Читать книгу Speranze e glorie; Le tre capitali: Torino, Firenze, Roma - Edmondo De Amicis - Страница 12
AGLI STUDENTI.
ОглавлениеQuando per la seconda volta mi faceste l'onore d'invitarmi a parlare, sopra un argomento di mia scelta, nella vostra Associazione, mi venne in mente alla prima di parlarvi della quistione sociale. Ma quasi ad un tempo pensai che non sarebbe stato onesto il venir qui ad esporre intorno a un soggetto gravissimo opinioni e giudizi, da cui molti potevan dissentire, senza esser preparati a confutarli. Dissi quindi tra me: non entrerò, per questa volta, nel cuore dell'argomento; non enuncierò uno solo dei principii del socialismo, i quali, d'altra parte, son noti: mi restringerò a parlare ai miei giovani amici del dovere, che, a senso mio, spetta a loro più che ad altri, di occuparsi della quistione; e compirò io stesso, così facendo, un dovere. Debbo anche premettere che non ho l'arroganza di rivolgere le mie parole a quelli tra voi, che le quistioni sociali e economiche hanno nel loro corso universitario, poichè questi potrebbero venire al mio posto e parlare in vece mia. Io non mi rivolgo che alla parte di voi, che della quistione sociale non s'occupa, e suppongo sia la parte maggiore; del che non ho ragione di stupirmi nè di farvi rimprovero, essendo un fatto razionale e comune che, nella vita affollata di passioni e di pensieri a cui tutti, di tutte le età, siamo costretti oggigiorno, sfuggano a molti per lungo tempo interi aspetti della società, ordini interi di idee, e anche di avvenimenti periodici e notissimi, che per l'osservatore attento sono i segni indubitabili di una grande trasformazione sociale.
Mi domanderete per prima cosa: ma voi, per quistione sociale, che cosa intendete?
È questa una delle molte domande alle quali non si può meglio rispondere che con un'altra domanda.
Ed ecco la mia risposta interrogativa.
Questo fatto della vita misera e del malcontento giustificato del maggior numero degli uomini, fatto comune a paesi poveri e ricchi, di tutti i gradi di civiltà, è effetto d'una legge di natura o delle leggi umane? Questa forza che accumula a un polo della società la ricchezza e la cultura, e all'altro il pauperismo e l'ignoranza, che restringe quasi a una classe sola gli effetti benefici della civiltà e della scienza, che preclude quasi affatto alle moltitudini l'educazione e la vita dello spirito, che fa sussistere gli uni in faccia agli altri tanti tesori superflui e tanti bisogni insoddisfatti, tanti ozi felici e tante disperate fatiche, è un destino dell'umanità o deriva da viziose istituzioni sociali? Che la civiltà procedente stritoli sotto i suoi passi miriadi di creature umane; che sotto i piedi di questa società incivilita stia aperta, come una minaccia per tutti, la voragine spaventosa della miseria; che prenda forma più selvaggia ogni giorno questa battaglia per la vita che assorbe il meglio delle forze di tutti, e perverte le coscienze e inferocisce i cuori, atterrando intorno a ogni vincitore cento vinti; che milioni d'uomini che lavorano sian ridotti a paventare e a maledire come un flagello ogni invenzione dell'ingegno umano la quale abbia per effetto di scemare il bisogno che ha la società dei loro sudori; che il pane, che l'esistenza di famiglie innumerevoli dipendano anche in tempi ordinari dalle mille vicende di una disordinata e furiosa guerra mercantile, della quale esse non hanno nè colpa nè coscienza; è una necessità ineluttabile o è conseguenza d'una lunga serie d'errori? Che, in fine, ogni nazione abbia nel suo seno due popoli, di cui l'uno diffida e teme e l'altro freme e minaccia; che per contenere non pochi ribelli, ma moltitudini intere, sian necessari il terrore delle leggi e la forza delle armi; che le grida festose di pochi inneggianti al progresso siano costantemente coperte dal lamento immenso, crescente, implacabile d'una folla infinita, è questo il prodotto d'una misteriosa legge sociale su cui l'uomo non può nulla, o è effetto dell'egoismo umano compenetratosi con le istituzioni e con gli usi, di qualche impedimento enorme che sia nell'organesimo della società, rimosso il quale circolerebbe agevolmente il sangue in tutte le sue membra e le verrebbe la salute e la pace? In una parola, v'è o non v'è qualche sovrano rimedio, o un complesso di rimedi, a tanto cumulo di mali?
A questa domanda il socialismo risponde:—Sì.
Milioni di voci rispondono:—No.
Ebbene, io non son qui per sostenere l'affermazione. Io son venuto—poichè suppongo che nella classe in cui vivete v'accada più sovente di udir la seconda risposta che la prima—son venuto a dirvi:—Non accettate la risposta che vi suggeriscono: cercatela voi stessi;—son venuto a combattere le ragioni di coloro che vi voglion distogliere dal cercarla perchè accettiate a occhi chiusi la loro.
Queste ragioni son parecchie e assai diverse, e credo che a pochi tra voi non sia già occorso di udirle tutte.
La più ovvia è questa. Vi dicono:—Raccoglietevi nei vostri studi, pensate a diventar nella vostra professione valenti ed utili, e avrete compiuto il vostro dovere verso la società; pensino altri a raddrizzare il mondo.—Non date retta a costoro. Non è più onestamente possibile di restringersi a servire la società solo quel tanto che è necessario per provvedere ai nostri interessi. Le condizioni del tempo in cui viviamo son così fatte che convien correggere la definizione antica dell'uomo onesto, e dire che per essere tale non basta più ad alcuno neppur l'esercizio delle più elette virtù private, se egli chiude l'orecchio e il cuore al grido dei dolori umani, s'egli non s'adopera direttamente per la rigenerazione dei suoi simili e per il trionfo della giustizia, se non volge almeno una parte della propria operosità a cercare coscienziosamente al servizio di qual dottrina sociale, per il bene di tutti, debba impiegare le sue forze. E non badate neppure a chi vi consiglia l'astensione, dicendo che v'occuperete della quistione sociale più tardi, perchè quelli stessi che vi dicono ora:—Attenetevi ai vostri studi—vi diranno allora:—Attenetevi ai vostri affari,—e vi vorranno relegare nella fortezza della casa e dell'ufficio come ora vi vogliono chiudere nel santuario della letteratura e della scienza. Occupatevi ora di quella quistione, ora che avete l'intelletto e l'animo aperto a tutte le grandi idee, ora che potete esperimentare in voi la verità di quello che un economista dottissimo disse: che l'intelligenza della scienza sociale procede dal cuore anche più che dallo spirito, ora che la durezza della lotta per la vita e la esperienza della tristizia umana non v'hanno ancora rintuzzato il senso della generosità e della compassione. Milioni di vostri fratelli a cui la fortuna ha negato il conforto e l'onore degli studi, e chiuso la via d'ogni agiatezza, confidano nell'opera della gioventù studiosa, sperano che almeno voi studierete spassionatamente la loro causa; e a questo noi v'esorteremmo del pari, quand'anche dalle vostre meditazioni doveste esser condotti a una fede opposta alla nostra, poichè noi pure, come quel focoso flagellatore dell'«Indifferenza religiosa», preferiamo gli avversari dichiarati che, combattendoci, soffiano nel nostro ardore, agli indifferenti che rifiutano di combattere; davanti ai quali ci cadono le armi dal pugno e gli entusiasmi dal cuore. Occupatevi della quistione fin d'ora, perchè in nessun modo riuscirete a scansarla nell'avvenire, qualunque campo d'azione siate per scegliere; perchè essa vi si leverà davanti negli studi solitari, nell'esercizio della professione, nell'educazione dei figlioli, nell'adempimento d'ogni vostro ufficio di cittadini; perchè essa s'attraversa oramai a tutti i passi della vita e s'affaccia a tutti gli sbocchi dell'intelligenza; perchè tutte le questioni di politica europea, e le lotte dei partiti parlamentari, e le splendide feste delle arti e delle industrie, e le grandi solennità patriottiche, e perfin le guerre internazionali, non son che episodi della storia, che la nascondono per brevi spazi di tempo; passati i quali essa riappare all'orizzonte, altissima, immobile, eterna, come la piramide di Cheope quando cade il vento del Sahara e il turbinìo delle arene si queta.
Non dovrei ribatter nemmeno coloro che vi consigliano di lasciar da un lato la quistione sociale dicendovi che essa riguarda una classe sola, o certe classi, non la vostra; perchè son certo che voi non siete tanto sdegnati dell'egoismo miserabile di quest'argomento quanto mossi a pietà dall'insensatezza di chi considera come una parte trascurabile della società la parte di lei più importante per il suo numero, più necessaria per la sua funzione, più benemerita per le sue fatiche; quella senza di cui la nazione non ha fondamento, la patria non ha difesa, e il mondo non ha nè vesti, nè tetto, nè utensili, nè pane. Ma l'argomento, pure intrinsecamente è falso. La quistione sociale abbraccia ormai tutte le classi poichè anche le classi medie, sebbene con minore intensità, per ora, e con effetti meno visibilmente dolorosi, risentono già tutti i danni di cui le inferiori si lagnano. Vi è già una gran parte della borghesia per cui l'esistenza non è meno minacciosamente precaria che per le classi chiamate con maggior proprietà lavoratrici; vi sono in tutti i campi del commercio e dell'industria le mezze fortune oppresse nella lotta disperata con le grandi; vi è un popolo di possidenti che mendica; v'è una concorrenza di cento paria per ogni stipendio che basti appena alla vita; vi sono migliaia di giovani d'ingegno e di studio a cui non è possibile di guadagnare quanto un bracciante prima dei trent'anni; v'è la vecchiezza pensionata che disputa il posto alla gioventù esordiente, la donna che lo contende all'uomo, l'uomo che lo contrasta al ragazzo; v'è una tal ressa di naufraghi intorno a ogni trave galleggiante, che quando uno per negligenza o per forza lascia andare la sua, non gli resta quasi più speranza d'afferrarne un'altra, e annega le più volte nella miseria. Il posto umilissimo che, per l'inferiorità forzata della sua educazione e per la falsità vanitosa della nostra, è assegnato nella società al lavoratore manuale, la cui opera si onora in astratto e si disprezza impersonata, e la scarsa e mutevole e spesso umiliante mercede con cui quell'opera è retribuita avendo per effetto che tutti rifuggano o cerchino d'uscire in qualunque modo dalla bolgia delle classi inferiori, ne segue che s'abbia un eccesso di produzione anche nel campo dell'intelligenza, che vi sia una sovrabbondanza enorme di gioventù colta alla quale la coltura non serve a nulla come l'oro all'affamato in mezzo al deserto, un esercito di riserva intellettuale, che, come quello della classe operaia, offre il suo lavoro in ribasso, e accetta ogni condizione di vita, e non trova a vivere nemmeno accettando ogni condizione. E il torrente ingrossa ogni giorno, e la piena è giunta per tutto a tal segno, che fin nel paese che deve alla sua grande coltura la supremazia politica e militare in Europa, si vede costretto il Governo a rifiutare il suo consenso alla fondazione di nuovi istituti d'insegnamento, perchè quelli che esistono sono già esuberanti al bisogno che ha la società di candidati. Lasciate ora che alle donne, poichè v'è anche per esse una quistione sociale, si schiudano tutte le vie, come accadrà per forza invincibile delle cose; supponete che si compia il voto del cor di tutti, d'un dimezzamento degli eserciti, che getterebbe nella concorrenza altre migliaia di giovani, i quali, per l'indole della loro educazione e per i pregiudizi connaturati allo stato presente della società, rifuggirebbero dal lavoro meccanico; e s'avrà allora un proletariato borghese non meno temibile, benchè men numeroso, anzi più potente e più attivo perchè più colto, di quel della plebe. Ma egli è già tale, e non più legato che da un così tenue vincolo di tradizione e d'interesse con la classe superiore, che è diventato in qualche paese una delle forze più vive del socialismo, un focolare spaurevole di malcontento e di ribellione acceso nel seno stesso della borghesia. Che se per ora, e fra noi specialmente, si fa meno avvertire, perchè è sparso e dubitante e perchè, trovandosi i suoi elementi in più diretta dipendenza dai privilegiati della fortuna, corrono maggior pericolo d'esser segnati e buttati sul lastrico, lasciate che scemino i suoi timori e ingrandiscano le sue speranze con l'allargarsi del socialismo nella moltitudine, nel parlamento e nella stampa, e vedrete come leverà il grido delle rivendicazioni, senza che gli si possa negare il diritto di levarlo. Non date dunque ascolto a chi vi dice che la quistione sociale non è che una quistione operaia ed agricola: il che sarebbe già qualche cosa, mi sembra; no, è la quistione di tutti, fuorchè di un pugno di ciechi e di sordi.
Altri vi dicono:—A che pro occuparvi della quistione sociale? Essa è antica come il mondo. Non mutano che i nomi: invece di schiavi, servi; invece di servi, salariati; i vinti della lotta darwiniana hanno sempre empito il mondo delle loro querele. Il socialismo rimarrà nello stato permanente di spauracchio e di freno all'individualismo prevaricatore, e sarà bene; ma null'altro. La miseria del maggior numero, come disse il Thiers, è nel piano della Provvidenza.—Domandate prima di tutto a costoro se la Provvidenza abbia mai fatto vedere al Thiers o ad altri il suo piano. Quanto alla teoria del Darwin, contentiamoci di domandare se le leggi della lotta fra le razze inferiori s'abbiano da riferire all'umanità, nella quale i vinti, che invece di sparire, si moltiplicano, non avrebbero che da unirsi, e lo possono, perchè i vincitori svaniscano come un nuvolo di polvere nell'uragano. Dicono:—la quistione è antica quanto il mondo.—E sia concesso. Ma quel che non è antico quanto il mondo è il grado a cui è pervenuto lo svolgimento del principio dell'uguaglianza, che è il fatto più generale, più costante, più ribelle a ogni umana opposizione che si conosca nella storia. Quel che non è antico come il mondo è la coscienza acquisita dell'uguaglianza civile e politica, che fanno sentire più profondamente che mai le disuguaglianze economiche; è la cultura maggiore che acuisce nelle moltitudini tutti i patimenti dell'animo derivanti, dallo spettacolo delle troppo grandi disparità delle classi; è la __miseria relativa__ smisuratamente cresciuta col moltiplicarsi delle ricchezze e dei raffinamenti sensuali della vita in un piccolo numero; è il decadimento progressivo di quello spirito religioso di rassegnazione che faceva sopportare i mali presenti con la speranza di una ricompensa futura; è, infine, un clero di tutte le chiese che, sollecitando delle riforme sociali, ossia riconoscendo che ai mali della terra c'è rimedio, fa comprendere agli sfortunati, se non con le parole, col fatto, che non si può pretendere da loro l'antica rassegnazione.
Sì, la quistione sociale sarà antica come il mondo. Ma quello che è nuovo è la gigantesca potenza accumulatasi con l'oro in mano di cittadini privati, che s'alzano come sovrani in mezzo a popoli liberi, che posseggono parti della loro patria vaste come Stati, che tengon nella propria borsa la sorte di centinaia di migliaia d'uomini, che possono turbare a vantaggio proprio gl'interessi d'un'intera nazione e corrompere scopertamente moltitudini e poteri. Quello che è nuovo è che di fronte a questi monarchi della ricchezza, e alle loro strapotenti federazioni, che allargano intorno a sè come una landa sinistra la servitù morale e il salariato, siano sorte delle società di settecento mila lavoratori, delle «Unioni di mestieri» numerose come popoli e organate come eserciti, che in tutte le città dei paesi civili, chiamati a raccolta dalla grande industria, si vadano agglomerando i proletari in battaglioni e in reggimenti, che s'intendono, si disciplinano, e s'affratellano. Quello che è nuovo pure è che si raccolgano congressi operai ai quali intervengono i delegati di diciannove nazioni, rappresentanti cinque milioni di lavoratori; che vi sian paesi dove venti città si dichiarino in favore del «socializzamento» della terra; che nel paese più colto e più potente d'Europa si mandino al Parlamento quaranta campioni della nuova idea, con maggior numero di voti che non ne raccolga alcun altro partito della nazione; quello che è nuovo è un accordo internazionale di agitatori che con una parola d'ordine lanciata da Parigi a Sidney e da Berlino a Nuova York fa nello stesso giorno dell'anno disertar gli opifici a nove milioni di operai, e vegliare sull'armi dieci eserciti come sotto l'imminenza d'uno sfacelo degli Stati. Quello che è nuovo affatto è che si spandano ogni giorno, da mille città, verso ogni parte, su tutta la faccia della terra, milioni di fogli parlanti, che predicano una speranza comune e soffiano in una sola passione, e s'accumulano nelle soffitte e nei tuguri come una provvigione di polvere da guerra. Ed è un'altra cosa nuova, che migliaia di poveri lavoratori d'ogni paese, finite le loro dieci ore di lavoro estenuante, si assoggettino la sera a una nuova fatica per istruirsi nelle quistioni sociali, si strappino il pane dalla bocca per sostenere il giornale che li protegge, e consacrino gli ultimi resti delle proprie forze alla propaganda delle loro idee e all'ordinamento del loro partito, e perdurino in questa opera con una febbre di passione, che ne conduce molti alla fossa. E non è men nuovo nè men grave che questa gran moltitudine incolta e ribollente abbia e sappia d'avere alla sua testa uno stato maggiore intrepido d'uomini di studio e d'uomini di Stato, di vessilliferi di ogni scienza e di ogni arte, che propugnano la loro causa in tutte le regioni del pensiero e in tutte le congiunture della vita. Infine, la quistione sociale sarà antica quanto il mondo; ma quello che è tutto proprio del tempo nostro, credo io, e che non fu nemmeno negli ultimi anni che precedettero la rivoluzione francese, nei quali le classi minacciate andavano incontro all'avvenire con una quasi balda spensieratezza, è questo turbamento che tutti risentiamo, qualunque sia il nostro grado di fortuna, qualunque siano le nostre idee sociologiche, davanti allo stato attuale delle cose; è questa scontentezza della ragione e del cuore, è questa lotta sorda e continua fra la nostra coscienza di cittadini e il nostro interesse di privati, è questo sentimento confuso di colpa, è questo presentimento vago di qualche cosa di grande e di fatale, che ci fa guardare intorno con occhio inquieto come viaggiatori senza guida che s'avanzino alla ventura per una terra sconosciuta.
V'è pure chi cerca di stornarvi da questo pensiero affermando che non bisogna lasciarsi illudere da certe scosse improvvise e solitarie, dalle apparenze ingrandite ad arte di certi avvenimenti; che, in realtà, il movimento è lentissimo e intralciato da discordie inconciliabili, che ha periodi lunghi di sosta, e che non saranno neppure i figli dei nostri figli che vedranno la società in grave pericolo.—Non credete nemmeno a costoro. Sotto le maggiori apparenze di quiete, anzi più sotto queste, il movimento procede con una celerità non sperata neanche da chi lo seconda. Il socialismo germanico fece i suoi più rapidi passi nel periodo delle leggi eccezionali, da cui pareva stato strozzato. La maggior parte delle sue conquiste è silenziosa, ed è la loro continuità medesima che, come quella della cresciuta di un fiume, non ci consente di seguirne con l'occhio la progressione. Dalla parte dov'è combattuto, all'ira ch'era stata preceduta dal dileggio, è susseguita ora una discussione universale e quasi continua, nella quale ai colti paladini della borghesia accade assai sovente, con loro grande stupore, di trovarsi davanti degli avversari d'officina, che in quistioni economiche di propria spettanza non sono men forti di loro. A poco a poco il socialismo invade il giornale, il libro, il teatro, penetra nelle accademie dei dotti e nei gabinetti dei monarchi, si rizza sui pergami, assalta l'una dopo l'altra le cattedre; le quali in più d'uno Stato, con maggiore o minor restrizione di idee, sono in massima parte già sue. Si può quasi asserire che meno rapidamente egli si diffonde alla superficie di quanto si propaghi dal basso all'alto. Nella vasta polemica scientifica ch'egli promove su tutte le quistioni che gli si legano, e gli si legano tutte, ogni giorno strappa agli avversari una concessione, disarma una resistenza, fa accettare un'idea. Ogni giorno, nell'esercito formidabile che gli sta a fronte, nel campo della politica, della scienza e delle lettere, un combattente s'arresta incerto, o butta via le armi, o le ritorce contro i suoi; e molti che continuano a combattere si sentono già spuntare nell'anima l'amor del nemico, e hanno già la diserzione nel cuore, e non la compiono se non per ragioni di personale interesse, o per timori e per riguardi sociali, o perchè non hanno fede che in un trionfo troppo lontano della causa che credon giusta. E di questo vacillamento e rimescolìo di coscienze si vedon mille segni ed effetti per tutta la scala della cittadinanza, dal maestro di scuola impacciato a dar ragione alla fanciullezza di tante mostruose anomalie sociali che non si possono più palliare coi sofismi antichi, al giudice che non sa più troncare in bocca all'accusato volgare la dichiarazione di principii che lesse egli medesimo nel libro d'un senatore del Regno, fino allo scrittore borghese che non può più scrivere pel popolo senza girare con artifici infiniti intorno alla grande quistione che gli si presenta inevitabile e molesta a ogni passo, scompigliandogli nella mente tutta la sua vecchia precettistica morale e patriottica, fino ai grandi predicatori dell'igiene pubblica, fino agli amministratori ufficiali dell'istruzione popolare, che dubitano e si scoraggiano vedendo l'opera loro urtare da ogni parte ed infrangersi contro la ferrea barriera della miseria e contro l'architettura stessa degli ordinamenti sociali. La resistenza alle nuove idee si riduce sempre più dal campo delle coscienze in quello degli interessi; per il che può ben essere ancora risoluta e tenace e terribile; ma non ha più per sè le grandi e belle passioni, davanti alle quali la furia degli avversari dubita qualche volta e s'allenta. Ond'è che gli assalitori che andavano ieri col passo di marcia, vanno oggi col passo di carica, e andranno di corsa domani. E non è da credere che gli impediscano gran fatto i dissensi e le divisioni che turbano le loro file. Come,—secondo il detto di un di loro,—tutte le teorie e concezioni diverse del socialismo, dal socialismo di stato del professore tedesco al comunismo pastorale del romanziere russo, viste dall'alto, non appaiono in antagonia fra di loro, ma si mostrano come i piani graduali di un vastissimo panorama, o meglio come le forme successive, le attuazioni o i tentativi di attuazione a mano a mano più larghi e compiuti d'una stessa idea; così nell'ordine dell'azione, fautori del collettivismo, apostoli della società senza Stato, ministri socialisti della chiesa cattolica e delle chiese protestanti, benchè proponendo riforme diverse e arrestandosi a diverse mete, poichè son tutti quasi concordi, e quasi violenti del pari nella critica del presente, concorrono tutti, volenti o no, ad uno stesso effetto finale, tutti apparecchiano e spingon le moltitudini alla grande evoluzione, tutti, o levino in alto il libro del Marx o la Bibbia, o la fiaccola, tutti lavorano ad allargare e ad accelerare un moto, di cui non si riscontra l'eguale—per dirla con le parole del più autorevole giornale dell'Inghilterra—se non risalendo ai primi tempi del Cristianesimo o a quelli dello sconvolgimento dello impero romano.
Altri, pure riconoscendo l'importanza del movimento socialista in Europa, vi dicono:—Non ve ne date pensiero perchè il nostro paese ne è fuori,—e ripetono la sentenza pronunziata l'anno scorso alla Camera da un illustre pensatore, a parer del quale, per ragion dell'indole e delle condizioni proprie del popolo italiano, ci vorranno più secoli prima che il socialismo metta larghe radici fra di noi.—Non credete neppure a costoro. Come se intorno all'Italia ci fosse la gran muraglia del Celeste Impero, come se il socialismo dottrinale e popolare che ci venne tutto in questi ultimi anni dal di fuori non dovesse continuare a discendere per le stesse vie per le quali è entrato! Sarà vero che la quistione sociale in Italia sia agraria principalmente, come tra i nostri fratelli latini d'occidente, e che anche sotto questo aspetto, per la costituzione particolare del nostro suolo, essa non sia della natura medesima che in altri paesi; ma non scema l'importanza e l'urgenza della quistione per la singolarità della sua natura. Certo v'è terreno men preparato al socialismo fra noi, perchè v'è più bassa che altrove la coltura del popolo, perchè v'è appena nascente la grande industria, perchè in più di mezzo il paese, come gli stessi socialisti riconoscono, il ceto operaio come ente collettivo non è ancor nato, e nell'altra metà è nato appena. Ma non dobbiamo credere che non esista l'esercito perchè, invece di esser serrato in colonne, è sparso in tiragliatori, nè che mancanza d'organamento voglia dir mancanza d'elementi, nè che non vi sian le passioni perchè mancano o sono informi le idee. E in questo appunto, per chi ben considera, dovrebbero riconoscer gli illusi il maggior pericolo. Le verità generali d'ordine sociale e economiche—è un vecchio assioma—si ritrovano allo stato di intuizione istintiva anche nell'animo dei più incolti, e però anche la parte più incolta del proletariato italiano, confusamente, le intende. Senonchè le idee—come dice un grande psicologo—seminate in menti incolte e feconde si svolgono in escrescenze selvagge e si trasformano in chimere mostruose; che è quel che avviene fra noi dove è tanto maggior temerità di dottrine quanto minor capacità vera di metter in atto anche le più ragionevoli. In luogo di rallegrarci, dunque, dell'ignoranza e della mancanza d'ordinamento collettivo che rallentano il moto fra noi, avremmo gran ragione di dolercene, poichè è appunto quest'ignoranza e questo disordine che fa le moltitudini impazienti e turbolente, come quelle in cui il furore dei desideri non è temperato dalla coscienza sicura delle proprie forze e del proprio avvenire, nè dalla soddisfazione che hanno i ceti operai d'altri paesi di sentire la saldezza del proprio organesimo e di numerare giorno per giorno i loro progressi e le loro vittorie, donde ricavan la virtù di aspettare con pacatezza e di apparecchiarsi con raccoglimento. È perchè là son colti e ordinati che studiano e discutono; è perchè studiano e discutono che vedono tutte le difficoltà del problema sociale e non credono che si possa risolvere d'un colpo. Ed è perchè le classi superiori non oppongon loro, come tra noi, o un'indifferenza o una negazione assoluta, l'una e l'altra insensata, ed entrambi irritanti, che non trascorrono e neppure minaccian di trascorrere alla violenza.
In verità, se anche fossi nei panni del più egoista e del più pauroso dei conservatori, io desidererei che le nostre classi proletarie, percorrendo il cammino di trent'anni in un solo, arrivassero d'un tratto al grado di maturità civile che hanno raggiunto nella Germania e nel Belgio; lo desidererei per esser ben certo che questo spostamento, che è col tempo inevitabile, del centro di gravità del sistema sociale dalle classi medie alle inferiori, si compisse senza scosse funeste. Io vorrei esser persuaso d'ogni più sacra verità come sono di questa: che compie un'opera santa e benefica per tutti ogni colto giovine italiano, il quale, qualunque sia il suo giudizio intorno all'essenza e all'avvenire del socialismo, ne studia con amore le cause, le dottrine e le vicende per poterle esporre con schiettezza al popolo e fargliele comprendere e discuterle con lui e sfrondargli le illusioni pericolose ed eccitarlo, aiutarlo a istruirsi, a ordinarsi, a mettersi in grado di attuare sensatamente, quando il giorno verrà, la maggior parte possibile delle sue aspirazioni. Per questo, invece di dirvi:—Lasciate stare la quistione sociale perchè siete italiani,—vi dico:—Occupatevene tanto più perchè siete italiani—fate quanto è in voi perchè il vostro popolo non rimanga troppo addietro degli altri su questa via, se volete che, quando vegga gli altri vicini alla meta, non sia tentato di raggiungerli con uno sbalzo che lo potrebbe travolgere in un precipizio, nel quale sareste travolti voi pure. Mettetevi alla sua testa e ai suoi fianchi invece di sbarrargli la strada o di lasciarlo andar solo, come l'istinto e il caso lo movono. Tempo verrà in cui sarete ringraziati e benedetti da coloro stessi che ora vi supplicano o vi minacciano perchè vi tiriate in disparte. Son tutti concordi nell'eccitarvi ad amare e a servir la patria. Ebbene, l'amerete e la servirete sapientemente in tal modo. Perchè la patria non è soltanto la terra, la storia e la bandiera: la patria è viscere e sangue umano, e la felicità del popolo sta sopra alla potenza dello Stato, e la giustizia è più grande della gloria.
V'è poi il coro dei mille, i quali vi gridano:—Passate oltre: la guarigione delle infermità sociali è un'utopia.—Ma non l'ha dunque ancora sfatato la storia del mondo questo grido malauguroso, tante volte sbugiardato quante son le pietre miliari del cammino della civiltà, questa vuota parola così comoda alla infingardaggine intellettuale, così utile agli interessi minacciati, così abusata da tutte le ignoranze e da tutte le paure, con la quale si sono vilipese, beffate, respinte tutte le conquiste più gloriose della mente umana?
Voi tutti vi ricordate la notte tempestosa dell'«Innominato», quando sul punto di bruciarsi le cervella con un colpo di pistola per liberarsi dai rimorsi che lo dilaniano, egli domanda a sè stesso:—E se quest'altra vita di cui m'hanno parlato quand'ero ragazzo, di cui parlano sempre come se fosse cosa sicura, se quest'altra vita, non c'è, se è un'invenzione dei preti; che fo io? perchè morire? che cos'importa quello che ho fatto?… È una pazzia la mia!—Ma allora gli balena un pensiero tremendo:—E se c'è quest'altra vita!—Voi rammentate pure che cosa avviene a quel dubbio nell'anima sua.—Ebbene, un che di simile segue nell'anima di chi è agitato dalla nuova idea. Egli si domanda:—E se questa possibilità, che tanti affermano come sicura, di scemare i dolori del mondo, di far trionfare tra gli uomini la fraternità e la giustizia, se questa idea è un'utopia, un sogno di filantropi allucinati, se avesse ragione quel famoso parroco inglese che fissò il destino dell'umanità tra due formole matematiche, che cosa importa allora quello ch'io faccia? Perchè ho da combattere i privilegi di cui godo, da rendermi inviso alla classe in cui son nato, da torturarmi il cuore e il cervello per mali che non hanno rimedio, invece di badare ai miei interessi e di viver beato?… È una pazzia la mia!—Ma a questo punto balena anche a lui un altro pensiero.—E se non fosse un'utopia?—ed egli pure, a questo pensiero, è stretto da un senso di sgomento. Sì, e se non fosse un'utopia?—Utopia si può giudicare ogni idea che non abbia ancor avuto la prova dell'attuazione, e quale grande idea sociale fu mai provata prima che accettata? E la concordia di molti nel crederla attuabile non è una delle prime condizioni dell'attuabilità d'ogni idea? Sì, e se a questo organamento sociale che spreme la ricchezza per uno dalle vene e dalle ossa di mille, che condanna milioni d'uomini a un lavoro da bruti, non confortato da alcuna dolcezza di vita, da alcun godimento intellettuale, da alcuna speranza di sorte migliore, che smembra milioni di famiglie, che fa di milioni di case un inferno, che sfrutta ed opprime la donna, e decima, corrompe e deforma l'infanzia; se a questo stato di cose che, assoggettando una parte dei lavoratori a una fatica inumana, ne ricaccia nell'ozio forzato e nella fame l'altra parte, metà della quale, dopo aver lottato invano per risalire, cade nella mendicità, nella prostituzione e nel delitto; se a questa sciagurata divisione del mondo che, provocando di sotto l'odio e di sopra il terrore, fa somigliare la società civile a un triste castello dell'età media, dove la famiglia dei signori, seduta a banchetto, rabbrividisce al suono dei singhiozzi e delle imprecazioni dei prigionieri sepolti sotto i suoi piedi; se a questo mucchio d'orrori ci fosse davvero un rimedio, che uomo sarei io che non me ne curo, che non cerco di giovare quanto posso a scemarlo, che anzi concorro, pur non volendo, ad accrescerlo, e voglio fabbricarvi su la mia fortuna? Con che fronte posso io parlare di progresso, di civiltà, di fratellanza, di patria? E quand'anche fosse un'utopia il rinnovamento della società che ci propongono, quando non ci fosse che una minima parte di idee sane e di speranze fondate, non dovrei dedicare ogni mia forza a far sì che almeno quella minima parte s'attuasse? Utopia! S'è spenta pochi giorni sono quella menta vasta e limpida d'economista, che, or fa trent'anni, metteva il mondo a rumore con quella sua sentenza:—Il diritto di proprietà si modificherà nel senso sociale, o si sfascierà il consorzio civile.—È stato sepolto ieri quel generoso cardinale Manning che disse non potersi andare innanzi sulla via della vendita abusiva della forza e dell'attività umana, sulla via che dei fanciulli e delle madri fa delle macchine viventi, e delle spose e dei padri delle bestie da soma.—Riposa poco lontano di qui il grande statista italiano che ci profetò la guerra civile se non si migliorassero le sorti delle classi inferiori; onde è credibile che ei non stimasse quell'intento una follia. E vivo ancora e soggiorna fra noi quel venerando ministro d'Inghilterra che disse ai lavoratori:—Voi sarete presto i padroni del mondo.—E son menti elette e potenti d'ogni razza che studiano i mali e i rimedi, che affrontano da tutti i lati il problema, e cercano ad uno ad uno gli organi vitali della società nuova, con una costanza maravigliosa e una fede invitta. Oh vediamo un poco se l'ordinamento della società, che s'è andato mutando così profondamente a traverso ai secoli, abbia raggiunto davvero una tal perfezione, che debba dare un fermo alla storia, che non si possa più correggere o mutare in alcuna sua parte essenziale, senza fare il peggio anche del maggior numero, a cui riesce intollerabile ancora. L'affermazione, se non alttro, è ardita. Vediamo un po' col giudizio nostro se quello che ci propongono è veramente un'utopia!
Per questo io vi ripeto, concludendo:—Occupatevi voi pure, quanto i vostri studi ve lo consentono, della quistione sociale.
A quelli di voi che non si sono ancora affacciati alla nuova letteratura (già ricchissima e svariatissima) o per mitezza d'animo che rifugge dai cimenti della coscienza, o per il falso concetto, diffuso da quelli a cui giova, che le idee socialistiche sian proprie per essenza loro delle nature acri e violente o di gente invelenita dalla mala fortuna, io dico:—Entratevi anche per poco, non v'arrestate davanti alla sua parte arida o volgare, irta di cifre o gonfia di rettorica, procedete oltre le sue lacune nebbiose, e vedrete quante anime nobili e belle vi si son consacrate; quanti fortunati del mondo ne sono i più ardenti cavalieri; quante pagine forti e splendide di pensiero, quante altre riboccanti di pietà e di amore e di tutti gli affetti più delicati e più santi essa conta già fra le sue; e vi troverete pure delle rivelazioni di miserie che ignoravate e che vinceranno ogni vostra idea, ed esempi di virtù e d'eroismo che vi strapperanno un grido d'ammirazione, e raggi sublimi di speranza, e sogni fors'anche, ma così vasti e luminosi che tutta l'anima vostra ne uscirà abbagliata e commossa come da una visione dell'umanità ideale di Cristo.
Dico a quelli di voi che, essendosi già affacciati a questi studi, ne hanno respinto alla prima le conclusioni:—Diffidate di voi stessi, fate ancora uno sforzo per proseguire, per sciogliervi dai pregiudizi fra cui voi ed io siamo nati, dalle idee che ci furono inculcate con l'educazione, e dalla suggestione delle consuetudini della vita che sono più forti delle idee; fate ancora uno sforzo per correggervi di quel nostro difetto congenito all'organo visivo dell'intelligenza, il quale ci fa apparire il mondo di scorcio, atteggiato in modo che gli interessi intellettuali e materiali della nostra classe ci si presentano come gli interessi della società tutta quanta; fate ancora per poco questo sforzo, che è di tutti il più difficile, poichè si tratta d'uscir da noi stessi, e di tutti il più fecondo, poichè, a chi lo compie, si mostra ogni cosa sotto un aspetto nuovissimo, e gli par di ricominciare la vita dello spirito e di avanzarsi in un mondo ignorato. E se, fatto quest'ultimo sforzo, rimanete fermi nelle prime idee, palesatele e lottate per esse a viso aperto, perchè nella grande battaglia sarete più rispettati e più utili come nemici appassionati che come scettici spettatori; e non scendete mai nello sciame innumerevole dei farisei, che strisciano chi è in alto per ambizione e adulano chi è in basso per paura, che commiserando con finto affetto la plebe che disprezzano, con una mano si picchiano il petto e con l'altra nascondon la borsa, per chiederle poi dei voti con tutte e due.
A quelli di voi, finalmente, il cui cuore è già vinto e batte col mio, io mando il saluto del compagno e il bacio del fratello, e dico:—Perseverate, o prediletti, anche nel campo più faticoso, nella parte rigidamente economica di questi studi, perchè il periodo idillico del socialismo è chiuso da un pezzo, perchè esso è giunto a tal grado di maturità, che non basta più il portargli il semplice contributo della passione: dovere di tutti ora è di tradurre i sentimenti in idee, di rispondere ad ogni lamento del popolo con una ricerca alacre e paziente dell'intelletto. E andate innanzi senza alcun fine, senza attender nè sperar alcuna gratitudine, non cercando il premio che nella soddisfazione altissima di operare secondo coscienza, di non aver più bisogno di mentire, nè di soffocar la voce dell'anima, nè di mascherar l'egoismo; il che vi riuscirà assai più facile che non pensiate, perchè la grande quistione sociale, la quale tocca tutte le scienze come l'oceano bacia tutte le terre, ha pure questo di benefico, che schiaccia col peso della sua grandezza, che offusca con la forza del suo splendore ogni meschina vanità, ogni basso interesse di colui che le si consacra. Comprendendola degnamente, voi abbraccerete nel vostro affetto fiammeggiante non soltanto le classi sociali che più lo meritano e più n'han bisogno, ma pure la vostra, per la quale v'entrerà nel cuore una sollecitudine nuova e profonda; sentirete sorgere in voi attitudini e forze sconosciute; sentirete nel vostro ingegno e nel vostro petto dilatati fremere il soffio dell'umanità, come il palpito d'una seconda giovinezza, più poderosa e più dolce di quella che già vi ferve nel sangue e vi splende sul viso.
Voi conoscete l'immaginazione terribile del Carlyle, che raffigura il mondo presente in una landa selvaggia e caotica, coperta di nebbie pestilenti, gravata d'un'atmosfera di piombo, nella quale scrosciano diluvi e guizzano lampi di rivoluzione, e per le vaste tenebre non luccicano che le fosforescenze della filantropia, e non v'è più stelle nel cielo. Ebbene, manca un'immagine al quadro: una moltitudine che empie tutto l'orizzonte, estenuata e lacera, rivolta tutta verso un punto dove biancheggia il cielo, con le braccia stese a invocare il nuovo sole, il sole che le asciughi le lagrime, che le riscaldi le membra, che le abbellisca la terra, che le faccia amare la vita. Oh, questo sole splenderà, abbiamone fede! Possiate voi, che siete giovani, vederlo sorgere, e felici quelli che, salutando il suo primo raggio, potranno dire nella propria coscienza:—Io l'ho desiderato ed atteso!
Torino 1892.