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Emilio Salgari
IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO
PARTE PRIMA
CAPITOLO VII. LA CACCIA UMANA

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Sulla loro destra della comitiva si estendeva la grande foresta.

Buttafuoco, che doveva conoscere quei luoghi molto piú del guascone, il quale, malgrado la bussola che teneva in mezzo al cervello, non era riuscito a scoprire la fattoria dove avrebbero dovuto trovare dei cavalli, si era messo alla testa del minuscolo drappello, aprendo qua e là dei passaggi con i due coltellacci che non aveva deposti alla capanna.

Il bracco poi lo aiutava meravigliosamente, guidandolo con perfetta sicurezza attraverso i meandri tenebrosi della foresta.

Di tratto in tratto il padrone e la sua bestia si fermavano per ascoltare, poi riprendevano la marcia, manifestando ambedue una certa inquietudine che non sfuggiva al conte.

Il sole era tramontato da qualche ora e camminavano sempre attraverso quell’interminabile foresta, quando il bucaniere si fermò dinanzi ad un gigantesco tamarindo dicendo:

– È inutile nascondervelo, signor conte; noi siamo inseguiti.

– Da chi? – chiese il corsaro.

– Da una o da piú cinquantine di certo.

– Come lo sapete?

– Vivendo sempre in mezzo alle foreste, i nostri orecchi acquistano un’acutezza incredibile ed afferrano subito i piú lontani rumori. Vi ripeto che noi siamo seguiti e forse i nostri nemici non sono molto lontani.

– Eppure io non ho udito nulla. Neppur tu, è vero, Mendoza?

– Io non odo che le rane ed i rospi cantare, – rispose il filibustiere.

– Ed io le foglie e la frutta cadere, – aggiunse il guascone.

– Io invece continuo a udire dei lontani latrati, – disse il bucaniere. – Qualcuno vi ha veduto attraversare le foreste?

– Abbiamo messo in fuga una cinquantina e le abbiamo ucciso il cane che la precedeva – rispose il conte.

– Ora comprendo! – disse Buttafuoco. – Quella cinquantina deve averne incontrata qualche altra fornita di cani, ed ora molti uomini ci seguono e non cesseranno di marciare finché non ci avranno raggiunti… Brutto affare!

– Cerchiamo di raggiungere al piú presto la tenuta della marchesa di Montelimar – disse il conte.

– È ancora troppo lontana – rispose il bucaniere. – Anche correndo rapidissimi, non potremmo giungervi prima del sorgere del sole.

– Che siano vicini gli spagnuoli?

– Essi, forse no; ma i cani sí; e quelle bestiacce sono piú pericolose degli uomini. Io li conosco troppo bene! Non per nulla li chiamano cani strangolatori. Guardatevene, signor conte.

– Che cosa decidete? Aspettare qui il loro assalto o continuare la marcia?

Invece di rispondere, Buttafuoco osservò attentamente la foresta foltissima, dove un infinito numero di liane s’intrecciavano in mille modi attorno agli alberi, formando dei bellissimi festoni.

– Cerchiamo di far perdere le nostre tracce ai doz – disse poi. – Forse ci riusciremo con una marcia aerea. Si tratta solo di far presto, e di guadagnare piú strada che potremo.

Si gettò in spalla l’archibugio, s’aggrappò ad un ammasso di liane, che pendevano intorno al tamarindo, e si issò a forza di braccia, dicendo:

– Cercate d’imitarmi.

– Diamo la scalata alle griselle del bosco! – disse Mendoza. Preferisco una manovra marinaresca a questa interminabile marcia… Signor Barrejo, fingete di trovarvi a bordo di un treponti.

Il conte, il quale aveva perfettamente compreso quello che il bucaniere stava per tentare, si era subito inerpicato attraverso un altro festone di sipos, mostrandosi abilissimo ginnasta.

Buttafuoco raggiunse i grossi rami del tamarindo e, servendosi sempre di quelle resistentissime corde vegetali, passò su di un enorme cotoniere, poi su una palma, quindi su di un cavolo palmista, continuando intrepidamente la sua marcia aerea.

Passare da una pianta all’altra non era difficile, poiché gli alberi crescevano cosí vicini gli uni agli altri da intrecciare i loro rami. Anche senza le liane, quella manovra, per uomini agili, sarebbe stata possibile. Il bracco, destinato purtroppo a cedere sotto i denti dei ferocissimi e robustissimi cani cubani, seguiva da terra il padrone, latrando lamentosamente.

– Quello stupido ci tradirà! – disse Mendoza al bucaniere, approfittando d’una breve sosta.

– È vero – rispose Buttafuoco armando l’archibugio. – Mi rincresce, ma la sua morte è necessaria.

Aveva appena terminato di parlare che già il povero bracco stramazzava al suolo, fulminato dall’infallibile palla del cacciatore.

– È strano! – disse il bucaniere passandosi una mano sulla fronte. – Mi pare di aver commesso un delitto. Bah! la necessità non ha legge nella foresta!

Ricaricò l’archibugio e si mise in ascolto. Dei lontani latrati avevano risposto a quel colpo di fucile.

– Gli spagnuoli hanno raccolto una truppa di doz – disse poi.

– Fortunatamente potranno assediarci, ma non raggiungerci.

– E la cinquantina che li segue? – chiese il conte.

Buttafuoco alzò le spalle.

– Le alabarde perderanno subito contro gli archibugi – disse. Io non mi occupo affatto di quei manici di scope. Riprendiamo la nostra marcia, signore. I doz cubani hanno scoperto le nostre tracce e le seguono ostinatamente; noi non dobbiamo fermarci qui, cosí vicini al mio bracco.

Ripresero la loro ginnastica indiavolata, scivolando fra i rami e le liane, ora innalzandosi ed ora abbassandosi fino quasi a terra, guardandosi bensí dal toccarla per non lasciarvi la menoma traccia.

Avevano percorso altri cinquecento metri e stavano per rifugiarsi tra le fronde di un simaruba, quando udirono, a non molta distanza, dei furiosi abbaiamenti.

I doz cubani erano giunti e, non avendo piú trovato le tracce dei fuggiaschi, sfogavano il loro malumore con terribili e minacciosi latrati.

– Devono aver trovato il cadavere del mio bracco, – disse il bucaniere, il quale si era messo a cavalcioni d’un grosso ramo, accanto al conte.

– Che ci scoprano? – chiese questi.

– Non ve lo saprei dire, signore, – rispose Buttafuoco. – Quei maledetti cani hanno un olfatto meraviglioso.

– Siamo su un albero ben alto.

– Lo vedo bene, – rispose il bucaniere, sorridendo. – Eppure non sono affatto tranquillo. I mastini che adoperano, ve l’ho già detto, sono terribili.

– Non fiatiamo.

– E sarà meglio per noi.

I doz cubani continuavano a latrare furiosamente, a non meno di cinquanta passi. Come Buttafuoco aveva detto, dovevano aver scoperto il cadavere del bracco e si aggiravano intorno alla foresta cercando le orme dei fuggiaschi.

Ad un tratto si fece udire un latrato sonoro, piú acuto degli altri, seguito da un fruscio di foglie.

– Vengono! – disse il bucaniere. – Che nessuno parli.

Mendoza ed il guascone si erano rannicchiati sul loro ramo, tenendo gli archibugi in mano.

Buttafuoco ed il conte li avevano subito imitati, cercando di rendersi invisibili. Attraverso la cupa e tenebrosa foresta si udí un frastuono di latrati acuti che si perdettero subito in lontananza.

– Sono passati! – disse il bucaniere al conte. – Ora attenti alla cinquantina. Non deve essere molto lontana; ne sono sicuro.

– Che si avanzi? – chiese sottovoce il signor di Ventimiglia.

– Segue sempre i cani. Ascoltate attentamente: udite?

– Sí, un leggiero fruscio.

– Sono gli spagnuoli che marciano attraverso il bosco.

– Che ci scoprano?

– Per Bacco! Non hanno già gli occhi d’un giaguaro, – rispose Buttafuoco. – E poi il fogliame ci copre interamente.

– E se fossero archibugieri?

– Non ve ne sono fra le cinquantine, – rispose Buttafuoco. Nessuno sparerà contro di noi un colpo di fucile, ve l’assicuro io. Zitti tutti! Può essere l’avanguardia della cinquantina che perlustra.

Il fruscio aumentava, mentre i latrati dei cani diventavano sempre piú fiochi. Probabilmente i terribili mastini avevano trovata una vecchia traccia e la seguivano colla loro abituale ostinazione.

Un momento dopo, cinque uomini armati di alabarde s’aprivano il passo attraverso i folti cespugli, fermandosi quasi sotto l’enorme albero.

– Carrai! – esclamò uno. – Dove sono scappati quei maledetti perros?

– Saranno vicini ai fuggiaschi, Alonzo – rispose un altro.

– Possono strangolarli sul colpo! Erano tre, non è vero?

– Almeno io non ne ho veduti altri, quando hanno ucciso il nostro Cid.

– Che gambe avevano quegli uomini per percorrere una tale distanza? Scommetterei che erano bucanieri.

– T’inganni, Diaz. Sono gli uomini usciti da San Domingo e che hanno ucciso quel povero Barrejo.

– Caramba! Noi lo vendicheremo.

– Taci! I cani ritornano.

Ed infatti i latrati che poco prima erano diventati fiochi si facevano udire ora piú distinti.

La terribile muta, accortasi di correre su una vecchia traccia, ritornava a corsa sfrenata, latrando rabbiosamente.

Passò un minuto, poi venticinque o trenta cani, enormi, col pelame ispido, le teste grosse e le mascelle assai sporgenti, somiglianti molto ai cani americani che vengono chiamati dai piantatori della Virginia e della Luisiana blood hound, balzarono addosso ai cinque soldati con tale impeto che per poco non li gettarono a terra.

– Una corsa inutile, è vero, miei piccini? – disse colui che chiamavano Diaz. – Non vi scoraggiate. Quei bricconi non avevano le ali e quindi sapremo ritrovarli.

– Tu sei un vero imbecille che non conosci i cani cubani.

– Sarò anche un cretino, ma intanto sono ritornati con gli orecchi bassi e senza le prede.

Uno scoppio di risa salutò quella risposta.

– Voi siete dei triplici cretini! – gridò Diaz furioso. – Da dove venite?

Dai presidios forse? – O dalla via dell’Alcalà di Madrid?

– Caramba! – urlò Alonzo. – Siamo dinanzi al nemico e urlate piú forte dei nostri mastini! È cosí che voi preparate le imboscate? Vi denuncerò tutti al governatore di San Domingo e vi farò disarmare. Il sergente sono io!

– Portategli dell’aguardiente e non si ricorderà piú di avere dei galloni – disse un altro soldato con voce ironica.

– Se parli ancora ti uccido, miserabile!

Seguí un profondo silenzio, poi la voce del sergente si fece ancora udire:

– Via, piccini! Quei birbanti non devono essere molto lontani.

I cani a quell’ordine si slanciarono in tutte le direzioni, cacciandosi in mezzo alle macchie.

S’avanzavano e retrocedevano fiutando rumorosamente l’aria, poi tornavano ostinatamente verso il drappello, abbaiando sordamente.

– Ci sentono – disse Buttafuoco, accostando le labbra ad un orecchio del signor di Ventimiglia.

– Che ci scoprano? – chiese il conte.

– Sarà un po’ difficile. Tuttavia teniamoci pronti ad annientare con una scarica l’avanguardia delle cinquantine – rispose il bucaniere. – Il mio archibugio è pronto.

– Ed anche il mio.

Non fate però fuoco se prima non vi do il comando.

Le ricerche dei cani durarono un buon quarto d’ora, poi essi ripresero la corsa, seguendo la traccia di prima. Non avendone trovate altre piú recenti, si ostinavano su quella vecchia lasciata forse da qualche negro fuggiasco.

L’avanguardia della cinquantina, dopo una breve discussione, prese il partito di seguirli, e scomparve ben presto attraverso la foresta.

– Finalmente possiamo respirare liberamente! – esclamò il guascone. – Mi pareva di sentirmi i denti di quei cagnacci nelle gambe.

– Avrebbero trovato ben poco da rosicchiare, signor soldato – disse Mendoza ironicamente. – E per questo forse se ne sono andati a cercare dei polpacci piú rotondi.

Malgrado la gravità della situazione tutti si erano messi a ridere, perfino Buttafuoco.

– Che cosa facciamo dunque? – chiese il conte. – Scendiamo?

– Sarebbe una grave imprudenza – rispose il bucaniere. – I cani possono ritornare, scoprire le nostre orme e darci la caccia. Avete fretta di giungere a San Josè?

– Nessuna: la mia fregata non lascerà i paraggi del capo Tiburon, se io non mi farò vedere, ed il mio luogotenente è troppo furbo per lasciarsi sorprendere e battere dai galeoni spagnuoli.

– Allora vi consiglio di passare la notte qui.

– Cosí diventeremo dei volatili! – disse Mendoza. – Purché non giungano i cacciatori!

– Vi ho detto che le cinquantine non hanno armi da fuoco – disse il bucaniere. – Dei cacciatori con le alabarde ne parleremo! Accettate, signor conte?

– Giacché non si può far di meglio e la prudenza lo esige, passiamo la notte quassú – rispose il signor di Ventimiglia. – Ed il vostro arruolato non verrà scoperto? La capanna non è molto lontana.

– Non si lascerà sorprendere, ve lo assicuro io. Ha dei buoni cani che l’avvertiranno in tempo dell’avvicinarsi delle cinquantine. Sono perfettamente tranquillo per lui. Ah, me lo ero immaginato! Che brutta faccenda se avessimo lasciato questo asilo… Le vedete, signor conte?

– Chi?

– Le cinquantine: sbucano ora dal bosco e avanzano a catena. Gli spagnuoli vi considerano persone pericolosissime, perché vi fanno l’onore di mandarvi dietro due colonne.

– Potevano risparmiarsi quest’onore – brontolò Mendoza. – Io non lo desideravo affatto.

Il conte si era alzato sul ramo che gli stava sotto e guardava attentamente nella direzione che il bucaniere gli indicava.

L’albero che serviva loro d’asilo si trovava a poche decine di metri dal margine del bosco, sicché essendo la notte abbastanza chiara, i filibustieri potevano scorgere benissimo le persone che fossero avanzate nella vicina pianura terminante verso gli stagni e le paludi.

Il figlio del Corsaro Rosso

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