Читать книгу Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno. - Domenico Petrilli - Страница 8

ETERNO RITORNO , SUO COLLEGAMENTO CON LA REALTA’ MATERIALE, E LE DIFFICOLTA’ DI UNA RICOSTRUZIONE DELLA ATTIVITA’ RAZIONALE PURA.

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Deriva, da quanto detto, una estrema difficoltà di elaborare una attività razionale pura,essendo la nostra conoscenza legata imprescindibilmente al dato della materia. Da ciò la definizione di noumeno di Kant non superabile neppure attraverso le tesi sullo spirito o coscienza universale di Hegel ,e forse in toto insolubile, se si ragiona in chiave teologica di libero arbitrio e di tutela di ciò che ad esso inerisce, ed ancora noumeno dato il profondo carattere di intrinsecità che lega la diversificazione delle idee alla

dinamicità con cui si esplica la diversificazione della materia, oppositorum, ed esplicazione di ciò che attiene ad un volitivo che se libero deve esistere e per il solo fatto di esistere deve prescindere

dall’esterno, e tale carattere intrinseco spiega parte della costruzione spaziale interiore ed esteriore. Per quanto quindi la possibilità di una attività razionale pura non possa essere negata data l’esistenza di una attività razionale di cui non si può confutare al riguardo alcunché, la difficoltà deriva appunto dal fatto che la attività razionale come scienza( inteso come conoscenza del dato empirico) deriva e si nutre di sensazioni e le sensazioni hanno bisogno di materia da sentire, o comunque di un oggetto, anche ideativo ed idealistico ed eventualmente materialistico nell’essere della dialettica. Tale ultima affermazione è parzialmente contraria alle tesi sulla spazialità della idea, come enti autonomi, e tesi contraria in quanto considera la equiparazione sensazione-sentimento che sono entrambe forze che determinano il determinarsi della elaborazione razionale nella diversificazione delle idee, per cui si giunge ad una generalizzazione della forza, come forza interiore- volitivo – conservazione e forza esterna. Il loro operare congiunto, delle forze esteriori ,senso ,come contatto o tatto ,e sentimento, come desiderio e sentire che contengono e presuppongono un oggetti, si determina con la commistione dell’idea al dato sentimentale e la scissione di questa necessità di sintesi che consegue e che si esprime nell’unità della idea che si determina a partire da tale fusione di materia e affettività che si struttura in conseguenze e prescindente il contatto, e dunque in quanto prescindente la completa distinzione dei due, ovvero la scissione del senso, che si spera non fallisca residuando la soggettività del tempo kantiana, ed ancora senso-oggettivo di nuovo distinto dal sentimento soggettivo, fermo restando che sviluppando Kant se il tempo è soggettivo il senso non esiste e dunque neppure l’oggetto e la soluzione è di essere parmenidei, e qui risiede la dialettica del senso interno sempre kantiano. Tale aspetto deve essere analizzato nella proiezione io sono io e io sono l’oggetto ,e l’idea, anche tra soggetti ,ossia si parla al riguardo del grado di capacità integrativa della scissione che si pone tra la materia della sensazione che conduce alla idea, e l’affetto, inteso come status piacevole o doloroso, che si determina nel contatto ma anche nella memoria del contatto, ovvero vi è una scissione dell’affettivo quale desiderativo dall’oggettivo nella ideazione che non elimina il problema dell’aderenza dell’essere affetto e dell’e-movere essendo tale scissione ideativa, ovvero razionale, il che apre a molto. Tale assioma ossia quello relativo alla esistenza del noumeno implicito nella scissione, che costantemente la conservazione ribadisce, e qui vi è una delle ragione della associazione di conservazione-coscienza e della sostituzione dell’oggetto reale all’oggetto ideale, e qui dunque vi è la ragione conservativa della sublimazione rispetto cui la differenziazione di plasticità anche neurale si pone quale fattore, ovvero proseguendo nella scissione io ed altro e io e spazio esterno anche ideale tale deduzione non può essere confutata neppure attraverso le tesi di Hegel , Hegel che nel rapporto coscienza ed autocoscienza tende ad oggettivare in parte l’una ai danni dell’altra come si evince nel rapporto schiavo-padrone (sia pure dalla terminologia dello schiavo si evince una parziale strumentalizzazione e quindi oggettivazione di una delle parti della coscienza nel meccanismo riflesso-riflettente) e da cui origina la infelicità della coscienza ,che si risolve successivamente in una partecipazione universale all’essere, ovvero Hegel usa tale infelicità come forma di congiungimento a qualcosa di universale, come dialettica della frustrazione e della sofferenza, ed è dei due termini solo la sofferenza che si adegua alle parti teologiche esaminate sia perché è scritto sia perché la sofferenza eleva, ma tale non è universalità della coscienza, tranne lo stesso intendesse altro dal dire essa è universale, ma è partecipazione, nel senso platonico e contemplativo: tale assioma deriva indiscutibilmente dalla esistenza e quindi dal carattere necessario della materia, anche quale idealistica, che porta , da altra angolazione, alla intelligente definizione di noumeno e alla necessità di un intuizione trascendentale per cogliere appieno la realtà, ovvero si tenga presente la relazione di sostanza e permanenza . L’imperativo categorico, tornando a Kant, crea una scissione tra Dio e uomo e il rapporto si struttura tra due soggetti di cui uno prescrive l’altro obbedisce sottomettendosi al rispetto dell’imperativo. La ribellione determina il peccato, o male radicale. Il nocciolo del male radicale kantiano è qua. Anche Kierkegaard definisce in modo pressoché identico il comportamento satanico nel Concetto dell’Angoscia. Gli studi di Kant che egli stesso impressiona e ferma come una fotografia al ritmo del carpe diem nelle tavole delle categorie (modalità, relazione, quantità, qualità), i successivi studi di Lennenberg sulla matrice biologica e gli apporti di Hegel alla dualità della ragione, in coscienza ed autocoscienza , che si aggiunge a quella dell’intelletto kantiano, vanno tenuti in considerazione come apporti alla opportunità di comprensione delle modalità funzionali e determinative della attività razionale, che riporta la ragione anche a concettualizzazioni relative ad una dualità comunicativa tra sentimenti e ragione, tra anima e ragione, ovvero anima come eticità e contemplazione , apporti poi che rimarcano possibili interpretazioni e ricostruzioni di Platone sulla diade indefinita purtroppo perdute che porterebbero alla

constatazione che l’universo sia unità dell’appercezione dell’Io penso, sebbene la diade sia esplicitata in relazione alla dialettica essere e non essere, che Kant risolve nel vero idealismo dimostrando di abbracciare Parmenide. Per quanto le idee poi non siano contraddistinte dalla materia ogni discorso o concettualizzazione presuppone la materia, ovvero anche come interno- esterno, in tale attualità dell’essere e non essere in cui il non essere è l’oggetto stesso, e ciò in quanto dal contatto col dato della materia derivano le successive concettualizzazioni per quanto riguarda la attualità dell’esistere. L’idea si scinde in idea materiale e idea metafisica. Il ponte che permette il passaggio tra lo stato materiale e quello idealistico che si scinde in materiale da un lato e trascendente metafisicamente dall’altro e che connotano la qualità oggettiva dello spazio esterno, radicando la opposizione tra trascendenza materiale (lo scendere tra gli abissi in contrapposizione alle vette di Nietsche) e trascendenza metafisica che è la logica ,la cui applicazione fisica anche a livello idealistico è data dal principio sillogistico aristotelico ,in opposizione alla più ampia dialettica platonica ,in cui ci si svincola dal presupposto della esistenza. Rimane comunque probabile che il mondo delle idee non abbia bisogno dello spazio inteso materialmente ma lo presuppone perché senza tale spazio non si avrebbe una percezione della materia, e quindi idee e ragionamento anche sul dato della materia. La eliminazione della materia non limiterebbe comunque la capacità propulsiva del sentimento che si espanderebbe nell’ottica di un contatto ideale-ideativo, anche desiderativo. Si afferma che la mente sente la potenzialità tattile dell’affettività da vicinanza o contatto, ed in ciò la ragione della classificazione sentimento. Stiamo forse con ciò costituendo un idealismo organico, che essendo idealismo prescinde nello stesso tempo dall’organico stesso, secondo linee che sono hegeliane, idealismo organico comunque nel vero senso della parola ovvero quello che è più consono affermare è che trattasi di un parallelismo materia e idea racchiudente il sinolo che implica un rapporto di reciproca dipendenza e opposizione che presiede al rapporto che esso determina, od ancora spazio-idea, materia-spazio e contatto ideativo o relazione spaziale. A livello di traccia mnesica la materia non dovrebbe mai essere eliminata ma l’opposizione di stato, ideativo e sensistico- materiale ,determina una inibizione a livello organico che agisce e conserva una identità nell’inconscio, oscurato, il quale ultimo inconscio rafforza le pulsioni, nel caso la inibizione riguardi ad esempio la materia, ovvero in senso tradizionale, ma anche nel senso oggetto ideativo pulsionale essendo una rappresentazione comunque di una oggettualità, e tali dinamiche si reggono sul compito di oscurare il passaggio avvenuto dallo stato della assenza della materia o ideativo ovvero si legga tale gioco della inibizione ovvero tra la razionalità e il sensismo- materialità in ottica conservativa rispetto cui le pulsioni appaiono differenti e rispetto cui deve considerarsi la pulsione ad essere ed ad esistere, ovvero la conservazione a base della ideazione come anche il segnale incondizionato della pulsione al nutrimento, che è anche esso conservativo, e parliamo di nutrizione a modo di esempio. Ciò perché per avere conoscenza v’è il bisogno di un oggetto da conoscere ossia di materia e non essendovi tale oggetto non vi è scopo nel conoscere e per tale via verrebbe meno l’opera del ragionare. In contrapposto a tale ultima teorizzazione Hegel analizzando il rapporto dualistico coscienza -autocoscienza pone una a vantaggio dell’altro assumendo l’una il ruolo di servo rispetto alla padronanza della coscienza che affermando l’identità gestisce anche l’autocoscienza che struttura la sua situazione gerarchica, ovvero sfrutta tale situazione gerarchica come attivante e limitativa nella costituzione e formazione del Super-Io i cui confini sono duttili ma partono da difese primitive che concretizza la rimozione attraverso l’induzione-inibizione della cellula cerebrale, ovvero il non compiere il male risiede nella capacità di condizionarsi e nella inibizione del comportamento sbagliato rispetto cui nello stesso tempo si ha la eccitazione onnipotente e conservativa della rappresentazione della opposta azione. I rapporti inibizione che concretizzano lo stato di rimozione e dipendenza dell’io da una situazione cosciente di affetto parallela ad una affettività inconscia dovrebbe essere analizzato. Il ruolo del Censore deve essere ancora chiarito in relazione all’ideale ma la migliore teoria è quella di Lacan e della Legge, che ovviamente riprende Totem e Tabù. Nello sviluppo di una psichiatria che assurga al titolo di scienza dovrebbe essere considerata nella delineazione dei caratteri di una patologia la situazione di integrazione-disintegrazione dell’io , e non solo in senso ambientale ma etimologico, strutturale e strutturativo a partire da esso e dovrebbe essere considerata la situazione del Super-Io sottolineando che mentre la disintegrazione di io e Super-Io determina la dissociazione, essendo lo stesso al contempo la Legge e il significante della Legge, dissociazione che è a base delle successive involuzioni (mi riferisco ad allucinazioni che sono la conseguenza della disintegrazione in quanto è assente la sintesi dell’io penso che permette

la ricostruzione cosciente della sensazione e della rappresentazione) della schizofrenia

la disintegrazione dell’io con un Super-Io integro determina la psicosi che può determinare situazioni paranoidi. Occorre distinguere in virtù della caratteristica paranoide tra paranoia psicotica e paranoia schizoide in quanto la paranoia schizoide, in quanto non permeata dal controllo attivo del Super-Io ,non incontrando dunque la inibizione del senso di colpa, è più realistica e forte, ovvero resistente anche a livello transferale, e fermo restando la rappresentazione della colpa o la negazione di sé, e tutto ciò sulla base che lo stato psicotico essendo derivato dalla disintegrazione dell’io si determina anche nella schizofrenia che è contraddistinta dalla disintegrazione di Io e Super-Io, ovvero da una negazione parziale o totale del mondo, e che ciò sia di origine traumatica è reale ma riguarda altro. E’ pur vero che le tesi di Hegel che contestualizzano il rapporto coscienza ed autocoscienza in una diade che reca seco la possibilità determinativa del ragionamento unite alla necessaria attribuzione di centralità al sentimento il quale ultimo potrebbe anche prescindere dal dato materiale portano alla legittimità dei postulati della esistenza dopo la morte che fu poi teorizzata da Heidegger nel suo viver per la morte e nelle dialettiche dell’Ente ( si analizzi anche la reminescenza platonica) e riconfermano così la tesi relativa alla spazialità delle idee che riprende il dato della successione numerica caratteristica come esaminato della percezione, ovvero della ricostruzione del percetto a livello cognitivistico e che deriverebbe anche dal sentimento ovvero che sarebbe necessario alla sopravvivenza delle idee che derivano dalla diversificazione che seco reca un idea di successione che la regoli ma anche di una forza che muove la relazione interno - esterno e interno - interno fino alla identità dell’io, ovvero la sua chiusura e schiusura, ossia il suo esistenzialismo o carattere esistenziale. Ovviamente tutte le contestualizzazioni della parola derivano dalla forma di esistenza attuale e si evince che la esistenza si fonda su una dualità-molteplicità (sia pure derivata da una primordiale unità che porta alla classificazione di motore immobile di Dio che è dire lo stesso della unità, ovvero dell’essere dell’Io sono Io, indifferenziato ed indifferente) ossia ancora e differentemente abbiamo la necessità per esistere di qualcosa esterno a noi da conoscere che rimanda la percezione di esistenza di noi stessi e possiamo classificare tale esterno come oggetto che sia materia sia anima, come dimostra la esistenza della percezione intero- interocettiva. La possibilità del senso interno , dunque, che è una conseguenza, si fonda appunto su tale scissione di anima e corpo, ragione ,idea e sentimento o inconscio, i cui ultimi termini sono freudiani con il ponte della relazione dell’immaginativo e del preconscio: con ciò analizziamo anche gli aspetti relativi alla oggettivazione da Hegel studiata tra coscienza ed autocoscienza ,nella dinamica schiavo-padrone, perché di oggettivazione si tratta ovvero la esistenza dello schiavo viene equiparata dal padrone a quello di un oggetto, materialismo dialettico, consumismo o profitto e alienazione, fattore che prospetta la possibilità di una attività razionale pura prescindente dal dato materiale, proprio per via del ruolo di servo e padrone, interna, interiore che gode di qualcosa ovvero di un oggetto che non può essere che la idea, e la idea del consumismo e della alienazione è la idea del profitto , ossia del plusvalore, di quello che eccede il valore che il padrone concede all’operaio. Il problema rimane come raggiungere e perfezionare tale presupposto di cui gode la nostra conformazione intellettiva e razionale, come evaderla, come stoicizzare. Non esula dal discorso, quindi, la concettualizzazione platonica del Super Uranio, ed il suo parziale raggiungimento deriva dalla realizzazione e fortificazione della capacità di procedere con la ragione, nel regno kantiano della idea, cosa che Platone faceva parlando di Caverna e di Cigni, procedere con la ragione per concetti astratti distaccandosi dal dato materiale. E’ attraverso tale unità e indifferenza dello spirito che si determina la trascendenza nella coscienza dileguante e che dovrebbero portare alla coincidenza dello spirito alla auspicata atarassia epicurea la cui conseguenza sarebbe l’aponia ed è in questi altrove che si coglie appieno l’idealismo dello spirito di Hegel ossia l’idealismo dell’Io sono Io che si fonde all’aspetto metafisico della trascendenza dello spirito all’universalità ossia in un tutto che si fonde e partecipa senza fondersi all’unità. Il frantumarsi a molteplicità equivale al dileguare dell’identità che non può essere eliminata per cui sopravvive nella molteplicità, nella finitezza. Non vi è nulla di più fisico e organico di tale passo di Hegel relativo alla scissione ulteriore alla bipartizione coscienza-autocoscienza che si determina a livello ideale come conseguenza della scissione materialistica materia e idea, servo ed oggetto del servire, impossibile da eliminare a livello ideativo per una sola ragione, ovvero di nuovo teologicamente, la follia. La trascendenza che Hegel descrive nel passo relativo alla coscienza infelice, si connota con l’essere materialistica ,e da tale analisi deriva la possibilità che si configuri una stasi temporale nel momento in cui la sensazione derivante dal contatto con la materia acquista centralità, e l’Io se ne appropria scindendo in dialettica io-oggetto e io-idea dell’oggetto nella fase relativa alla elaborazione razionale che si concretizza in virtù di quell’affectus che contraddistingue il sottomettersi della ragione, dinamica da cui

deriva la spiegazione della connotazione soggettiva del tempo all’operatività della sensazione che scandisce il diversificarsi della materia identificando nel carattere oggettivo del tempo che è definizione soggettiva di movimento. Ovviamente il movimento accoglie anche il movimento spaziale che è una specificazione del movimento temporale da cui deriva il concetto di distanza che è la sintesi del rapporto di operatività del principio temporale sul principio di forma materiale, ideazioni. Nella sottospecificazione dell’io penso che si scinde nella dialettica propria di tale sottospecificazione la quale è coscienza ed autocoscienza la quale influisce attraverso la costituzione del Super Io, secondo una analisi di Nietzsche e non di Freud, sulla capacità sintetica dell’io penso scindendolo in io morale e io fisico e ideativo dalla cui combinazione eventuale deriva l’essere strutturale della volontarietà dell’azione, la quale essendo spaziale si sottomette comunque al carattere allucinato in modo onnipotente dello spazio stesso, si coglie un costituirsi dell’interno sulla base della diade interno -esterno, soggetto-oggetto, e soggetto-padre e soggetto-figlio, ed ancora Legge e Mos, la cui dinamica si evince in un flusso energetico carico di positività e negatività, in un unirsi e disgregarsi continuo dei due elementi l’uno positivo l’altro negativo a produrre l’elettricità che alimenta metaforicamente la negazione della negazione, ovvero la sintesi come categoria che sorge dal simile e dissimile, ovvero dalla analogia della ragione secondo la logica kantiana. Fondamento, poi, del ragionare e del mondo delle idee rimane la scansione temporale. Ogni discorso ed ogni singola idea hanno un inizio ed una fine. Quell’inizio e quella fine la scandiscono nel tempo. Di qui uno spazio temporale così che successivamente si avrà simbolicamente un inizio ed una fine in cui si radica il concetto di evoluzione e di molteplicità delle idee, ovvero lo spazio delle idee. Il ragionare in assenza del dato materiale può essere qualificato attività razionale pura, di cui Kant ha parlato solo a livello delle categorie, ovvero dello strutturale e strutturativo essendo il resto materialistico od al massimo platonico- contemplativo. Riguardo poi alle costruzioni morali ed ad altre che sembrano esclusivamente razionali ritengo che le stesse poggino comunque sulla materia, come esemplificato per coloro che comprendono la metafora della elettricità, simile al concetto della diga di Jacques Lacan, e dunque affermo in un certo senso essi rappresentino una successiva distorsione razionale insita nella percezione della materia:gli antichi toccando il fuoco si bruciavano e da tale paura che deriva ed è una conseguenza del senso tattile ne derivò una venerazione per il fuoco, nello stesso tempo sottolineando che il mio non è regalare il nichilismo ma analizzare qualcosa insito nell’essere al mondo che potrebbe riguardare anche il non essere al mondo, in un senso forse diverso da quello consegnato, ovvero che potrebbe essere il possibile del prescindere dalla materia ma non dalla relazione e dalle categorie,e fermo restando nella specificazione di morale e animismo la differenza del ruolo della Parola e della Legge, in senso lacaniano ed in senso teologico. Tali considerazioni non vanno dunque a contraddire la necessità di un tutto di cui noi siamo semplici parti essendo questa la migliore definizione spaziale dell’esistenza, sia a livello ideativo e sia materiale, ovvero ciò che rende inconfutabile la critica alla logica capitalistica e la dialettica dei mezzi di produzione, rispetto alla quale dinamica la stessa è una parzialità-imparzialità la cui fuga da essa può essere solo la prima visione marxista, ovvero quella di una abolizione in cui si nota l’essere strumento dell’ homo homini lupus quale strumento del dividi et impera, il Leviatano. La necessaria distinzione del tutto dalle sue parti presente quanto meno in una definizione di tutto e parte, di totalità e unità, invoca poi un aspetto metafisico da cui la parte deriva, e con cui si fonde, nella sua necessaria separazione dalle altre parti ,e dal tutto stesso, ed in tale aspetto metafisico si determina la collocazione, l’orientamento e la morale o meglio la etica. Tale dato metafisico culmina e riceve la sua vita all’interno di una attività razionale pura ,o nel cogito preriflessivo, che rimanda, come status quo ante, allo stato embrionale rispetto alla vera e propria nascita e strutturazione del pensiero, motivo per cui le concettualizzazioni di Sartre su tale aspetto del nulla e sul radicarsi della elaborazione nel nulla è nutrizionale e psichica, oltre che necessariamente ricorrente proprio per via del suo derivato che è la pulsione di morte le cui relazioni alla elaborazione sono state esaminate altrove. Tale stato embrionale è paragonabile al parto dell’idea di Dio, detto anche Padre, ovvero alla separazione del figlio dal padre, e dunque alla Legge, ovvero poi dalla madre, ovvero la questione si presenta psichica e teologica, e rispetto cui trovano differente collocazione esplorazione e orientamento, cognitivismo e fisiologia, ovvero è un fattore che individua la radice di menomazioni motorie od altro come fobia e blocco della motorietà, da una angolazione teologica e di colpa, ed è tale parto della idea di Dio che implica già il concetto di separazione tra Tutto e parte , tra l’io piccolo e la idea che è l’idea dell’altro io, ovvero la dialettica immaginaria e lo sbarramento del desiderio che fonda il diritto teologico al godimento effettivo e non penoso di quella molteplicità tanto necessaria alla esistenza. L’idea del parto della

idea di Dio richiama la persistenza all’interno di ciascun soggetto della matrice divina, di cui si può supporre il ruolo deterministico creativo e panteistico, in quanto da lui deriva la possibilità a posteriori di ogni attività razionale, con il conseguente desiderio di ricongiungersi a questo padre o Tutto da cui tutto origina e senza essere il Tutto per via di una legittimità- Legge del libero arbitrio e ciò solo se si hanno in mente i conseguenti della realità di Dio di Cartesio, di nuovo panteistica. Trovano così consenso e fondamento le tesi platoniche sulla reminiscenza da Hegel elaborate attraverso la teorizzazione di una voglia dello spirito di ricongiungersi all’universalità, ossia al tutto da cui la parte proviene, e trovano dunque in primo luogo accoglimento le tesi sulla spazialità della idea e sulla sua autonomia, esaminata in ottica differente tra Platone, il primo fondatore della scuola della anima. Mi si consenta tale ricostruzione, che si fonda sulle tesi di altri autorevoli autori, del desiderio innato di partecipazione all’idea di Dio o Tutto attraverso un innata sensazione, ossia lo stato embrionale, nutritivo, transferale, conflittuale per via della dialettica del desiderio di esistere fino al possesso diabolico dell’oggetto e alla negazione dell’Essere, ovvero il nichilismo e il dionisiaco, la materia finita e la sessualità o il vizio, estroversioni-introversioni, e fattore dunque tale ultimo di estroversione- introversione che da fondamento alle tesi platoniche della reminiscenza, che sono anche orientali, buddiste, le cui pagine di antica filosofia librano senza essere analizzate, la cui pratica si muove entro determinati canoni supposti sopra da altra angolazione e fattore che rivela da un lato, in tale determinismo logico, effettivo ed effettuale, in modo immediato la esistenza di Dio, che è già legittimata dalla provenienza, dal non conoscere il reale, e che qui riceve una conferma fenotipica modellata sulla sostituzione Dio con Padre e Madre, inespugnabile e costitutiva di malessere o benessere altrimenti neppure avrebbe senso teologico l’onorare il Padre e dall’altro, ancora e dunque, determina la innata valenza e validità dell’imperativo categorico ,cui aderiamo appunto perciò senza difficoltà alcuna, ovvero il rispetto della Legge e dei suoi cardini, la precedenza sacerdotale forse inconscia di Lacan ,nel tessere il gioco o le trame dei suoi significanti attorno ad un buco. E’ in tal modo che trascendiamo la materialità spaziale superandola in una metafisica data da essenza di schemi spaziali materiali(si ricordi che la parola metafisica indica ciò che va al di là del fisico)congiungendoci alla negazione della negazione, come definiva correttamente Derrida. Le tesi di Derrida che sono una specificazione delle affermazioni logiche hegeliane, e teologiche sono una derivazione, una esasperazione, un disceverare e una esaltazione conseguenziale della tesi hegeliana che si riferisce alla volontà della coscienza di disgregarsi per raggiungere la partecipazione al tutto che porta alla centralità della pulsione di morte, ovvero al viver per la morte, in quanto la disgregazione dell’io coincide con il suo morire, o con il suo assentarsi dalla esistenza, con il suo distaccarsi, con la follia non narcisistica del suo essere io che è separazione dall’altro io, ovvero uscita dall’immaginario, se ragioniamo nell’ottica di individuare come caratteristica del nulla la assenza di movimento temporale e di percezione spaziale di contatto derivata, o dal sentimento o dalla sensazione, e prima della riflessione non può esservi null’altro che l’io, la materia e il nulla, ovvero nulla di elaborato e nulla di pensato, la radice del concetto di stasi trascendentale e stasi materialistica si radica nella possibilità aperta dal nulla, ovvero dall’essere e dal suo essere procreativo. Ora l’assentarsi dell’io dall’esistenza attraverso quella capacità disgregativa che è a base del concetto stesso ed anche di stasi temporale materialistica, che concretizza l’influsso della sensazione, e di conseguenza della materia sulla psiche, determinando incontro, conciliazione, e fusione di temporalità oggettiva e soggettiva nel concetto, e nello status statico, deve rapportarsi a dolore e a piacere determinato dal perdurare e dal variare degli stati, e tale è la dialettica teologica della finitezza secondo Kierkegaard. Quel che più importa è che Derrida esalta nella definizione di superiorità ,esplicitata nella definizione di negazione della negazione il rapportarsi di tale negazione al nulla assoluto della negazione assoluta, un'altra e differente via del nichilismo e della potenza, negazione del nulla che diventa nello stesso tempo essente nel rispetto di come è concepito in chiave Platonica nel Parmenide, ovvero nell’essere e nel non essere , nella parvenza e nella illusione, nella assenza di significato e nel carattere non familiare del mondo, lo scetticismo che inizia da Cartesio positivisticamente e prosegue nel nichilismo di Camus distaccandosi, seppure quello di Camus è teologico, e esistenziale, a differenza della via marcata da Nietzsche, e comunque non è stato mai analizzato, un Nietzsche che se avesse potuto avrebbe realizzato nel suo portare la croce, forse superbamente , il nichilismo. Il tempo e il suo concetto si lega indissolubilmente al movimento che si esplica nella successione numerica della matematica che di conseguenza diviene una scienza divina che Platone ricercava giustamente nei suoi allievi. Platone ammirava poi la matematica per l’influenza che

su di lui ebbe Pitagora che a sua volta ricercava l’ordine nella mathesis di cui le sequenze

medievali di Fibonacci rappresentano la validità ed un tentativo fallito fermo restando quello del quale anche ci si riferisce con la trasmigrazione e le sue possibilità e di nuovo materia e finito e trascendenza. Ma mentre Fibonacci ricerca tale ordine in successioni Pitagora le concentrava nella perfezione del numero rispetto cui in aggiunta a Platone Aristotele pone il concetto di numero ideale ovvero la elevazione a potenza del numero in ottemperanza ad un carattere rissoso ma ubbidiente. Vi è da chiedersi se il numero esprime un rapporto ,o determina il rapporto. Sicuramente il numero può esprimere un rapporto. Il problema è l’uguaglianza delle parti in cui la successione numerica si struttura, e di questo si accorse Pitagora nel suo meritato aver già fondato il quantismo, ovvero moto, forza e successione divisibilità e indivisibilità. Ciò concretizza i discorsi sui numeri ideali platonici e il rapporto uguaglianza-parte numerica deve essere preso in considerazione in relazione alla mathesis pitagorica, ed ad una scienza del numero, ovvero se mancasse la uguaglianza è impossibile risolvere tale questione, fermo restando la teologia della misura, che pone la possibilità della assenza di misura , che pone la difformità come possibilità ed è questo di cui si avvede Pitagora, fino al concetto di antimateria che è attuale, mentre invece tutto il quantismo si racchiude in un positivo e in un negativo, in una attrazione e una repulsione, anche se non dice molto altro di quello che pone essendo la insolubilità di una antinomia. In basi a tali considerazioni si comprendono le derivazioni della stessa logica aristotelica che si radica nel numero 3(due premesse con una conclusione) dalla matematica (per Pitagora tre è il numero perfetto), ovvero anche Aristotele si interrogava sul sinolo sul congiungimento di materia e forma e logica che ha la fondata pretesa di essere una forma di partecipazione all’universale per concetti astratti fino a trasformarsi in creazione della comprensione del fenomeno attraverso collegamenti che sfidano la matematica quando sfociano in un irrazionale che solitamente è esistenziale. Con ciò si precisa che la qualifica irrazionale spetta anche a qualunque postulato che non reca seco un fondamento scientifico e il reale è razionale ma anche irrazionale secondo la logica degli opposti ciò di cui si avvede Popper nella sua previsione della impossibilità della verificabilità, ovvero una vera teoria non è verificabile, di nuovo la assenza di familiarità e la impossibilità, dialettiche dello scetticismo e del nulla come lo insegna Nietzsche nella sua predilezione per la irrazionalità romantica e dionisiaca, ovvero fino al dionisiaco, osservazioni, verificazioni: quindi prima che si classificasse il carbone come carbone esso era definito pietra, e il carbone rimaneva nella categoria dell’irrazionale del non compreso con la ragione non trovando la giusta valenza scientifica per la sua comprensione che è sempre razionale e necessariamente si deve osservare e verificare. Ovvero maggiormente è meno verificabile una teoria e maggiormente è attendibile fino a prova contraria in tali dialettiche nichilistiche dell’ignorante. Lo strutturarsi del linguaggio sorge in un ottica di relazione, anche in quanto in vista sempre di un raggiungimento di uno scopo, che si pone a fine dello stesso, i caratteri della motricità del linguaggio che giungono ad appropriarsi a tal fine dell’oggetto ideativo, ossia che residuano nella formalità, come appagamento proveniente dall’ oggetto ideativo che a tal scopo si può raggiungere, lavoro, controllo, strumento ed essenza. In virtù di tale rilevamento il dialogo ,ossia il linguaggio, è utilitaristico e ed è asservito alla pulsione di conservazione. Tale tesi vuole nello stesso tempo sostenere le ricerche di Noam Chomsky sull’origine genetica del linguaggio, e dunque organica delle primitive strutture linguistiche, la cui evoluzione motivazionale, delle isole, poggia sul sistema ripetendoci forse motivazionale- attivo di cui sopra, ma anche sul carattere passivo- automatico della conservazione- genetica, ovvero tale tesi vuole favorire la ricerca in termini di adesione-opposizione, tesi – antitesi nella passività del non essere e nell’attività dell’essere, deduzione, la cui delineazione potrebbe essere importante. Si coglie dunque la potenzialità della pulsione ,che sembra quasi scindersi nella sua forza ,che potrebbe poi permanere intatta in due pulsioni , i cui tratti caratteristici sono paralleli e si colgano in particolare le relazioni in virtù di tale specificazione dell’istinto di conservazione con la pulsione di scienza, la quale è una specificazione rispetto al carattere triplice di pulsione ad essere, o conservativa, pulsione sessuale, o riproduttivo – conservativa, e pulsione del non essere o morte, fattori che ricorrono attraverso la modulazione linguistica in appagamento, distruzione dell’essere del concetto in favore del suo essere stesso, ed essere che annulla il non essere con l’essere che distrugge l’essere, in una formula pienamente eraclitea, fino al controllo della percezione-coscienza- accesso alla motilità. Da tutte tali premesse si coglie la necessità- incombenza della ragione per accedere alla realtà divina, come teorizzato da Hegel,(si ricordi anche che tale volontà umana di ricerca di Dio attraverso la ragione era bandita dalla Chiesa che attraverso i tribunali dell’inquisizione inizialmente edificati per combattere le eresie bruciava i libri, oggetto della

conoscenza per via della relazione logica del peccato e del suo radicamento nella volontà di essere)

che si pone in contrasto con l’altro principio biblico del divieto di cibarsi del frutto della conoscenza. Su ciò si fondavano le ragioni che legittimavano e stavano alla base delle azioni dell’Inquisizione. Ne deriva una equiparazione della stregoneria e dell’esperimento di arti magiche nei termini di conoscenza del maligno, ovvero ,da un lato, Baudelaire e Nietzsche, il paradiso artificiale e il dionisiaco, ovvero la futilità del conoscere e lo scetticismo, in quanto l’ obiettivo delle Sacre Scritture alla base delle interpretazioni della Chiesa esplicate si conformano alle origini della sua teologia attuale ,si conformano ,dicevamo, alla conoscenza, come principio che è bandito in virtù di una prospettiva di ricongiungimento a Dio e allo status quo ante attraverso la redenzione, e ciò per tutto il discorso della cacciata, ovvero per la tesi del ritorno allo status quo ante, tesi legittima. L’atteggiamento della Chiesa riguardo la conoscenza e l’esame idealistico operato dai filosofi della conoscenza è stato e fu oscurantistico ,ed esercitato attraverso un potere consolidato di porre la censura nei limiti di determinati confini. Tali strumenti sono attualmente usati nelle dinamiche del potere, e sia del potere temporale che secolare la cui aggettivazione svela e disvela un desiderio onnipotente perché la temporalità e la secolarità appartengono a Qualcosa rispetto cui non è legittimo asserire ed aggettivare. Si potrebbe delineare l’atteggiamento della Chiesa riguardo le origini del crimine perpetrato attraverso la gestione del sapere al quale la gente può o non può avere accesso restandone influenzata, determinata, determinabile e sottomessa. Le origini della sottomissione derivano dalla variazione delle condizioni di accesso agli strumenti culturali, e di derivazione e strumentalità culturale, come internet, la cui caratteristica ,dal punto di vista mediatico, e la sua interattività ,ossia il rapportarsi ad esso da parte dell’utente nell’ottica del soggetto attivo che richiede la informazione ,comprende anche il ruolo di quell’utente passivo che la recepisce, ovvero instilla una onnipotenza-completezza, una passività- attività fuorviante. Riguardo alla possibilità di congiungersi con la trascendenza a Dio attraverso il pensiero va analizzato il fatto che come detto ne rappresentiamo una derivazione in funzione dell’idea di parto, ovvero il parto riguarda la stessa immagine dell’uomo che si separa da Dio ma non per condannarlo ma per esistere, fattore che ci lega e non ci slega da Lui. Un’altra via di necessità è l’adesione al cuore inteso come fede immediata di Jacobi che deve comunque essere ribadita nonostante il contrasto a Jacobi che esprimeva Hegel avverso le sue teorie nella Scienza della logica. In tali termini, ovvero della assenza di conoscenza, comunque ineliminabile come assenza-mancanza , e nella attività- passività, si colgono gli aspetti che potrebbero aver portato alla venerazione o paura del fuoco , ad esempio, elemento attivo e sublime, se non fosse per la sua associazione teologica e per il suo colore rosso ,che ci riporta ad un differente ruolo del genetico, in cui un fattore genetico che mi torna in mente è la impressionabilità, ovvero un carattere negativo, a livello dell’immaginativo e del teologico, e fattori quelli della assenza di conoscenza che derivano da un errato procedere della ragione unito al sentimento di paura che un primo contatto con ciò che ci nuoce o potrebbe essere atto a nuocerci producono, ovvero essendo ciò a livello conservativo, empirico la cui unica possibilità di fronte a tale fuoco è o la alimentazione passiva o contemplazione o il bruciare anticonservativo, come il bruciare ogni possibilità di conoscenza, ovvero altrimenti il bruciare noi stessi , e siamo sempre in chiave teologico- psicologica fino a concludere con l’opposto e l’al di là del bene e del male dato dalla contemplazione, ovvero dalla distanza e dalla vicinanza nel sapere e nella volizione , distanza-vicinanza rispetto al male e al bene, il male radicale e l’imperativo categorico. Ho aperto una pagina di poco intendimento ma rimane l’assunto verificabile della paura della passività per l’uomo e non per la donna, in modo paradossalmente non speculare, in quanto la donna è passiva seppur occorre sempre verificare un orientamento di passività e attività come dialettica, direbbe , Freud, e rimane l’assunto della impressionabilità e della passività conseguente alla impressionabilità che è sempre passività e dolore, parlando del termine in generale, e ciò fino al sublime, al mostruoso, al contemplativo, ovvero alla idea di Dio, per dirla in termini kantiani anche nella contemplazione del peccato e del mostruoso secondo un insegnamento di un Padre della Chiesa. Si vuole con ciò anche ribadire che l’attività razionale potrebbe non prescindere dall’attività sensibile, in opposizione. E tendo a sottolineare che tale affermazione, ovvero la articolazione esistenziale, non entra in contrasto con le precedenti perché tale articolazione ha sede in un altrove del volitivo, ovvero non è oppositiva ma confermativa ed in cui si evince solo che per giungere a congiungersi ed ad aver percezione e quindi conoscenza di Dio due sono le vie percorribili: o la fede immediata che porta ad una adesione altrettanto immediata all’imperativo categorico kantiano o la via della ragione prospettata da Hegel che necessariamente e successivamente porta ad un necessario congiungimento delle vie percorse in chiave platonica. Mentre la prospettiva kantiana si scinde da quella platonica, che è invece ripresa da Hegel, e

addirittura si lega a quella socratica, cui noi aderiamo, rappresentata dalla tesi che afferma la coincidenza di virtù e conoscenza ,in quanto pone l’imperativo categorico come un qualcosa di dato, che in virtù di questo essere dato si scinde dalla temporalità per essere temporale nella sua realizzazione, ovvero nella sintesi di imperativo e circostanza temporale. Tale rilievo è una evoluzione della scissione, e della conseguente e relativa autonomia della idea ,che va a costituire l’Iper - Uranio platonico applicato in chiave moralistica, ed in tal senso si scinde da Platone essendo qualcosa di altro e per di più puro. Per cui in Kant e in relazione a Kant va considerata da un lato il legame tra reminiscenza, ossia recupero dell’idea che costituisce l’imperativo categorico ,e dall’altro lo scindersi di tale idea, che ne determina una staticità ,che si colloca al di là del tempo, che deve essere analizzato anche in relazione alla tesi esposta sulla stasi trascendentale in termini idealistici, ciò in quanto andando per generali ogni trascendenza reca seco il germe della teologia perché significa andare al di là. La tesi relativa alla possibile derivazione della fede dalla paura del fuoco reca seco comunque la possibilità che un attività razionale pura non sia possibile, in quanto ammettendo la stessa ,rappresenterebbe pur sempre una derivazione sensibile nella nostra esistenza materiale, ovvero nel senso che ciò che è strutturale è strutturale perché la struttura deve essere ferma nella sua relazione per essere struttura, ovvero deve essere a priori, e tale critica muove dalla constatazione del non potersi prescindere dalla materia o spazialità materiale rispetto a quanto sopra affermato sulla ragion pura e la sensazione, la cui risposta è che essa è rappresentazione della sensazione. Implicazioni relativi a scissioni della struttura della idea dal dato della materia come esemplificate stante il ragionamento svolto nella ragion pura kantiana, quello della sintesi, che si pone attraverso la enucleazione delle categorie porta seco che nella scissione della idea della materia si fonda l’Iper uranio mentre l’immanenza aristotelica poggia sulla opposizione-attrattiva interno ed esterno, ovvero sulla relazione alla immanenza precisando dunque che non è esclusa la autonomia della idea per cui o si nega, come fa Nietzsche tutto ciò che non è materia, o tale autonomia ,che nella sua autonomia ci dischiude il suo essere nella sua autonomia, diviene trascendente, ed anche ciò rimane un antinomia ma scientifica. Di qui la presenza nella formazione di scuola hegeliana di elementi aristotelici e platonici. Dalle tesi su esposte si evince che l’esistenza della attività razionale pura è indubitabile tranne che per l’aspetto della sua autonomia, spingendo al massimo, ovvero per quanto riguarda quella autonomia che ne consente la sopravvivenza in assenza di materia e nello stesso tempo essendovi la materia non riesce a distinguersi tale autonomia, ed eventualmente il suo co-essere e co-esistere e dunque per ciò stesso può porsi come possibilità dell’essere che la trascendenza e quindi la metafisica consentono il ricongiungimento a Dio, fondando la possibilità della attività razionale pura, in modo non diverso da come narra Platone. A rafforzare i presupposti di cui discutiamo sono altresì le credenze o verità sulla incorporeità di Dio stesso e quelle sulla esistenza della vita dopo la morte sorrette a loro volta dalla tesi sulla spazialità delle idee, ovvero la qualcosa è analizzata ad un livello semplicistico ma teologico al modo di Platone. Si ricordino poi al riguardo i caratteri dell’idea platonica che si edifica e si costruisce nella dialettica (una successiva elaborazione della gymnasia di Parmenide) .Questa sfocia successivamente nella logica, il cui presupposto è dato dalla matematica, sempre nella aderenza di Aristotele a Platone, e di cui è l’evoluzione che a sua volta sfocia nella logica degli opposti, e nella volontà di potenza, o inconscio ,che rimarcano la necessità di uno spazio irrazionale, accanto a quello razionale, che ne rappresenta lo specchio ,ossia la irrazionalità sfocia nella razionalità dell’attimo dell’io penso che traduce in azione l’imperativo categorico di una volontà di partecipazione irrazionale al metafisico: la così detta fede immediata di Jacobi. La negazione totale di un’ attività razionale pura non è comunque possibile quindi per la presenza inconfutabile di un’attività razionale nei procedimenti cognitivi. Ne deriva soltanto che a differenza di altre scuole e correnti filosofiche che ricercavano il primato ora nei sensi, ora nell’atomo, ora negli istinti , ora nel percetto il postulato e il primo assioma è dato dal fatto che tutti tali aspetti sono imprescindibilmente uniti e verranno trattati e analizzati come uniti, e sono uniti o nella illusione o nel reale. Analizzerò successivamente la relazione aponia - materia che si radica proprio tale aponia sull’assenza del dato materiale e della percezione, ulteriore struttura della follia ovvero della assenza di comprensione di un folle verso uno che si potrebbe giudicare folle, ovvero i beati coloro che non sanno ciò che fanno diventano gli incapaci realisticamente, ulteriori scissioni di cui il buddismo conosce la essenza. Evitando di considerare le implicazioni metafisiche e trascendentali va comunque detto che la attività razionale pura non va negata per le implicazioni di enorme beneficio per l’esistenza morale e per la esistenza ideativa, oltre che per la possibilità scientifica di un essere strutturale che nelle sue funzioni determina il funzionale oggettivo e il funzionale soggettivo

che sono le strutture dell’oggetto e le strutture del soggetto a livello esistenziale. Quindi in buona linea si è affermata e si è confutata la tesi relativa alla impossibilità di cogliere una attività razionale pura in un esistenza in cui partecipa anche la materia nel caso sia vero l’assunto della materia, ma comunque dovrebbe essere per lo meno vero quello eventuale anche sulla immutabilità- indivisibilità. Una maggiore cognizione e conoscenza di tale attività pura , nel senso di riguardante la idea e non l’oggetto della idea, potrebbe ottenersi con la vita ascetica che porta ad un maggior approfondimento del senso interno, ma tale via potrebbe di nuovo e come detto condurre alla pazzia prescindendosi dalla materia che è presupposto dell’esistenza attuale, che è poi la dinamica del folle.

Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.

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