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II. Dopo pranzo.
ОглавлениеEra stato un pranzo di famiglia.
Per non far dispiacere a suo fratello e a suo nipote, il commendator Gabrio Moncalvo non aveva invitato nessuno, fuori del pittore Brulati ch'era di casa e che non poteva dar soggezione. Ciò non toglie ch'egli, il commendatore, fosse in frac e che la signora Rachele, ancora bella non ostante i suoi quarantatrè o quarantaquattr'anni, sfoggiasse le sue spalle opime, traboccanti dal corpetto d'un abito di tulle nero a paillettes. La Mariannina era vestita di surah bianco a pieghine, con una cintura celeste intorno alla vita e un vezzo di perle al collo.
Ora i commensali erano raccolti in salotto e la zia Clara, la sorella nubile e anziana dei due Moncalvo, presiedeva alla distribuzione del caffè e dei liquori. Ell'aveva sempre la sua fisonomia dolce e buona, ma era molto invecchiata negli ultimi tempi; aveva l'aria stanca e i capelli grigi; grigi come il colore del suo vestito di seta. — Ma sœur grise — la chiamava qualche volta, scherzando, Gabrio Moncalvo.
L'ampio salotto, ingombro di sedie e seggioloni d'ogni forma e misura, era illuminato a luce elettrica e ammobiliato signorilmente ma senza sobrietà. Dalle pareti pendevano piatti di maiolica, pezzi di stoffe antiche, stuoie giapponesi, in mezzo a cui l'occhio appena riusciva a discerner tre o quattro acquarelli romani di molto pregio. Un gruppo di piante metteva una nota verde in un angolo; all'angolo opposto, sopra un piedistallo girevole, si ammirava una statuina di bronzo del Cifariello; fra una cantoniera i cui palchetti erano pieni di ninnoli e uno scaffalino contenente alcuni libri con legatura di lusso sorgeva un piccolo pianoforte verticale; altri volumi artistici erano gettati alla rinfusa sopra una tavola più grande; un tavolino di lacca reggeva il servizio del caffè e dei liquori.
— Tu non hai religione, — disse la signora Rachele al cognato, con l'aria di chi ripiglia un discorso interrotto.
Il commendator Gabrio si mise a ridere.
— Stasera mia moglie non vuol lasciarti in pace.
— Ma sì, — interpose la signora Clara offrendo in giro le sigarette. — Lasciatelo in pace. Non viene quasi mai e quando viene lo punzecchiate.
— Oh! — rispose la signora Rachele. — Giacomo non è uomo da confondersi per così poco.... E in quanto a te, — ella soggiunse alludendo alla Clara, — in quanto a te, sei come lui.... sei com'eravamo tutti....
Il professore Giacomo alzò gli occhi da un libro che stava sfogliando.
— Converrebbe sapere che cosa tu intenda per religione.
— Che domanda! — ribattè la signora Rachele, imbarazzata più di quello che non volesse parere.
— Come se tutti non sapessero quello ch'è la religione! Intendo una serie di dogmi incrollabili, altrettanto sicuri quanto i vostri teoremi matematici, su cui si possa appoggiarsi come a una norma per la vita....
— E tu fa conto che questi dogmi ci siano, ch'essi c'impongano di operare il bene verso amici e nemici, di astenerci da ogni atto basso e malvagio, e regola di conformità la tua condotta.
— No, no, non basta far conto. Occorre la certezza che questi precetti ci vengono da Dio, che l'obbedirvi ci assicura un premio, che il trasgredirli porta seco una pena.
— La solita investita di capitali, — pensò il professore. Ma non lo disse. Disse soltanto: — E tu credi quello che vuoi.
— Ecco come siete, — replicò la signora Rachele, arrabbiandosi. — Lo so benissimo che posso credere quello che voglio, ma io ho bisogno di rinforzar la mia fede con la fede degli altri, ho bisogno di un culto, di un complesso di pratiche in comune.... Gabrio tace, ma è del mio parere....
— Ah, non hai tutti i torti, — assentì il marito cacciando dalla bocca il fumo della sigaretta. — Le dottrine materialiste hanno fatto il loro tempo.
Giorgio Moncalvo, che chiacchierava con sua cugina, nel vano d'una finestra, non potè reprimere un moto di maraviglia. Gli tornavano a mente le fiere invettive anticlericali udite da suo zio sette anni addietro.
La Mariannina indovinò il suo pensiero.
— Oh, il babbo non ha mica più le idee che aveva una volta.... Non c'è niente di male a cambiare quando si cambia in meglio. À présent, nous sommes des gens rangés.
Intanto la discussione continuava più vivace che mai fra Giacomo Moncalvo e la cognata.
— Dunque, — disse il professore, — tu diventi una conservatrice.... E da ragazza, se ben rammento, passavi per una ribelle, per un'eretica, e il tuo nonno....
La signora Rachele fece una spallucciata.
— Tal quale come in casa vostra.... I nonni erano strettamente ortodossi, come i vostri, attaccati a certe forme antiquate, ridicole....
— Non senza la loro poesia, — notò il professore.
— Le difendi, tu
— No, le considero spassionatamente, come tutti i riti, come tutti i simboli in cui l'umanità ha messo una parte della sua anima.
— Ma come possono interessarci quelle storie di tremila, di quattromila anni sono, dette in una lingua che nessuno capisce più?... Quei patriarchi, quel passaggio del Mar Rosso, quel Mosè che scende dalla montagna con le corna in fronte!
— Eh via, ci hanno fabbricato su anche l'edifizio della religione nuova.
— È un'altra cosa, è un'altra cosa, — protestò la signora. — A ogni modo, per tornare a noi, i nonni erano rabbiosamente ortodossi; la generazione venuta dopo faceva finta di credere, ma non credeva; noi della terza generazione non potevamo crescere che come siamo cresciuti.
Il professore annuì.
— Sicuro, la vecchia fede moriva. Tanto più era necessario che ciascuno di noi si assimilasse quello che vi è di permanente, d'indistruttibile nelle religioni per dar forza alla legge morale che deve governare la nostra vita.
— Ecco il tuo torto, — saltò a dire il commendatore. E respinse da sè la Tribuna che aveva preso in mano in quel momento. — Prima di tutto a varie religioni corrisponde una varia morale.... quella dei turchi, per esempio, che ha pure le sue attrattive.... Dunque convien principiare con lo scegliere la religione di cui si vuol spremere il sugo.... poi, questo sugo sei ben sicuro di conservarlo quando hai gettato via il frutto?
— Tu mi hai frainteso.... Io non volevo dire che le religioni siano la sola base della morale.... A formar questa entrano tanti altri fattori che sono dati dalla razza, dai costumi, dal grado di civiltà.... Anzi oggi, in alcuni paesi civili, la morale degli uomini veramente virtuosi è superiore per parecchi rispetti a quella che le religioni insegnano.... Ma è un fatto che, generalmente, le religioni rappresentano il massimo sforzo dell'uomo verso un ideale di perfezione, e che questo sforzo è per sè un elemento di grandezza morale....
— Ah, lo confessi? — esclamò, trionfante, la signora Rachele.
— Non ho la minima difficoltà a confessarlo. Ciò non toglie che io m'auguri prossimo il tempo in cui la morale possa reggersi da sola come un monumento che si regga senza l'armatura. Vedi, la religione è come il dizionario, ch'è sempre in arretrato quando lo si paragoni alla lingua viva.
La signora Rachele accennò a replicare, ma il marito le fece segno di non insistere.
— E qual'è l'opinione del nostro Brulati? — egli chiese rivolgendosi al pittore che schizzava delle caricature in un album tascabile.
— Brulati non ha opinione, — rispose l'artista. — Non ho voglia di torturarmi il cervello, io.
— Allora vediamo l'album.
— Non ne vale la pena.
E Brulati stava per riporre il libriccino nella tasca interna del soprabito. Ma si pentì a mezzo e soggiunse:
— Se mi assicurano di non aversene a male....
Tutti gli furono intorno ridendo di cuore dell'abilità con cui Brulati sapeva cogliere il lato comico d'una fisonomia.
Il più entusiasta era Gabrio Moncalvo, quantunque fosse il più tartassato dal caricaturista.
— Insuperabile! Con due tratti quest'uomo vi ammazza.... E non c'è da sbagliarsi.... Ci si riconoscerebbe fra mille.... l'ho sempre detto. I quadri di Brulati hanno molto merito, ma ce ne son tanti altri come i suoi.... Dove non ha rivali è nella caricatura.... In Francia, in Germania, in Inghilterra, collaborando al Journal pour rire, ai Fliegende Blätter o al Punch, farebbe tesori. Noi siamo un popolo di spiantati.
E il commendatore seguitava a confrontare le varie caricature.
— La mia è il capolavoro, non c'è dubbio. Ma anche tu, Rachele, sei ben servita.
La signora Rachele sorrise con la bocca stretta.
— Non lo nego. È il genere che non mi piace.
— Hai torto.... Però (non è vero, Brulati?) non si può pretendere che le belle donne siano contente di vedersi ridotte in questo stato.
— È il destino di tutte le cose belle d'esser messe in parodia, — disse pronto Brulati.
— Non mi canzoni, — replicò la signora, ammansata dal complimento. — Io sono ormai un rudero.
— Ce ne fossero di quei ruderi!
— Ed ecco qui mia sorella, — seguitò il banchiere. — È tutta lei.... E pure non c'è che un po' di naso e due puntini per gli occhi.... e nient'altro.
La signora Clara, ch'era di umore gioviale, e non aveva mai avuto pretese, disse in tuono scherzoso:
— E giusto.... Non c'è altro realmente.
— Anche Giacomo è tal quale, — ripigliò il commendatore seguitando la sua rivista. — Un paio di lenti, un ciuffetto sul fronte, e ce n'è d'avanzo.
— Dev'essere un bel passatempo per lei, — notò il professore rivolgendosi a Brulati. — Se potessimo far lo stesso quando assistiamo alle sedute dei Lincei!
— Oltre al professorone ha fatto anche il professorino? — domandò la signora Rachele, che con questo accrescitivo e questo diminutivo intendeva designare il cognato e il nipote.
— Già; la caricatura mia e di Giorgio non l'ha fatta? — soggiunse con la sua petulanza la Mariannina, mentre, in punta di piedi, dietro le spalle del padre, vedeva svolgersi le pagine dell'album.
— Sfido io! — ribattè Brulati. — Erano in ombra perfetta.
— Doveva dirci che ci mettessimo in luce.
— Nemmen per sogno.... Stavan troppo bene così.
Quest'era anche l'opinione di Giorgio, il quale tornò nel vano della finestra, ove la Mariannina lo raggiunse subito.
Nonostante i suoi fieri proponimenti, il giovine scienziato subiva il fascino della cugina bellissima che dopo sett'anni gli appariva tanto diversa da quella d'un tempo. Come s'era aperto fulgido ed orgoglioso il fiore ch'egli aveva visto nel boccio! Tutto in lei pareva un incanto: il viso, la persona, la voce, perfino il profumo ch'ella spargeva intorno a sè. Ed egli, l'austero giovine che, immerso nei suoi studi, poco o nulla aveva concesso ai piaceri della sua età, oggi pendeva inebbriato da quella bocca ammaliatrice, da quegli occhi accesi a volte d'una sùbita fiamma, a volte velati da una dolce malinconia. E la divina fanciulla gli dava del tu ed egli dava del tu a lei, ed ella lo aiutava a rievocare il passato e lo ascoltava benevola quando egli le parlava de' suoi disegni per l'avvenire.
— Le nostre passeggiate al Foro Romano, te ne rammenti?
— Altro! E quelle al Palatino?
— Ti rammenti? Ti rammenti?
— Sicuro.... E come mi confondevi con la tua erudizione! Il poco che so di storia romana lo devo a te.
— Oh, io ero un pedante.... Noi, uomini di studio, siamo pedanti tutti.... Avevi più ragione tu che, appunto al Palatino, mentre io ti discorrevo di Augusto, di Caligola, di Tiberio, stavi incantata a sentire il cinguettio allegro dei passeri nel folto degli alberi....
— Davvero? Che buona memoria hai!
— E ricordo anche che al Foro Romano i fiori di giaggiolo che crescevano ai piedi del tempio di Saturno t'interessavano molto di più delle mie dotte dissertazioni.
— Ero una bimba. Ma adesso la so lunga, dopo che al Foro Romano ho avuto per guida nientemeno che Giacomo Boni.
— Brava!
La dimestichezza così presto ristabilita fra i cugini non dava ombra ai coniugi Moncalvo, d'accordo ormai nell'aspirare a un gran matrimonio per la loro figliuola, ma sicuri che la Mariannina non si sarebbe scaldato il sangue per uno spiantato; un'inquietudine di diversa natura turbava invece la signora Clara, che per interrompere il colloquio de' due giovani rivolse una domanda al nipote:
— Dunque, Giorgio, quand'è che cominci le tue lezioni?
— Quando s'aprirà l'Università.... il mese venturo.... Intanto Salvieni mi disse d'andar a lavorare nel suo gabinetto.
— Sei assistente di Salvieni? — disse il commendatore.
— Sì.
— Che ha la cattedra di.... di....?
Giorgio pronunziò una parola difficile.
— Già, già.... Non si capisce, ma poco importa. E che paga hai?
— Milleduecento lire.
— Per i sigari.
— Se non fumo! — obbiettò Giorgio.
— Per i minuti piaceri, insomma.... molto minuti....
— E poi mi preparerò i titoli per partecipare a un concorso.
— A qualche cattedra di ginnasio?
— D'Università.... spero.
— E riuscendo entreresti come professore straordinario?
— Naturalmente.
— Con tre mila lire l'anno?
— S'intende.
— Per diventar poi con comodo professore ordinario con cinquemila lire di stipendio....
— Ci vuol tempo.
— Figùrati se non lo so.... Come ce n'è voluto a tuo padre, il quale oggi con due quinquenni guadagna la bellezza di seimila lire, meno la trattenuta. Dico bene?
Padre e figliuolo si misero a ridere.
— Sei meglio informato dell'agente delle tasse.
— Ho sempre tenuto d'occhio i miei stretti parenti, — rispose il commendatore. — E in ogni modo, fin che viveva la povera Lisa, era lei che ci ragguagliava di tutto.... Non è vero, Rachele?
Quest'allusione alla moglie e alla madre morta dispiacque al professore Giacomo e a Giorgio. Essi non ignoravano che la povera Lisa non s'era mai adattata serenamente alla sua condizione economica appena modesta, e se ne doleva nelle sue lettere alla cognata, dalla quale accettava, e fors'anche sollecitava regali di qualche valore. E se fosse dipeso da lei non avrebbe esitato un momento ad accogliere le offerte di Gabrio che, avvezzo a maneggiar dei milioni e liberale per indole, sarebbe venuto volentieri in aiuto del fratello. Ma guai a toccar questo tasto con Giacomo! A badare a lui, la sua famiglia non aveva bisogno di nulla.
— Voi siete filosofi, — riprese il commendatore, per mitigar l'effetto delle parole pronunziate prima, — ed è una bella qualità ch'io ammiro.... negli altri.... Multa petentibus desunt multa.... Non ho dimenticato interamente il mio latino.
Il professore completò ridendo la citazione:
— Bene est cui deus obtulit, parca, quod satis est, manu. — E soggiunse: — La Lisa era un angelo.... Aveva l'unico torto di non voltarsi a guardar quelli che stanno peggio di noi.... Dio buono! Tra la mia paga e il frutto della sua dote e di quel poco che avevo io, abbiamo sempre avuto il modo di sbarcare il lunario anche quando io non ero che un misero professorino di liceo.... Non siamo stati mai più di tre, e allora Giorgio era un bimbo....
— Pure a non intaccare il capitale in quei primi anni sei stato bravo.
— Voglio esser sincero. L'ho intaccato due anni di seguito per portar la Lisa e questo ragazzo in montagna.... Grazie al cielo, ho potuto colmare il vuoto, e alla mia morte Giorgio avrà venticinquemila lire da aggiungere ad altrettante ereditate da sua madre.... Sarà quasi ricco.
— Non siete esigenti, — dichiarò il commendatore, scuotendo il sigaro nel porta-cenere. — Ricco senza il quasi egli sarebbe stato accettando sett'anni fa la mia proposta.
La Mariannina intervenne con una frase che per lei non aveva importanza, ma che produsse una viva impressione sul cugino:
— Se diventerà celebre si consolerà di non esser milionario. La gloria vale la ricchezza.
— La gloria, la gloria! — borbottò il commendatore, — A ventanni tutti la sognano.... quanti poi la raggiungono? A ogni modo, anche la gloria ha le sue ingiustizie.... Perchè dev'essere riservata agli scienziati, ai poeti, agli uomini di Stato, ai guerrieri?... Credete che ci voglia meno ingegno a concepire e a condurre a buon fine le grandi operazioni finanziarie che a fare una scoperta, o a scriver dei versi, o a governare un paese, o a vincere una battaglia?... Uomini come Morgan, come Carnegie....
— Io preferisco Marconi, — saltò su la ragazza.
In quella il domestico sollevò la portiera e introdusse un signore di età matura, ma di bella presenza, nel quale Giorgio Moncalvo riconobbe il cavaliere elegante ch'egli aveva visto a Villa Borghese in compagnia della Mariannina.
— Come va, donna Rachele? — chiese il nuovo arrivato chinandosi a baciar la mano che la padrona di casa gli tendeva amichevolmente.
— Mio fratello Giacomo, mio nipote Giorgio, il conte Ugolini Ruschi, — disse il commendatore Gabrio a modo di presentazione. — Ma forse con Giacomo si sono già incontrati.
— Col signor professore?... Sicuro.... Qualche mese fa, — rispose il conte.
— È professore in erba anche mio nipote, — soggiunse Gabrio Moncalvo. — Malattia ereditaria.... Arriva fresco fresco da Berlino, ove ha completato i suoi studi di fisiologia.... Ora è assistente di Salvieni.
— Berlino! — esclamò il conte. — Che città!.... Ci fui dieci anni or sono per le nozze di mio cugino Wartenburg.... cugino in terzo grado per parte di donne.... Non ha avuto occasione di frequentare i Wartenburg?... No?... Gran famiglia.... famiglia che riceve....
— Oh, io vivevo così ritirato, — notò Giorgio.
— Dai miei parenti vanno molti professori, — riprese Ugolini. — E mio cugino è una specialità in araldica. Sa anche benissimo l'italiano....
Si rivolse alla signora Moncalvo e soggiunse:
— Se mi permette, donna Rachele, glielo farò conoscere la prima volta che verrà a Roma per una seduta dell'Ordine.
Ugolini alludeva all'Ordine di Malta di cui era cavaliere anche lui.
— Sarà un onore, — balbettò tutta confusa la signora Rachele. — Ah, quella loro villa sull'Aventino! E pensare che non ci vanno mai!... Se l'avessi io!
— Ci torneremo, donna Rachele. Ci torneremo quando sarà qui mio cugino.
Il conte Ugolini Ruschi vi aveva un giorno accompagnato le due Moncalvo, madre e figliuola, e la visita aveva lasciato, sopra tutto nell'animo della madre, un'impressione profonda. Una specie d'esaltazione mistica s'era impadronita di lei, mentre il cavaliere di Malta la guidava tra le fitte siepi di bosso che limitano i sentieri rettilinei del non ampio giardino, le mostrava nella chiesa le tombe degli antichi Gran Maestri, le sedeva accanto nella splendida terrazza a' cui piedi scorre il Tevere e da cui l'occhio abbraccia tanta parte di Roma.
— San Pietro domina tutto, — aveva detto con enfasi il conte additando la cupola di Michelangelo. — Tutto è piccolo al paragone.... E San Pietro resterà. San Pietro continuerà a dominare su tutto.
Così, in mancanza di Turchi da combattere, il cavaliere della fede non s'era lasciato sfuggir l'occasione di magnificare in cospetto delle due reprobe le glorie del cattolicismo. E da allora in poi, anche per ragioni d'indole diversa, le effusioni religiose del conte Ugolini avevano trovato, specie da parte della signora Rachele, benevolo ascolto.
— Beato lei che crede! — ella sospirava sovente.
E ne' suoi colloqui con la Mariannina levava a cielo il perfetto gentiluomo che univa tanta grazia mondana a tanto fervore di pietà.
La Mariannina conveniva ch'era stata una fortuna l'aver conosciuto Ugolini, per mezzo del quale ell'aveva potuto assistere alla canonizzazione di due Santi ed esser ammessa a un ricevimento del Pontefice che non aveva sdegnato di abbozzar sul suo capo d'eretica un vago segno di benedizione. Tuttavia gli sdilinquimenti materni le parevano eccessivi e richiamavano sul suo labbro un sorrisetto ironico o una smorfia dispettosa.
Quella sera la prospettiva di tornar alla Villa sull'Aventino a fianco di due cavalieri dell'Ordine entusiasmava addirittura la signora Rachele.
— Ah Ugolini, com'è amabile, com'è gentile!... Hai sentito, Mariannina?
— Ho sentito, ho sentito, — replicò la ragazza con mal celata impazienza. — Ma, a proposito, conte, ha rivisto miss May dopo la nostra cavalcata di ier l'altro?
— Non l'ho rivista, ma mi ha scritto, mandandomi uno chèque di cento sterline per le nostre pericolanti.
— Appunto, sapevo che aveva quest'intenzione.
— Ha mandato fino da ieri, e come può credere ho risposto subito. È d'una generosità quella signorina!
— Suo padre ha un miliardo, — borbottò il pittore Brulati.
— E lo fa fruttar bene, — soggiunse Gabrio Moncalvo.
— È permesso? — chiese dalla soglia una vocina insinuante.
E un pretino che aveva più di cinquant'anni ma ne mostrava assai meno si avanzò nel salotto.
— Oh, monsignor de Luchi, — dissero in coro il commendatore e le donne. — Che buon vento?
— Ecco, signora Rachele. Passavo di qui e vedendo le finestre illuminate ho pensato fra me e me: I signori Moncalvo sono in casa. Andiamo a salutarli.
— Bravo!
Non erano ancora finite le presentazioni e i saluti, che già entravano altre persone, tutte in frac e cravatta bianca; un segretario del Ministero degl'interni, un deputato della maggioranza, un consigliere d'una grande Società d'assicurazioni, un alto personaggio degli esteri. Quest'ultimo cercò istintivamente con gli occhi la poltrona ov'egli soleva fare il suo pisolo, e vedendola occupata rimase un momento perplesso. Ma la vigile signora Clara ne spinse verso di lui una di simile.
— Qui, qui, commendatore.
— Oh, signora Clara.... Mi crede proprio un sibarita, — disse il diplomatico affrettandosi però a sdraiarsi nel comodo seggiolone. — Ed ella crede anche ch'io dorma, — egli soggiunse. — Scommetto che lo crede.
— Nemmeno per idea, — ribattè la signora. — Ella finge di dormire per non lasciarsi scappare i segreti della Consulta.
— Proprio così, cara signora, proprio così.... Lei almeno capisce a volo.... Non lasciarsi sfuggire i segreti propri e cercar di sorprendere i segreti altrui, ecco l'alfa e l'omèga della nostra professione....
Mentre il consigliere della Società assicuratrice discorreva d'affari con Gabrio Moncalvo, il deputato della maggioranza e il segretario del Ministero degl'interni si sforzavano di accaparrar l'attenzione della Mariannina che li teneva a bada tutti e due senza trascurare il cugino Giorgio. La signora Rachele intanto, seduta fra il conte Ugolini Buschi e monsignor Paolo de Luchi, accoglieva con visibile compiacenza certe comunicazioni fattele da quest'ultimo.
A un tratto ella non potè trattenersi dal chiamare sua figlia.
— Mariannina! Mariannina!
— Son qui.... Che cosa desideri?
La signora Rachele fece segno alla ragazza di avvicinarsi.
— Lo sai? — ella le disse piano. — Io firmerò il manifesto per la Fiera di beneficenza subito dopo la principessa Oroboni.
— Che onore!... Del resto, sei quella che ha dato di più.
— Ma son l'unica che non abbia un nome patrizio.... E sono anche l'unica.... mi intendi?...
— Sì, la gran macchia d'origine....
— Diceva poi il nostro don Paolo che nella settimana ventura potremo andare insieme con lui a vedere il palazzo e il giardino.
— Oh, oh! Si degnano!
— I padroni non ci saranno.... Saranno a Loreto.
— Allora! — fece la Mariannina con un gesto sprezzante.
— Non entra nessuno nemmeno quando non ci sono in casa i padroni, — spiegò monsignore. — Ho ottenuto io il permesso.... per loro....
— Ma sì, — riprese la signora Rachele. — È una preferenza della quale dobbiamo esser grati.
Giacomo e Giorgio Moncalvo si alzarono.
— Di già? — chiese il commendatore.
— Siamo gente selvatica, — rispose il fratello, sorridendo.
— Vi aspettiamo presto.... A prima sera siamo sempre soli.
— Io voglio una visita tutta per me, — dichiarò la zia Clara al nipote. — Da mezzogiorno alle quattro sei sicuro di trovarmi in casa.
— E se telefoni in tempo, trovi anche me, — soggiunse la Mariannina accompagnando i parenti fino all'uscio. — Voglio mostrati i miei acquarelli.
— Dipingi?
— Sicuro. Studio con Brulati.... Andiamo qualche volta insieme in automobile nella campagna romana.... T'inviterò una mattina.
— Grazie.
Il professore Giacomo abbreviò i saluti.
— Buona sera. — Spìcciati, Giorgio.