Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1
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Edward Gibbon. Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1

A LADY FANNY HARLEY

AVVERTIMENTO

CENNI SOPRA LA VITA DI EDOARDO GIBBON

PREFAZIONE DELL'AUTORE

AVVERTIMENTO RELATIVO ALLE NOTE

CAPITOLO I

CAPITOLO II

CAPITOLO III

CAPITOLO IV

CAPITOLO V

CAPITOLO VI

CAPITOLO VII

CAPITOLO VIII

CAPITOLO IX

CAPITOLO X

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Io ti presento, o lettore, la Storia della Decadenza e Rovina dell'Imperio romano, scritta da Edoardo Gibbon, ed ora interamente e fedelmente trasportata dall'originale inglese nella lingua italiana. Non una idea, non una parola importante, venne ad essa tolta, mutata od aggiunta. Il testo a cui mi sono attenuto, è quello impresso da Strahan e Cadell, in Londra, colla data del 1791 in 8.º, ottima e sicura edizione, di cui fa cenno l'Autore nelle sue Memorie.

Di due parti è composto il mio lavoro: una comprende l'emendazione de' volumi di questa Istoria, già pubblicati in italiano colle stampe di Pisa, per opera di monsignor Fabbroni 1 : l'altra risguarda i rimanenti volumi, da me per la prima volta recati nella nostra favella.

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La salvezza e l'onore dell'Impero eran principalmente affidati alle legioni, ma la politica di Roma condescendeva ad adottare qualunque utile strumento di guerra. Si facevano regolarmente leve considerabili tra i provinciali, che non aveano ancora meritata l'onorevole distinzione di cittadini romani. Si permetteva a vari Principi, ed a varie Comunità, sparse intorno alle frontiere dipendenti, di conservare per un tempo la loro libertà e sicurezza con l'obbligo di prestar servizio militare70. Eziandio le truppe scelte dei Barbari nemici erano spesso forzate o indotte ad esercitare il loro pericoloso valore in climi remoti, e in servizio dello Stato71. Tutti questi eran compresi sotto il nome generale di ausiliari, e comunque potessero variare per la diversità dei tempi o delle circostanze, rare volte però il loro numero era inferiore a quello delle legioni medesime72. Le truppe più valorose e fedeli tra le ausiliari erano poste sotto il comando dei Prefetti e dei Centurioni e severamente esercitate nelle arti della disciplina romana; ma per la maggior parte ritenevano quelle armi, alle quali più particolarmente le rendevano atte o la natura della patria, o la prima educazione della vita. Con queste istituzioni ogni legione, a cui si assegnava una certa porzione di ausiliari, conteneva in se ogni sorta di truppe più leggiere, e di armi lanciabili; ed era capace di affrontarsi con ogni nazione per la superiorità delle sue rispettive armi e della sua disciplina73. Nè era la legione priva affatto di ciò che nel moderno linguaggio si chiamerebbe treno di artiglieria. Consisteva questo in dieci macchine militari delle più grandi, ed in cinquantacinque più piccole, ciascuna delle quali obliquamente o orizzontalmente lanciava pietre e dardi con violenza irresistibile74.

Il campo di una legione Romana presentava l'aspetto di una città fortificata75. Appena ne era segnato la spazio, i guastatori ne spianavano esattamente il terreno, e toglievano ogni impedimento che potesse interromperne la perfetta regolarità. La sua forma era perfettamente quadrangolare; e può calcolarsi che un quadrato, del quale ogni lato era quasi due mila piedi, bastava per l'accampamento di 20000 romani; sebbene un simil numero delle nostre truppe presenterebbe al nemico una fronte di un'estensione più che triplicata. In mezzo al campo, il Pretorio o sia quartier generale, signoreggiava tutti gli altri; la cavalleria, l'infanteria e gli ausiliari occupavano i loro respettivi posti; le strade erano ampie e perfettamente diritte, e si lasciava da tutte le parti uno spazio vuoto di 200 piedi tra le tende e il terrapieno. Questo era ordinariamente alto dodici piedi, armato con una linea di palizzate forti e incrociate, e difeso da una fossa profonda e larga dodici piedi. Questo importante lavoro si faceva dai legionari medesimi, ai quali l'uso della zappa e della vanga non era meno familiare che quello della spada o del pilo. Una valorosa attività può sovente esser dono della natura: ma una diligenza così paziente non può esser frutto che dell'abito e della disciplina76.

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