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PARTE PRIMA. I FORZATI DI PORT-CORNWALLIS
6. La fuga dei forzati
ОглавлениеMentre il bravo mulatto preparava la fuga, il quartiermastro della Britannia ed il pescatore di perle si accingevano con grande sangue freddo e coraggio disperato alla terribile impresa, che poteva costare loro la vita, perché non ignoravano che le sentinelle disposte intorno al penitenziario avevano l’ordine di sparare addosso a chiunque lasciava di notte i dormitori e l’infermeria. Per una combinazione fortunata, nessun ammalato era stato condotto in quei giorni nel loro reparto, sicché potevano agire senza testimoni pericolosi.
Dopo la visita serale fatta dal medico, avevano finto di addormentarsi subito, facendosi abbassare il lucignolo della lampada da Foster, il quale si era ben guardato di lasciare ad altri il primo quarto della mezzanotte, per non perdere la bottiglia promessagli da quella perla di mulatto, da quel bravo giovane dal cuore così largo.
Rannicchiati sotto le coperte i due forzati attendevano, in preda ad una certa angoscia, lo squillo che annunciava il copri-fuoco e la visita di Jody, il quale doveva recare loro, come la sera innanzi, un paio di bicchieri di ginepro. Il quartiermastro aveva già tratto dal nascondiglio la piccola sega circolare, un vero capolavoro di meccanica, mosso da un sistema di orologeria che doveva far funzionare il disco dentato contro le sbarre di ferro delle finestre; mentre il malabaro, le cui ferite si erano quasi rimarginate, levate due lenzuola da un letto vicino, le aveva rapidamente annodate per potersi calare sul tetto del magazzino senza correre il pericolo di rompersi il collo.
Un passo piuttosto leggero, ad essi ben noto, ed una esclamazione gioconda di Foster, il quale vegliava nell’attiguo corridoio, li avvertì finalmente che il momento di agire era imminente.
Jody era entrato portando la bottiglia promessa a quel beone d’irlandese, onde diventasse cieco e sordo.
«T›aspettavo, figliol mio, – disse il guardiano. – Non ho mai provato una sete così terribile come questa sera.»
«Sono sempre di parola, – rispose il mulatto. – È una bottiglia uguale a quella di ieri ed esce dalla cantina del governatore.»
«Figliol mio, – disse l’irlandese, – non vorrei che fossero le tue mani anziché quelle del signor governatore a tirarle fuori dalle tenebre. Tanta generosità da parte di quel signore, e verso un forzato, mi pare poco naturale. Bada, Jody, io sono un galantuomo innanzi tutto, e non tengo mano ai ladri.»
«Oh! Signor Foster! – esclamò il macchinista, fingendosi addolorato e nello stesso tempo indignato. – Mi credereste capace di derubare il governatore? Potete berla con animo tranquillo: ho ucciso, è vero, e mi hanno condannato; ma non ho mai rubato.»
«Sono stato uno stupido a sospettare di te, – disse l›irlandese. – Dammi la bottiglia, cuor d›oro, e facciamo la pace.»
«Un bicchiere prima agli ammalati, se me lo permettete.»
«Sì, va›, buon figliuolo.»
Jody empì, come la sera precedente, le due tazze e mentre l’irlandese dava l’attacco alla bottiglia, entrò nell’infermeria chiudendo la porta.
Il quartiermastro ed il malabaro si alzarono subito.
«Tutto va bene, – disse rapidamente il macchinista. – Non vi sono che due sentinelle lungo il viale ed ho promesso di vuotare insieme a loro un litro di gin. Passate dietro la siepe e andate ad aspettarmi nella scialuppa.»
«E Foster?» chiese Will.
«Sta bevendo e fra poco sarà così ubriaco da non vedere né udire nulla. È montata la sega?»
«Sì.»
«Agite subito, mentre io trattengo quell›ubriacone per qualche minuto, e non scendete dal letto finché non mi vedrete uscire.»
«E il Guercio?» chiese Palicur.
«È da lui che dovete guardarvi. Quel cane veglierà, non ne dubitò. Suvvia, bevete, spegnete il lume e filate. Se non riusciamo questa notte, non scapperemo più mai, perché temo che il Guercio abbia indovinati i nostri disegni.»
Diede loro le tazze, fece cenno di non far rumore, passando spense la lampada, e raggiunse il sorvegliante che non aveva cessato di baciare la preziosa bottiglia.
Appena la porta fu chiusa, udirono il mulatto dire all’irlandese:
«Si sono riaddormentati quei poveri diavoli. Non sono abituati al ginepro del governatore.»
Il quartiermastro ed il malabaro scivolarono giù dai letti portando con loro la macchinetta e le lenzuola annodate.
«Puoi reggerti?» chiese Will all›indiano.
«Non temete per me, se il dorso è ancora malandato, le ossa sono intatte e i muscoli sempre solidi.»
Stettero un momento in ascolto e, udendo nel corridoio il macchinista e l’irlandese chiacchierare, s’accostarono a una delle quattro finestre, quella situata presso l’angolo, la più lontana dalla porta d’ingresso.
Il quartiermastro con una chiavetta montò la macchinetta che nella forma rassomigliava ad una bussola, munita d’una piccola sega circolare sporgente d’acciaio temperato, della circonferenza di sei o sette centimetri, e l’accostò ad una delle sbarre.
Tosto la sega si mise a girare rapidissima, mordendo il ferro, senza produrre quasi rumore. Will, seguendo le istruzione del mulatto, l’aveva già abbondantemente unta coll’olio sottratto alla lampada, onde non producesse alcun stridore.
«È meraviglioso questo minuscolo congegno, – disse il quartiermastro, che si sentiva spruzzare da piccoli frammenti metallici. – Vi sono pochi meccanici abili come quel Jody. Questa sega vale un tesoro.»
«Morde bene?» chiese il malabaro sottovoce.
«Fra mezzo minuto questa sbarra sarà segata.»
«Saremo costretti a toglierne quattro ed a compiere otto tagli.»
«È questione di cinque minuti: là, guarda, è finita..»
«Recisa?»
«Sì.»
«Dall›altra parte, signor Will.»
Il quartiermastro ricaricò la molla e ricominciò sull’opposta estremità della sbarra.
Nel frattempo nel corridoio si udivano sempre la voce un po’ nasale del mulatto e quella rauca dell’irlandese. Il primo teneva a bada il secondo, raccontandogli delle storielle amene che lo facevano di quando in quando ridere; ma che gl’impedivano di fare una improvvisa visita nell’infermeria, cosa poco probabile d’altronde, almeno finché vi era del ginepro nella bottiglia.
In capo a cinque o sei minuti le quattro sbarre erano a terra.
«È fatto, – disse il quartiermastro, respirando a pieni polmoni la brezza fresca della notte. – Dammi le lenzuola.»
Annodò solidamente un capo ad una delle sbarre superiori, poi guardò giù, lasciandole pendere.
«Il lenzuolo tocca il tetto del magazzino, – disse al malabaro. – La misura è giusta.»
«Vedete nessuno?»
«Solo gli alberi.»
«Che ci sia qualche sentinella lì sotto, dinanzi alla porta del magazzino?»
«Jody ci avrebbe avvertiti. Prendi una sbarra che potrà servire come arma di difesa in caso di pericolo e scendi per primo.»
«Sì, signor Will.»
Il malabaro scavalcò il davanzale, s’aggrappò alle lenzuola e si lasciò scivolare, stringendo fra i denti una delle sbarre divelte.
Quando il quartiermastro lo vide toccare il tetto, a sua volta discese.
«Adagio, signore, – gli sussurrò il malabaro. – Il tetto è di stoppie e scricchiolerà sotto i nostri piedi. Può esservi qualche guardiano che dorme sotto di noi.»
«È probabile, – rispose il quartiermastro, asciugandosi la fronte. – Diavolo, io non avevo pensato a questo.»
«Non facciamo rumore, signore. Le sentinelle non indugerebbero a farci fuoco addosso, se qualcuno desse l›allarme.»
«È vero ed in questo momento io pensavo al Guercio.»
«Volete spaventarmi signor Will? Non già che io abbia paura. di quell›uomo; anzi se me lo vedrò dinanzi non lo risparmierò.»
«Speriamo che dorma. Avanti adagio adagio e bada dove posi i piedi.»
Si gettarono bocconi, strisciando dolcemente, con infinite precauzioni, per timore che il tetto, che sentivano tremare sotto il loro peso, da un momento all’altro cedesse. Di frequente sostavano per ascoltare e per girare uno sguardo pauroso all’ingiro. Pareva loro di scorgere talora delle ombre umane avanzarsi sotto il viale e di vedere il lampo delle canne delle carabine.
Impiegarono non meno di cinque minuti a percorrere un tratto di pochi metri, poi finalmente si trovarono sull’angolo del tetto.
Non vi era che un salto di tre metri da spiccare sopra delle aiole dove i guardiani avevano piantato dell’insalata d’Europa, che cresceva stentatamente, nonostante le assidue cure dei coltivatori. La terra, che veniva smossa ogni giorno, doveva attenuare ogni rumore.
Prima di lasciarsi andare, Will guardò attentamente in tutte le direzioni, temendo che qualche sentinella s’avanzasse improvvisamente sotto il viale. Non scorgendo nessuno stava per spiccare risolutamente il salto, quando udì a cinquanta o sessanta passi una voce gridare:
«Chi vive?»
I due fuggiaschi, credendosi scoperti, si appiattirono sull’orlo del tetto. Una voce che rispose subito alla sentinella li rassicurò:
«Sono io: Jody.»
«Aspetta un momento a saltare, Palicur,» mormorò rapidamente il quartiermastro della Britannia.
Si sporse innanzi e vide il macchinista avanzarsi sotto il viale, portando in mano qualche cosa che rassomigliava a una bottiglia.
Quando scomparve sotto gli alberi, dove lo attendeva il sorvegliante di guardia per bere insieme un sorso di brandy o di gin, Will e Palicur si lasciarono cadere in mezzo alle zolle senza fare alcun rumore, essendo stata la terra smossa di recente.
«Gambe, ora! – disse il quartiermastro, – e apri bene gli occhi, Palicur. Vi può essere qualche guardiano presso l’imbarcadero.»
«O il Guercio, – disse il malabaro, stringendo i pugni. – Sarei lieto di poterlo trovare prima di lasciare per sempre il penitenziario.»
«Per mio conto preferisco non incontrarlo in questo momento, – rispose Will. – Darebbe l›allarme e noi verremmo subito presi. Gettati dietro la siepe e non far rumore.»
Il viale era fiancheggiato da una doppia linea di cespugli che formavano come delle siepi. I due fuggiaschi raggiunsero quella di destra e si misero a strisciare in direzione della spiaggia.
Procedevano cauti, cogli occhi sbarrati e gli orecchi tesi non osando quasi alzare il capo e scostando con infinite precauzioni i rami che impedivano loro il passo. Sulla loro sinistra udivano le voci delle due sentinelle e quella di Jody; dinanzi invece il frangersi monotono dell’onda che il mare spingeva incessantemente sulla sabbia.
Avevano ormai percorso tutto il viale e non udivano più le voci dei guardiani, quando scorsero un’ombra umana immobile dinanzi ad un dammar che cresceva a pochi passi dall’imbarcadero.
Will frenò a malapena una bestemmia.
«La via ci è chiusa, – mormorò al malabaro. – Che cosa fa lì quell›uomo? Jody non ci aveva detto che vi era una sentinella anche presso l’imbarcadero. Come raggiungere la scialuppa senza farci scorgere da quello lì?»
«Signor Will, che sia il Guercio?» chiese il pescatore di perle.
«È venuto anche a me il medesimo sospetto.»
«Se è lui vado a ucciderlo, checché debba accadere,» disse Palicur.
«E guasteresti tutti i nostri affari. Aspetta, vediamo chi è, innanzi tutto.»
Scostò dolcemente i rami e guardò attentamente quell’uomo che si trovava a soli dieci passi e che volgeva loro le spalle, stando appoggiato, con ambo le braccia, sulla carabina che aveva la baionetta inastata.
«È un guardiano, – disse poi. – Il Guercio sarà nella sua baracca a dormire. Non gli darebbero certo un›arma da fuoco in mano, anche se è la spia del bagno.»
«Non possiamo passare da un›altra parte?»
«Quell›uomo ci scorgerebbe egualmente, poiché la scialuppa è legata dinanzi a lui.»
«Che fare, signor Will? Fra poco Jody sarà qui e la sua presenza potrebbe allarmare quel guardiano.»
«Dammi la tua sbarra,» disse d›improvviso il quartiermastro, con accento risoluto.
«Che cosa volete fare, signor Will?»
«Sorprendere il guardiano e atterrarlo con un colpo solo. Tanto peggio per lui se muore. Se esitiamo, non lasceremo mai più questo inferno.»
«Lasciate fare a me, signor Will; sono più vigoroso di voi, anche se ho il dorso ancora mezzo fracassato. Noi indiani, nelle sorprese, siamo più abili di voi europei»
«Sia, ma sarò pronto a prestarti man forte, e soprattutto non dimentichiamo la carabina e le cartucce di quell›uomo. Ci sarà di grande utilità quell’arma.».
«Seguitemi, strisciando.»
Il malabaro si gettò a terra e avanzò silenziosamente, trattenendo perfino il respiro. Il guardiano, per fortuna, gli volgeva le spalle e pareva si fosse addormentato sul suo fucile.
La distanza a poco a poco scemava. Il malabaro aveva già impugnato la sbarra di ferro.
Stava per scagliarsi, quando il sorvegliante, allarmato forse da qualche lieve rumore, si volse. Vedendosi dinanzi quelle due ombre, fece l’atto di alzare il fucile, ma Palicur non gli lasciò il tempo di adoperarlo, né di dare l’allarme. La sbarra di ferro gli piombò sul cranio e lo fece stramazzare al suolo come fulminato, senza un sospiro.
Probabilmente non era morto, poiché l’elmo doveva aver attutito in gran parte il colpo.
Palicur raccolse la carabina, mentre Will s’impossessava della cartuccera che era ben fornita, poi tutti e due si slanciarono verso l’imbarcadero, dinanzi a cui si cullava dolcemente la scialuppa a vapore. Pareva che nessuno si fosse accorto della caduta del povero sorvegliante; d’altronde il rumore prodotto dal corpo nello stramazzare al suolo doveva essere stato soffocato dal frangersi della risacca.
«Da› fuoco al forno, Palicur, – disse subito Will, porgendogli alcuni zolfanelli, – poi getta dentro tanto carbone da riempirlo. È necessario che la macchina abbia molta pressione o noi…»
Si interruppe bruscamente. Al largo si udì echeggiare un lungo muggito che pareva prodotto dalla sirena d’una nave a vapore. Un’imprecazione gli sfuggì:
«Dannato inferno! Chi arriva?»
In quel momento vide un’ombra precipitarsi fuori da un cespuglio e balzare verso la spiaggia, mentre una voce poco lontana gridava:
«All›armi! Hanno ucciso Bakson!»
«Jody!» esclamarono ad una voce Will ed il malabaro, riconoscendo quell›ombra.
Era infatti il macchinista che giungeva, pallido come un morto e trafelato.
«Fuggiamo, – disse il mulatto, balzando nella scialuppa. – Sta per giungere il Nizam e le sentinelle hanno scoperto il cadavere di Bakson. Lesti! Prendete i remi e corriamo verso la scogliera prima che ci scorgano!»
In quel momento una voce imperiosa urlò con tono di minaccia: «Fermi o sparo!»
«Ai remi, voi! – disse il quartiermastro, armando precipitosamente la carabina strappata al sorvegliante. – Rispondo io!»
«Fuoco alla macchina, Palicur,» comandò Jody.
«Avvampa già,» rispose il malabaro, mentre un getto di fumo densissimo, che puzzava di petrolio e di materie grasse, sfuggiva dal tube.
«Ai remi, arranca!»
La medesima voce di prima echeggiò nel silenzio della notte:
«All›armi! I forzati fuggono!»
Poi un lampo ruppe le tenebre, seguito da una detonazione, e una palla fischiò sopra le teste dei fuggiaschi.
Palicur e Jody si precipitarono sui remi, mentre la macchina cominciava a russare sonoramente. Il quartiermastro della Britannia, coricato sul banco di poppa, colla carabina in mano, aspettava che i sorveglianti di guardia si mostrassero, per aprire a sua volta il fuoco.
Al largo la sirena della nave a vapore continuava a muggire lungamente, per annunciare ai guardiani del penitenziario il suo arrivo. I suoi fanali, verde e rosso sulla prora e bianco sull’albero di trinchetto, splendevano nettamente sul tenebroso orizzonte.
«Quando giungerà, noi avremo lasciato la scogliera e avremo la pressione necessaria per fuggire, e se quella nave vorrà darci la caccia, la faremo correre, – disse il macchinista. – Forza, Palicur! La scialuppa è pesante, ma fra poco filerà meglio di uno sword-fish!»
Un secondo sparo lo interruppe.
«Briganti! – esclamò. – Un po› più basso e la mia testa scoppiava come una noce di cocco.»
«A voi! – gridò il quartiermastro della Britannia, puntando la carabina. – Anche noi siamo armati e abbiamo il diritto di difenderci.»
Un sorvegliante scendeva verso la spiaggia a tutta corsa urlando a squarciagola:
«All›armi! All›armi!»
Will puntò il fucile, mirò per qualche istante, poi premette il grilletto lentamente.
Il sorvegliante cadde, mandando un urlo, mentre verso il viale si udivano parecchie voci gridare:
«Dove sono?»
«Verso il bosco?»
«No, scappano sulla scialuppa.»
«Alt! Alt o vi caliamo a fondo!»
«Sì, prendeteci!» gridò il quartiermastro, che aveva ricaricato rapidamente la carabina.
«Da› dentro, Palicur! – urlò Jody. – Il Nizam s’avanza e può calarci a fondo con un paio di cannonate.»
La scialuppa, spinta da quelle quattro braccia vigorose, in quel frattempo aveva guadagnato tre o quattrocento metri e correva addosso alla punta meridionale della scogliera, dove i fuggiaschi contavano d’imbarcare le loro provviste. La pressione necessaria per mettere in moto la macchina non l’avevano ancora ottenuta, ma l’acqua non doveva tardare a vaporizzarsi, poiché le materie grasse e la legna bagnata abbondantemente di petrolio spandevano, ardendo, un calore intenso.
«Gettati dietro agli scoglietti!» gridò il quartiermastro della Britannia a Jody, vedendo cinque o sei guardiani precipitarsi verso l’imbarcadero, mentre altri si dirigevano, correndo come cervi, verso il bacino dove stavano le scialuppe del penitenziario. Fra poco ci daranno la caccia.»
«E rimarranno subito indietro, – rispose il mulatto, facendo scivolare la barcaccia dietro uno scoglio. – La macchina è pronta a funzionare.»
Una scarica partì dalla riva e parecchie palle rasentarono la poppa della scialuppa che era ancora allo scoperto.
«Troppo tardi, miei cari,» gridò Will, deponendo la carabina per prendere anche lui i remi, mentre Jody si slanciava dietro la macchina.
«Abbiamo la pressione?» chiese Palicur.
«Sì, – rispose il mulatto. – Non ci prenderanno più, ora. Neanche il Nizam può raggiungerci, essendo meno rapido di noi.»
«Presto, imbarchiamo i viveri, – comandò Will. – Dove sono?»
«Dietro quella punta… in un crepaccio… Satanasso! Che cos›è questo rumore? Udite, signor Will?»
«Che cosa?»
«Dei tonfi.»
Alzarono i remi, mentre l’elica della scialuppa cominciava a mordere le acque. Dietro la scogliera che stavano per girare, si udivano infatti dei tonfi, come se dei pezzi di roccia o altre cose precipitassero in acqua. Il quartiermastro raccolse la carabina, mentre Jody toglieva disotto ad un banco una pistola, la sola arma che aveva rubato alla piccola armeria del penitenziario.
«Lancia la scialuppa verso il nascondiglio,» disse Will.
«Ma udite?» chiese Jody.
«Sì: al timone tu, Palicur.»
La scialuppa girò intorno alla punta estrema dell’isolotto e si cacciò fra due file di scoglietti, le cui punte emergevano fra le acque tormentate dalla risacca.
Tosto un grido di furore sfuggì al macchinista. Un uomo era uscito in quel momento dal crepaccio che serviva di nascondiglio alle provviste e aveva gettato in mare una cassa di latta, la quale era subito affondata.
«Ah! Miserabile!» urlò Jody, scaricando la pistola.
L’uomo che aveva gettato la cassetta mandò un grido, poi balzò verso le rocce superiori, cercando di raggiungere un gruppo di cocchi.
«Il Guercio! – urlò Will. – Muori, cane!»
Il cingalese che, con quella rapida mossa, era sfuggito al colpo di pistola del macchinista, non poté salvarsi da quello della carabina. La detonazione non si era ancora spenta, che i fuggiaschi lo videro stramazzare dietro la cresta e sparire dall’altra parte dell’isolotto gridando:
«Sono morto!»
Poi si udì un tonfo come d’un corpo che cade in mare.
Jody balzò subito a terra e si inerpicò fino al crepaccio che formava una minuscola caverna, appena sufficiente a dare asilo a due uomini.
«Ah! Furfante! – gridò cacciandosi le mani nei capelli con un gesto disperato. – Ha gettato tutto in mare! Ci ha rovinati!»
«Scendi, non fermarti, – disse Will. – I guardiani giungono! Odo i colpi di remo.»
«Non abbiamo più nemmeno un biscotto. Ha gettato tutto in acqua.»
«Non importa, vieni o saremo presi.»
Il macchinista, comprendendo finalmente che non era quello il momento di disperarsi, ridiscese la riva e balzò nella scialuppa, mentre alcuni spari rimbombavano dall’altra parte della scogliera.
«A tutto vapore, Jody!» comandò il quartiermastro della Britannia. La scialuppa si scostò dalla riva e s’allontanò rapidissima verso il sud, mentre sulla cima dell’isolotto apparivano alcuni sorveglianti. Nello stesso momento una voce formidabile, quella del Guercio, risuonò altissima fra le tenebre.
«Ci rivedremo, – egli gridò, – e ti disputerò Juga, cane di Palicur!»