisibile, un'arma nascosta, nessun assalitore in vista, era decisamente straziante. Aveva semplicemente spazzato la strada come una brezza lenta, colpendo centinaia di persone in pochi secondi. Se un video del genere venisse diffuso…

“Questo video è pubblico?” chiese.

“Spero di no”, disse Maria, pensando chiaramente ciò che pensava lui. “Veniva dal dipartimento di polizia di Springfield, che è …” Consultò di nuovo il tablet. “Composto solamente da cinque ufficiali. Noi facciamo ciò che possiamo, ma dubito che riusciranno a tenerlo nascosto”.

“Se questo video viene divulgato, la gente andrà nel panico”, osservò Strickland.

“Esatto”, concordò Zero mentre elaborava una teoria ad alta voce. “All'Avana, hanno colpito un distretto turistico affollato. In Kansas una parata popolare. Aree popolate, apparentemente a caso. Forse stanno provando a dimostrare che la loro arma è solo un catalizzatore e che la folla farà molti più danni da sola”.

“Quindi potrebbe essere un messaggio, dopo tutto”, concluse Strickland mentre camminava per la sala conferenze.

Era l'unica ipotesi che sembrava aver senso in quel momento; un attacco a una città così piccola non poteva che essere un tentativo di far apparire i propri bersagli come casuali per seminare panico e confusione. “Ma se fosse così, cosa accadrebbe se arrivassero a New York City? O a Washington, DC?”

Strickland smise immediatamente di camminare. “In poche parole, ci stanno minacciando. Ci stanno dicendo che il loro prossimo attacco potrebbe essere ovunque. In qualsiasi momento”.

“Finora le autorità locali non sanno dare una spiegazione a ciò che è successo”, annunciò Maria. “Sembra che nessun altro oltre a noi stia collegando l'accaduto all'attacco all'Avana, per ora”.

“Ma non appena lo faranno”, aggiunse Zero, “nessuno si sentirà al sicuro”. Già immaginava lo scenario in cui una semplice passeggiata lungo una strada trafficata potesse concludersi con un attacco ad ultrasuoni. Senza sapere cosa stesse succedendo, da dove venisse o come fare per fermarlo.

Era un pensiero terrificante.

Il tablet di Maria squillò all'improvviso. Zero riuscì a scorgere una chiamata in arrivo sul server crittografato della CIA, ma sul display si leggeva esclusivamente la scritta “SICURO”.

Maria fece un sospiro e rispose. Era una videochiamata; improvvisamente apparve una donna bruna vestita elegantemente, solenne come una statua.

“Vicedirettore”, disse la donna.

“Signorina Halpern”.

Zero non riconobbe il volto della donna, ma conosceva il nome; Tabitha Halpern era il capo di stato maggiore della Casa Bianca sotto il presidente Rutledge. E conosceva abbastanza bene lo sfondo dietro di lei. Era seduta nella Stanza delle Decisioni, un posto in cui si era trovato molte volte prima di allora.

“Qui con me c'è il presidente”, disse Halpern. “Vorrebbe dirle alcune cose”. Poi ruotò lo schermo fino ad inquadrare Jonathan Rutledge, seduto a capotavola. Indossava una camicia bianca con le maniche raccolte fino ai gomiti, una cravatta blu annodata al collo e un'espressione stanca sul viso.

“Signor presidente”. Disse Maria. “Mi dispiace che si debba trovare in quella stanza per due volte in un giorno”.

“Quindi ha sentito?” Disse Rutledge, saltando le formalità.

“Sì, signore. Proprio ora”.

“È lui l'uomo dietro di lei? Vorrei parlargli”.

Zero non si era reso conto di essere parzialmente inquadrato dalla fotocamera e se avesse saputo che avrebbe fatto una videoconferenza con il Presidente, avrebbe indossato qualcosa di più elegante di una maglietta e una giacca leggera. Maria gli passò il tablet e lui lo tenne di fronte a sé.

“Quindi sei tu l'uomo che chiamano Zero”, disse semplicemente Rutledge.

“Sì, signore, signor Presidente”, rispose lui con un cenno brusco. “È un peccato doverci incontrare in queste circostanze”.

“Già”. Rutledge si massaggiò il mento. C'era qualcosa in lui che sembrava… beh, a Zero sembrava non proprio presidenziale. Sembrava perso. Sembrava un uomo spaesato. “Hai visto il video dell'attacco, agente?”

“Si, signore. Proprio ora. È terribile a dir poco, ma è la prima parola che mi viene in mente”.

“Terribile. Già”. Il Presidente annuì con sguardo perso e lontano. “Ha figli, agente Zero?”

Era una domanda strana, soprattutto se posta a un agente segreto la cui identità doveva essere riservata, ciò nonostante Zero gli disse: “Sì. Due figlie”.

“Anch’io. Di quattordici e sedici anni”. Rutledge appoggiò i gomiti sul tavolo e guardò Zero negli occhi, per quanto possibile attraverso una fotocamera. “Ho bisogno che trovi queste persone. Che trovi quest'arma. Che metta fine a tutto questo. Per favore. Non può accadere di nuovo”.

Anche in circostanze normali, e non era certo questo il caso, Zero non avrebbe mai potuto rifiutare un ordine del Presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, non aveva bisogno che Rutledge lo implorasse di affrontare l'operazione. Da quando Maria aveva annunciato un attacco al suolo americano aveva capito che non avrebbe potuto sottrarsi all'incarico. Era scritto nel suo DNA; se avesse potuto fare qualcosa al riguardo, l'avrebbe fatto.

“Lo farò”. Poi diede un'occhiata a Strickland e si corresse. “Lo faremo, signore”.

“Bene. E dì a Johansson di mettere tutte le risorse possibili a tua disposizione”.

Zero si accigliò; era una strana affermazione, probabilmente destinata più a Maria che a lui.

“Buon lavoro”, disse Rutledge, e concluse bruscamente la videochiamata.

Zero restituì il tablet a Maria, che immediatamente controllò gli aggiornamenti in arrivo dal Kansas.

Strickland sospirò. “C'è solo un problema. L'Avana ora è un vicolo cieco, e se possono viaggiare così velocemente come hanno fatto, probabilmente non ci sarà nulla in Kansas. Abbiamo ancora meno tra le mani rispetto a prima”.

“Questo non è del tutto vero”. Disse Maria alzando gli occhi dal tablet. “Un testimone oculare a Springfield, un uomo anziano, ha riferito di aver superato una donna per strada pochi istanti prima dell'attacco: una donna bianca con dei capelli rosso vivo. Proprio come a Cuba. E quest'uomo afferma di averla sentita parlare russo in una radio”.

“In russo?” Ripeté Zero. Non avrebbe dovuto sorprendersene, dopo tutto quello che era successo nell'ultimo anno e mezzo. Ma le trame precedenti avevano coinvolto cabale segrete, enormi somme di denaro, persone potenti. Questa volta non sembrava esserci niente di simile, e non riusciva ad immaginare alcuna ragione per quell'attacco ad eccezione di una sorta di desiderio di vendetta.

“Anche così”, sottolineò Strickland, “sapere di una ragazza russa con i capelli rossi non restringe di molto il campo d'azione”.

“Hai ragione”. Maria tirò fuori il cellulare. “Ma qualcos'altro può aiutarci”. Premette un pulsante e poi disse al telefono: “Sto scendendo. Ho bisogno dell’OMNI”.

“Che cos'è l’OMNI?” Chiese Strickland precedendo Zero.

“È … complicato”, disse Maria in modo criptico. “Vi faccio vedere”. Si alzò dalla sedia, portando con sé il tablet mentre si dirigeva verso la porta.

Zero sapeva che “scendere” probabilmente significava andare al laboratorio di Bixby, il braccio sotterraneo di ricerca e sviluppo dell'Agenzia Centrale di Intelligence. Erano già in un piano sotterraneo e l'eccentrico ingegnere era l'unico a trovarsi sotto di loro, almeno per quanto ne sapeva Zero.

Ormai sapeva anche che non sarebbe tornato a casa, non avrebbe cenato con le sue ragazze. Una volta usciti nel corridoio vuoto, disse: “Aspettate. Posso fare una chiamata?”

Maria esitò, ma annuì. “Va bene. Ma fai in fretta. Ci vediamo agli ascensori”. Entrambi si diressero verso il corridoio mentre Zero tirava fuori il suo cellulare, insieme alla piccola tessera bianca che gli aveva dato Strickland.

Stava per far partire la chiamata, ma all'ultimo cambiò idea e aprì l'applicazione per effettuare videochiamate, tenendo il telefono dritto davanti a sé e inquadrando il proprio viso.

Il telefono squillò una sola volta prima che Maya rispondesse. Il suo volto era pieno di preoccupazione, e da ciò che riusciva a scorgere dietro di lei, si trovava in cucina. “Papà?”

“Maya. È successo qualcosa”.

“Lo so”, disse lei triste. “Ho seguito le notizie da quando sei uscito”.

“È già sulle notizie?”

“C'è un video”, rispose lei. “Fatto da qualcuno che era lì”.

Zero fece una smorfia. Se il video fosse già trapelato, non ci sarebbe stato modo di nasconderlo. A questo punto con ogni probabilità si trovava già sui social media, il che significava che in pochi minuti sarebbe stato virale, condiviso mille volte su milioni di schermi.

E a giudicare dall'espressione di Maya, lei l'aveva trovato spaventoso quanto lui. E se così fosse, avrebbe capito che non aveva altra scelta.

“Papà, che diavolo era?” chiese lei.

“Non posso dirlo”, le disse, cercando di essere il più vago possibile. “Dobbiamo trovare le persone responsabili di tutto questo. Il che significa che ho bisogno che tu faccia qualcosa per me… e per tua sorella”.

“Certo”, disse immediatamente. “Qualsiasi cosa”.

“Grazie. Ma prima… puoi chiamarmi Sara?”

“Un attimo”. Lo schermo si mosse e Maya passò il telefono alla sorella; un attimo dopo, Sara lo guardava attraverso il piccolo schermo, con uno sguardo piatto e la voce rotta. “Non torni a casa, vero?”

“Sara. Sai che non vorrei essere da nessun’altra parte se non a casa con te…”

“Papà”, lo interruppe lei, “non devi parlarmi come se fossi una bambina”.

“Per favore”, implorò lui, “lasciami finire. Devo dirti delle cose e non ho molto tempo”. Prese fiato e raccolse i suoi pensieri. “Non vorrei essere da nessun'altra parte se non a casa con te e non vorrei che tu stessi da nessun'altra parte se non a casa con me. Ma hai ragione; non sei più una bambina. Non posso trattarti come se lo fossi. Sappiamo entrambi che hai bisogno di più di quello che io posso offrirti”.

Sara capì immediatamente cosa stesse suggerendo. “Non voglio andare in uno di quei posti. Non sono per le persone come me”.

Sono proprio per persone come te, pensò, ma non lo disse per evitare che il discorso evolvesse in un litigio. “Questo lo è”, le disse. “È un bel posto, a Virginia Beach. Me lo ha consigliato Strickland. Anche lui ha passato un po' di tempo lì in passato. Tu ti fidi di lui, non è vero?”

Sara rimase in silenzio. Zero sapeva la risposta, ma ammettere che si fidava di lui significava cedere alla sua proposta. “Io voglio stare con te”, disse Sara. “Sto molto meglio. Non ho bisogno della riabilitazione”.

Assassino Zero

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