Читать книгу Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno. - Domenico Petrilli - Страница 7

Оглавление

L’idea che mi propongo è portare alla luce, in quanto sottesa ad ogni discorso sulla materia ,e quindi connotante la materialità, ma anche il procedimento di elaborazione razionale ,che potrebbe essere considerato specchio o riflesso della diversificazione della materia ,o molteplicità esteriore, portare alla luce l’importanza e la necessità della distinzione, quale reale possibilità di estrinsecazione della realtà, quale diversificazione, ed inoltre per quanto possibile ricostruire le modalità con cui essa opera ,sia esternamente ,come diversificazione della materia, e quindi oggettivamente e fisicamente ,sia come molteplicità di sensazioni, che confluiscono a determinare il senso interno ,originando la attività razionale ,che si esplica attraverso la molteplicità delle idee ,costituenti in una dinamica circolare il riflesso e la conseguenza della percezione del dato materiale, a cui deve essere attribuita la sua importanza ,senza scadere nella pura e semplicistica esaltazione del materialismo meccanicistico. Preciso che distinguere potrebbe significare dividere il tinguere, secondo leggi di significazione, ovvero dividere metaforicamente il colore, e ciò ha un aspetto distruttivo ed onnipotente dei quali si è parlato. La scissione tra la percezione del dato materiale e la genesi della idea costituiscono il contatto da cui deriva la opposizione tra trascendenza materialistica e trascendenza metafisica. La prima caratterizza e fissa il fluire e il contatto che è il punto determinante tale oscillazione dello spirito tra materia e psiche ,mentre la seconda potrebbe assurgere a denominazione di logica non sillogistica, e non materialistica. La definizione non sillogistica serve a sottolineare la necessità del distacco da qualsiasi legame materiale onde individuarla . La distinzione trova conferma nella definizione materiale ,e nella volontà ,che l’istinto di conservazione pone, ossia nella volontà desiderativa dell’oggetto, ed ancora una volta aspetti distruttivi ed onnipotenti. L’istinto di conservazione pone la separazione di quella parte che viene individuata nell’esistenza dell’Io dalla totalità esterna ,ma separandosi dalla totalità esterna si pone esso stesso come totalità, più o meno marcata, dalla volontà di affermazione o potenza che contraddistingue soggettivamente il flusso che va dal senso interno all’appropriazione- conoscenza dell’esterno, ponendosi paradossalmente come una sintesi in cui da un lato la molteplicità si acquieta in un ideale , tranne gli aspetti nutritivi e sessuali, e come insegna Freud anche quelli, e da cui dall’altro sgorga da quella fonte che è l’Io la molteplicità idealistica o delle idee che si scinde in fantastica e obiettiva, caratteristiche queste ultime che vanno a connotare la soggettività, e la personalità del soggetto che incontriamo. Dalla scissione che porta alla formazione dell’Io, attraverso la separazione dall’esterno ,che l’istinto di conservazione stesso pone ,deriva la percezione della coscienza come specchio di tale separazione, la scissione hegeliana nel senso della dialettica del materialismo dialettico. La coscienza forse non si strutturerebbe se non vi fosse tale separazione per lo meno ideale tra essere e non essere , tra tutto e parte ,in quanto è attraverso il non essere che si pone l’essere, e attraverso la parte che si ha la percezione del tutto, finitamente e finalisticamente. L’istinto di conservazione ponendo la separazione tra l’Io che l’istinto medesimo afferma, e lo spazio ideale esterno, pone l’Io stesso come totalità ideale cui l’Io stesso aspira come ideale, attraverso lo sviluppo della coscienza ,che si narcisizza nella proiezione io sono io ,che è il punto per lo affermarsi della volontà di potenza, che si esplica nell’operato della libido ,che caratterizza il prorompimento e la penetrazione dell’esterno. Vi è molto del concetto della sanità del patologico a livello del mentale. Ed è questa la ragione per cui l’istinto di conservazione confluisce a realizzare la affermazione con la libido, in quanto i prorompimenti di questa ultima che vanno a caratterizzare tutte le pulsioni, ma in particolare la pulsione sessuale ,sono una conseguenza e il completamento della volontà di affermazione di tale istinto ,che attraverso il processo appropriativo libidico, pone la sua affermazione ,che deriva come un riflesso dalla appropriazione ,ossia dalla demarcazione-opposizione io-spazio esterno, la cui conseguenza è l’autoerotismo dell’istinto di conservazione ,che gode di sé proprio in tale separazione che gli rimanda la sua esistenza, come scisso. Tale procedimento di scissione determina la infelicità della coscienza hegeliana, scissa in un rapporto servo- padrone soggetto-oggetto, il cui superamento è la coscienza universale ,che mira senza riuscirci

a superare le scissioni ,che la distinzione radica nella innata e necessaria scissione tra io e lo spazio esterno ,

da cui deriva la scissione che determina e struttura la percezione ,con l’apporto della sensibilità. La coscienza infelice deriva anche dalla constatazione della impossibilità di superamento nella fusione logica della totalità delle caratteristiche come del concetto che determinano la possibilità di fusione, ovvero la sintesi e la dialettica attraverso la determinabilità dei termini ,che si oppongono comunque prima di fondersi. Da tale incontro con lo spazio ideale esterno ,e con la non necessità- contingenza della materia a seconda della soggettività del soggetto si esplicano due atteggiamenti contraddittori, contraddittori ed altamente soggettivi ,che possiamo enucleare come voglia di annullamento e voglia di dipendenza dall’altro. Dalla voglia di dipendenza deriva l’influenzamento che l’altro esercita nello sviluppo del nostro io, nelle sue modalità e centralità appropriative dello spazio esterno, nostro e non solo, e voglia di dipendenza che connota e legittima una situazione di potere nei confronti del soggetto da cui si dipende, ovvero si potrebbe parlare di forme del rispecchiamento, interiorizzazioni e successive tendenze anche sociali, le dialettiche del potere e della dipendenza. Una caratteristica dell’Io è la sua plasmabilità, in assonanza alla sua capacità di comprensione o presunta comprensione, posto che una comprensione quando anche presunta ,implica per lo meno la coscienza della possibilità di non fallibilità. La modificazione dell’Io rispetto alla posizione posta da una comprensione presunta rivelatasi errata determina un conflitto con l’Io ,da cui consegue una instabilità ,che rallenta e rafforza , in opposto e contemporaneamente a livello intero-soggettivo, la sintesi posta dall’Io penso ,che governa lo stato di coscienza. Una situazione di dipendenza implica un divario tra il soggetto che dipende, e il soggetto che esercita il potere, anche in virtù di un dialogo linguistico incentrato sulla capacità di comprensione dell’esterno, e dell’interno, come anche entrambi, includendo nella qualifica e nell’aggettivo sostantivizzato interno ,anche l’altro, inteso come sintesi di molteplicità ideale, difficilmente carpibile ,in quanto non esprimentesi in dinamica figurativa, o non solo in essa ,e tale è la posizione sadica dell’analista fermo restando la dialettica sadica e forse reattiva dell’analizzando, e tale ancora tutto il teorema sulla identificazione al luogo, psichico, ideale anche come formativo e conformativo il carattere, analisi. Paradossalmente la possibilità dell’ annullamento proprio della posizione di dipendenza è esplicita nella psiche del soggetto, ed è derivante dalla innata suzione, e mercè la morte, anche come fuga, come resistenza. La dipendenza stante la attuale cognizione, e la modalità di conservazione del soggetto, che è di materia postula la materia stessa unita alla forza appropriativa che ci determina alla ingestione di tale materia attraverso la assunzione di cibo, e perdura nella esplorazione ponendo un interrogativo sul ruolo della cura del curante come colui che ci autorizza ad una esplorazione che non è esplorazione ma dipendenza, ovvero è totalmente differente dalla capacità di ritrovare la rotta senza bussola, significazioni e critiche. La dipendenza del saggio, quella materiale, è intimamente connessa alla sola soddisfazione di bisogni materiali di vita ,e quindi detto esplicitamente ciò per quanto riguarda la materia, ovvero è distacco e fuga dalla dipendenza materiale fermo restando la dipendenza assoluta che è vita ma nella Legge, e con ciò riprendo Lacan anche a proposito del significante. Tale discorso tende ad escludere finora il sentimento del bello. E’ il sentimento del bello che struttura perdizione e morale allo stesso tempo. Ma se il bello come giustamente definito è soggettivo ,la morale finisce per diventare altrettanto soggettiva, e la oggettività deriva dalla condivisione del mos che implica relazioni io - l’altro che strutturano l’ulteriore dipendenza del soggetto da colui che sa. L’ignoranza che caratterizza lo stato dell’uomo secondo Kierkegaard prima che egli peccasse, e dunque prima dell’incontro del tempo con l’eternità ,è altrettanto caratterizzato dalla perdizione, che insidia la possibilità di vita. E’ la possibilità per Kierkegaard che ci schiude la infinità ,o la sua vista, che è un proseguimento dell’eternità. Il sentimento del bello dunque infinitizza la esistenza, dando impulso alla sua ricerca al pari del brutto secondo la logica della soggettività del bello, e si dischiude dunque al pari del bello e del bene la possibilità del male e della perdizione, trascendenza trascendente o ascesi nel primo caso e materialistica nel secondo in cui la perdizione indica l’essere legato alla terra , il dionisiaco, e alla sua vicenda secondo Nietzsche. Con la classificazione sentimento del bello ,che va al di là della fisicità per contestualizzarsi in simbiosi con la bellezza fisica ,che si esplica in forma e colore, anche il bello espresso dalla virtù, che sostanzializza l’etica, che come precisato è una elaborazione e sostanzializzazione di quella espressione interna dell’anima, che sgorga dal sentimento prodotto da relazione e contatto , anche il bello del virtuoso culmina promuovendolo e sollecitandolo ( in ciò trovano completamento le mie teorie sulla importanza della libido, che prescinderebbe dai connotati sessuali che assume materialmente) nella elaborazione razionale, da cui deriva il parto della idea, appropriazione ed estroiezione in relazione alla nutrizione .

L’idea del parto implica una scissione, e una separazione dall’idea, che sostanzializza ciò che Platone

chiamò Iper- Uranio, di cui il soggetto può anche appropriarsi ed anche per immedesimazione, e ciò indica una possibilità, ed è ciò che è poi sintetizzato nella reminiscenza che implica il ricordo sia di ciò che si è creato sia di ciò che si è udito o visto. La simbologia dell’inconscio poi racchiude la probabilità di espressione linguistica nel senso palesato dalla geometria ,come una forma delle forme ,e dunque visiva, in condizioni non esclusivamente materiali, e non parlo di genetica del linguaggio come concetto ma come rappresentazione. Di qui il mio riferirmi in un senso che esula dalla materialità quale figurativa per concentrarsi in una qualifica ideale e ideativa che determina ,da un lato ,la confutazione aristotelica alla vista , quale organo materiale ,della qualifica di organo dell’intelletto (affermazione aristotelica che sicuramente Platone non condivideva) e la fondazione della geometria, come connotante anche il procedimento di elaborazione pura, in quanto prescindente dalla materialità, e dunque in un senso comunque greco. Il sorgere del concetto della quantità deriva dalla percezione esterna ,e tattile, spazio esterno- io , ovvero deriva dall’essere l’io una parte o unità, conseguenza dello stimolo e della sua azione, ma tale ultima affermazione è confutabile, e in ciò sta il carattere del suo carattere innato. Legata alla quantità è la categoria della relazione, che Hegel traduce attribuendole una connotazione matematica in rapporto con la proporzione. Ma la categoria acquisisce con ciò le caratteristiche della fisicità ,decentrando una considerazione ideale dell’idealismo hegeliano, seppur dal materialismo stesso lo spirito hegeliano parte, secondo un ottica condivisa. Quella del rapporto è l’unica categoria hegeliana che rivela la considerazione che Hegel attribuisce allo spazio esterno, e tranne le appropriazioni eventuali dell’Ich bin Ich, sostenute però da Schelling e riprese da Marx e dalla dialettica del materialismo, ed è l’unica categoria possibile in una logica assonante alle sue teorizzazioni sulla fusione degli opposti, o logica degli opposti, sempre marxista, applicate usualmente e esclusivamente alla sua logica, che diviene a-logica per il suo essere il contesto della totalità ideale e materiale, ovvero per essere il contesto di x e non x, secondo uno spirito, ovvero un modo di vedere, per la cui esenzione della follia, risulta ancora una volta dialettico, come Jung indovinava ed applicate quindi alle sue statuizioni sull’apparire sia pur oggettivo della soggettività da lui scissa nel conflitto- dipendenza- relazione- diluizione coscienza-autocoscienza, l’interno- oggetto e il materialismo dialettico in psicoanalisi. La categoria della relazione invece scelta da Kant appare più assonante al presunto carattere innato di tale concetto della rappresentazione ideale. Di tutte va detto che fra tutte la categoria della esistenza è la primordiale ,e differente da tutte, in quanto è quella che pone attraverso l’istinto di conservazione l’Io andando con ciò oltre la filosofia consueta. Sembra dunque che invece le categorie della quantità e della relazione derivino dal contatto, in un senso non idealistico, ma tale contatto vi è comunque, ed il rapporto è sempre una relazione di termini, ovvero si può presumere che con il rapporto Hegel dicesse altro. La relazione potrebbe interpretarsi come quel flusso che pone in contatto sia la molteplicità ideale scissa da Hegel ,la relazione come categoria che non si occupa della funzione ma della struttura, ovvero molteplicità ideale pluralizzata da Freud e Jung con il concetto di plurideterminismo, e sia la fenomenologia dell’operare fisico inteso come caratteristico sia della presenza di una materia che opera ,o è plasmata , e sia le modalità operative strutturali e funzionali con cui la materia si diversifica che sembrerebbero rientrare nella esatta costruzione classificatoria hegeliana di rapporto, in un senso non puro, ovvero puro se si guarda al materialismo dialettico e demarcandone e sottolineandone con ciò la forte composizione numerica, in un senso matematico e dunque puro , ovvero kantiano, ovvero nell’esplicitarsi della quantità visto che la materia diversificandosi in piccola e grande, pone una quantità numerica , o spaziale, di misurazione, da cui deriva equilibrio e conflitto, e quindi di nuovo la stessa terminologia rapporto. Di qui la necessità dell’assoggettamento della fisica alla matematica, che è connaturale alla capacità di esplicitare la filosofia, visto che il linguaggio esprime un rapporto dei termini ,da cui ne deriva la significatività. Donde a ragione si potrebbe considerare che il linguaggio sia una potenzialità significativa, al pari della rappresentazione della cosa che muovendosi comunica e trasmette sensazioni tattili , uditivi, sensoriali che prescindono dal contatto tattile e sensorio stesso, ovvero che si basano sul sentimento di cui tali sensazioni rappresentano l’evoluzione di una tipologia primordiale sentimentale i cui attributi si esplicitano nel campo presumibilmente tattile, olfattivo e uditivo, ma non visivo, ovvero visivo per via di relazione e parliamo di tipologia primordiale sentimentale. Sembra quasi che l’esercizio della vista prescinda dalle qualità sensibili , ovvero nel senso di porsi differentemente ,essendo la rappresentazione delle deformazioni prodotte dalla materia ,ma non solo sugli organi di percezione. Di qui la importanza di esami accurati dell’esplicitarsi delle visioni nei sogni, la cui esistenza

dimostra prima di tutto la necessità della loro derivazione non dalla materia, ovvero per lo meno una autonomia ed il fatto che la vista possa prescindere dalla visuale della materia per concentrarsi in una prospettiva ideale che non esclude una possibilità di comunicazione sia pure interno- esterno che esce da canoni, basandosi sulla impressione che il contatto non solo con la materia genera, aprendo la prospettiva ad una analisi più accurata del procedimento di elaborazione razionale cui annettiamo l’esistenza dell’inconscio, ovvero la vista pone una ricostruzione associativa basata sul concetto di contingenza temporale (spazio intercorrente tra un ricordo ed un altro) e dunque, spaziale. Quest’ultimo concetto è fisico e quindi organico e noi ci azzardiamo a proporlo con la sollecitazione a studiare le reali possibilità di estrinsecazione del cervello ,visto che stante la sua esistenza deve necessariamente esprimersi in una organicità che ha le sue dinamiche ,che ne attengono la essenza occulta. La psicofisica fechneriana rappresenta una giusta intuizione. Il lettore mi scuserà per i rinvii ma sono necessari stante la necessità etica di muoversi per essere giusti creatori di idee condivise in un ottica di rispetto per ciò che è stato scritto, sebbene la commistione delle mie affermazioni e affermazioni di altri autori presenti il rischio di presentare il mio pensiero come una derivazione. Che sia una derivazione da qualcosa è fuori dubbio ,ma che porti la necessità che presuntuosamente mi attribuisco di rivedere talune posizioni per migliorare, oltre che il progresso filosofico, anche quello scientifico ,nella sua scissione in fisico e psicologico ,inteso, tale ultimo, come interno al Sé che io richiamo solo indirettamente per occuparmi di ulteriori aspetti , riguarda questioni relative a tali termini di classificazione e indagine in altri luoghi. La equiparazione della geometria alla forma, e quindi la logica della grandezza e della relazione tra grandezze ,e non solo, implica una attribuzione di tale facoltà anche alla ragione e quindi critico Kant per aver ristretto il ruolo della ragione al solo imperativo categorico, seppure rettamente vi fa rientrare il sublime, anche come grandezza, ma bisogna dire che la sua analisi o meglio la sua sintesi fu strutturale e non funzionale, ovvero che l’inizio della psicologia si ha con il passaggio dallo strutturale al funzionale, ovvero dalla grandezza della forma alla sua piccolezza, anche importante in quanto ci si può perdere in piccolezze, ed ancora per aver ristretto la collocazione delle categorie al solo intelletto declassificando e depauperando la ragione nelle dialettiche dello scetticismo, in quanto il contatto tra ragione e intelletto è necessario ,e la razionalità pura che Kant ha ricercato risiede nella ragione e nell’intelletto, secondo un continuum non esaminato, e forse non desiderato, ovvero avendo di mira prima di tutto Legge e Comandamento a livello della ragione, e dunque l’irrazionalità ripresa e secondo Kierkegaard che la esaminò nella disperazione. Ammetto comunque tale scissione con ciò postulando la necessità della scissione della attività organica che opera nella generazione della idea, in un ottica che non è funzionale, ma strutturale , ovvero che non considera l’idea oggetto ma la struttura ed ha di mira l’armonizzarsi e combaciare di premessa e conseguenza si ma con ciò determinando la associazione che si determina nella pluralità ideale, la quale potrebbe essere rappresentata analogamente alla categoria di contatto, che esprime la coincidenza spaziale, che quindi determina la necessaria posizione, anche come conseguenza dei tessuti organici ,che presiedono a tale suddivisione del procedimento di elaborazione razionale, e questa è anche essa realtà, come dimostra la medicina già ai tempi di Lurjia e Pavlov. La scissione o distinzione è necessaria non solo alla esplicitazione figurativa, in quanto poggiante sul colore che differenzia interno ed esterno. Analisi del colore sulla vista e sue conseguenze, ossia rapporto tra visibile oggettivo e visibile soggettivo del quale ultimo un esempio si esplica nei sogni , le tracce mnesiche e il loro ruolo a prescindere dalla materia. E’ una derivazione della visione della materia la visione che configura in termini la visione ideale dei sogni o la vista può prescindere dalla materia? Lo schiudersi di questa domanda dovrebbe portarci successivamente ad una analisi delle modalità comunicative dell’inconscio sul conscio, visto che ,secondo gli studi e le tesi ,l’inconscio si esprime nella simbologia, che Jung racchiude in quanto appassionato di genetica nella simbologia collettiva, abbracciando presumibilmente e a differenza di Freud una visione non solo genetica , ovvero neuro-organica dell’inconscio. Se le immagini che l’inconscio sintetizza in simboli rappresentano una derivazione della simbologia di un inconscio collettivo lo stesso risiederebbe al nostro esterno, ovvero sarebbero trasmesse, ma dovrebbero avere una sede non trasmissiva e su cui la trasmissione genetica poggia, nonostante la modalità comunicativa genetica di tale atavico inconscio, che riaffiorerebbe in forma conscia attraverso le associazioni elaborative del pensiero ,che si esercita attraverso il procedimento di elaborazione razionale. Questo è il pensiero di Jung genetico ma anche soprannaturale, come i suoi studi sul paranormale esibiscono e mostrano. E dovremmo parlare anche ed in tal caso di impressione materiale della storia perché questo è il principio su cui si basa la genetica ,il cui sviluppo è legato alla

necessità di approfondire gli aspetti biologici e materiali.e Focault, proseguendo e spezzando, ed anche non, diceva che la classificazione serviva per soddisfare la voglia acquisitiva dello scienziato. Al contrario io affermo che la classificazione è lo specchio della capacità diversificativa della materia , e di nuovo rispecchiamenti e tendenze, unitamente ad una sua divisione rispetto a noi che potrebbe andare al di là della nostra capacità percettiva. L’importanza della divisione come ostacolo alla percezione della cosa in sé di cui cogliamo con gli studi un aspetto prescindendo dal rapporto di elementi la cui scissione attraverso apparecchiature ci diviene visibile, è ribadita ed uno studio approfondito meriterebbe lo studio della parte liquida del cervello. Che l’idea, in corrispondenza a ciò che Jung ed anche Freud che era un organicista ritenevano, si imprime nella materia, ed è ciò che avviene forse a livello organico, altrimenti si deve parlare dell’organico quale funzionale, o strutturale- funzionale, è ovviamente una idea generalmente ammessa come dimostrano le applicazioni compiuteristiche le quali esulano dalla possibilità di un mondo costituito dalla intelligenza artificiale perché non penetrano nel rapporto biologico tra tessuto ed assenza di tessuto. Il pensiero prescinde dal mio punto di vista dalla organicità della strutturazione cerebrale, aderendo a ciò che Jung tacitamente pensava, ma potrebbe pur sempre paradossalmente come in una prigione, socraticamente, lasciar segni , ricevendone una impressione la materia. Il cervello dimostra che la materia lascia un incipit, un incedere come avviene quando poggiamo il dito sulla sabbia ed è la stessa idea di Freud sulla memoria. Analizzo ora la contraddizione che deriva dall’avvicinamento a Dio attraverso il sublime offerto dalla natura la cui capacità o abilità a permetterci di cogliere Dio deriverebbe invece per Kant presumibilmente dal sentimento del bello assoluto, se non si tenesse conto dei riferimenti alla grandezza che implicherebbero una modifica non avvenuta alle tavole della Ragion pura, ovvero una modifica del ruolo dell’intelletto, e ciò in quanto le categorie sono anche geometrico- matematiche, e seppure la ragione sia pura al pari di spazio e tempo, senza la mediazione delle categorie non coglieremmo l’assolutezza del sublime, ovvero non percepiremmo la sua mostruosità-irrazionalità , e si tratta di una armonia che necessariamente ci deve portare ad un ruolo spaziale della ragione, ovvero alla analisi hegeliana. La prima impressione che deriva dalla imago Dei è quella della grandezza del Dio, e della piccolezza dell’uomo, che evoca la stessa percezione che pone la percezione dell’infante rispetto a qualunque spazio esterno da lui non percepibile e percepibile, e dunque la sintesi materialismo-idealismo e dialettica si pone in tal caso differentemente ,ossia idealisticamente. Da ciò si evince il carattere innato delle qualità geometriche ,ed in primis della grandezza, intesa come spazio interno ed esterno, ovvero intesa come riferimento ed anche interno come luogo delle possibilità ideative e ideatorie. Si coglie Dio nel sublime in conseguenza della relazione innata piccolo e grande, ovvero unità e poi quantità, ovvero in intellectu percepiendi. Con ciò tendo a teorizzare il carattere innato di più relazioni che compongono la categoria della relazione, e la relazione è l’ubi e il qui et ora hegeliano la cui migliore evoluzione è quella dell’atomismo, e relazioni tutte innate a differenza della quantità che poggia sulla differenziazione - molteplicità e quindi sulla potenza del numero matematico a livello primordiale e innato. Tornando a Freud e Jung ritengo con Freud che l’inconscio debba ricevere una sistemazione organica ad opera degli studi scientifici. Tornando all’esame della categoria piccolo-grande, individuata da Aristotele nella metafisica, come anche l’altra ovviamente importante uno e molti (questa ultima attiene maggiormente alla fisica, e alla distinzione con cui si figura la diversificazione della materia) si pongono due grandezze una definita dall’essere in una linea che determina l’involgere di una forma nella forma che rappresenta la geometria della materia permessa da colore e vuoto, ovvero non essere come non essere anche della grandezza( pensa alla distanza che si pone tra terre dello stesso colore attraverso la demarcazione di un burrone), l’altra indefinita ma non perciò invisibile, che determina lo sviluppo di ulteriori qualità sensistiche ,che prescindono dalla qualità sensistica della vista, presupponendosi così il partire della conoscenza cui tale invisibilità indefinita non invisibile appartiene anche come percezione da un incognita il cui strutturarsi dà adito alla congettura della dicotomia intuita dai greci tra essere e nulla o non essere, e dunque creazione. La grandezza della incognita struttura il nulla, istigando alla sua nullificazione che la penetrazione fa sua con il prorompimento che implica una lesione violenta dello spazio, oppure una appropriazione, una ingurgitazione, una distruzione: lo stesso implica dunque la ingestione di cibo e acqua che importa la distruzione dello spazio che si è prorotto e che opera in assonanza all’istinto di conservazione. Ci si chiede se la qualifica di forza spetti alla libido, o all’istinto di conservazione. Ritengo che essa spetti in maggior grado alla libido, nelle sue connotazioni energetiche junghiane, trovandosi l’istinto di conservazione in una situazione parassitaria rispetto cui si deve pensare alla esatta definizione di fuga e attacco, perché anche l’attacco è eros ovvero libido,

ovvero è il carattere erotico del proprio sé linearmente adiacente all’autoerotismo e dunque alla perversione, compreso il sadismo, la sublimazione. Importante la comprensione inconscia delle modalità comunicative dell’istinto di conservazione, che si esprimono necessariamente, nella dialettica essere o nulla ,visto che l’istinto ha due poli che sono vita, nutrizione, e non attacco, cui si aspira nell’istinto, e morte, la cui rappresentazione e percezione è formativo dell’attacco- fuga come distanza ed avvicinamento. Ciò dovrebbe portare ad una ratifica di Freud sulla legittimità esistenziale della pulsione di morte. Esse non promanerebbero solo dall’Io nella figura prospettica e opposta del non Io anche come oggetto, ma dall’istinto di conservazione, ovvero anche dalla parte inconscia ed essendo l’Io soprattutto conservazione, ovvero invadendo la stessa così i due settori dell’attività neuronale ,conscio ( di qui lo sbaglio in quanto l’inconscio ci dà una percezione vaga) e inconscio, di cui non abbiamo una pienamente cosciente elaborazione, e cosi via con tutto il trauma del lutto e della sua elaborazione a partire dalla soggettività della struttura della pulsione di morte. Ciò porta alla qualifica e conseguentemente, passando ad altro, al carattere dell’inconscio come non cosciente, e irrazionale, ma non in toto, e ciò struttura l’importanza dell’insight, e spiega l’utilizzo da parte di Freud dell’ipnosi, che essendo equiparata al sogno riguarda la eliminazione del conscio ovvero inconscio anche come luogo del trauma- ristrutturazione, ovvero attraverso il transfert, ed insufficienza della ipnosi per svariate ragione. Sembra che l’ipnosi determini uno slegamento ,e un rallentamento del pensiero ,che determina da un lato la non coscienza ,e il suo fondarsi sulle suggestioni, quelle anteriori e quelle dell’ordine successivamente eseguito, mentre per il resto e la suggestionabilità bisogna fare riferimento a Pavlov e al condizionamento, suggestionabilità e condizionamento che risulta essere agevole per l’adatto al riflesso condizionato, ovvero per colui su cui il condizionamento agisce e dunque anche la suggestione. Ritorniamo alla dialettica tra essere e niente, titolo dell’opera di Sartre, le cui tesi sono interessanti e per me giuste. Ossia lo strutturarsi sensistico presuppone il nulla ,a livello di elaborazione delle sensazioni, da cui in virtù dell’esplicarsi del nulla potremmo prescindere costituendoci nella dinamica dell’Io penso che si esplica attraverso la conservazione perpetrata dall’identità io sono io rispetto cui si pone la dinamica del non Io, ovvero Io che si scinde dallo spazio esterno, nullificandolo ,e nella possibilità di nullificazione si basa il prescindere che dà corpo all’ irrazionale, che determina la stasi trascendentale, e la materialistica, di predominio, tale ultima, della sensazione e della sua centralità, che ci consente la possibilità di interpretazione ,attraverso lo svolgersi del costituirsi a centrale la elaborazione, ovvero la attivazione dell’Io e di colui che per l’io lavora, servo-padrone , condeterminando la stasi materialistica nel tempo ovvero la possibilità di estroversione-edonismo. Ma la stasi materialistica che determina la interpretazione e decodificazione della materia in modalità linguistica, e rappresentativa , trascendente ,o meglio figurativa , materialistico- trascendente, rimanda al simbolo inconscio. Ci si potrebbe chiedere dove si struttura la capacità di stasi, se nel conscio o nell’inconscio, o se in entrambi. Questa ultima probabilità pone il problema tra lo strutturarsi della stasi inconscia ,rispetto alla conscia. Con ciò il concetto di stasi prescinde dalla categoria di esistenza, e presuppone un equilibrio fisso che prescinde dal movimento-vita, in cui l’equilibrio è mobile e va ricercato, il principio di costanza come ritorno alla quiete e attivazione dell’Io conservativa. Nel movimento si radica la possibilità della cosa in sé di rendersi impenetrabile, sempre che il movimento esista ,ovvero comunque esiste in noi. Ricevono una più compiuta analisi le categorie di equilibrio e movimento che hanno una strutturazione cui dovremmo con presunzione attribuire la qualità di funzioni delle sostanze. Se mai il problema è se siano sostanze, in quanto se si dovesse optare per una classificazione che si ponesse all’interno di una tesi che miri a legittimare l’idea della derivazione dalla materia e la dipendenza della nostra esistenza da un Dio esse dovrebbero assurgere alla denominazione di attributi o modi di esistenza. Tali modi ,la stasi e il movimento sono apparentemente tra loro opposti. Ciò non esclude la possibilità dell’instaurarsi della stasi nel movimento, altrimenti non si avrebbe godimento né tantomeno memoria, e questa è parte di una apparenza di opposizione in senso hegeliano, dunque dialettico, in cui il concetto del movimento e del tempo conduce ad una immutabilità necessaria del tempo in cui il movimento è esplicabile. Alle posizioni di stasi e movimento corrispondono all’interno del flusso da cui scaturisce il movimento e la molteplicità ideale, gli istinti di conservazione e la libido di cui l’aggressività è una componente degenerativa della volontà di prorompimento e appropriazione, che partecipa anche agli istinti meccanici ,anche se conservatori, di fame e sete ,che derivano ,come da una necessità imposta all’uomo, necessità che lo rende autore della distruzione e della nullificazione dell’oggetto che ingerisce anche in forma di attacco e difesa. Si potrebbero valutare da tale visuale le pulsioni di morte ,come una degenerazione dell’istinto di aggressività, che è degenerazione o specificazione della libido, data nel godimento della distruzione-omicidio e dipendenza da esso, e che potrebbe darsi derivi dalla volontà di nullificazione dell’identità io sono io espressa in volontà dell’amore dettato dalla proiezione sensibile, proiezione in quanto ideativa o rappresentativa e non percettiva, e che implica nel complesso un flusso tra soggetto e oggetto, tra soggetto e spazio esterno, che deve essere colto se si vogliono intendere le affermazioni hegeliane sulla coscienza universale. Ovvero siamo sia sul piano in tale ultimo caso della distruzione dell’edonismo assoluto dell’oggetto attraverso la distruzione di sé sia su quello del distacco dal reale nell’amore ideatorio e contemplativo della proiezione organica e mentale dell’oggetto dentro di sé, in tal caso ulteriore piacere e ritorno al reale o divorazione. Riprendendo quanto detto poco più sopra dal discorso su fatto si evince l’importanza sensistica che determina la genesi aprioristica della matematica e della geometria, come innata alla attività cerebrale, in quanto insita nella contrapposizione piccolo-grande, o meglio, piccolo incognita esterna ,che solidifica, a partire dalla quantità ovvero dal suo grado, ovvero dalla qualità e da cui associazionisticamente (processo primario a livello emotivo) deriva la categoria di rapporto. Esplicito poi anche a proposito dell’auspicio di una migliore comprensione dell’importanza sensistica del tatto in relazione agli atteggiamenti di chiusura e schiusura dell’essere rispetto all’ente ,che concretizzano e danno corpo al Dasein hedeggeriano, ovvero il dialogo tonico e la esplorazione. La nullificazione delle corrispondenti intensità delle sensazioni ,e conseguenti percezioni ,non determinerebbe stando alla nostra tesi il cessare della identità io sono io, e quindi della percezione di esistenza. Esprimiamo a livello ideale ciò, correlando il discorso alle affermazioni fatte in relazione alla tesi sulla spazialità della idea ,desumendo che la esistenza promana dalla identificazione dell’io con se stesso, e non vi è migliore espressione conservativa a prescindere dalla consapevolezza che si abbia di ciò. Tale coincidenza consente la stasi, che è racchiusa nella idea che conferisce ad essa senza dubbio la qualifica di Uno scisso ,di cui sia Platone ,ma in particolare Parmenide intuirono il carattere. L’uno è qualifica dell’essere o dell’idea? Implica divisibilità o indivisibilità e quale il suo rapportarsi allo 0 di lui minore o parte? Si rifletta. Il fatto che percepiamo qualcosa grande indipendentemente dalla vista si spiega in base alla innatezza della derivazione di materia e spirito da qualcosa di grande ,ossia l’Architettura, ovvero la Creazione, di un Dio che può essere anche il Niente, essendo il Creatore del Tutto o il legittimato all’uso del Niente. Niente che coincide nelle evidenti diversità come anche niente ed assenza di percezione ,o sensazione, determinativo la atarassia, come dimostrano anche i riflessi Pavlov e stante la vicinanza di sonno coincidente con la soppressione degli organi di senso, e assenza di movimento ed ancora con annessa aponia , la quale è derivante dalla scissione determinata o divenuta costituiva tra Io e spazio esterno o disinvestimento inteso anche come cosa che presiede al condizionamento e alla sua struttura. Ma se permane la coincidenza dell’Io il niente diviene compatibile alla stasi nella esistenza, ipotesi ,queste ambigue ,ma matematicamente rappresentabili nel flusso dello zero. L’unità dunque rappresentata dall’Uno non implica necessariamente stasi, ma la necessaria riduzione di presenza di parti , con rispetto al due che implica un flusso di diversa velocità ed esplicazione, la cui armonia realizza l’apparenza della stasi. L’importanza della parvenza con le stimolazioni scettiche che il principio comporta ,la cui derivazione espressa in termini sensistici e soggettivi è l’illusione , deriva e risiede nella impossibilità di determinare il movimento ,da cui la parvenza si struttura in impenetrabilità , o reale, che dà corpo alla tesi di non possibilità di comprensione della cosa in sé kantiana. Il niente evoca la stasi ,al pari di atarassia e aponia, il concetto di morte epicureo. L’importanza della stasi si evince anche nelle qualifiche aristoteliche di motore immobile, ma le stesse parlano di altro , ovvero della origine del movimento, e penso siano anche applicate a differenza delle parti aristoteliche sul geocentrismo. Ma se la stasi ,e la assenza di percezione coincidono, come raggiungiamo la coscienza della stasi? Si evince che necessaria alla esistenza è l’identità dell’io con se stesso e che la costituzione attuale dello stato da definirsi cosciente è strutturata sulla percezione, che a sua volta è una conseguenza del prorompimento caratteristico della libido nello spazio esterno. Bisognerebbe studiare quanta coscienza si esplichi nel prorompimento libidico, e nella conflittualità-armonia io e spazio esterno, ovvero nella sua distruzione-contemplazione, e quanta ne derivi dalla percezione di se stesso riflesso(il che implica il processo degenerativo della ragione che incontra con ciò attraverso il prorompimento libidico uno scopo, che potremmo paragonare al soddisfacimento libidico, che si esplica, invece , a livello materiale. Si potrebbe ritenere che il procedimento di elaborazione razionale goda della scissione io -spazio esterno ed interno- esterno che consente la applicazione e il prolungamento della identità io sono io nello spazio. Ovvero noi percepiamo quella stasi dell’io con se stesso attraverso il movimento, ovvero attraverso altre ipotesi che non esplicito, e il movimento è dato dal desiderio ovvero dalla conservazione che nello stesso tempo fa essere quella unità indifferente una come descrisse HegeL). Vi sono due modalità costitutive della coscienza. La prima è data dalla coscienza che si esprime nella identità io sono io ,che permette di ipotizzare la possibilità di stasi ,che dovrebbe racchiudersi nella unità della idea di sé che è pur sempre in oppositum una idea che ne legittima altre, una idea, continuando, che quindi dovrebbe essere semplice ,ossia una unità. Bisognerebbe leggere a fondo scritti di Platone e le sue lezioni visto il suo considerare sia l’Uno sia la Diade. La molteplicità corrisponde alla diade. La semplicità della idea è poi paradossale. E’ la semplicità a determinare unità e stasi. Si postula che il nulla sia in opposizione alla forma con ciò sottolineando che già la definizione implica un concetto di forma e la forma contiene anche la assenza di forma per lo meno dialetticamente, pena il vigere della follia ovvero la presenza di una perdizione. L’assenza di forma sembra, e dico sembra, contraddistinguere l’inconscio la cui assenza di forma è una conseguenza del raggiungimento nel maggior grado di attività dell’inconscio, ovvero della assenza di temporalità che si determina in virtù della impetuosità della pulsione o delle pulsioni che determina una velocità che neutralizza la percezione, e dunque è una assenza di forma funzionale e non strutturale, e non antagonista all’essere dell’organo, e neutralizza tale assenza di tempo la percezione del conscio considerato o lo scarso tempo di contatto o la bassa intensità della sensazione, fino a giungere al concetto puro della percezione della morte propria dei poli esistenza- inesistenza, ed ovviamente quella della velocità è una delle dinamiche di a-temporalità. Questa capacità del togliere e dare la forma a sé stesso come alla materia postula la ideazione, e legittima meritando dovuti approfondimenti il rapportarsi dell’essere al nulla a livello di un ideativo che diviene il percorso della azione e del suo essere, ovvero del suo essere anche un disimpasto e a livello di un materiale che differentemente incide come struttura del niente, ovvero da qui la necessità di ideazione e movimento. Cos’è il nulla? Ultimo la mia considerazione sul niente o nulla rimandando ad una lettura di Sartre con l’Essere e il Nulla e ad un testo di Italo Valent da lui redatto sulla dinamica della follia. L’uno esplicita la sua interpretazione delle codificazioni interiori al concetto di Nulla, in chiave sensistica e fisica, l’altro riporta la ricerca nell’ottica delle pulsioni di morte di Freud, e quindi in chiave idealistica e psichiatrica. Se si pone come inizio il principio di forma ed assenza di forma ,ossia essere e nulla , vi devono essere pulsioni che spingono lo spirito alla assenza di forma, e tali sono le pulsioni di morte, cui si oppone l’istinto di conservazione che dà inizio alla attività cosciente. Le pulsioni di morte hanno dunque un contatto rispetto alla legittimità del loro essere con l’inconscio, maggiore dell’istinto di conservazione e della conservazione, tranne per il nulla racchiuso nella stasi identitaria, e fattore quello di pulsioni di vita-istinto di conservazione e pulsioni di morte che scinde la demarcazione tra conscio e inconscio che esso pone. In altre parole l’istinto di conservazione si basa sulla unione delle pulsioni dell’Io ,rappresentate da quella identità, che ne legittima la esistenza con una pulsione aggressiva, il cui indice di intensità della aggressività è relativo e si affida e sfrutta per il soddisfacimento i prorompimenti della libido, ovvero un aspetto della socialità quello della soddisfazione al pari della trasformazione libidica omosessuale in pulsione sociale. Le pulsione dell’Io che rientrano in questo schema includono le pulsioni di morte ,che sono originarie, attenendo alla opposizione forma-non forma, e che racchiudono una pulsione aggressiva masochista, che si differenzia dal sadismo visto la posizione cosciente del sadico che ama l’esibizionismo della schiavizzazione ,equivalente al potere, ovvero ciò fa parte anche dell’ideatorio quale dialettica del servo e del padrone, ovvero sadomasochistica, mentre l’emotivo ci porta ad altre strutture. Tale situazione che descrive lo status quo del sadico ci rimanda ad una costituzione cosciente, per quanto originaria, in quanto risalente a quella identità che postula la coscienza, dato che nel prorompimento il cui sviluppo logico è la sottomissione all’oggetto nutritivo e meno, si denota e ne deriva la scarsa legittimazione del potere ,che implica la sottomissione del o di più soggetti alla altrui personalità cosciente, o meno, fino al concetto di distruzione di sé che non è masochismo ma sadismo ovvero la distruzione della identificazione con sè che può tradursi anche nella follia-dissociazione del sadico. La psichiatria deriva il suo natale, e in ciò sta il suo derivare dalla filosofia ,dall’opposizione tra interno e esterno. E tale opposizione, che scinde lo spazio dal senso interno che trova la sua spazialità nella materia , e che è già manifestatamente idealista, innesta l’assurgere della psichiatria a scienza dell’interno ,in opposizione alla fisica ,come esprimente le determinazioni spaziali. Le fluttuazioni delle indagini psichiatriche e il proliferare di tesi che assurgono a ipotesi sulle caratteristiche strutturali della sensazione derivano da una volontà di unificare i campi, ma la percezione della materia è soggettiva, e la oggettività deriva dalla condivisione, ovvero pur sempre è soggettiva, ed ancora oggettività per quanto anche organica, ovvero comune alla materia. E’ in tale settore , ovvero quello esplicitato sopra l’ultimo paragrafo, che si sviluppa un etica morale e la dinamica dell’influenzamento in opposizione al volere del nulla quale risultante ed espressione del risultato del nulla del sadico. La morale è innata solo se non è esterna alla identità io sono io. Si noti la mia critica, e non il criticare Kant, critica all’imperativo categorico per giungere a Platone, ovvero la mia adesione ad altro come il misticismo ,e se non fosse altro che Kant l’a-priori lo pose, e poi lo negò con la antinomia e con la struttura della ragione e il suo ruolo, e con la conseguente impossibilità del trascendente, ovvero sulla assenza di soluzione della antinomia a livello morale, perché di quello si parla anche se ci si esprime a proposito del fisico, ovvero ciò può essere visto come il bivio della ragione e il terreno della ragione stessa, ed in tal caso non sarebbe affatto una critica, ma se l’intelletto è puro deve avere un ruolo nella purezza della ragione, ovvero nel terreno della deduzione che pone in modo differente la induzione, e ciò in senso popperiano, osservazioni e logica. La prefigurazione di un giudizio delle Sacre Scritture porta ad una contestazione di Kant sia pure siano accettabili le sue tesi sullo svolgimento istituzionale della classe organizzata a clero ,e sulla utilità delle cerimonie. L’imperativo categorico non è innato, ovvero puro, ovvero non è determinato, seppure si possa fare riferimento alla sintesi pura, ma la migliore prefigurazione della retta azione è quella di Kierkegaard, seppure si possa accettare molto del parziale idealismo kantiano, comprese antinomie che antinomie non sono, ma sono possibilità dell’ esistente,e meno ,ed è per tale via che si torna all’intelletto come sede delle categorie ed anche ad Aristotele, il cui ruolo strutturale e il cui ruolo di Kant che comunque aveva buona vista riguarda altro. Ovvero una cosa non può essere e non essere allo stesso tempo, ovvero può non essere qui ed essere altrove ,e può non essere adesso ed essere dopo, ed in tale esaltazione dello spazio della possibilità propria di Hegel ma anche di Heidegger ,quale con- determinismo, tale ultimo, non materiale, la antinomia non ha senso, anche se può avere senso lo scetticismo, e con ciò la inconoscibilità, e tale ultima non è una antinomia altrimenti si cadrebbe nel pensare di sapere, e, fermo restando la legittimità teologica della ignoranza, la colpa ricade anche sulla intenzione, e sulla inescusabilità della ignoranza, teologicamente. Ma forse pure Kant alludeva riprendendo Socrate ad un presunto legame di virtù e conoscenza e con ciò siamo già altrove, ovvero al perché affidarsi al sentimento non ha senso per via del desiderativo, e codesto è uno sbaglio affermativo, e se il desiderio nel sogno si traveste ogni processo desiderativo è fatto di travestimenti e dunque con ciò sia il desiderio del bene che del male, precisando che il travestimento fa parte dell’inganno del male, in barba al vizio della superbia e precisando che il travestimento attraverso il desiderio del bene fa parte del peccato, ovvero della teologia del peccato. Siamo così arrivati a Platone e alla teoria dell’Iper- Uranio che implica una scissione tra l’io che è esistenza nella identità, e l’idea ,che comunque implica una primigenia idea del sé, e le idee. Ovvero forse la collocazione della idea ,per quanto opera, è esterna a chi l’ha pensata ed in quanto comprendente verità e illusione di verità, e la verità non è nostra fino a giungere alla delucidazione del so di non sapere, la quale celatamente è la umiltà del vero saggio. Secondo un punto di vista teoretico, lo stesso implica una presunzione di possibilità della stasi ,ovvero la idea si separa dalla identità io sono io, il che implica la considerazione di attribuzione di indipendenza a quel mondo da Platone definito super uranio, e tale separazione della idea è la stasi nel senso di non essere e essere della idea allo stesso tempo, ovvero del suo non essere soggettiva ed essere oggettiva e per quanto soggettiva nella emozione nel far parte della categoria dell’interno- esterno del pensante cui l’idea pertiene. Successivamente forse riprenderò la questione. Riprendendo e partendo dalle considerazioni di Italo Valent per una più esatta comprensione delle dinamiche culturali che sottostanno alla patologia derivante dall’esplicitarsi di ciò che racchiude il concetto storico di follia, unitamente alla percezione storica nei suoi confronti, sviluppata da parte di coloro che entrarono in contatto con persone assoggettate a tale forma di pensiero (considero insomma la pazzia una diversa forma sintetica, ovvero nel vero senso del termine dialogico) ricollego il testo al testo interessantissimo di Focault la Storia della Follia in alcuni punti medico e biologico, che spiegano tanto della angolazione del punto di vista nazista sulla follia al pari del concetto di inutilità, e ciò in quanto si danno colpe ad altri rispetto a colpe già avvenute dato che nei manicomi venivano rinchiusi come pazzi anche i mendicanti e trattavasi di un circo dove le belle signore si intrattenevano pagando come narrato da Erasmo da Rotterdam nella eresia di Elogio della Follia, il quale in realtà è una condanna. La distinzione ,su fatta, tra l’atteggiamento di annullamento e l’atteggiamento di dipendenza deve essere presa in considerazione nella esplicitazione della tipologia psicologica dei soggetti con cui veniamo in contatto, ma anche in merito all’atteggiamento di dipendenza e annullamento delle funzioni junghiane, un samsara. L’atteggiamento di annullamento dovrebbe in ulteriore analisi caratterizzare il tipo introvertito di Jung, mentre quello di dipendenza il tipo estrovertito. Nel primo caso si struttura la trascendenza che è una derivazione della astrazione, ovvero una sua direzione insita nel carattere e nell’ambiente e emergente anche nella dialettica frustrazione-onnipotenza e dilazione della onnipotenza della nutrizione, ovvero della situazione che si crea, e dell’Edipo, il peso del voler essere il Padre che ci abbandona al regno dell’ideale-ideativo, come adorazione e come distruzione, come sacro e profano o blasfemo, come Totem e come Tabù, nel secondo si struttura l’imprigionamento dell’io nella materialità della percezione sensoriale ,non solo materiale, ma anche sentimentale, e tale coacervo incastra, e da esso deriva la volontà di ripetere le percezioni che poi sono gli atteggiamenti che derivano dalla volontà di determinazione alla percezione del dato materiale, per cui la unica coscienza o ideazione deriva dal raggiungimento del desiderio di riassaporare l’oggetto, e la incapacità del bambino di controllare il rantolo, la incapacità ad esplorare, che è anche una ossessione considerata la possibilità della trama possono derivare da tale rapporto con la oggettualità. Il tipo introvertito è invece indipendente ma solo, il tipo estrovertito è dipendente e solo ma in quanto la solitudine deriva dalla soggettività e da quella scissione io-spazio ideale esterno che radica e rende innata la distinzione e la differenziazione desiderativa, ovvero quello spazio che l’estrovertito desidera e che l’introverso trascende, fino al concetto della collocazione del ritiro traumatico e del suicidio in esso , nel ritiro cui fa da contrappeso la attrazione del reale, la resistenza particolare dell’introverso e non dell’estroverso, giovandosi maggiormente nell’introverso una ricostruzione identitaria nel senso lacaniano e dunque anche desiderativo, la parte rifiuta parte del desiderio di sé quale godimento, che dovrebbe essere analizzata . La dipendenza dell’introvertito, comunque, al pari del saggio e non del folle deriva dalla necessità della assunzione di cibo, ovvero dalla adorazione del Totem, dal Sacro, dalla contemplazione, di una Madre che bisogna contemplare con il contrappeso dell’opposto a livello caratteriale, ovvero l’incesto, feno- ambientazione, e ciò nella considerazione del ruolo della follia a livello biblico, diametralmente opposto alla costruzione orientale della follia, come stadio, quella abbracciata da Nietzsche, e forse anche dai maledetti. In questa radicale distinzione –opposizione della soggettività si radica il male, ovvero due differenti modi di intendere il reale che danno luogo ad un conflitto sia soggettivo che sociale. In mezzo vi è la situazione che connota la soggettività sana , e sottolineo sana la cui sanità è data dalla constatazione che siamo in relazione o contatto con la apparente passività della materia, e con l’apparente movimento del soggetto , principi di unità nel soggetto, ed in quanto come avevano individuato gli scettici il movimento e la stasi sono difficilmente percepibili , ovvero sono il gioco della follia nel tempo e nella assenza di tempo, ma anche del sano, ovvero ancora movimento e stasi non enucleabili necessitandosi una situazione dualistica di riferimento, in realtà per quanto affermo nel finale neppure quella, ed in cui comunque la pluralità dei punti eventuali di riferimento, la disintegrazione , sembra occultare la capacità o lo stato di movimento, o di stasi del soggetto-oggetto, tranne, riprendendo, che a livello della dualità della idea che permane e della idea che muta di Bergson, e della dualità del concetto di evoluzione del prima e del dopo, i quali potrebbero essere anche illusioni in caso di una aprioristica determinazione e determinismo, ovvero l’essere oggetto di un oggetto statico che muove solo le lancette, scetticismo e contestazione ma anche sanità soggettiva e non collettiva,in una assenza di temporalità che non è ricerca blasfema di tale assenza, e ciò mentre mi interrogo, in conclusione, sui paradigmi della tartaruga ed Achille, ovvero sulla possibile illusione del prima e del poi e sulla soggettività kantiana del movimento, ossia del tempo e tale vuole essere solo una analisi critica che si muove tra la fisica e i caratteri temporali o meglio a-temporali della follia, oltre ed unitamente al fatto che si potrebbe dare del folle ad un altro essendo se stessi folli senza saperlo. La stasi e il movimento sono occultati dalla molteplicità dei punti di riferimento, ma eventualmente la assenza di percezione della stasi e del movimento derivano dalla deficienza della nostra percezione, in ogni caso annullata dalla stasi stessa, il racchiudimento in se stessi, senza luogo tranne il prima e il dopo, e sempre che si debba precisare che il dopo deve essere una schiusura, ovvero ancora derivano dall’essere della percezione stessa kantianamente, e pensate con ciò al discorso su un tempo soggettivo e su un tempo assoluto, dove collochiamo il tempo soggettivamente, ovvero ciò dà valore fondante al realismo delle affermazioni kantiane sulla esistenza della cosa in sé la cui caratteristica è la impenetrabilità, e con ciò senza riferirmi al tempo. La sostanza di un corpo non è impenetrabile , da una angolazione , ma la sua impenetrabilità deriva dalla incapacità di percepire l’interno dell’oggetto, e forse anche l’esterno, da tale punto di vista. In ciò come detto gioca un ruolo centrale il movimento, il tempo, ma la stessa comunque

deriva dalla opposizione io- spazio esterno ed addirittura come spazio interno-esterno. Trattasi di una distinzione non solo materialistica ma idealistica come dimostra l’inconscio, ovvero tutta la parte da scartare da sé e da non volere. Ciò nonostante vi sono qualità occulte che paralizzano la penetrabilità esaustiva delle caratteristiche essenziali, e dunque connotanti l’essenza o essere dei corpi in questione. Degli oggetti penetriamo aspetti evidenti che derivano e sono in relazione in primo luogo con la intensità della sensazione, che struttura la elettricità dei corpi. La possibilità di una attività razionale pura, che dal mio punto di vista determina e struttura la distinzione tra elaborazione ed elaborazione nel suo più alto grado, in un mondo in cui regna distinzione e materia non è con ciò esclusa e ad essa si riconnettono le tesi sulla spazialità delle idee, e il dato inconfutabile della incorporeità di Dio ,accennato sopra, e ciò è teologico, ossia riguarda la idea di Dio, ma è anche platonico. Ma anche la possibilità di attività razionale pura poggia sulla distinzione ed è data nel movimento coscienza ed autocoscienza che deriva dal potere immedesimativo e appropriativo della coscienza, e della autocoscienza, anche su loro stesse, come dimostra Hegel, ed in virtù della quale tesi l’idea diventa un prolungamento non separato ma in perenne contatto con l’organicità della psiche, l’idea diviene il parto della idea, la maieutica che è anche un dipartire, un allontanarsi, uno svilupparsi, un amarla, un narciso autoerotico. E con ciò si evince che sono per un prima e dopo, per un alfa ed un omega, per un linguaggio, ovvero per la vita, che comunque potrebbe permanere a non essere movimento. La scissione coscienza ed autocoscienza il cui prolungamento e appagamento come desiderio appropriativo è rappresentato dall’Ideale dell’io ,che determina la barra della costituzione del censore morale, un aspetto della barra al desiderio, si innesta proprio sulla base della molteplicità che deriva dalla opposizione coscienza - autocoscienza il cui reciproco rapportarsi hanno contribuito a determinare le tesi hegeliane sulla fusione o logica degli opposti, fusione perché tesi ed antitesi si fondono nella sintesi , si congiungono, procreano nel rispetto della barra del desiderio che si sostanzia nella Legge, che è molto altro ancora nei giochi di significante e significazione, un modo per raggiungere l’appagamento del desiderio nella contingenza materiale, mentre è diretto in senso materialistico (il censore morale) a dirigere la gestione dell’assorbimento del piacere, il controllo, e ciò dimostra la esistenza di una struttura dualistica da cui la molteplicità delle idee in questo caso deriva, ossia le ossessioni di Kierkegaard se elevate a potenza trovano collocazione e spiegano le fobie e i riti degli ossessivi . Il rapporto idea ,coscienza, e sentimento, implicano rapporti convergenti che non contestano la autonomia dei nomi quali espressione dei dati,ovvero meglio dei fenomeni presi in considerazione ,e che strutturano attraverso lo strutturare del binomio piacere-dolore, conformemente all’adattamento che è soggettivo, i fenomeni relativi sia all’operare conscio che inconscio del procedimento di elaborazione razionale. L’inconscio nel raggiungimento del piacere sfrutta anche l’illusione prodotta da una sensazione materialistica nella situazione di induzione in essa della attività cerebrale. L’induzione deve essere presa in considerazione rispetto al configurarsi e all’operare della rimozione. La materia ostacola dunque la affermazione e lo svolgimento di tale attività razionale pura che deve essere rinviata al tempo della vita dopo la morte, e che noi analizziamo senza possibilità di rilevare contraddizione nella tesi della spazialità delle idee che rimandano a concezioni platoniche e socratiche nella modalità di concepire il rapporto dualistico materia e spirito e che nascondono forti propensioni psichiatriche. Si ricordino le affermazioni sul corpo inteso come una prigione dell’anima che ritornano nella elaborazione del mito delle caverne e della morte del cigno platonici. Da altro punto di vista sembra che la dualità contraddistingua e connoti la esistenza nel senso che la coscienza pone la dualità nel contatto ,e nella relazione. Il rapporto percettivo è sempre duale, e forse addirittura plurimo come insegnano Leibnitz, Russell e Sartre come il meccanismo di induzione nella sensazione materialistica che esclude le altre, ovvero specificando ora questo secondo una meccanica che può dirigere anche il rivolgimento della vista come insegna Sartre con il principio di ricerca di qualcosa e di esclusione del differente dal ricercato mentre la induzione cerebrale ovvero la fissazione nella percezione della materia, od anche quel desiderio racchiuso nella traccia mnesica, eventualmente, escludono il resto, per godimento, per apprendere l’oggetto e tale esclusione svela il potere limitativo della fissazione, anche dell’ossessivo, l’ingorgo, in modo simile a quanto avviene utilmente nell’uso dei sensi, limitando alla materia della percezione o per lo meno alla idea della materia della percezione, il conflitto materialismo-trascendenza, il quale è pericolosissimo, la catatonia. Ma anche l’origine della molteplicità ideale sembra derivare dalla scissione coscienza e autocoscienza che infinitizza l’ideale infinitizzando idealisticamente lo spazio materiale, ovvero non essendo altro nel senso del suo poter essere, non essendo altro che la coscienza di sé ovvero la autocoscienza un’ideale, al pari del percetto

la cui rappresentazione per quanto racchiusa dalla soggettività in un illusione o parvenza di oggettività ha come effetto l’assurgere a centralità della soggettività nella elaborazione razionale della percezione ,che all’opposto esprime una realità, la cui caratteristica è l’impenetrabilità sostanziale. Nè percepiamo l’essenza attraverso l’individuazione ,rispondente al vero o ipotetica delle qualità, ma la sostanza ossia la somma che riduce ad unità la molteplicità delle qualità è impenetrabile ed incognita derivando il suo assurgere a tale stato dal costituirsi ad incognita di un gran numero di qualità la cui individuazione non pregiudicherebbe ancora la impenetrabilità della sostanza il cui risultato è la presunzione che si avvicina a conoscenza che ne abbiamo dal costituirsi e relazionarsi delle qualità che la rappresentano. Questa è la logica della apparenza ma anche l’essere rappresentazione della rappresentazione, che rimanda in ogni caso alla rappresentazione del cogito e all’inganno diabolico, la cui unica cancellazione pecca di presunzione e onnipotenza, ovvero superbia. Sembra che la percezione poi assorba la attenzione cosciente alla elaborazione di una sola percezione , secondo la direzione del senso ma anche del pensiero, ovvero lo spazio del senso e del desiderio dei sensi e il tempo della elaborazione del godimento e della conservazione, e ciò seppure il contatto e l’estensione determinino lo affluire di una molteplicità di percezioni che dal mio punto di vista, ovvero aderendo a una parte del pensiero di Leibnitz, vanno a costituire l’inconscio. Il focalizzarsi , dunque, della attenzione, ovvero tale dualità cosciente su una singola percezione sembra derivare dalla intensità delle percezioni ossia dalla intensità della stessa intero- percezione ,la quale deve fungere da criterio soggettivo, tipo forte e tipo debole, che esclude dal focalizzarsi della attenzione cosciente, ma sembra determinare anche la intensità stessa della percezione che deriva dall’esplicarsi del contatto percettivo soggetto-oggetto, la relazione del godimento e la dimensione del godimento. Sembra che il focalizzarsi della attenzione sembra derivare da aspetti causali , nel senso di ambientali e dunque anche soggettivi, coscienti, che determinano ulteriormente la distinzione e suddivisione conscio- inconscio, come testimoniano i processi di rimozione. E’ovvio che una percezione più intensa determini il focalizzarsi della attenzione su di essa, ovvero una percezione di una data x che rimane uguale fino ad una data x più debole e una data x più forte a seconda dei soggetti pavloniani, a livello dunque di riflesso condizionato, analisi e coscienza, fermo restando la derivazione del pensiero da esso, dal riflesso condizionato secondo Pavlov, ovvero ed inoltre il focalizzarsi della attenzione avviene solo nel caso presenti nessi associativi che permettono di radicare e abilitare lo svolgimento della attività cosciente. Se la percezione più intensa non consente l’attivarsi della attività cosciente di ricostruzione razionale attraverso i nessi associativi, parlo della più intensa, perché la bassa già tende a non attivare, dicevamo, se non attiva i nessi che strutturano il procedimento di comparazione della attività razionale la attenzione si focalizzerà allora su una delle due percezioni meno intense ,che consentono la strutturazione del nesso associativo, mentre le altre percezioni si radicheranno simbolizzandosi, e determineranno la creazione del simbolo inconscio, il cui perdurare come traccia mnesica nella memoria è legato a dati causali e di difficile enucleazione. La scissione dei dati mnemonici sembra invocare la ipotesi di semplicità della idea, la cui complessità deriverebbe dalla associazione,che determinerebbe a livello organico tracce mnesiche permanenti ,che uniscono idea e qualità , e idea e idea, tesi, suffragazione o antitesi, sintesi in una accezione hegeliana comprendente dunque la quantità, ovvero il potere della cultura ad esempio che altro non è se non associazione, e sintesi sulla guarigione del folle, per enucleare un esempio di quantità relato alla sua potenzialità ideativa che si tramuta nella incidenza del fattore culturale sulla guarigione. Le determinazioni sulla psiche e la esistenza del mondo coincidono dunque con una successione numerica primitiva lineare , metaforicamente, sconvolta dal fatto che ogni parte dotata di capacità di movimento sembri idonea a creare molteplicità ,e successione numerica ideale, ragionando con il concetto di quantità, anche ideale, differente dalla qualità ideale, ovvero sintesi, dunque sistema della intelligenza-memoria rispetto cui non si trovano criteri soddisfacenti per la intelligenza. Insomma è ben possibile lo sgorgare della molteplicità da una diade , o altrove, che rappresenta la scissione dall’uno, e rispondente dunque alla sua volontà di esistenza e potenza. In questo paragone che assorbe in un'unica definizione materia e ragione, la attività razionale sembra connotarsi paradossalmente irrazionalmente nella capacità di elaborazione degli oggetti , processo primario o primordiale, che si desume con la risposta alla statuizione sul perché nei bambini e nei folli l’inconscio agisce allo scoperto, ovvero una irrazionalità che si viene a definire in una successione numerica che sostanzializza e ordina la realtà. In altre parole la ragione sembra, oltre che desiderativa, infinita a cagione della sua irrazionalità, ovvero in ragione della infinità della possibilità anche della definizione e del fattore che individua una libertà nella assenza di definizione di successione,

del tipo di quella ereditaria, ovvero della affermazione e del successo , concetto adleriano, ed ancora ciò rispetto ad un ordine ed imprigionamento obiettivo della materia anche non cosciente, e se si parla di materia si parla di terra e del femmineo, e seppure non si possa affermare che la materia non abbia coscienza. L’irrazionale si pone al di là dell’inconscio, come potenzialità che l’inconscio può raggiungere stabilmente e negativamente, il cui carattere negativo viene attutito dalla incoscienza stessa ed può essere una ragione dell’inconscio traumatico. L’inconscio pone l’irrazionale ed è per questo che esso stesso se dovesse essere definito si avvicinerebbe più a definizioni irrazionali, che razionali, ovvero desiderative, ed ancora si sa che la irrazionalità fa parte dell’istinto ovvero anche della pulsione e della sua assenza e variazione dell’oggetto in concomitanza alla veemenza pulsionale che è desiderio di soddisfazione anche in quanto spostata, precisando che ciò rimane un aspetto della irrazionalità rispetto cui gli ulteriori si presentano come riflessi anche autonomi. L’irrazionalità dell’inconscio deriva dalla velocità della pulsione, dunque, e quindi dalla veemenza del desiderio di soddisfazione in rapporto sia alla soggettività sia al riflesso incondizionato ma anche condizionato-associato- riflesso fino alla autonomia della funzione dell’analizzatore- controllo- coscienza. Essendovi diverse pulsioni di cui la pulsione di morte è propedeutica alla instaurazione della coscienza la velocità della pulsione che aumenta la indefinizione del movimento connettivo neuronale, e se unita alla velocità di altra pulsione, il cui risultato è paragonabile a uno spostamento, ovvero al bilanciamento soggettivo dei desideri- controllo, essendovi poi lo spostamento dell’oggetto basato sul processo di analogia, ebbene riprendendo la risultante irrazionale non risulterà solo dalla velocità di ciascuna pulsione ma anche dalla regione ideatoria e istintiva interessata, in termini di contingenza organica o meglio spaziale. La attività cosciente che non sarà possibile nei momenti di maggiore esercizio di velocità esercitato dalla forza della pulsione dipenderà anche dalla coincidenza spazio-temporale del sopra valere della pulsione di morte o libidica sull’istinto di conservazione, ovvero su una azione di annullamento ai fini dello spostamento, ove possibile, della sublimazione-appagamento su cui svolge ruoli da esaminare ma comunque decisivi il soddisfacimento pulsionale ideatorio, che è pulsione di vita, ovvero pulsione di vita e pulsione di morte al servizio tale ultima della vita pena la sua stessa esistenza in quanto appresa e fermo restando la emersione desiderativa ed emotiva. La pulsione di morte è connaturale al binomio forza-stasi della pulsione, ed entrambi hanno un attrattiva al pari del carattere funzionale del ritorno alla quiete- equilibrio, che rende possibile in tutti i suoi aspetti la attività cosciente ovvero, nel momento in cui la stasi come appagamento intervalla la forza della pulsione o delle pulsioni diventa con ciò collaterale e convergente nella dinamica di ciascuna pulsione, tranne l’incondizionato reale, il non prorogabile, che è sempre conservazione-controllo ovvero l’assunzione di auriga del conscio non valevole come insegna Lacan per ciascuna situazione, e parlo del soggetto e di analisi. Essa , ovvero la morte acquista la forza che struttura una situazione di quasi assenza di movimento e di desiderio di assenza di movimento (la minore velocità permette al nesso associativo di elaborare quelle associazioni che poi struttureranno la coscienza nella scissione coscienza ed autocoscienza ed in ogni caso di elaborare anche altro a seconda della direzione del pensiero, rispetto cui si apre il concetto di inconscio funzionale o subconscio) differente dal soddisfacimento, che determina, andando ancora oltre, una stasi differente rispetto alla stasi che deriva dalla ripetitività del soddisfacimento la cui dinamica e ricostruzione poggia sulla capacità mnemonica soprattutto sensistica di riprodurre nel tempo il soddisfacimento affermando così la esistenza di una memoria per ciascun senso cui si aggiunge la memoria che astrae ma non prescinde mai totalmente dal contatto con il dato materiale che integra e struttura la capacità sensibile fino al trascendente o se volete astratto e formale. Ossia questa memoria sensistica o coscienza sensoriale deriva dall’affinamento dei sensi e dalla loro capacità di conservare tracce mnesiche del contatto culminanti nella immagine simbolica che rappresenta il fulcro di ogni discorso di strutturazione interiore della proiezione anche dell’io, dal momento che è l’immagine che muove il soggetto al posto dell’oggetto, e le cui distorsioni ,che possono assumere carattere patologico ,e le cui ricostruzioni soggettive e non oggettive ,devono essere messe in relazione con l’operare di tale memoria che per la vicinanza all’inconscio vista la capacità di memorizzare anche dati di bassa intensità chiameremo memoria base o remota e inconscia. L’affiorare al conscio delle immagini immagazzinate da tale memoria sembrano continuare a legarsi alle potenzialità ed ai limiti che derivano dallo svolgersi del nesso associativo, ovvero ad un abbassamento della coscienza o allentamento del nesso, ma anche altro, nesso associativo che struttura la coscienza ,che si oppone all’inconscio con ciò evincendosi che l’inconscio può divenire conscio, e lo diceva anche Freud, seppure a livello patologico. La struttura della pulsione di morte differisce dalla

struttura di ogni altra pulsione. La sua strutturazione la fa apparire interna a ciascuna pulsione. La pulsione di morte sembra interna a causa della piccolezza e della frammentarietà della informazione che essa racchiude, la quale è univoca, intangibile rispetto alla differenziazione della conservazione e della pulsione di vita, la cui unità è il desiderio di essere, ovvero conservazione, ovvero riguardando anche la differenziazione delle funzioni junghiane che attengono al tipo ed al carattere. Tale informazione gioca sulla dialettica essere, differenziato e nulla, univoco, ma differenziato nella sua univocità e ripetitività a livello funzionale, nel ruolo strutturale del suo essere funzione, anche perché in dipendenza o legame dialettico alla conservazione, che lo usa e rispetto cui la stessa pulsione di morte si fa usare al prezzo pagato per la sua stessa sopravvivenza, ovvero essa sfrutta il soddisfacimento che porta all’annichilimento di ciascuna pulsione producendo uno stato induttivo che può espandersi o meno, essendo minima o correlativa la relazione alla inibizione, uno stato induttivo, dunque inibente in relazione alla causalità del determinarsi il soddisfacimento di ogni pulsione, ovvero ancora un soddisfacimento esclude altri, ovvero il soddisfacimento ideativo ancora esclude quello pulsionale. Affermiamo, come Pavlov che lo stato di sonno è in relazione al soddisfacimento della cellula. Il soddisfacimento pone in rilievo la questione del contatto cellulare in quanto è attraverso l’esperimento di esso che si genera lo stato piacevole che determina il soddisfacimento che a sua volta porta lo stato induttivo, ovvero la percezione anche del piacere e il suo godimento. L’organo del tatto, come concetto, come con- tatto ,come relazione è importantissimo a livello interno o interiore, lo stimolo intero- interocettivo, e trattasi di un aggiungere ed andare oltre. Si delinea lo strutturarsi di due diverse modalità operative della stasi ,ossia di differenti vie per giungere alla stasi ,che ne determinano le caratteristiche, in parte esaminate. La stasi coincide con il diminuire della velocità la pulsione, e dunque deve essere o solo conscia o solo inconscia, essendo il conscio della pulsione di vita e non solo e non potendosi andare contro la vita, asservendosi la stessa morte alla vita e fermo restando il manifestarsi di determinate patologie. Per tale ragione la diminuzione non è immediata . Opportunamente si distinguono le fasi del sonno. La fase coincidente con la elaborazione di immagini fantastiche corrisponde al passare il senso interno del soggetto all’interno della struttura inconscia del pensiero per giungere ma non sempre al non pensiero che la stasi in ultima analisi potrebbe rappresentare, in taluni casi. Il non pensiero potrebbe essere ricavato dalla assenza di velocità che annullerebbe quella contiguità spaziale e numerica la cui conseguenza è che è l’espressione temporale. Tempo ,velocità e numero vengono presi in considerazione nella disamina dell’Uno , se la diade ne rappresenta la conseguenza e il prorompimento, ragion per cui a base di tale diade deve essere posta la molteplicità che derivando dall’Uno, ed essendone una espansione, è concettualmente numerica ma anche caotica. Continua a permanere successivamente alla scissione della diade dall’uno la volontà di autonomia che struttura e fa esistere la dualità che essa esprime come duplice unità, che reca seco ,come prima l’uno, la sua volontà di scissione derivante dall’esercizio di unità che gli elementi della diade svolgono. Ma sembra che dalla unità che si scinde in dualità si origini il movimento interno. E’ ciò che Hegel ha presente nel formulare la dialettica a livello idealistico e ciò si deve leggere anche nella opposizione coscienza-autocoscienza fino alla coscienza universale. Si può discutere se la scissione dell’Uno in una diade comporti l’opposizione degli elementi che continuano ad esprimere la unità della diade. Se così non fosse si dovrebbe cogliere nella scissione che determina dall’unità la genesi della molteplicità l’esplicarsi di una differenziazione, ovvero quanto accade a livello fisico, come differenziazione delle unità o identità, come opposizione, ovvero come simile e dissimile, ovvero autonomo. E così si postulerebbe la molteplicità all’interno dell’Uno che in tal modo potrebbe cessare di rappresentare una unità, irrazionalità numerica, quantica, movimenti. Nello stesso tempo so che pochi intendono tale costruzione. L’ipotesi è il mantenimento di esistenza per l’unità che origina la diade la cui derivazione dall’unità si basa sulla scissione dell’opposizione che tale unità contiene in unità che risolviamo anche nel senso dell’essere differente di ciò che è per ciò stesso autonomo. Da tale punto di vista la diade è l’espressione della potenza traboccante dall’Uno. Il che struttura l’ipotesi di un movimento interno a tale unità che reca seco una intensità che al più alto grado determina la scissione. Stasi e movimento sono qualità dell’Ente Uno. Sembra che le qualità dell’uno si strutturino in opposizioni il cui scontrarsi è evitato dalla coincidenza temporale che struttura stasi e movimento come fasi alternanti ossia modi di essere dell’Uno. Ma la presenza di qualità opposte che si libereranno nell’esplicarsi della successione numerica che struttura la molteplicità implica il concetto di forza. La forza che permette di racchiudere in unità qualità opposte deve essere notevole, ed implica uno stato di tensione ideale , nel verso senso della parola ,che regge tale unità. L’unità dunque presuppone la capacità di rappresentare e consolidare la unità ,nonostante le opposizioni. Si ha una scissione nell’unità tra la fisicità della stessa, e la capacità che in questo caso consiste nella forza del ridimensionare l’attrito delle divergenze che l’unità necessariamente postula. Tale discorso ha senso solo se si volesse interpretare l’unità come origine della molteplicità. A ben vedere Platone poneva nella diade l’origine della molteplicità ,per preservare il carattere unitario della unità. Ma se la diade deriva dall’Uno anche Platone deve ammettere l’esistenza di una differenziazione nella unità, che legittima la possibilità di una opposizione, da cui la diade deriva a seguito di un presunto allentarsi della forza che aggrega il tutto in unità, ovvero per via reattiva ed oppositiva. La fisica a buon ragione dovrebbe poggiare sulla matematica, se dovesse occuparsi in dettaglio di questioni immanenti. Questa è la migliore definizione di come vedevano la fisica i greci. Si inquadri in tali termini anche l’opera di Talete come di Aristotele. Platone si occupa di filosofia. Ma se la idea è numerica, ovvero in una angolazione che non esplicito, al pari della fisicità dell’Uno, come Platone teorizzò ,la conoscenza matematica doveva essere per lui un requisito indispensabile.La conoscenza razionale platonica racchiusa nella sua concezione dell’idea è un riflesso del ricordo della percezione del contatto con la materia, ed è li che si colloca la separazione cartesiana forse inconfutabile tra idea e materia, ovvero il cogito, il pensare e la idea o imago Dei. Ma l’idea prescinde dalla materia. Ma se la materia esiste deve esservi idea della materia, fermo restando che Aristotele non confutò Platone, da irruento non giunse mai ad odiarlo, anche con la stessa costruzione del sinolo. Come anche se l’Uno esiste ,o è esistito, deve aver impresso una idea. Si coglie la caratteristica della idea di essere un riflesso molteplice proprio ed appropriato della materia. L’Uno e la stasi dovrebbero garantire alla unità di preservare la sua unità, e il movimento con la sua dialettica, la eventualità di opposizioni, il panta rei e la distruzione del movimento e del tempo, la assenza paradisiaca di tempo. Se così fosse la stasi dovrebbe rappresentare la forza della unità, e chissà se non ha ragione Parmenide visto che lo conferma Kant e la fisiologia, e considerati i meandri e le caverne di Platone. La molteplicità ha dunque come presupposto la diade ,ossia la scissione, la distinzione, il distinguere o il separare, che implica la considerazione filosofica sulla divisibilità e il movimento, che va a sostanzializzare ciò che Hegel, formulò come fusione, torno a ripetermi , o come logica degli opposti. L’allontanarsi della unità dalla stasi della verità determina dunque la logica degli opposti. Se così fosse il movimento produce opposizione, oltre che distruzione anche se le stesse ultime si riferiscono anche al tempo. La individuazione dei punti potrebbe determinare l’opposizione dei punti stessi. Ma così teorizziamo la spazialità dell’Uno. E la spazialità ideale è posta dal movimento e dalla differenziazione che dovrebbe caratterizzare la unità in questo spazio. Il movimento determina lo spazio ,ed espande la materia. La scissione della unità in diade pone la molteplicità grazie anche al movimento che consente non solo alla materia di espandersi e modellarsi. Il movimento poggia sulla temporalità e la temporalità sulla matematica lineare e ripetitiva o ciclica, secondo quando insegna la filosofia e lo stesso Nietzsche. La ripetitività e ciclicità della temporalità però potrebbe da diversa angolazione caratterizzare diversi ordini temporali. Di qui e attraverso tali tesi si evince lo scindersi a partire dalla tesi stessa della conoscenza in materiale o fisica , e ideale. Dall’ideale sgorga un pluralismo elevato a potenza, rispetto all’origine pluralistica e molteplice della materia. La matematica che determina la molteplicità materiale è differente da quella che determina la molteplicità ideale. Questa ultima comprende un maggior numero di espressioni numeriche- ideali perché il numero prima di essere numero è idea di numero, mentre la molteplicità materiale si struttura in successione derivante da unità e rigidità del numero che esprime ciascuna la derivazione dalla materia. La materia dunque si genera in opposizione alla conoscenza razionale pura che prescinde da tale contatto e la cui coincidenza e riduzione a maggiore unità dovrebbe risiedere nella verità il cui porsi determina la scissione della idea dalla materia per un verso, ovvero la sua separazione e il suo essere li , oggetto statico e non solo. Dopo ci occuperemo della dialettica forma -non forma che l’inconscio pone con ciò sottolineando la necessità di una migliore comprensione anche organica dell’inconscio ai fini di una migliore definizione di come l’idea nasce. Poniamo così il sorgere della verità dalla irrazionalità espressa nella mancanza di forma, e definizione dell’inconscio collettivo da Jung teorizzato. Organicamente dell’idea dovremmo comprendere solo aspetti fisici e materialistici nella prospettiva di una elaborazione numerica e fisica(CPU) ai fini degli studi sulla elaborazione della intelligenza artificiale. Con il che sostanzializziamo la psicofisica di Fechner il cui titolo è sicuramente veritiero rispetto alla necessità dell’ imprigionamento organico della idea. Si noti che la assenza di definizione presente nella ragione culmina nella volontà di una successione identica a quella che particolarizza l’esterno come molteplicità ed Hegel aveva ben intuito ciò, ovvero tale affermazione si adatta meglio al desiderio infinito di Kierkegaard ma siamo pressappoco negli stessi di pressi. Dimostrato che l’idea viene impressa nella materia organica cerebrale si deve concludere per una forma partecipativa di idea e materia. Le implicazioni panteistiche sono elevatissime. Si mette in discussione con tale tesi la passività della materia, come si fece in Volontà e Rappresentazione. La partecipazione della idea alla materia è più che sostenibile e gli studi sul paranormale di Jung dicono in aggiunta e a conferma di quanto detto. Ricevono in tal modo le dovute considerazioni le tesi platoniche sulla esistenza-consistenza dell’ Iper- Uranio. Mentre il parto della idea ci connota a livello metafisico, il parto generatore di altri soggetti ci rimanda alla materialità, ed in entrambi è insito il tendere al male e il tendere al bene ed in entrambi tali due aspetti possono essere collaterali e speculari con riguardo alla natura altrettanto costitutiva e biblica del male radicale. Le potenzialità passive del seme, preformate o precostituite, ci fanno pensare ad una versione meccanicistica della realtà. Il costituirsi della scissione tra idea e io del soggetto che postula la considerazione della idea come esterna all’Io implica una nuova considerazione della materialità idealistica dell’Io ma non solo, in quanto nuove analisi dovrebbero estendersi al meccanicismo della materia ,ed ad una nuova analisi della possibilità di trascendenza, come testimonia il ruolo della ideazione nel movimento del corpo. La trascendenza potrebbe configurare il flusso dell’Io dall’Io all’idea o tergiversando all’ Iperuranio, connotando tale ultimo conoscendo la predilezione socratica della etica, la trascendenza metafisica che riporta a Dio e il flusso dell’Io alla materia in cui l’idea continua a svolgere i suoi ruoli in virtù dei nessi partecipativi di idea e materia, nello stesso tempo sottolineando la semplicità del fraseggio rispetto alle complessità del concetto secondo uno stile antico. Ma per comprendere appieno la dialettica ideale - materialistico occorre interrogarsi sui rapporti di idea e forma affermando che l’idea reca seco un idea di forma parallela alla forma della materia la cui assenza è determinata dalla irrazionalità, in quanto si pone a sinonimo di irrazionalità, stante, dal punto di vista funzionale, la inettitudine della percezione di percepire l’oggetto se il movimento di elaborazione razionale si basa su una pulsione frenetica e quindi veloce. I ruoli della follia, la esegesi biblica e la sua parziale condanna , parziale essendo statuito il non sapere quello che si fa, un po’ come dichiara Socrate a proposito della ignoranza. Veniamo dunque a cogliere gli aspetti che ci consentono di distinguere stasi e movimento. L’errore che rende impenetrabile la sostanza nelle nostre percezioni ed interpretazioni deriva anche dalla incapacità della percezione di individuare il movimento, e la stasi ,in assenza di una situazione addirittura triadica e non in ogni caso ed ad ogni condizione. L’analisi triadica è la sola che riesca a permettere la determinazione della stasi e movimento dei due corpi osservati ,ma non dell’osservato, fermo restando la impossibilità della precisione soprattutto se il movimento comunque non può essere escluso e soprattutto nel caso di un movimento ondulato o curvo. Non è la sola pluralità dei punti ad occultare poi il movimento. Non percepiamo se la nostra presunta stasi sia stasi realistica. Ovvero la situazione dualistica potrebbe connotare esclusivamente un modo di relazione di due corpi ,e coglierne una caratteristica, analogamente a quanto afferma Russell sulla prospettiva e sulla posizione. In realtà non sappiamo la ragione del movimento dei corpi né forse se alcuni oggetti collocati nella realtà siano davvero statici o se la loro stasi è una apparenza in contrapposto. Si offre dunque una confutazione ad Eraclito sul movimento e trovano un parziale accoglimento le tesi di Feuerbach e di Spinoza da un punto di vista panteistico, nel senso anche ma non solo della assolutezza dello spazio e del tempo, ovvero per l’uno la qual cosa e per l’altro altro ancora. Ricordiamo ancora le tesi aristoteliche sul motore immobile che sarebbe eterno in virtù della sua stasi, ossia quanto accade altrove a livello fisico. La stessa eternità competerebbe secondo Aristotele al moto circolare, che è nelle sue affermazioni un moto perfetto. La perfezione del moto circolare deriverebbe dalla regolarità del suo fluire che realizzerebbe seppure in una distanza una fusione di opposti punti, ovvero un contatto che li fonde che comunque risiede nel movimento. Le osservazioni sulla regolarità non riguardano la velocità attraverso cui tale moto eserciterebbe la forza che potrebbe racchiudersi anche in auto-movimento, sia nel senso di meccanicistico che di auto-determinato quale meccanica. La stasi all’interno del cerchio è determinata dalla velocità dei suoi punti. Potrei parlarvi di altro in tale esposizione semplice della stasi ma ne lascio il segno. Ciò comunque in assonanza alle caratteristiche dell’Uno o unità in stasi, Parmenide. I punti del cerchio implicano una differenziazione delle qualità identiche di ciascun punto, lineare, e lo spazio deriverebbe dalla espansione della unità la cui capacità statica da ad esso regolarità ed armonia, in armonia ad altri concetti fisici e fermo restando la ondulazione derivante proprio dalla espansione-contrazione. Se così fosse la stasi è una forza, e la forza può essere concentrica e unitaria o espansiva, ovvero richiederebbe l’esercizio di una forza che la realizzasse, e tale forza che la realizza potrebbe essere meccanica od anche non.

La tesi dell’esercizio di forza postula il promanare della forza da una volontà, che darebbe rilievo alla tesi di opposizione di Idea ed Io, ovvero tale discorso apre al discorso di forza attiva e forza passiva, ma in tale caso deve esservi comunque una forza da qualche parte che ne determina la passività,

e non si presuppone con ciò la sola forza attiva, avendo parlato della diade e dei suoi ruoli. Si aprono dunque i paradigmi della scissione che è alla base della molteplicità. La circolarità però ben si adegua sia ad una situazione di stasi sia ad una situazione di movimento, e tale è lo stato anche a livello atomico, fermo restando le ulteriori forze, ovvero in tal caso dipende dalla forza ma la forza qui è finale, ovvero la circolarità può favorire il fluire dei due stati , stasi e movimento, che sono derivazione di contraddizione ed ulteriore scissione, attrazione-possibilità di repulsione e irrazionalità della forza risiedente al pari del caso enucleato nella elaborazione nella velocità, ovvero nella instabilità, senza a tale ultimo proposito aver statuito nulla di che al riguardo della stessa. La scissione tra volontà- attività- regolarità- passività e cerchio, ovvero fra regolarità e irregoralità , tra stasi e movimento, che rappresenta tale ultimo e figurativamente l’operare di tale volontà – attività determina a partire dall’anello della volontà, adoperando il termine nel senso di Schopenauer, di attività, e di regolarità quale passività,l’operare di tale volontà- attività determina a partire dall’anelito di volontà-attività che determina la stasi l’opposizione –scissione di stasi- movimento, attrazione- repulsione, le quali sono la risultante di stasi- passività e volontà-attività , ovvero della volontà come movimento e spazialità. Si esamina lo scaturire della diade dalla unità e tutto il senso del discorso di Schopenauer- Il movimento ponendo la opposizione -scissione tra stasi e movimento stesso attraverso la volontà-attività è paradossalmente l’espressione della volontà. Aristotele accettando le tesi platoniche sulla diade le analizzava in chiave immanente o meglio materialistica attribuendo al cerchio l’espletamento della eternità che devesi necessariamente rapportarsi al motore immobile essendo la eternità una qualità del divino. Per Aristotele il cerchio è la rappresentazione del divino ossia ne è l’espressione, come completezza e come tutto. Portano a tali conclusioni le sue formulazioni sul sinolo, sulla cui concettualizzazione vi è ancora da interrogarsi, ovvero materia e forma, e che determinarono poi Cartesio nella individuazione della ghiandola pineale. Tornando al movimento occorre dire che il cerchio occulta il movimento in virtù della strutturazione dei punti e del moto, sempre che il movimento vi sia ovvero può esservi anche la stasi. Riguardo al movimento se di due punti uno è in movimento e un altro no potremmo attribuire il movimento solo osservando il tutto da una visuale esterna, e neppure in tal modo giungeremmo a certezza ovvero i due punti si muovono perché si muove tutto il resto o i due punti si muovono e il resto non si muove, e seppure i due punti si muovono nulla di preciso sappiamo sul movimento se tutti i punti nello stesso tempo si muovono. Diventa poi difficile considerando anche la distanza della visuale attribuire il movimento quando tale distanza è nullificata dalla contingenza o vicinanza oltre che dalla lontananza ed anche questa è parallassi, ovvero l’essere vicino può far apparire un movimento lento o veloce e l’essere lontano ancora più lento a meno che il movimento non è veloce e nello stesso tempo potrebbe essere il nostro movimento ad essere veloce e opposto, e ciò è da esaminarsi oltre la questione del grado e del moto della terra, né è soggetto a confutazione ed Einstein penso ne fosse cosciente per una costruzione che sapeva parzialmente valida altrimenti non avrebbe parlato di costante e di tanto altro. Da ciò si evince che la percezione del movimento è nullificata dalla distanza e dalla vicinanza. E’allora possibile che la staticità inerisca ad un punto? Se così fosse l’origine della molteplicità è in rapporto con la estensione, ovvero con la forma e con la struttura della materia. Ma potrebbe darsi che ad essere nullificata dalla distanza sia solo la percezione del movimento. Al punto non inerirebbe la staticità, ma comunque la forma risulta comunque come apparenza del movimento del punto, ed entrambi i discorsi erano congeniali ad Einstein, ovvero trattasi anche di relazione spazio- tempo. . Comunque ipotizzare una connessione di staticità e divisibilità- indivisibilità è più che legittimo e ci conduce necessariamente al concetto di forza. Si evince l’importanza di tale concetto in quanto stando ad esso la molteplicità oltre che rapportarsi alla divisibilità -indivisibilità in quanto sicuramente la indivisibilità annullerebbe la molteplicità, o comunque la limiterebbe, e ciò è in relazione alla grandezza, ma anche alla attrazione e non solo la newtoniana. Si evince ancora che la stretta relazione tra piccolezza e molteplicità in quanto la grandezza reca seco un concetto di distanza che permette la differenziazione ad opera della percezione e della fisica , ovvero altra paralassi della percezione, e lo spazio è lo spazio di Einstein. Tornando alla forza e ragionando in base ad un principio di contraddizione su punti necessariamente connessi essa dovrebbe rapportarsi al tutto in quanto espansione. Anche la forza è origine di volontà. Ma qual è l’origine della forza? Si potrebbe pensare alla volontà ma tale affermazione contraddice alla dipendenza del Creato da Dio anche se degenera

verso un panteismo che Spinoza convogliò nei termini della ideologia monoteista, ed in ciò si radicano i capitoli aristotelici tra potenza e atto, una relazione ulteriore a quella di stasi-movimento , ovvero interpretando la questione in termini teologici. Forse sto preparando una mistura eccessivamente complessa. Tornando ad Aristotele la eternità prescinderebbe dalla stasi e dal movimento dei corpi se si esclude la attribuzione della qualità di motore immobile che non prescinde dalla eternità degli dei non allontanandosi dalle teorizzazioni sull’aponia e atarassia epicurea che si avvicinano alle teorizzazioni del nulla, come lui ben sapeva, ovvero parlando del non preoccuparsi perché quando la morte è noi non siamo e quando la morte non è noi siamo, fino alla esegesi biblica, e motivo da cui deriva lo scarso seguito di Epicuro in epoca greca nonostante la rilevanza dei suoi scritti che lo avvicinano agli scettici, oltre che alla radice della teoria di ogni nichilismo oltre che alle correnti realistiche attuali. La eternità prescinderebbe dal movimento stante la capacità innata del cerchio di muoversi attraverso l’auto- movimento , ovvero radicandosi con ciò la differenza di movimento e auto-movimento, che comunque presuppone una forza propulsiva originante che abbiamo attribuito alla volontà rispetto al meccanicismo del pendolo. Si considerino le relazioni materia e idea in quanto tutto il discorso su forma e materia, e non su forma e sostanza, ovvero su forma e materialismo, continua a reggere. Vi è da parte di Aristotele, dunque, la equiparazione del nulla di Eraclito alla stasi divina, che si basa su una immobilità che è stasi , e ciò sulla base del presunto essere stato espulso da tale concetto il concetto di non esistenza. La qualifica inerente alla stasi viene da Aristotele dunque attribuita all’essere divino, ma la eternità prescinderebbe dalla staticità del corpo e dunque la eternità diviene possibile sempre ,e neutralizza il concetto di mortalità dell’anima, senza risolvere il rapporto materia-possibile interno della materia(anima). Si coglie la trascendenza aristotelica e il suo vincolarsi alla teoria platonica i cui assiomi mai condannò. Aristotele analizzò un diverso settore rispetto all’ampio campo di studio percorso dal suo Maestro ed in particolare analizzò il rapporto movimento - stasi , movimento- immobilità e moto circolare, in correlazione alla condizione che rende possibile il costituirsi della eternità anche finita, per giungere alla coincidenza della staticità con uno stato divino, e la questione è piena di argomentazione teologica. Oltre a porre la questione del come Aristotele intendesse tale stasi Aristotele consacra il movimento a condizione comune e ricorrente, e finita. La miglior qualifica di Aristotele è quella di immanente, in quanto parte dalla diversificazione della materia, ricordando la necessità in tal caso del movimento per apportare un rafforzamento della tesi dell’idea e dell’Iper-Uranio del Maestro attraverso gli studi sulla stasi che implicano il suo non discostarsi dalla principale enucleazione platonica, ovvero la convinzione dell’esservi una scissione- una separazione, e con la separazione si rientra in ambito teologico, ovvero alla teoria dell’Uno. Veniamo alle implicazioni che si determinano tra la stasi ed il nulla. Mentre il nulla non ha esistenza la stasi presuppone un atarassia basata, come dice il termine greco, sull’assenza di movimento che non contraddice ai principi esistenziali e di qui le relazioni di atarassia e aponia , costruzione che è necessariamente una decostruzione concettuale la quale semplifica forse il legame della filosofia epicurea all’oriente, Epicuro uno tra i primi medici greci con tendenza ulteriore. Per essere pignoli bisognerebbe analizzare poi la questione se il nulla è uno stato permanente, in prospettiva teologica ed assoluta, ovvero affermando ciò si evince un carattere che è quello della finitezza. Ma l’originarsi della esistenza singola dal nulla, comunque in ogni ed imprescindibile caso, ragionando in ottica materialista, in virtù di tale necessità determina la possibilità del passaggio dal nulla all’essere ,come è teorizzato nel Parmenide, ovvero da un Socrate - Platone che costringe a navigare uno stanco Parmenide. E poi se dal nulla deriva l’essere si deve presupporre la capacità di produrre l’essere nel nulla, la eterna fine , ovvero una prospettiva teologica forse pagana, ma comunque teologica dato che la Scrittura non contraddice la istituzione di un regno della afflizione- punizione. L’affermazione porta alla disintegrazione- istituzione , logica oppositorum, del concetto del nulla , ovvero ad una sua decostruzione rispetto a tesi usuali affermate, ovvero in quanto la categoria della capacità, del volitivo, esclude le potenzialità del nulla, conservativamente o per lo meno le deve escludere fisicamente in ottica punitiva, secondo quanto recita il versetto racchiuso nella parola la Morte li fuggirà, ed ovviamente se il discorso è filosofico, è sia teologico che fisico, secondo antica tradizione, ovvero anche psicologico, ma psicologico nel senso dello stesso quale scissione voluta dalla filosofia al pari di tutte le scienze attuali. Il primo presupposto per la determinazione del nulla è l’assenza di materia, in quanto la materia è materia come presupposto è l’assenza di essere se il nulla è assoluto. In assenza di materia potrebbe sopravvivere l’istinto di conservazione quale racchiuso nella identità io sono io, ovvero con sarcasmo, la speranza di essere io, il narcisismo e ciò ci riconduce

psicologicamente alla morte ovvero all’istinto suicida se seguiamo appieno Freud, nel legame, uno dei tanti, di autoerotismo-frustrazione- pulsione di morte- onnipotenza, e parlo dell’istinto suicida, ovvero ancora ragionando in ottica teologica ma da un punto di vista materiale, fermo restando sempre e dunque l’autoerotismo racchiuso nell’io di cui una traccia è il delirio, contenuto e non contenuto,

la civiltà, interpretazioni teologiche di Freud. Il discorso di tale identità indifferente, quale la chiamò Hegel secondo una tradizione che preferisco che è quella della Fabbri, e nella indifferenza vi è tanto del narcisismo e delle sue necessità, il discorso di tale identità si correla alla tesi della spazialità delle idee che porta, secondo Hegel, ad una conciliazione di materialismo e idealismo nel sinolo, ovvero secondo Hegel solo, e essendo andati oltre Aristotele, ovvero avendo congiunto Aristotele e Platone, per il quale ultimo la forma è idea, sinolo costituito da materia e forma che permea la materia. Il problema della delineazione della differenza tra materia e forma in termini di relazione inferiorità-superiorità comporta la attribuzione di preminenza della idea. Il contributo da Platone è fornito da un lato alla fisicità, come avviene nel Parmenide, che pone questioni di interpretazione della fisica in termini matematici, che portano alle elaborazioni successive delle categorie dell’intelletto di Kant , e della dialettica coscienza ed autocoscienza di Hegel, che culmina nell’Uno, che è la forma delle forme, e dall’altro è fornito con la presunta ed espressa scissione dell’idea dal tutto a costituire l’Iper-Uranio. Sembra dunque che la idea sia da un lato legata alla materia a formare un unione contingente, come testimonia la genetica, dall’altra autonoma e indipendente a costituire l’Iper-Uranio. Ciò porta ad un parallelismo materia e idea in virtù della quale l’idea sarebbe duplice in quanto parallela allo spazio materiale in quanto ne costituirebbe l’essenza (della materia), e ciò anche solo a livello rappresentativo e apprensivo, e in quanto sarebbe autonoma con una attribuzione di preminenza alla idea nel rapporto materia e idea ,che lo lega in modo non contrappositorio alle tesi morali sostenute nei Dialoghi che culminano nella tesi della immortalità dell’anima e del Bene in sé che coinciderebbe con l’Uno ossia con la Idea, secondo Platone. Altrettanto avviene per quanto riguarda il rapporto virtù- conoscenza che in concordanza con le tesi socratiche coinciderebbe con la conoscenza della virtù. Si può discutere il ruolo della idea nella conoscenza nel suo rapportarsi alla materia nei termini su espressi, ovvero dialettici di cui una dialettica è il materialismo dialettico, che non è materialismo ma idealismo rapportato alla materia, fino ad un meccanicismo eventuale che psicologicamente diviene un determinismo se si esamina bene l’angolo visuale di Marx ovvero quello della dialettica dei mezzi di produzione e della alienazione. Si leggano anche al riguardo le tesi relative ai rapporti tra essere e nulla, costantemente richiamate ed esposte sempre nel Parmenide da Platone. L’opposizione che si regge sull’opposizione essere- nulla derivata e consequenziale è quella che pone l’opposizione forma ed assenza di forma , che non è né materialistica né idealistica, ma prima di tutto esistenziale nella relazione a tali principi che precedono e che va a sostanzializzare l’irrazionale, ovvero il caotico, l’impetuoso, il veemente che dovrebbe individuare il fulcro dell’inconscio, in una parte dei termini della opposizione. Sia la forma che la idea dunque coinciderebbero con il Nulla o non essere, in quanto Iper-Uranio che si rapporta con il proprio non essere considerato l’interessamento di Socrate per tale questione di Parmenide e fermo restando che la tesi sul Mondo delle Idee è platonica, ovvero il non essere della idea quale suo essere è una conseguenza del duplice pensiero espresso nei dialoghi. Le coincidenze forma e idea sono palesi, e dunque si deve postulare la esistenza di una forma ideale ,che visto il parallelismo derivante dalla partecipazione ad uno stato comune, è desumibile attraverso la individuazione dei caratteri della idea. Gli scritti sulla Diade persi forse avrebbero meglio definito i termini della questione. Alcuni risvolti del discorso derivano da un congetturare che comunque parte da premesse assunte, le necessità della cultura. La necessità dell’interporsi di mie affermazioni con quelle platoniche derivano dal profondo rispetto che comunque verso lui nutro e nella cui linea intendo muovermi. Se il nulla presuppone l’assenza di forma si deve concludere in primis (si ricordi la possibilità che anche l’idea esprime una forma) l’assenza di materia che diviene così condizione del nulla, ovvero quel senza spazialità diviene espressione biblica di altro. Assenza di materia e stasi sono le possibili condizioni del nulla, fisico, ovvero l’uno per una ragione e l’altro per un'altra, ovvero trattasi di due stati espressivi del nulla completamente differenti ragionando per conseguenza. Si dovrebbe considerare anche che la strutturazione del nulla però potrebbe derivare dalla assenza di percezione idealisticamente, ed una percezione può non essere per assenza di oggetto, ovvero di materia ma a ciò contraddice la logica e la tesi della forma della idea. Sicuramente l’affinità di Epicuro con il buddismo non si ravvede in altro se non nella vicinanza delle sue teorie alle teorie sul Nirvana, che altro non è in una angolazione o nella altra angolazione espressione del nulla e dell’essere,

mentre maggiore è l’influenza buddista in Pitagora e Platone seppure con la decapitazione relativa alla questione del nulla che viene affrontata per lo meno da Platone nel Parmenide in modo consono sempre ad un’esistenza cosciente e per necessità di equiparazioni essente. Ossia il non essere diventa reale ,quanto l’essere per Platone. Stando alle tesi qui esposte l’impostazione platonica non dovrebbe essere sbagliata

e le integrazioni aristoteliche sono più che corrette. Tale versione è sicuramente costruttiva ed interessante e viene posta alla base dei discorsi sull’antimateria ,a livello astronomico e spaziale. Sicuramente tale visuale del non essere vuole nullificarlo. L’esistenza della attività razionale a cui si deve la elaborazione delle sensazioni derivanti dalla diversificazione della materia reca seco la possibilità che la stessa possa prescindere dalla empiria della materia e concretizzarsi in una attività razionale pura, e Kant non la intendeva solo al livello della struttura, ovvero anche lui per il medio dell’imperativo, diveniva platonico oltre ad essere newtoniana la sua teoria per via della armonia insita nel concetto di gravitazione universale ed anche se anche Newton a lui deve qualcosa. Anzi il problema metafisico relativo all’esistenza di Dio presuppone necessariamente tale possibilità di attività razionale pura sulla base della incorporeità di Dio stesso, e qui la questione diviene platonica e teologica. Da ciò la attribuzione a un intuizione trascendentale, ovvero che trascende, della possibilità di cogliere i caratteri della cosa in sé o sostanza, ed in quanto solo a qualcosa che trascende un'altra cosa si deve il carattere puro, con la netta demarcazione tra realtà visibile a tutti e realtà operata da Dio. Si prospetta la estrema difficoltà nel ricostruire tale attività razionale pura e da ciò il carattere intrinseco che la lega al sostrato empirico. Ritornando alla tesi dell’innatismo del carattere della distinzione le cui determinazioni si colgono a livello di connotazione della essenza in una dinamica prospettica analizziamo l’esplicarsi della stessa nel reticolo della operatività delle sensazioni e nella successiva elaborazione razionale incentrata su un codice binario composto appunto dal binomio percettivo piacere-dolore che si colloca nelle condizioni che determinano la attività razionale ,e da cui deriva la contingenza, e la struttura della contingenza a livello dello psichico, che emana dal principio di diversificazione della materia, ovvero nell’ottica della relazione di godimento e materialismo dialettico. Lo stato piacevole e lo stato doloroso con i rispettivi perdurare e durare cui la rappresentazione complessiva deve essere messa in relazione determinano due modalità rappresentative della realtà che condizionano storicamente e nell’attualità il modo di relazionarsi alla proiezione del sé , ovvero rendono il sé quello che è, e la proiezione del sé è o interna, ovvero dell’interno come esterno e come Sé, la elaborazione del Sé, o esterna ovvero godimento ed è tale modalità rappresentativa legata ad esempio ad un dolore che struttura , che spiega trauma e rimozione e l’incidere di tale strutturale sul funzionale, ma lo stato piacevole e lo stato doloroso deve essere messo in relazione nella seconda modalità alla proiezione esterna, ovvero nel primo caso trattasi di interiorità e struttura anche come struttura della seconda modalità, rispetto cui ha un ruolo anche il rispettivo perdurare, in quanto evolutivo e strutturativo e percettivo e incidente sulla struttura. Una prima conferma quindi della necessità della distinzione deriva dalla stessa percezione della materia, rappresentando essa il sostrato ,che determina la elaborazione razionale della molteplicità ,che postula comunque un’unità ,da cui essa promana ,confermando ed affermando il carattere della successione e della simultaneità nella diversificazione della materia( dapprima era l’Uno), ovvero la simultaneità dei punti è ciò che è lo spazio e la loro successione, ovvero il loro susseguirsi, modificarsi la differenziazione che poggia sulla simultaneità di più punti oggetto di successione lineare e non solo, aggiungendovi quanto è quantico ed energetico, ed ancora si desume il carattere fisico delle categorie in una concezione dello spazio e del tempo che rimane molto probabilmente soggettiva, anche come intuizione pura, dove il puro sta per primitivo e strutturale al pari delle categorie. Riprendendo il discorso da un lato vi è la pluralità delle sensazioni connesse necessariamente al principio di diversificazione della materia ossia alla pluralità di oggetti e sostanze ,ma tali sensazioni sono anche connesse a una percezione del sentimento, che consente la trascendenza esso stesso, ovvero la trascendenza tra sentimento di sé e sentimento prodotto dall’oggetto, trascendenza comunque fondante la metafisica e dall’altro lato vi è il postulato che la attività razionale possa prescindere dal dato materiale. Il sentimento si costituisce in base alla azione- reazione del soggetto alla azione dell’oggetto inteso come esterno, ma non solo. In alcuni casi la percezione non è né dolorosa né piacevole, ma deriva da una commistione di stati difficilmente individuabile consciamente, data la assenza di frazione temporale nello spazio in cui si determinano gli stati, essendo il tempo strutturale e funzionale e a determinati livelli inesistente, ovvero in tali casi di incomprensibilità della percezione si può ricorrere alla spiegazione data alla soggettività irrazionale del bello. E tutto ciò anche in assonanza alla tesi sulla stasi materialista dal punto di vista anche della

danza tra sentimento di sé e sentimento dell’oggetto e del nichilismo come percezione legata alla assenza di forma dell’a-temporale per via del concetto relativo di spazio e tempo. Sembra che ci sia un movimento nella percezione esterna che soddisfa la volontà acquisitiva pulsionale inconscia. La elaborazione razionale che determina il passaggio dall’inconscio al conscio sembra sottomessa ad un incognito

in quanto pone incognite dell’inconscio. La capacità percettiva inconscia prescinde dall’esistenza temporale, e se ciò sembra astruso basti il ricordare che diversi psicoanalisti e scopritori dell’inconscio lo affermano, anche se non viene ciò da me affermato in toto alla luce di quanto si venne a teorizzare. Il tempo è necessario ,come successione, alla associazione, alla quale è sottomessa la funzionalità razionale. Ciò determina problemi di contingenze delle idee che si strutturano in opposizione alla indefinizione, ovvero del caos associativo inconscio, contingenze di idee che da questa angolazione soddisfa e questa volta si sottomette alla forza cieca della pulsione ,o meglio di più pulsioni, che determinano il movimento astratto e dismesso dell’inconscio. La necessarietà e fondamentalità della distinzione è comunque ribadita dalla stessa articolazione del senso interno il cui linguaggio si esplicita attraverso i segni distintivi della diversificazione delle idee, commisti al sentimento che tali idee suscitano, e che compongono la coscienza nel suo binomio voluto da Hegel coscienza-autocoscienza che ribadisce la necessarietà della diade da cui deriva la pluralità delle idee in un gioco definito da Sartre riflesso-riflettente, ed in tal caso tra assenza di tempo- assenza di definizione dell’inconscio e necessità della distinzione siamo con Nietzsche sul piano strutturale dell’inconscio, e con Freud tra esistenza e inesistenza per dirla in termini kantiani. Nella forma vigente di esistenza comunque la diversificazione delle idee sembra indissolubilmente ed apparentemente correlata alla percezione del dato materiale, che è il medium dell’oggetto, ovvero del senso interno . Di qui lo stretto legame e rapporto di dipendenza che unisce inscindibilmente percezione e materia ,da un lato, e la diversificazione delle idee dall’altro, e da cui deriva una remota possibilità che la diversificazione delle idee e quindi la possibilità di ragionare si leghi alla percezione stessa della materia da cui indubbiamente derivano esaltazioni materialistiche e naturalmente il meccanicismo. Ma con ciò verrebbe inevitabilmente posta in discussione l’esistenza di Dio, ovvero sia il suo ruolo di artefice sia in quanto entità non corporea. Tale diversificazione delle idee è poi in modo imprescindibile legata al principio di movimento che presiede alla diversificazione della materia e alla conseguente molteplicità delle sensazioni. Il principio di movimento è un'altra caratteristica necessaria e insita alla diversificazione della materia formulato da Eraclito, e dire che esso si riferisce al tempo è una semplificazione considerato anche il suo legame ad una forza sia attiva che passiva. Tale principio di movimento poi nelle concettualizzazioni di Aristotele legate alla qualifica di motore immobile di Dio, promanerebbe da Dio stesso, da cui una caratteristica della passività che non è astrusa considerato il movimento del pendolo. Con ciò Aristotele si pone in netto contrasto con Platone che presumibilmente vorrebbe tale movimento derivante dalla diade indefinita, ragionando però lo stesso in modo fisico, ovvero in modo di unificare nella sua concezione dell’uno il grande e il piccolo , l’uno e i molti, tesi ed antitesi, ossia dialettica, e dunque in un ottica di intreccio reciproco da cui usando successive affermazioni di Sartre attraverso un opera di riflesso reciproco si origina la pluralità del dato materiale a livello ideale e associativo fermo restando la dinamica del condizionamento. La attribuzione alla diade del potere generatore di movimento esalta visioni meccanicistiche, numeriche, nelle ricostruzioni della filosofia della natura o fisica. Tale discorso riceve il suo fondamento dall’importanza che Platone attribuiva alla idea nella determinazione del sostrato materiale ,ad opera di un demiurgo, il cui significato del termine non è chiaro, e residua il fatto che tale duplicità, ovvero quello coscienza-autocoscienza, trova riscontro nella genesi della idea formulata da Hegel che si concretizza nei capitoli dedicati alla coscienza infelice o scissa, ovvero la impossibilità di una assenza di una situazione di scissione, ovvero di molteplicità, solo che tale scissione è strutturale, e Lacan la sostanzia nel dialogo degli Io immaginari. Si possono analizzare anche al riguardo la eventuale possibilità di coincidenza del principio di movimento alla volontà, e con ciò si deve giungere alla forza, volontà teorizzata da Schopenhauer facendo attenzione alle connotazioni ateistiche o blasfeme che tale connessione reca seco facilmente superabili nell’ottica di un’ auto- funzionamento dell’organismo che continua ad essere governato da colui che genera il movimento attraverso la tesi della non volontarietà di determinati movimenti, ovvero che esulano dalla volontà soggettiva. Seppure tale volontarietà- involontarietà sia stata ricondotta nei canoni ateistici attraverso la formulazione del concetto di autoconservazione di Darwin susseguentemente accettato anche da Freud nella definizione dell’inconscio (si ricordi la libido e la fase anale) anche la formulazione del concetto di autoconservazione rientra comunque nella conservazione del movimento . Da ulteriore angolazione prospettica la

distinzione deriva dalla ragione che elabora le sensazioni e attraverso tale opera del ragionare le distingue attraverso un opera di schematismo razionale che accomuna le analogie dell’esperienza con la preghiera però di non lasciarsi più ingannare dalle degenerazioni narciso-idealistiche che tali analisi determinano. Ora la forma che presiede a tale schematismo razionale è costituita dal binomio piacere-dolore,

primordiale, conservativo, ma non solo e da cui si determinano ,attraverso la caratteristica dell’attività razionale di sviluppare analogie, le correlative elaborazioni razionali che si ricollegano schematicamente a tali due sensazioni. Da tale capacità della ragione di determinare analogie nella percezione del sostrato materiale, ovvero analogie delle sensazioni spiacevoli e piacevoli , eros e conservazione, dolore-trauma e piacere- eros , si coglie poi quel particolare modo di essere dell’errore che deriva dalla falsificazione della ragione ossia in un suo fallire in tale attività di schematismo nel procedimento analogico che dalla ragione appunto origina, o meglio kantianamente la analogia segna il trapasso dall’intelletto alla ragione. Altro è l’errore derivante dalla attività conseguenziale della ragione che va messo in relazione alla ragione del trascendere, che è un non essere nell’essere, ovvero una negazione dell’essere teologicamente e ciò in senso idealistico. Si sottolinea che lo sviluppo delle analogie da parte della ragione è attinente e coglie non solo la netta separazione dello stato piacevole e dello stato doloroso ma anche una commistione di stati la cui definizione deriva dalla chiusura temporale che struttura il tempo di percezione che si radica nel contatto ovvero nella durata del contatto che è la percezione stessa con le variabili delle alternazioni dei sensi, ma anche tempo di percezione che si radica nel movimento del corpo-oggetto da cui la percezione deriva e attraverso il cui movimento del corpo-oggetto della percezione si struttura determinando non solo commistioni ma anche differenti gradi intensivi di piacere e dolore, ovvero trattandosi comunque di movimento che si interseca con la durata del contatto. La diversificazione delle sensazioni è infinita e il determinarsi e ricorre delle stesse condizioni spazio-temporali è pressocchè impossibile, come teorizza Eraclito. L’opera del ragionare si fonda come accade con la diversificazione della materia sulla diversificazione delle idee e quindi poggia sul fatto che sia l’idea sia la materia presuppongono la distinzione, ovvero in tal senso l’idealismo è un riflesso della materia, ovvero materialismo dialettico, tranne che per quanto riguarda gli oggetti del trascendere ed essendovi il trascendere materialistico, e da ciò riceve numericamente la sua elevazione a potenza, l’idealismo. Ma una ulteriore conferma della fondamentalità della distinzione deriva dal porsi a mezza via tra diversificazione della materia e diversificazione delle idee, la diversificazione della sensazione o della rappresentazione di essa(si ricordino anche le tesi di Eraclito relative al fatto che non ci si può gettare due volte nello stesso torrente e se ne esaminino le questioni in termini di ripetitività di azioni a livello idealistico in una analisi di influenzamento operato dall’ambiente che è anche ricostruito in termini di strutturazione dell’affettività del soggetto e comprendete meglio il fraseggio di Eraclitoecc.) che struttura l’operare idealistico della ragione. Ma la ragione forse non è solo idealistica ma anche numerica. Il numero come proporzione racchiude la materialità. Con ciò forse si deve affermare la necessità della distinzione non solo a livello empirico ma trascendentale. Può ingenerare confusione il fatto che essa operi a più livelli. Tali livelli vanno necessariamente scissi per quanto si presentino congiunti in modo imprescindibile tra loro. La distinzione opera:

 A livello di diversificazione della materia da cui deriva la molteplicità delle sensazioni che sono intimamente connesse in parte alla elaborazione razionale delle idee.

 A livello della diversificazione o molteplicità delle idee

 A livello sotto categoriale, rispetto alla struttura della idea ,come molteplicità della rappresentazione della sensazione derivante dalla percezione della materia che si basa sulle proiezioni dell’io conoscente ,all’oggetto (la conoscenza aderisce l’oggetto creando una situazione di piacere e soprattutto sicurezza rispetto la paura derivante dall’incapacità della sensazione di riceverne la sua elaborazione razionale o apprendere)

Tale piacere, tornando a parlare del piacere , deve essere considerato strutturale alla scissione del Sé emozionale in quanto rappresenta il piacere iniziale. L’intensità del piacere vibra in base alla proporzione di sentimento di ciò che l’essere o ente e all’essere o ente promana attraverso la sensazione e in tale senso va interpretata la schiusura heideggeriana in quanto tale esistenziale. In tale gioco consiste l’aritmia del piacere anche inconscio mentre a livello di coscienza come espressione di soddisfacimento inconscio della libido che prorompe alla coscienza si deve ricordare la ripetitività dell’idea e relativa associazione.

Una particolare idea di equilibrio deriva da una associazione costante del sentimento all’idea in costanza di situazione. L’in costanza di situazione è difficilmente determinabile di qui la scissione idea e materia. Presupposto della possibilità di esistenza e di conseguenza della elaborazione razionale sono quelle che da alcuni filosofi sono classificate come intuizioni pure in quanto rappresentano

i presupposti all’interno di cui e attraverso cui diviene possibile la molteplicità e la sua percezione e successiva elaborazione razionale. Tali sono lo spazio e il tempo. Il tempo può assumere una connotazione razionale ed è tale aspetto del tempo che induce a ritenere che esso sia una intuizione pura. La connotazione razionale del tempo si correla strettamente alla elaborazione razionale e soprattutto all’opera del diversificare e distinguere insiti nel ragionamento stesso. Da questa prospettiva il tempo assume una connotazione soggettiva e idealistica quale quella attribuitagli da Kant. Da altro punto di vista il tempo diviene necessario alla diversificazione e al movimento in quanto senza una dimensione temporale la diversificazione e il movimento non potrebbero svolgersi. Da ciò da un lato una connotazione oggettiva del tempo e dall’altro il suo delinearsi come intuizione pura nel gioco riflesso auto-riflesso di cui sopra si è parlato. Sul rapporto necessario spazio-tempo e sulla legge della relatività si potrebbe presupporre che senza il tempo la materia non esisterebbe anzi esisterebbe il nulla. Ma dal punto di vista soggettivo non possiamo determinare analiticamente una qualificazione del tempo come intuizione pura in quanto non sappiamo quanto la necessità temporale sia da attribuire alla diversificazione delle idee e quanto un fondamento della temporalità derivi dalla diversificazione delle idee stesse . Riguardo allo spazio affinchè esso possa essere percepito è necessario che sia riempito di materia(da tale ragione forse deriva la qualificazione della materia come sostanza). E’ necessaria poi la presenza del soggetto senziente che percepisce la materia. Il discorso sulla materia poi presuppone quello sull’antimateria che influisce con l’elemento materiale in una dialettica o flusso simile a quello che esplicita in chiave materiale la dialettica tra essere e non essere, rimarcando in tal modo le mie affermazioni l’ importanza della teorizzazione della logica degli opposti di Hegel che in parte riprende l’analisi platonica sulla diade indefinita non potendo essere attribuita all’anti-materia ulteriore qualifica se non quella di metafisica o idea, ovvero la idea del non essere della materia che per via dei generali diviene idea del non essere, od anche morte, e dunque nichilismo racchiuso non solo nell’antimaterialismo ma anche nell’anti- idealismo, nichilismo esteriore ed interiore fino all’assoluto, e residuando l’interrelato al nichilismo che sono distruzione e sadismo, comunque istinto e desiderio di morte. Contestualizzando il discorso in chiave materialistica si potrebbe addivenire alla conclusione che la materia possa essere modellata in analogia all’organizzazione del sostrato non empirico. Avevano ben chiaro ciò i greci. E infatti Euclide avendo percepito l’intuizione pura dello spazio, e ricercava nella geometria una definizione spaziale dell’essere, l’apparenza hegeliana, ossia una perfetta geometria mentre invece Pitagora concentra le sue ricerche in chiave numerica ma fisica(ma anche la matematica è in parte geometria essendo rapporto) avendo ambedue ragione e onorando con ciò la ricerca filosofica che successivamente verrà racchiusa in maniera sublime ma non perfetta nell’idea platonica che riprenderà le precedenti argomentazioni di Parmenide sull’unità dell’essere con plausibili e legittime variazioni. L’influenza di Pitagora su Platone è evidente nell’importanza che egli attribuiva alla matematica quale requisito che pretendeva possedessero gli allievi che entrassero a far parte della sua scuola. Nell’ambito del problema relativo alla definizione dello spazio va ricondotta l’antinomia kantiana fra divisibilità - indivisibilità e le analisi di Einstein sulla divisione delle particelle. Aderisco all’idea che lo spazio sia stato riempito inizialmente da un'unica materia che in base al principio di diversificazione della materia si è successivamente distinta e ciò è coerente con la idea del rimbalzo, ovvero la concentrazione della massa in un solo punto o centrale o attrattivo fisicamente ed entrambe le determinazioni sono presenti una a livello dell’aristotelismo, fino con ciò al problema successivo che dischiude il discorso nel nichilismo sadico di quanto detto sulla antimateria. Il problema metafisico di S. Agostino relativo alla confutazione se Dio è artefice o architetto è qui risolto con la considerazione che la materia sia stata da lui creata. Il principio di diversificazione della materia reca seco poi in sé l’idea del limite, che è contingente a quello di distinzione ma non si ferma allo stesso, ovvero contiene altro. Il limite risiede a livello anche di tesi sulla spazialità delle idea sulle caratteristiche del movimento successivo che annienta il precedente. Il limite inerente alla idea è duttile in quanto può essere contestato ed inoltre in base alla legge di associazione, e volendo connotare numericamente la idea come uno permane la composizione alfabetica ovvero la sua associazione-dissociazione, neologismi a me cari. In tal senso il movimento reca con sé la facoltà di annientare o non essere che trova legittimità nonostante la considerazione che parte della idea che si determina

poggia su una reminiscenza del sentimento o con una formulazione più generica ed inclusiva sul ricordo che ha originato quella precedente, secondo una continuità che è la associazione

e il tempo, come percezione soggettiva ed assoluta. Quest’ultimo status dell’idea incide sulla duttilità inerente al concetto di limite dell’idea, ovvero la duttilità consiste nella spazialità della idea che comunque può essere annullata da altri determinativi. Sembra che l’idea sia volontà di potenza in quanto ha la capacità di espandersi attraverso la sensazione e la associazione derivante, ma autonoma sempre essendo la volontà un concetto inclusivo. La associazione è la elevazione a potenza della idea che si unisce in ottica materialistica alla condizione che determina il prodursi della situazione che definisco sinteticamente rappresentazione della sensazione. Analogicamente poi si proceda per quanto riguarda la materia, ovvero nel senso del contingente e delle relazioni del contingente( non ingeneri confusione il fatto che stiamo parlando delle analogie tra procedimento razionale e sua genesi da un lato e procedimento di diversificazione della materia dall’altro); da tali caratteristiche del movimento si coglie la centralità di tale operazione di diversificazione, in quanto volitiva, e in concatenamento l’essenzialità della distinzione che deriva da tale facoltà dell’annientare, ed anche creare, attraverso cui come afferma Eraclito si determina il movimento da cui alla fine trarrebbe origine la successione che legittima l’ordine temporale, fino allo strutturalismo- destrutturalismo cartesiano. Da un punto di vista geometrico poi il limite rappresenta il confine della collocazione spaziale il cui opposto è il kaos, o indefinizione ,o indeterminatezza la cui legittimità deriva pur sempre da un opera di rimescolamento degli elementi con ciò esaltando sempre tali caratteri comunque il ruolo del principio di movimento. All’interno di tale meccanismo si pone comunque sempre l’uomo inteso come soggetto ,ossia in quanto soggetto che percepisce la diversificazione o il movimento e la materia stessa ,e dalla cui opera del diversificare trae origine la spiegazione e la confutazione di esso anche come oggetto , ossia come materia. Dalla scissione dell’uomo in materia e ragione attraverso cui prende corpo la qualificazione dello stesso quale animal rationale deriva quella auto-definizione che eleva l’uomo rispetto alla qualifica di oggetto. Se tale definizione appartenga anche al genere animale è opinabile. Le tesi di Schopenhauer che conducono poi alla affermazione della volontà quale cosa in sé (a mio dire eccellenti) rappresentano la capacità da parte di quest’autore di cogliere forse un universale ,che si specifica poi a livello di oggettità in sottospecie delle determinanti volitive di cui una risiede dalla separazione conscio- inconscio, ovvero ciò se si considera la volontà come cosa in sé e dunque sostanza, ed ovviamente qualcuno pensa alla sostanza o alle sostanze, ovvero alla materia, ma Cartesio parlava di res cogitans, e Kant di cosa in sé quale sostanza . La presunta preminenza dell’uomo porta con sé alla scissione delineata da Kant tra immanentismo e metafisica, tra intelletto e ragione, ma anche e di nuovo tra materia e forma e soprattutto all’intersecarsi del sostrato materiale a quello della elaborazione materiale, abilmente ricostruito nel trattato delle forme ,ossia il Parmenide platonico, e rimane comunque l’assioma che se lo spazio non fosse riempito di qualcosa verrebbe meno la stessa idea di spazio, ovvero possono porsi degli ulteriori. Se fosse riempito da una sola materia verrebbe di conseguenza meno la possibilità di esistenza materiale, ragionando secondo visione, e di conoscenza materiale che si fonda sul pluralismo e sulla molteplicità. Da ciò quindi la importanza del principio di diversificazione della materia che è alla base della esistenza materiale appunto e su cui in parte poggia il procedere della elaborazione razionale. La materia ci schiude il segreto della sua creazione culminando in quell’associazione materia e idea che portando ad una preminenza dell’idea sulla materia come anche sulla forma e sul tempo con ciò connota la componente razionalistica e soggettivistica, con riferimento alla opposizione razionale-irrazionale. Essi, ovvero ragionando con Kant sarebbero qualità dell’idea in quanto tali partecipanti alla dialettica essere-non essere, e con ciò giungiamo alla teologia, ovvero agli attributi e ai modi di Spinoza. L’intersecarsi della dialettica essere e non essere materiale insita nella diversificazione unita alla diversificazione ideale che configura la dialettica essere o non essere nell’oggettità, o oggettività ,configura e determina la impenetrabilità della sostanza. Fermo restando che non necessariamente devono intepretarsi tali costruzioni come fisiche ma anche come possibilità del fisico come creazione del soggettivo. La impenetrabilità della sostanza deriva anche dalla scissione che l’io pone tra sé ed oggetto. In ciò si comprendono le mie affermazioni sulla importanza della sensazione tattile in un ottica di trascendenza della materia, ma spaziale. Si evince anche che la enucleazione e le specificazioni del mio pensiero è in relazione alla spazialità delle idee che legittimerebbe ipotesi di contingenza spaziale nella associazione, ovvero è aderente ad un certo Platone come anche Socrate. La contingenza spaziale ideativa è mossa dalla coincidenza temporale del collocarsi fortuito della idea in base al movimento pulsionale

che anche se inconscio ha un effetto duplice operando e determinando sia la coscienza sia il movimento caotico e atemporale in modo soggettivo dell’inconscio. Da ciò anche l’assioma della necessità della distinzione che ha nella legittimità del suo concatenarsi e come base il movimento che presiederebbe a tale diversificazione. E’ tale movimento ad essere a base anche del concetto di evoluzione. Ciò determina la necessità della finitezza delle diversificazione, ed in ciò risiede la legittimità stessa del limite; è la materia ad essere finita ,e quindi permanente nella sua diversificazione ,perché rimane pur sempre materia al di là del mutamento della sua forma ,che è ciò in cui il movimento si palesa ,e attraverso cui si rende visibile, ossia attraverso la sua opera di mutamento di forma: la figurazione estetica. Materia e movimento pongono il concetto di limite, il movimento lo sviluppa nell’inconscio, parlando di nuovo idealisticamente, in quanto è innato, ovvero conservativo da talune angolazioni, e la materia lo sotto definisce dopo l’esercizio della facoltà della vista organo dell’intelletto a dire di Aristotele. Tale mutamento si appalesa a noi attraverso la vista, mentre a livello ideativo attraverso la coscienza della idea, ovvero la sua rappresentazione, che non sempre è autocoscienza. Da ciò la sua importanza come organo dell’intelletto attribuitale da Aristotele nella Metafisica. E’ la vista che determina la costruzione razionale e oggettiva del tempo attraverso il mutamento dell’aspetto figurativo della materia nel tempo con ciò permettendoci però anche di cogliere il carattere della successione che si sedimenta nella possibilità del tempo come dimensione soggettiva, ovvero come successione idealistica, e conseguentemente come intuizione pura , senza di cui cesserebbe il presupposto di un esistenza nella contingenza spaziale, ovvero quella che conosciamo. Il calibrarsi dello scorrere del tempo al movimento esterno della materia lo connota oggettivamente ovvero secondo una oggettività soggettiva, oggettiva nella condivisione o nella illusione se per caso Parmenide avesse ragione, e ciò può porsi anche se direte è astruso. Nel cervello è presente una connotazione oggettiva del tempo ,organicamente parlando, derivante dalla scissione soggetto-sensazione, che rende tale ricostruzione deprimente e dipendente, rispetto quella che si determina a prescindere del fluire dello spazio esterno che delinea il rapporto trascendentale descritto da Kierkegaard nel Concetto dell’angoscia che infinitizza l’uomo, e tale è la trascendenza e il trascendere, ovvero il distacco rispetto cui la contraddizione di Freud è di aver valorizzato la cultura e nello stesso averla negata proprio con tale categoria del distacco psicotico, paranoico o schizofrenico. L’incidenza di ciò sulla strutturazione della volontà in termini di vita sessuale e di peccato si può evincere leggendo direttamente le pagine del Kierkegaard, ovvero con riguardo, ossia in correlazione, da un lato alla architettura mentale della perversione e dall’altro alla empiria erotomane del contatto sensistico, fermo restando che vi è molto altro, e che la perversione si rapporta indirettamente all’oggetto sensistico materiale. Le implicazioni della sessualità, sulla incidenza temporale, pongono per Kierkegaard la possibilità come scelta, ossia il peccato, e la disperazione, ovvero il fatto che si struttura nella pena per la donna di partorire pone la temporalità o meglio il porsi della temporalità si associa a tale punizione emblematica, essendovi una continuità di peccato tra il prima e il dopo la successione di madre e figlio-a ,cosa differente rispetto al prega e lavora che riguarda la punizione maschile, e rispetto cui la posizione femminile appare già teologicamente peggiore, ovvero stiamo analizzando il porsi della temporalità con la caduta dal paradiso, di cui sono intrise parte delle opere di codesto elevato esistenzialista e dannato, nel senso positivo, connotativo e non connotativo. Si possono analizzare le successive pagine svolte da Kierkegaard sul rapportarsi dell’uomo e della donna in quanto egli non pone la differenziazione platonica amante-dio ,e amata, ma analizza la questione in termini simbolici conseguenziali e di combinamento la cui risultante è il culmine dell’amore, interpretato anche come contemplativo, ma siamo sempre sul piano del lavoro e della famiglia. La donna riporta al finito l’uomo, con il suo peccato, ovvero un uomo che vuole volare e non vola: in tale affermazione si coglie la dualità del rapporto uomo-donna e si evince la ragione dell’attribuzione del peccato alla donna in quanto caratteriologicamente concreta ovvero non idealistica, e come direbbe Lacan non vi è nulla di più folle del reale. Ovvero testimonia il valore di una analisi di orientazione teo-psicologica sia il mito junghiano e le sue incidenze ma anche le stesse pagine di Totem e Tabù che pongono ad un dato livello metastorico e meta psicologico , ovvero pulsionale, il Censore morale. Si sono poste le interrelazioni tra idealismo ed etica ,e materialismo e l’etica, ovvero tra il trascendere, il volo, l’infinito, il contemplativo platonico ed il finito-materiale. Si può dire che le visioni materialistiche si caratterizzino strutturalmente ,come agnostiche, riguardo il problema etico, ossia lo ignorano e si rapportano al finito, tranne per il materialismo dialettico che disvela il ruolo della ragione fino all’eventuale e comunque possibile meccanicismo della dialettica dei mezzi di produzione, da cui il determinismo freudiano proviene ed inoltre si caratterizzano come

immanenti la cui evoluzione è il pragmatismo attuale inglese ,che va a determinare la elaborazione scientifica in termini di analisi il cui completo strutturarsi attuativo della ricerca necessita della capacità sintetica, ovvero del trascendere e dell’ulteriore dirigersi verso il puro, e necessita inoltre della organizzazione dei dati raccolti, ovvero di una qualcosa di idealistico, rispetto cui la sintesi della analisi non si pone come vera sintesi, ed organizzazione che dunque ed ovviamente partecipa del processo sintetico e di giudizio, ma in modo limitato come sottolinea Popper. Di qui lo scindersi o meglio la necessità della scissione all’interno di un piano di ricerca delle persone deputate a descrivere gli status che si determinano e dall’altro di coloro che dall’intersecarsi dell’obiettità derivano la obiettità per conseguenza, sia induttiva che deduttiva, e che si scinde dalla visione materialistica ed implica un approccio idealistico in quanto libero seppure necessitante dell’obbligo della chiusura in formule che avviene a livello numerico e matematico, o di premessa e conseguenza, rispetto cui la verifica è impossibile, ovvero la migliore teoria è quella che non si può verificare, come Popper insegna negando con ciò il ruolo della induzione, e ciò parzialmente altrimenti non avrebbe parlato di verificabilità, ed ancora premessa e conseguenza e formule la cui derivazione simbolica è la fisica. Ma la vista di tali limiti è quindi necessariamente l’organo dell’intelletto come Aristotele lo definì, e come non intuì forse Kant, in quanto la sua percezione del tempo ,ossia l’oggettità del tempo, si appalesa nel mutamento di forma pur rimanendo la soggettività del tempo che si traduce in un Io penso, parallelo e da cui deriva la percezione dell’esterno ed ancora in cui si radica la possibilità del trascendere. Ma la percezione del tempo dell’Io penso che individua la percezione soggettiva, in quanto non inconscia e quindi a temporale, è occultata dal determinarsi della sensazione, unitamente al contatto con la materia. Il mutamento della forma si appalesa all’esterno e viene percepito dal soggetto attraverso la luce, ovvero l’intelletto vede la luce, con esclusione di considerazione sulla fisiologia della vista, e motivo proseguendo da cui deriva l’importanza del colore nella percezione della esplicazione e nel determinarsi della diversificazione della materia attraverso il movimento. La vista è l’organo dell’intelletto in quanto si fonda su tali esplicitazioni della forma materiale, ovvero della forma anche come rappresentazione modellata sulla materiale ed altro, e si distingue dall’udito le cui ricostruzioni sensistiche sono più vicine a connotazioni che colgono aspetti soggettivi nella commistione prodotta nel procedimento della diversificazione della idea tra materia e idea in cui la materia equivale a necessità della sensazione per l’intelletto. Anche l’udito poi coglie una successione di suoni, che permette al nostro intuito di cogliere la temporalità, la cui forma è la successione, successione che a sua volta è costruita razionalmente, e modella la ragione attorno l’unità razionale dell’Io penso che rappresenta in tal caso e differentemente da prima la permanenza come prima la materia, relazioni. Il movimento poi determina la genesi del tempo, ossia si colloca nel tempo ,comunque volendolo definire, il movimento è l’esplicazione del tempo, ossia la sua forza che si dispiega: sottolineando come alla sua definizione di forza si riconnettono le concettualizzazioni relative alla sua centralità nella genesi del tempo. La stessa materia che si diversifica attraverso il movimento si colloca nel tempo che è una costruzione anche razionale (se esaminata da tale punto di vista) per distinguere i diversi movimenti, ma tale tempo è essenziale e diviene intuizione pura e presupposto perché è alla base del concetto di evoluzione, ossia se non ci fosse scansione temporale il movimento coinciderebbe con la stasi o la non evoluzione. La materia che attraverso il movimento si diversifica ha bisogno e le è connaturale il tempo.

Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.

Подняться наверх