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Capitolo IV. IL «MANTI»
ОглавлениеL’indomani Yanez e Sandokan, dopo d’aver dormito alcune ore, stavano sorbendo un’eccellente tazza di the; e mentre chiacchierando sugli avvenimenti della notte, videro entrare nel salotto il mastro dell’equipaggio, un superbo malese, tarchiato come un lottatore e dai muscoli enormi.
– Che cosa vuoi, Sambigliong? – chiese Sandokan che si era alzato. – È giunto qualche messo di Tremal-Naik?
– No, capitano. Vi è un indiano che chiede di salire a bordo.
– Chi è?
– Un manti, mi ha detto.
– Che cos’è questo manti?
– È una specie di stregone, – disse Yanez, che avendo soggiornato nella sua gioventú parecchi anni a Goa, ne sapeva qualche cosa.
– Ti ha detto che cosa vuole quell’uomo? – chiese Sandokan.
– Che viene a compiere un sacrificio a Kalí-Ghât onde i numi dell’India ti siano propizi, scadendo oggi la festa di quella divinità.
– Mandalo al diavolo.
– Vi osservo, capitano, che egli è stato ricevuto anche a bordo delle grab che ci stanno intorno e che è accompagnato da un policeman indigeno, il quale mi ha detto di non rifiutare la sua visita, se non vogliamo avere dei fastidi.
– Facciamolo salire, Sandokan, – disse Yanez. – Rispettiamo i costumi del paese.
– Che uomo è? – chiese il pirata.
– Un bel vecchio, capitano, dall’aspetto maestoso.
– Fa’ abbassare la scala.
Quando salirono poco dopo sulla tolda, il manti era già a bordo, mentre invece il policeman indigeno era rimasto nel piccolo gonga in compagnia di parecchi capretti che belavano lamentosamente.
Come Sambigliong aveva detto, quel medico e stregone ad un tempo, era un bel vecchio dalla pelle abbronzata, i lineamenti un po’ angolosi, gli occhi nerissimi che avevano uno strano splendore ed una lunga barba bianca.
Sulle braccia, sul petto e sul ventre aveva delle righe bianche e cosí pure sulla fronte, distintivi dei seguaci di Siva, i quali adoperano le ceneri di sterco di vacca o ceneri raccolte sui luoghi ove si bruciano i cadaveri.
Il suo vestito si limitava a un semplice dootée che gli copriva appena i fianchi.
– Che cosa vuoi? – gli chiese Sandokan, in inglese.
– Compiere il sacrificio della capra in onore di Kalí-Ghât, di cui oggi scade la festa, – rispose il manti nell’egual lingua.
– Noi non siamo indiani.
Il vecchio socchiuse gli occhi e fece un gesto di stupore.
– Chi siete dunque?
– Non occuparti di sapere chi noi siamo.
– Venite molto da lungi?
– Forse.
– Io compirò il sacrificio onde il tuo ritorno possa essere felice. Nessun equipaggio, anche straniero, si rifiuterebbe di lasciar compiere una tale cerimonia a un manti che può gettare dei malefizi. Chiedilo al policeman che m’accompagna.
– Allora spicciati, – disse Sandokan.
Il vecchio aveva portato con sé una capretta tutta nera ed una bisaccia di pelle dalla quale estrasse dapprima un pentolino che pareva contenesse del burro, quindi due pezzi di legno, uno piatto da una parte, con un buco nel mezzo, l’altro piú sottile e acuminato.
– Sono legni sacri, – disse il manti, mostrandoli a Sandokan e a Yanez i quali seguivano con curiosità le mosse del vecchio.
Piantò quella specie di punteruolo nel bastone piatto, poi servendosi d’una piccola correggia lo fece girare vertiginosamente.
– Pare che accenda il fuoco, – disse Sandokan.
– Il fuoco sacro per il sacrificio, – rispose Yanez, sorridendo. – Quante barocche superstizioni e credenze hanno questi indiani!
Dopo mezzo minuto una fiamma scaturí dal buco e i due legni presero fuoco ardendo rapidamente.
Il manti girò lentamente su se stesso curvandosi verso oriente, poi a occidente, quindi a mezzodí e finalmente a settentrione, dicendo con voce solenne:
– Luci d’India, di Sourga e d’Agni, che illuminate la terra e il cielo, rischiarate il sangue dell’olocausto che io offro a Kalí-Ghât, e non quello degli uomini che qui vedono. – Incrociò i due pezzi di legno sacro lasciando che si carbonizzassero, poi li depose su una lastra di rame e versò su di essi un po’ di burro contenuto nel pentolino.
Ravvivatasi la fiamma, il vecchio stregone prese il capretto, estrasse un coltello e con un rapido colpo lo decapitò, lasciando che il sangue colasse sui legni sacri.
Quando il sangue cessò di uscire e il fuoco fu spento, raccolse le ceneri diventate rosse, si segnò la fronte e il mento, quindi avvicinatosi a Sandokan e a Yanez marcò la loro fronte, dicendo:
– Ora potete partire e tornare al vostro lontano paese, senza temere le tempeste, perché lo spirito d’Agni e la forza di Kalí-Ghât sono con voi.
– Hai finito? – chiese Sandokan, porgendogli alcune rupie.
– Sí, sahib, – rispose il vecchio fissando sulla Tigre della Malesia i suoi occhi nerissimi, nei quali pareva splendesse un raggio soprannaturale. – Quando partirai?
– È già la seconda volta che tu mi rivolgi questa domanda, – disse Sandokan. – Perché ti preme saperlo?
– È una domanda che io faccio sempre a tutti gli equipaggi delle navi. Addio sahib e che Siva unisca la sua possente protezione a quella di Agni e di Kalí-Ghât.
Prese il capretto e discese nel suo gonga, dove il policeman indigeno lo aspettava, seduto sulla panchina di prora, fumando una sigaretta di palma.
Il piccolo battello si staccò dalla scala, ma invece di scendere il fiume dove vi erano altri moltissimi velieri, lo risalí passando sotto la poppa del praho.
Sandokan e Yanez, che lo avevano seguito collo sguardo, videro con loro sorpresa il manti abbandonare per un istante i remi, volgersi vivamente a fissare gli occhi sul coronamento di poppa, dove in lettere d’oro spiccava il nome della nave, quindi riprenderli e allontanarsi velocemente, scomparendo in mezzo alla moltitudine di velieri che ingombravano il fiume.
Sandokan e Yanez si erano guardati l’un l’altro, come se un medesimo pensiero fosse balenato nel loro cervello.
– Che cosa ne pensi tu di quel vecchio? – chieso Sandokan.
– Penso che quella barocca cerimonia è stata una scusa per salire a bordo e sapere chi noi siamo, – rispose il portoghese che appariva turbato.
– Il tuo sospetto è identico al mio.
– Sandokan, che siamo stati giuocati?
– Non è possibile supporre che i Thugs sappiano già che noi siamo amici di Tremal-Naik e che siamo venuti qui per aiutarlo a ritrovare la piccola Darma. Che siano demoni quegli uomini, o stregoni?.
– Non so che cosa dire, – rispose Yanez, che era diventato pensieroso. – Aspettiamo Kammamuri.
– Mi sembri inquieto, Yanez.
– E ne ho il motivo. Se i Thugs sanno ormai quali sono le nostre intenzioni e lo scopo del nostro viaggio, temo che avremo da fare con degli avversari formidabili.
– Forse ci siamo ingannati, Yanez, – disso Sandokan. – Quel manti può essere invece un povero diavolo che cerca di guadagnarsi qualche rupia coi suoi sacrifici piú o meno sciocchi.
– Pure, quella domanda ripetuta e quello sguardo dato al nome della nostra nave, mi hanno profondamente impressionato.
– Che abbia corbellato anche quel policeman?
– Trovo anzi strana la presenza di quel poliziotto nel gonga del ciarlatano.
Sandokan rimase alcuni istanti silenzioso, passeggiando sul cassero, poi avvicinandosi rapidamente al portoghese e prendendolo per un braccio, gli disse:
– Yanez, ho un altro sospetto.
– E quale?
– Che fosse un thug truccato da poliziotto, per meglio ingannarci.
Il portoghese guardò Sandokan con sgomento.
– Lo credi? – chiese.
– E scommetterei il mio narghilé contro una delle tue sigarette che sei anche tu convinto che quell’uomo non era un vero policeman, – disse Sandokan.
– Sí, fratellino mio: noi dobbiamo essere stati mistificati da gente piú furba di noi. Mio caro Sandokan, la Tigre dell’India dà prova di essere, almeno finora, piú astuta di quella malese.
– Sí, piú civilizzata questa indiana, mentre quella malese è ancora selvaggia, – disse Sandokan, sforzandosi a sorridere. – Bah! Prenderemo presto la nostra rivincita. D’altrondo quel briccone di manti, ammesso che fosse veramente una spia di Suyodhana, nulla ha appreso dalle nostre labbra e ignora ancora chi noi siamo, per quale motivo noi ci troviamo qui e…
Si era bruscamente interrotto, accostandosi alle murate di tribordo. Pareva che seguisse qualche imbarcazione che scivolava fra le navi ancorate in mezzo al fiume.
– Mi sembra d’aver veduto la scialuppa colla testa d’elefante che ieri ci venne incontro con Kammamuri, – disse. – È scomparsa dietro quel gruppo di pinasse e di grab, ma non tarderà a mostrarsi.
– Dovrebbe essere già qui, – disse Yanez estraendo un magnifico cronometro d’oro.
Salirono sul capo di banda tenendosi aggrappati alle griselle dell’albero maestro e scorsero infatti un fylt’ sciarra, somigliante a quello che la sera innanzi aveva condotto il maharatto a bordo, manovrare abilmente e anche velocemente fra le navi.
Era montato da quattro remiganti e guidato da un uomo che pareva un mussulmano dell’India settentrionale, dal costume che indossava.
– Che Kammamuri si sia camuffato? – chiese Sandokan. – Quella scialuppa si dirige verso di noi.
Infatti il fylt’ sciarra uscito da quel caos di navigli, correva verso la Marianna, rimontando velocemento la corrente che in quel luogo si faceva sentire pochissimo, ostacolata da tutti quei galleggianti che ne rompevano la violenza.
In pochi minuti giunse sotto il tribordo del praho, arrestandosi presso la scala.
Il mussulmano che lo guidava dopo d’aver scambiate alcune parole coi remiganti, salí rapidamente a bordo, inchinandosi dinanzi a Yanez e a Sandokan che erano accorsi e che lo guardavano con sorpresa.
– Non mi riconoscete piú, dunque? – chiese il nuovo arrivato, scoppiando in una risata. – Sono ben contento, perché allora potrò ingannare anche quei cani di Thugs.
– Ti faccio le mie felicitazioni, mio caro Kammamuri, – disse Yanez. – Se non facevi udire la tua voce stavo per dare l’ordine di rimandarti nella tua scialuppa.
– Una truccatura magnifica, – disse Sandokan. – Sei irriconoscibile, mio bravo maharatto.
Il fedele servo di Tremal-Naik era diventato veramente irriconoscibile e chiunque lo avrebbe scambiato per un maomettano di Agra o di Delhi.
Aveva lasciato il dootée e il dubgah pel kurty, costume che a prima vista rassomiglia a quello dei turchi e dei tartari, sebbene sia un po’ diverso perché la casacca è piú corta e aperta dal lato sinistro invece che dal destro, i calzoni piú ampi e anche il turbante d’altra forma, essendo piú piatto sul davanti e piú rigonfio di dietro.
Per meglio completare l’illusione, il brav’uomo aveva fatto sparire le linee che i seguaci di Visnú portano sulla fronte e si era appiccicata una superba barba nera che gli dava un aspetto imponente.
– Ammirabile, – ripeté Yanez. – Mi sembri un qualche santone di ritorno dalla Mecca. Non ti mancherebbe che un po’ di verde sul turbante.
– Credete che i Thugs mi possano riconoscere?
– A menoché non siano diavoli o stregoni, nessuno potrebbe sospettare in te il maharatto di ieri.
– Le precauzioni sono necessarie, signore. Anche stamane ho veduto ronzare attorno alla casa del padrone delle figure sospette.
– Che ti avranno seguito, – disse Sandokan.
– Ho preso le mie precauzioni per far perdere le mie tracce e spero di esserci riuscito. Ho lasciato la casa in un palanchino ben chiuso e mi sono fatto condurre allo Strand, dove vi è sempre una folla straordinaria, scendendo dinanzi a un albergo.
La mia trasformazione l’ho compiuta colà e quando sono uscito nessuno mi ha riconosciuto, nemmeno i servi.
Il fylt’ sciarra m’aspettava lontano dallo Strand, sul quai della città nera, quindi nessuno può avermi seguito.
– Bada! I Thugs sono assai furbi e ne abbiamo avuto la prova. Essi ormai sanno che noi siamo amici del tuo padrone e ci sorvegliano.
Il maharatto fece un gesto di spavento e divenne livido.
– È impossibile! – esclamò.
– Hanno già tentato di assassinarci quando uscimmo dal palazzo di Tremal-Naik, – disse Sandokan.
– Voi!
– Bah! Un attacco male riuscito che abbiamo ricambiato con due palle, di cui una non andò perduta. Non è però quell’agguato che in questo momento ci preoccupa. È una visita che ci fu fatta poco fa e che ci ha messo indosso dei gravi sospetti.
È venuto uno stregone, o qualche cosa di simile, a sacrificare una capra…
– Un manti, – disse Yanez.
Kammamuri mandò un grido e impallidí maggiormente.
– Un manti, avete detto! – gridò.
– Lo conosceresti forse? – chiese Sandokan, con inquietudine.
Il maharatto era rimasto muto, guardandoli con gli occhi dilatati da un profondo terrore.
– Orsú, parla, – disse Yanez. – Che cosa significa lo spavento che leggo nel tuo sguardo? Chi è quell’uomo? L’hai veduto anche tu?
– Come era? – chiese Kammamuri con voce strozzata.
– Alto, vecchio, con una lunga barba bianca e due occhi nerissimi e splendenti, che pareva avessero entro la pupilla due carboni.
– È lui! È lui!
– Spiegati.
– È lo stesso che è venuto due volte a casa del mio padrone a compiere la cerimonia del putscie e che ho veduto aggirarsi altre due volte nella via, guardando le nostre finestre. Sí, alto, magro, colla barba bianca e gli occhi fiammeggianti.
– Putscie! – esclamò Sandokan. – Che cosa vuol dire?… Spiegati meglio, Kammamuri; non siamo indiani.
– È una cerimonia che si compie nelle case, in certe epoche, per propiziarsi le divinità, e che consiste nell’aspergere le stanze di orina mista a sterco di mucca(), nel gettare fiori di riso entro un secchio d’acqua, e nel bruciare molto burro messo entro lampade disposte intorno al recipiente.
– E il manti l’ha compiuta nella casa del tuo padrone? – chiese Sandokan.
– Sí, quindici giorni or sono, – rispose Kammamuri. – È lo stesso che stamane è venuto qui, ne sono sicuro. Quel miserabile è una spia di Suyodhana.
– Era accompagnato da un policeman indigeno?
– Da un policeman! – esclamò Kammamuri facendo un gesto di stupore. – Da quando in qua la polizia scorta i manti o i bramini nel loro giro? Siete stati doppiamente burlati.
Kammamuri s’aspettava da parte della Tigre della Malesia uno scoppio d’ira, invece il formidabile pirata non perdette un atomo della sua calma, anzi parve piú soddisfatto che malcontento.
– Benissimo, – disse. – Ecco una burla da cui trarremo dei vantaggi inapprezzabili. Riconosceresti ancora quell’uomo, mio bravo Kammamuri?
– Anche fra sei mesi.
– E anch’io. Hai portato le vesti che ti avevo raccomandato?
– Ne ho quattro casse nel fylt’ sciarra.
– Che cosa vuoi farne Sandokan? – chiese Yanez.
– Il manti ci dirà se i Thugs sono tornati nella loro antica sede e se la piccola Darma si trova nascosta nei sotterranei di Rajmangal, – rispose la Tigre della Malesia. – Ci era necessario un thug per farlo cantare: lo abbiamo sottomano e per Allah, canterà ben alto.
Si tratta solo di scovarlo e non dispero.
– Calcutta è vasta e popolosa, amico. Sarebbe come trovare un granello perduto in un deserto di sabbia.
– Forse è meno difficile di quello che credete, – disse ad un tratto Kammamuri. – Vi è una pagoda dedicata alla dea Kalí, nella città nera, dove i Thugs bazzicano e dove da tre giorni si festeggia Darma-Ragia e la sua sposa Drobidè. Non sarei sorpreso se ritrovassimo là il manti.
– Sarebbe una grande fortuna, – disse Sandokan. – Quando comincia la festa?
– Alla sera.
– Devi ritornare dal tuo padrone?
– Gli ho detto di non aspettarmi; d’altronde prima di doman mattina egli sarà qui. Ha deciso di rifugiarsi sul vostro praho onde poter meglio agire senza essere spiato.
– Volevo proporglielo. Qui è al sicuro meglio che nel suo palazzo e poi la sua presenza può esserci necessaria.
Andiamo a pranzare poi faremo la nostra toletta, onde il manti non ci possa riconoscere.
Non credevo di aver tanta fortuna in dodici ore. Se il briccone cade nelle nostre mani, daremo il primo scacco all’amico Suyodhana. Ah! E gli elefanti?
– I servi del mio padrone sono già partiti per acquistarli, e fra qualche giorno noi li possederemo.
– È necessario che i Thugs non ci vedano. Potrebbero sospettare la nostra intenzione di recarci nelle jungle del sud.
– Hanno già avuto l’ordine di condurli in un bengalow che appartiene al mio padrone e che si trova nei pressi di Khari, l’ultima borgata delle Sunderbunds.
– Andiamo a pranzare, amici la giornata non è stata perduta.