Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10
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Edward Gibbon. Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10

CAPITOLO L

CAPITOLO LI

CAPITOLO LII

CAPITOLO LIII

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A. D. 632

La rivoluzione dell'Arabia non avea cangiata l'indole dagli Arabi; la morte di Maometto fu segnale d'independenza, e sin dalle fondamenta crollò l'edifizio ancora mal fermo del suo potere e della sua religione. Solo un drappello fedele e poco numeroso, formato da' suoi primi discepoli, ne aveva intesa la voce eloquente, e divise con lui le angustie; con lui erano scampati dalla persecuzion della Mecca, o raccolti i fuggiaschi entro le mura di Medina. Que' milioni di uomini, che poi salutarono Maometto per loro Profeta e re, erano stati domati dalle sue armi, o sedotti dai suoi trionfi. L'idea semplicissima d'un solo Dio inaccessibile a' sensi, difficilmente entrava nel capo dei politeisti, e que' Cristiani o Giudei che s'erano dati all'Islamismo sdegnavano il giogo d'un legislatore mortale già lor contemporaneo. Le abitudini di fede e di ubbidienza non erano ben radicate, e fra i nuovi convertiti buon numero si dolea d'aver posposta la veneranda antichità della legge di Mosè, i riti e misteri della Chiesa cattolica, o gl'idoli, i sagrifici e le feste piacevoli del paganesimo professato dagli antenati. Non ancora un sistema d'unione e di subordinazione aveva acquetato il tumulto degli interessi e le liti ereditarie delle tribù Arabe; i Barbari non potevano sottomettersi alle leggi, anche più dolci e salutari, quando comprimevano le passioni loro o ne violavano i costumi. S'erano essi acconciati con repugnanza ai comandamenti religiosi del Corano, all'astinenza totale dal vino, al digiuno del Ramadan, e alle cinque orazioni quotidiane; e sotto altro nome non ravvisavano, nelle elemosine e nelle decime che si esigevano per l'erario di Medina, altro che un tributo perpetuo e ignominioso. L'esempio di Maometto avea destato uno spirito di fanatismo, e d'impostura, e lui vivente aveano molti de' suoi rivali osato imitarne il costume e affrontarne l'autorità. Il primo Califfo, co' suoi fuorusciti ed ausiliari, si vide ristretto alle città della Mecca, di Medina e di Tayef, e sembra che i Coreishiti avrebbero rimessi gl'idoli della Caaba, s'egli non ne avesse affrenata la leggerezza con questo rimbrotto: «Uomini della Mecca, diss'egli, sarete voi stati gli ultimi ad abbracciare l'Islamismo, e i primi ad abbandonarlo?» Dopo aver esortati i Musulmani a confidare nell'aiuto di Dio e del suo appostolo, risolvette Abubeker di prevenire con un vigoroso assalto la congiunzion de' ribelli. Ritirò le mogli e i figli nelle caverne e ne' monti: sotto undici bandiere marciarono i suoi guerrieri, sparsero il terrore delle lor armi per ogni dove, e da questa comparsa di nerbo militare ravvivò e rassodò la fedeltà de' credenti. Le tribù incostanti si sottomisero con umile pentimento all'orazione, al digiuno, all'elemosina, e dopo qualche buon esito, e qualche esempio di severità, i più arditi appostati si prostrarono davanti la spada del Signore e quella di Caled. Nella fertile provincia di Yemanah209, tra il mar Rosso e il golfo Persico, in una città inferiore a Medina, un Capo possente, di nome Moseilama, s'era vantato Profeta, e la tribù d'Hanifa aveva ascoltato le sue prediche. Queste attirarono presso lui una profetessa: non si degnarono que' due favoriti del cielo d'osservare la decenza delle parole e delle azioni, e passarono più giorni in un commercio mistico ed amoroso210. Una sentenza oscura del Corano di Moseilama è giunta sino a noi211, e nell'orgoglio inspiratogli dalla sua missione, degnò proporre a Maometto la divisione della Terra. Questi gli rispose con dispregio; ma i rapidi avanzamenti di Moseilama diedero grande apprensione al successor dell'appostolo. Quarantamila Musulmani raccolti sotto il vessillo di Caled esposero la loro religione alla sorte d'una battaglia decisiva. In un primo fatto d'armi furono respinti colla perdita di mille e dugento uomini; ma mercè dell'abilità e perseveranza del lor generale finirono col vincere, vendicarono la prima sconfitta col sangue di diecimila infedeli, e uno schiavo Etiope trafisse Moseilama colla chiaverina che ferì mortalmente lo zio di Maometto. Non andò guari che il vigore e la disciplina della monarchia nascente conculcarono i ribelli dell'Arabia, privi di Capi, o d'una causa comune che raccozzar li potesse, e così tutta la nazione s'attaccò di bel nuovo, e più saldamente che mai, alla religione del Corano. Prestamente dall'ambizione de' Califfi fu aperto il campo da esercitare il turbolento valore de' Saraceni; tutto il grosso delle milizie maomettane si raunò in una guerra santa, i cui successi ed ostacoli ne crebbero del pari l'entusiasmo e il coraggio.

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Per lo sdegno e pel timore rimasero alquanto tempo sopite le intestine turbolenze de' Persiani. Fu deposta Arzema loro regina per l'unanime voto dei sacerdoti e de' nobili: era essa il sesto degli usurpatori surti e scomparsi nello spazio di tre o quattro anni, dopo la morte di Cosroe e la ritratta di Eraclio. Ne fu data la corona a Yezdegerd, nipote di Cosroe, e per la coincidenza d'un periodo astronomico226 è segnata in una guisa memorabile l'epoca della caduta totale della dinastia de' Sassanii, e della religione di Zoroastro227. Non contava il nuovo re che quindici anni, e dalla gioventù ed inesperienza sua fu persuaso a sottrarsi dal rischio d'una battaglia. Lo stendardo regio fu consegnato nelle mani di Rustam, generale del suo esercito, il quale da trentamila soldati che lo formavano, s'aumentò, dicesi, a centomila, sudditi, o alleati della Persia. I Musulmani, che dapprima eran dodicimila, pe' rinforzi ricevuti presentavano un corpo di trentamila combattenti; accampavano nelle pianure di Cadesia228, e quantunque avessero meno teste, aveano più soldati che l'esercito irregolare degl'infedeli. Farò qui una osservazione cui mi verrà il taglio di rinnovare frequentemente: l'assalto degli Arabi non era, come quello de' Greci e de' Romani, l'urto d'una linea ben compatta e stretta di fanteria: cavalieri e arcieri erano il maggior nerbo delle loro forze, e non raro addiveniva che una battaglia, spesso interrotta e spesso rinnovata con zuffe corpo a corpo, e con iscaramuccio di fuggiaschi, potevasi prolungare per più giorni senza che vi fosse alcuna decisione di vittoria: con ispeciali denominazioni si distinguono i vari periodi della battaglia di Cadesia. Il primo s'appella la giornata del soccorso, a cagione di mille Siri che giunsero in tempo a soccorrere gli Arabi: la giornata della scossa indica senza altro il trambusto d'uno degli eserciti, e forse di entrambi: il terzo, nel quale seguirono gli assalti di notte, ha ricevuto il bizzarro titolo di notte del ruggito, a motivo delle grida discordi de' guerrieri, paragonate a' suoni inarticolati de' più feroci animali. La mattina susseguente decise la sorte della Persia, e una bufèra, sopraggiunta opportunamente, cacciò nembi di polvere negli occhi de' miscredenti. Il fragore dell'armi pervenne sino alla tenda di Rustam, il quale, ben diverso da un antico eroe così denominato, stavasi coricato mollemente ad un'ombra tranquilla, fra le salmerie del suo campo, e il numeroso seguito di muli carichi d'oro e d'argento. Al rumor del pericolo, si slanciò precipitosamente il generale fuori di quel luogo di riposo, ma, fermatolo nel fuggire ed afferratolo per un piede, un Arabo gli troncò la testa, e la portò in cima alla sua lancia nel campo di battaglia, ove disseminò la strage e il terrore nelle file più folte dell'esercito persiano. Confessano i Saraceni la perdita di settemila e cinquecento guerrieri; e descrivono con ragione la battaglia di Cadesia come ostinata ed atroce: tali sono le loro frasi229. Nel conflitto fu dagli Arabi portato via lo stendardo della monarchia, fatto del grembiale di cuoio d'un fabbro ferraio che s'era già sollevato al grado di liberatore della Persia; ma da una profusione di gemme era coperta e nascosta quasi del tutto questa insegna d'una eroica povertà230. Dopo questa vittoria la ricca provincia d'Irak, o dell'Assiria, si sottomise al Califfo, e per la fondazione di Bassora231, piazza che domina sempre il commercio e la navigazion de' Persiani, furono prontamente assicurati i conquisti. Lungi ottanta miglia dal golfo, l'Eufrate e il Tigri si congiungono a formare una sola corrente ampia e retta, oggi chiamata giustamente la riviera degli Arabi. Bassora fu piantata su la sponda occidentale, a mezza strada fra la congiunzione e la foce de' due celebri fiumi. Ottocento Musulmani formarono la prima colonia; ma per la felice sua situazione divenne ben presto una florida e popolosa capitale. L'aria, comecchè sia eccessivamente calda, n'è pura e salubre; di palme e di truppe di bestiami sono coperti i prati all'intorno, e una delle valli del circondario è noverata fra i quattro paradisi, o giardini dell'Asia. Sotto i primi Califfi, stendeasi la giurisdizione di questa colonia Araba sino alle province meridionali della Persia; è stata consacrata la città dai sepolcri di parecchi compagni di Maometto, martiri dell'Islamismo; e non cessano i navili europei di frequentare il porto di Bassora, che apre una comoda stazione, e un passaggio al commercio dell'India.

Non ostante la battaglia perduta a Cadesia, poteva un paese, tagliato da fiumi e da canali, essere uno schermo insuperabile per la cavalleria de' vincitori, e le mura di Ctesifone e di Modano, che avevano ributtato le macchine romane, non potevano essere abbattute da' dardi Musulmani; se non che fu determinata la rovina de' Persi dall'opinione che giunto fosse l'ultimo giorno per la religione e l'impero loro: i posti più forti furono, dalla vigliaccheria o dal tradimento di chi li guardava, abbandonati: e il re, seguitato da una porzione della famiglia e da' suoi tesori, ricoverossi in Holwan, alle falde de' colli della Media. Nel terzo mese dopo la battaglia, Said, luogotenente d'Omar, varcò senza ostacolo il Tigri: la capitale della Persia fu presa d'assalto, nè valse la disordinata resistenza popolare che a crescer l'impeto de' colpi de' Musulmani, che con religioso trasporto esclamavano: «Ecco il palazzo bianco di Cosroe; ecco adempiuta la promessa dell'appostolo di Dio». Improvvisamente la miseria de' masnadieri del deserto cangiossi in una ricchezza, che sorpassava ogni loro speranza, ogni idea. Ciascheduna camera di quel palazzo mostrava un nuovo tesoro, o celato con arte, o esposto alla vista con grande sfarzo: l'oro, l'argento, i mobili, le vestimenta preziose vinsero di gran lunga, a detta d'Abulfeda, tutti i calcoli dell'immaginazione, o la estensione de' numeri; ed un altro storico porta la somma inaudita, e quasi infinita di quelle favolose ricchezze, a tremila migliaia di milioni di pezze d'oro232. Qualche piccolo fatto, ma che alletta la curiosità, dimostra chiaramente il contrapposto della ricchezza coll'ignoranza. Racchiudea la città gran provvigione di canfora233 venuta dalle lontane isole dell'oceano Indiano, la quale doveva essere mescolata alla cera che serve a illuminare i palazzi d'oriente. Non conoscendo nè la proprietà, nè il nome di quella gomma odorosa, i Saraceni la credettero sale, ne misero nel pane, e stupirono a sentirne l'amarezza. Un tappeto di seta, lungo sessanta cubiti e largo altrettanto, ornava un appartamento del palazzo, e rappresentava un paradiso, o giardino, con fiori, frutta, arboscelli ricamati in oro, o raffigurati con pietre preziose, e il tutto circondato da un contorno verde variato da più colori. Il generale Arabo, persuaso con ragione che il Califfo potrebbe mirar con piacere questo bel lavoro della natura e dell'arte, indusse i soldati a rinunciare questa parte di bottino. Il rigido Omar, senza por mente a' pregi dell'arte e della regia magnificenza che sfoggiavano in quella composizione, ne distribuì i frammenti a' suoi fratelli di Medina. Il disegno fu distrutto; ma tanto era il valore della materia, che la sola porzione d'Alì fu venduta ventimila dramme. Fu arrestato un mulo che trasportava la tiara e la corazza, la cintura e i braccialetti di Cosroe, e questo bel trofeo venne offerto al comandante de' fedeli: i più gravi de' suoi compagni non contennero le risa guardando la barba bianca, le braccia pelose e la goffa figura di quel vecchio soldato adorno delle spoglie del gran re234.

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