Читать книгу Speranze e glorie; Le tre capitali: Torino, Firenze, Roma - Edmondo De Amicis - Страница 10
AGLI STUDENTI.
ОглавлениеA voi, studenti, e agl'invitati illustri che sono tra voi, domando perdono se non fui abbastanza modesto da rifiutare l'onore immeritato che mi faceste, chiamandomi a inaugurare il vostro Circolo con un breve discorso. Ma v'era nel vostro invito un significato che accarezzava irresistibilmente quel particolare amor proprio, sospettoso d'altri e di sè, che viene coi capelli grigi; il vostro invito voleva dire che, nonostante la disparità degli anni, non mi credete ancora tanto lontano da voi per calore d'affetti e per fede nei belli ideali della giovinezza, da non poter interpretare il pensiero e l'animo d'un'adunanza di studenti. Io non seppi vincere la tentazione di mostrare pubblicamente l'attestato di gioventù spirituale, di cui m'onoraste.
Ma una ben altra ragione mi spinse: furono due modeste parole ch'io lessi nel secondo articolo del vostro statuto.
In questo tempo in cui un troppo gran numero d'insecutori furiosi della fortuna cerca d'estendere le leggi biologiche della lotta per l'esistenza dai regni inferiori della natura alla società umana, per trarne cagione a sciogliersi da ogni più alto dovere di generosità e di gentilezza, è bello questo vostro intento, col quale voi rinnegate formalmente per parte vostra la prima e più dura di quelle leggi, che è l'egoismo; intento con cui mirate ad attuare, in mezzo a voi, uno dei più arditi concetti degli apostoli della giustizia e dell'eguaglianza assoluta: il diritto di tutti a procacciarsi la vita con la cultura e con l'esercizio delle loro facoltà migliori, nel campo a cui la natura li ha destinati. «Mutuo soccorso»: è l'espressione con cui avete delicatamente significato il vostro scopo: io la saluto, come l'insegna gentilizia della vostra casa.
Ma anche senza di questo, anche se la vostra Associazione non avesse avuto altro fine che quello di un ritrovo geniale, io sarei stato lietissimo e mi sarei tenuto onorato dell'invito, per queste ragioni. Perchè il corso fortunato di molte fra le idee più feconde degli ultimi tempi, perchè la formazione del primo manipolo dei propugnatori di molte cause elette, diventati col tempo moltitudine vittoriosa, perchè l'autorità e la forza di molti uomini predestinati a grandi opere, ebbero cominciamento, voi lo sapete, in riunioni abituali della gioventù consacrata agli studi; perchè ciascuno di noi, cercando dove si siano aperti prima alla sua mente certi orizzonti, dove siano cadute certe arroganze pericolose del suo orgoglio, dove egli abbia prima imparato il rispetto del pensiero altrui, la sapiente diffidenza del giudizio proprio e il nobile ossequio dell'ingegno alla critica, trova il principio di tutto ciò nel periodo delle sue discussioni ardenti coi colleghi di vent'anni; perchè, in fine, l'intrecciarsi degli ordini diversi della coltura, l'azione reciproca delle virtù opposte dei caratteri, l'educazione delle facoltà agili e battagliere dell'intelligenza, e la conoscenza degli uomini che è il rincalzo e la scorta di tutte le facoltà, e la generazione spontanea delle amicizie che durano quanto la vita, strette da un legame di memorie senza amarezze, non sono quasi altrimenti possibili che nelle vostre riunioni e all'età vostra, la quale mette nelle sue controversie un ardore, una schiettezza, una fede nella fecondità della lotta che con gli anni scema, pur troppo, o si perde.
Sia dunque bene inaugurato, anche per questo, il vostro Circolo. Fate, come dice il poeta, cozzare i vostri pensieri dalle loro parti sonore; discutete—disputate—battagliate; correte per tutti i versi il vostro campo sterminato in cerca d'avventure e di cimenti dello spirito; affrontate audacemente tutti i problemi con codesta invidiabile facoltà di lampeggiamento dell'intelletto per la quale v'appare tante volte improvviso quello che trovano a fatica la meditazione e l'esperienza; fate fiammeggiare e rombar senza posa la grande fucina delle passioni e delle idee; e siano ben venute le vostre discussioni, anche le più tempestose, anche quelle che v'inaspriscono e v'adirano, se saranno seguite dallo slancio gentile con cui i cavalieri dell'idea si porgon la mano dopo i duelli della parola, riconoscendo che agli occhi luminosi della Scienza e dell'Arte non deve salire il fumo impuro dei nostri rancori.
Ma perdonatemi se ho rasentato un momento il sermone: tendenza consueta di chi parla a persone di cui desidera il bene ardentemente. E di questo voi non dubitate, ne son certo. Voi non credete a quello che dice un grande poeta malinconico: che lo spettacolo della gioventù è odioso agli uomini maturi. No, non è vero, per la maturità che lavora e che pensa. Può bene anche un uomo di senno e di cuore risentire, in mezzo a voi, quell'ombra di mestizia che ci suol dare la vista d'un nostro ritratto di vent'anni addietro, il quale ci rammenta affetti morti e illusioni perdute. Ma da questo leggero senso di rammarico si scioglie prontamente il nostro pensiero quando la gioventù che ci sta dinanzi è quella che siede nella più alta scuola d'uno Stato, quella a cui è affidato per l'avvenire l'onore intellettuale d'un popolo. Dal rimpianto del nostro passato noi ci volgiamo allora all'ammirazione del vostro, o studenti; del passato, voglio dire, della grande famiglia universitaria, giovane eternamente. Poichè questo ci tocca nel vivo dell'animo: che nella classe a cui appartenete sia eguagliato lo splendore delle speranze da quello delle tradizioni; che lungo tutta la via della nostra storia nuova, dalla prima germinazione oscura dell'idea nazionale fino agli ultimi trionfi dorati dal sole, si ritrovino mille nomi della vostra bella schiera; che non si sia dato da settant'anni a questa volta un momento triste, difficile o solenne, in cui la patria non abbia udito la gran voce sonora delle vostre legioni esprimere prima di lei i suoi entusiasmi più nobili e le sue risoluzioni più audaci. Questi ricordi ci ridesta la vostra presenza. Voi avete consolato della vostra ammirazione festosa gli ultimi anni travagliati dei grandi vecchi, avete vendicato col grido giovanile ingiustizie memorabili, scosso da inerzie colpevoli classi cittadine troppo paurose d'ogni cosa; avete dato teste eroiche ai patiboli, petti di ferro alle barricate, rigagnoli di sangue ardente fra il Ticino e l'Adige, sui monti di Sicilia e sulle mura di Roma. E la gioia infinita che troviamo in queste memorie viene in gran parte dalla profonda, incrollabile, superba certezza che, se la storia si ricominciasse, essa non avrebbe per cagion vostra nè un dolore di più nè una gloria di meno.
Ma v'è un'altra ragione, anche più potente, del nostro affetto per voi. Quando noi ci arrestiamo sgomenti davanti alle affollate e multiformi difficoltà, contro le quali, nel campo della speculazione e dell'opera, urta la fronte la generazione a cui appartengo e quella che la precede, noi ricorriamo con la mente alla gioventù universitaria, come in una grande guerra dubbiosa l'esercito di prima linea volge il pensiero al secondo esercito, che si ordina e si addestra nei campi, aspettando la sua ora. E con un conforto grande ci raffiguriamo nuove forme dell'arte, una più alta sapienza della legge, nuove infermità vinte, nuovi e maravigliosi cooperatori delle braccia umane, qualche idea splendida e semplice, oggi ancora velata, cospirante alla soluzione di quell'enorme problema sociale che ci tormenta la ragione e ci affanna l'anima; e come i contorni incerti di una bella terra lontana, vediamo le somme linee di una società più giusta, più fraterna, più felice della nostra; che, in fondo, è il più santo voto del cuor di tutti. E allora diciamo in cor nostro:—Là, in mezzo a loro, tutto questo cova, spunta, s'abbozza, ribolle—sono essi l'avvenire in cui abbiamo fede—le speranze che ci aiutano a vivere son le loro ambizioni—e la luce più viva che scalda il nostro tramonto è quella che c'irradia alle spalle l'aurora della loro gioventù. E allora, quanto v'amiamo! Allora quel sentimento d'orgoglio chiuso che tien poco o molto ogni generazione matura si stacca come scoria vile dall'animo nostro; allora non comprendiamo più perchè ciascun di noi non debba desiderare come una fortuna che voi gli passiate sul corpo per salire a un gradino più alto sulla scala dell'arte e della scienza: allora benediciamo ai vostri studi, alle vostre gioie, alle vostre irruenze con un entusiasmo nel quale è ancora tutta la freschezza della vostra età, con un affetto di cui non vi può dar l'immagine che la stretta dell'amplesso paterno.
Sì, noi v'amiamo come l'avvenire vivente. E seguitiamo i vostri passi con quel sentimento di curiosità pensierosa, col quale si guarda chi parte per un paese sconosciuto e mirabile, come s'egli avesse già sulla sua persona un riflesso delle maraviglie verso cui move. E infatti, che cosa sia per avvenire di questa mole deforme della società presente, di cui la cima sfolgora e il fondamento vacilla, che cosa sia per nascere dalle condizioni attuali del vecchio mondo, rimasto nell'ombra in mezzo agli opposti crepuscoli degli astri tramontati e di quelli non sorti ancora, battuto dal flutto di moltitudini irritate, delle quali cresce il malcontento con la cultura, e schiacciato dal peso di eserciti immensi, destinati a conflitti che sgomentano l'immaginazione, e a cui la ragione e il cuore dei popoli sempre più minacciosamente repugna; nè noi lo sappiamo, nè v'è scienza che lo prevegga. Ma certo è che il mondo si prepara con vasti e lenti sforzi a una profonda mutazione, e che nell'età che s'apre voi avrete a lottare, come cittadini e come uomini, con difficoltà diverse in gran parte da quelle che a noi contrastarono e contrastano, che altre virtù v'occorreranno, che altri sacrifizi vi saranno chiesti, ai quali noi non fummo chiamati. Ma a tutto voi andrete incontro con animo ardito, confortati non soltanto dalla fede nella vittoria ultima della giustizia e del bene, ma anche da questo pensiero: che per quanto maravigliose sian le novità che vi vedrete d'intorno, non saranno da meno quelle che sorgeranno dentro di voi, non tanto per effetto naturale del tempo, quanto per virtù delle cose esteriori mutate. Fioriture improvvise e stupende di facoltà latenti, fecondate da nuove passioni, nate alla loro volta da avvenimenti inattesi; svoltate subitanee e corse conquistatrici dell'ingegno per vie non solo non cercate, ma ignorate fino a poc'anzi; forze imprevedute dell'animo, suscitate da pericoli e da dolori comuni, e appassionate consacrazioni di tutte le potenze dell'intelletto e della volontà a ordini d'idee a cui per vent'anni non s'era mai affacciata la mente se non forse per combatterle o per dileggiarle: tutto questo avverrà tra voi, e tanto muteranno alcuni, che, ricercando sè stessi nelle memorie di questi giorni, stupiranno della loro immagine antica. Tutto questo avverrà. E forse fra quelli che m'ascoltano vi sono già dei fidanzati inconsapevoli dell'era nuova, campioni fortunati di idee benefiche, vittime illustri od oscure, ma egualmente nobili, di grandi passioni, fronti che si alzeranno sopra l'altre come segnacoli, nomi che saranno amati e benedetti. Noi salutiamo con riverenza in voi questo cumulo di promesse, di predestinazioni e di misteri, e se qualche cosa ci turba nel gridarvi l'evviva della partenza, è il timore di non aver abbastanza lavorato, pensato, sofferto per spianarvi la via su cui vi lanciate, la via dove v'accompagneremo con l'anima fin che ci si velerà l'orizzonte.
Ed ora, che vi potrei dire di più? Finita questa bella serata, voi rimarrete soli alle vostre liete riunioni. Ma noi, di mezzo alle cure e alle fatiche di ogni giorno, ritorneremo spesso con la mente alle poche ore di gioventù che ci avete fatto rivivere, tra queste pareti dove pure vi verrà a ritrovare il desiderio di tanti lontani che v'amano, dove vi verranno a stringer la mano colleghi d'altre provincie e d'altri popoli, dove tanta allegrezza, tanta vita, tanta primavera di pensiero e d'affetto darà fiori e frutti al futuro. Abbia dunque lunga vita, il vostro Circolo. E non sia soltanto il luogo dove le buone amicizie si cementino: sia anche quello dove, vinti dalla forza della cordialità altrui, i nemici si riconcilino, dove le gelosie dell'ingegno si spuntino, dove le opinioni dei partiti avversi si ricambino l'omaggio della cortesia; in modo che possiate dire:—Emuli negli studi, concorrenti nella vita, sciolti da ogni vincolo nella politica; ma qui—siamo fratelli.—Questo è il mio augurio al vostro Circolo. A Voi, avanguardia intellettuale della vostra generazione, a quelli che nella battaglia della vita vinceranno, a quelli che cadranno, a quelli che, crivellati di ferite, dureranno a combattere fino all'estremo, a voi tutti, sangue nuovo e generoso della patria, figliuoli prediletti del nostro pensiero e speranze sacre del nostro cuore, salute, fortuna, gloria!
Torino 1891.