Читать книгу Da Firenze a Digione: Impressioni di un reduce Garibaldino - Ettore Socci - Страница 4

CAPITOLO I.

Оглавление

Indice

—Bada bene che domani ti aspettiamo a Livorno.

—Non ne dubitate… Brucio anche io dal desiderio di lasciar queste lastre.

—Allora siamo intesi?

—Intesisissimi.

—A domani dunque!…

E tutti, e tre ci stringemmo vicendevolmente la mano, e si stava per congedarci, quando tutto a un tratto un prolungato mormorio ci giunge all'orecchio: è un accorrere di gente, uno spalancarsi improvviso di finestre e di usciali di botteghe vicine, un domandare e un rispondere, un incomposto gridìo di ragazzi, un esclamare di donne, continuo e in tuono di spavento.

—Che ci sia la rivoluzione?—Domandò un mio compagno che da circa quindici giorni non sognava che sangue e trambusti.

Senza rispondere alla strana supposizione, mossi dalla curiosità escimmo tutti dalla bottega di caffè, nella quale eravamo seduti. Qual magnifico spettacolo non ci si offerse alla vista!

Era terminato di piovere ed il cielo era tutto rosso, infuocato, quasichè fosse avolto in un lenzuolo d'amianto; i popolani, tutti a bocca spalancata tenevano la testa all'insù, e distornavano gli sguardi dall'alto, solamente por occhieggiarsi tra loro, lambiccando il cervello e arrapinandosi, per spiegare il fenomeno, che per la prima volta vedevano, e di cui non erano mai giunti a farsi un'idea. I lettori si rammenteranno dell'Aurora boreale che apparve ai venticinque dell'ottobre decorso; la sera appunto del venticinque d'ottobre era l'ultima che, a nostro giudizio, dovevamo passare in Firenze.

—Anche il cielo si tinge di rosso—Gridò il solito compagno, provocando un'occhiataccia dal padron di bottega, il quale dacché aveva raggruzzolato la miseria di un mezzo milione si era buttato, anima e corpo, nella categoria dei ben pensanti—Allegri ragazzi—Continuò collo stesso tuono di voce lo scapato—Gli augurii, non potrebbero essere migliori… Evviva il rosso!

—Evviva!—Rispondemmo noi tutti, contenti come pasque per la nuova distrazione che ci dava quel caso inopinato e maraviglioso che faceva inorridire dallo spavento il superstizioso fellak e la donnicciola dei nostri camaldoli; due selvaggi in questo secolo in cui non si fa che ragionare di civiltà.

Dopo pochi minuti, lasciai i miei compagni, e prima di ridurmi a casa, ebbi vaghezza di vedere, forse per l'ultima volta, il lungarno. Era deserto! Non sto a ripetere tutti i pensieri che, ispirati dalla solitudine, si accavallavano e si cozzavano nel mio cervello in ebollizione: finalmente si poteva partire, e partire per la Repubblica… finalmente era venuto il momento di far vedere ai nostri nemici che non si era buoni soltanto a declamare per i caffè e per le bettole, finalmente si realizzava quel sogno che da tanto tempo vagheggiavamo nel più segreto dei nostri pensieri. E dire che i pezzi grossi della democrazia, tutti, come un sol uomo ci avevano sconsigliato. Ma che vogliono dunque—ripeteva tra me—questi vecchi che coi loro scritti, colle loro opere sono stati i primi a farci amar la repubblica?—Lasciar solo là, tra un popolo straniero, Garibaldi e farci sfuggire una sì bella occasione…. Ma che vogliono dunque costoro?…. Alla fine soccorrendo la Francia, noi non adempiamo che al nostro dovere; si soccorre la nostra sorella maggiore, la patria delle grandi iniziative, quella che ci ha istruito colle sue opere, che ci ha dato sollazzo coi suoi romanzi, che ha fatto le spese dei nostri teatri, che dal campo sereno e grandioso della scienza a quello frivolo della moda ci ha dato ogni cosa; se ci è di mezzo quel maledetto affare di Montana, che colpa ce ne ha la Francia, che colpa ce ne hanno i discendenti di Voltaire e di Danton, i figli di quella Nazione che ha proclamato per prima in faccia all'attonito mondo i diritti dell'uomo?…. Oh! la sarebbe bella, se i nostri soldati fossero mandati in China o in qualunque parte del mondo, a puntellare un monarca imbecille e codardo, oh! la sarebbe bella, che se ne avesse a fare un carico a noi!… Eppoi andare contro un re per la grazia di Dio, noi che non crediamo in Dio e non abbiamo i re nelle nostre simpatie; aiutare un governo che ha i palloni volanti per posta e per soldato chiunque è buono di portare un fucile; utilizzare a prò di causa santissima una vita noiosa e disutile, traversare il Mediterraneo, veder città e paesi che tante volte abbiamo sentito nominare nei libri, e che tante volte abbiamo desiderato vedere, riabbracciare i vecchi compagni con cui in altro tempo si è diviso i pericoli e l'emozioni delle battaglie; inebriarsi di nuovo tra la polvere, il fumo e l'assordante rumore dei combatimenti; e udire le grida dei prodi, che si lanciano, come un sol'uomo, alla carica e unirsi a loro e vederli… vederli da vicino i terribili soldati che fan tremare l'Europa, misurarsi con essi, picchiarsi, vincere, morire forse anche pel nostro ideale…. Oh! le care fantasie che mi carezzavano l'immaginazione, sotto quel Cielo di fiamme, sul quale proprio davanti ai miei occhi staccava superbamente modesto, il tempio monumentale di san Miniato—Anche là sono morti dei repubblicani—Io dissi con compiacenza a me stesso—anche là fu combattuta l'aspra tenzone che da tanto tempo agita l'umanità… Essi son morti, ma vivono eterni nella memoria del popolo. Oh! toccasse a noi la lor sorte!

Insomma d'idea in idea, di fantasticaggine in fantasticaggine, chi sa dove sarei andato a cascare, se, più macchinalmente che altro, non mi fossi ritrovato sulla piazzetta, dove era la mia abitazione—Eccolo—Gridò una voce ben nota, appena spuntai dall'angolo della via.

—Eccolo!—Ripresero altre voci;

I miei due amici, a cui se ne erano aggiunti altri due, avevan fatto un capannello davanti al mio uscio e mi avvidi alla prima che mi aspettavano.

—Abbiamo creduto bene di venir tutti da te; così domani saremo sicuri di svegliarci e non recheremo disturbo ai nostri padroni di casa…

—Lo recherete al mio—Interruppi….

—Non importa; già ora siamo liberi; abbasso i padroni…

—Specialmente quelli di casa, che se si tarda a pagarli, diventano peggio di jene.

—Su.. su; gridarono tutti.

—Su!—Gridai anche io, facendo di necessità virtù; che oramai o girellare tutta la notte, o portare in casa mia quell'indiavolati.

S'immagini il lettore, che cosa divenisse in pochi minuti quella camera; tutti fumavano come cammini, ed io in un cantuccio davo fuoco a certi appunti, coi quali sera per sera confidavo alla carta le impressioni provate durante il corso della giornata. Il mio letto era piccolo per uno solo e in lunghezza non avea niente da invidiare al celebre di Procuste; cotesta sera ci entrarono in quattro, e non potendo dormire, come è più che naturale, cominciarono a tirarsi spinte e pedate tra loro, facendo un baccano da mettere in sussulto il vicinato: ora uno stivale colpiva negli stinchi qualcuno, provocando certi moccoli da fare arrossire un vetturino; ora si sentiva un'urlaccio, che traeva l'origine da un gentil pizzicotto; ora un guanciale cadeva, a mo' di bomba, sul tavolino, rovesciando il calamaio sul tappeto, che, se non era Turco, non era meno diletto al padrone di casa che ci passava davanti intiere mezz'ore in ammirazione; ed ad accrescere il diavoleto, risate omeriche, grida incomposte, esclamazioni più o meno frizzanti, ma non certamente autorizzate dal Galateo di Monsignor della Casa.

Il più rivoluzionario dei miei amici si avvolse dignitosamente nel lenzuolo, quasichè fosse un peplo; le forme del futuro difensore della Repubblica Francese non erano greche di certo; i suoi stinchi potevano benissimo scambiarsi per fusi, e tutto l'insieme ti dava un'idea esattissima di un Cristo del Cimabue.

—Cantiamo la Marsigliese—Gridò

E tutti, con certe voci da birboni, che non le può immaginare all'infuori di chi l'abbia sentite, cominciarono il celebre inno di Rouget de l'Isle: Allons, enfants de la patrie, con quel che segue.

—Signori per carità—Urlava con voce più delle nostre stuonata, la padrona di casa dall'uscio vicino.

—Questa è una vera porcheria—Di rimando aggiungeva l'inquilino della stanza di contro—Quando si ha la sbornia, la si va a digerire in campagna.

—A chi la dice briaco?—Protestava, offeso nella sua dignità, il

Romano dal letto.

—Misuri i termini. Vociavano gli altri.

—Per chi la ci ha preso?

—Bellino lui!… Fa il feroce, perché è dietro la porta.

—Giù la porta.

—Alle barricate!…

—Alle barricate!…

Descrivervi la pioggia di proiettili d'ogni genere che fu scaraventata su quell'uscio, sarebbe cosa impossibile; era un turbine di stivaletti, di libri, di guanciali, di spazzole; il malcapitato se ne andò battendo a più riprese la porta e protestando che andava a far rapporto alla delegazione vicina.

—E ora, saranno soddisfatti!—Esclamò la padrona, sempre dietro le scene.

Per nostra buona fortuna il chiarore bianchiccio dell'alba, si fece vedere tra gli spiragli delle nostre finestre, ed i miei compagni partirono allegri e contenti, dopo averci scambiato la promessa di vedersi tra otto ore in via Grande a Livorno, chè le mie occupazioni esigevano che io mi dovessi trattenere tutta la mattina a Firenze.

Andai per dormire, ma avevo fatto i conti senza l'oste, e questa volta la parte dell'oste doveva esser sostenuta dalla mia vecchia padrona di casa, la quale mi caricò di rimprocci, mi torturò coi suoi omei, mi seccò colle sue geremiate—Noi si cercava di rovinarla, il nostro non era agire da persone educate.—Io presi pretesto da tutte queste lamentazioni, per restituire la chiave, uscii, senza ascoltare scusa veruna, disbrigate in fretta e furia le mie faccenduole mi avviai, diritto come un fuso, alla stazione, ed aspettando il magico fischio che doveva annunziarmi la partenza dalla moribonda capitale del felicissimo regno degli analfabeti, mi rincantucciai in un vagone.

—Era tempo!—Esclamerà il lettore e non avrà tutti i torti.

Ci moviamo: qual felicità! Eppure credevo di dover provare un po' più d'allegrezza: il Cielo era d'un colore plumbeo e, per quanto tu aguzzassi lo sguardo, non giungevi a vedere un solo strappo che ti facesse sperare il sereno: eppoi, non lo so, partendo non si può fare a meno di risentire una certa malinconia…. son troppe le reminiscenze che vengono a assalirti, tutte di un colpo; il minimo nonnulla prende le proporzioni delle cose più grandi; ci si rammenta i più inconcludenti discorsi, si ripensa alle passeggiate gradite, ai geniali convegni, alle conversazioni che eravamo soliti di frequentare; gli stessi dispiaceri che abbiamo provato ci sembrano meno crudeli; e nelle nostre fantasie si affollano invece le gentili esibizioni degli amici, gli affettuosi conforti delle nostre belle, i favori che ti fu dato ricevere, frequentando la società; le vie per le quali eri solito passeggiare le ti sfilano davanti, coi suoi negozi, colle sue gentili passeggiatrici che ti sono divenute familiari, quantunque tu non le abbia mai avvicinate: e davanti ai tuoi occhi che distrattamente si affissano sugli alberi, i quali sembra che friggano indietro impauriti a veder passare la macchina, sfilano ad uno ad uno, quasiché fossero figure di lanterna magica, i volti di tutti coloro che ti conoscono, che tu conosci, o che hai veduto anche soltanto una volta: le occupazioni che poco fa riguardavi come un martirio, ora ti sembrano, care… E quando tornerò?… E se non tornassi più?…. Quante cose saranno cambiate, nel primo caso…. chi mi compiangerà nel secondo?!.. Oh! In questi momenti si comprende l'eroismo di chi per una idea può lasciare una madre!

—Livorno—Grida la guardia.

—Già…. a Livorno—Pensai tra me e me—Ed io che credeva di essermi mosso da pochi minuti! Chi avevo avuto per compagni di viaggio? io non me lo ricordo; probabilmente mi devono aver preso per matto.

Scendo e vado di corsa in via Grande, ove avevo l'appuntamento a Livorno; il Consolato Francese doveva darci modo di pervenire sicuramente a Marsiglia; chè la questura Livornese, diretta dal celebre Bolis stava con tanto d'occhi sgranati, affinchè nessuno salisse sui vapori francesi, importunando e viaggiatori, e marinari, e facchini di porto, fino a tanto che questi non avessero dati schiarimenti più che lampanti sull'esser loro, o sulle faccende che li facevano stare sul mare; anche muniti di biglietto, si correva rischio di esser mandati e con cattivo garbo, di dove si era venuti, e i passaporti non si volevano più concedere ad alcuno.

Sicuro che gli amici avessero fatto le pratiche, che ci era stato consigliato di fare, io sentii sollevarmi un gran peso dal cuore, appenachè potei muovere un passo nella città; rincontrai quasi subito gli altri, ma, ahimè qual delusione!…. Le loro ridenti fisonomie erano diventate oscure; nessuno di loro osava indirizzare una parola al compagno, e tutti mi accolsero con quella musoneria con cui i popoli accolgono un re, dopo un manifesto del sindaco, che invita a rimettere anche un tanto di tasca per le spese del ricevimento.

—Che ci è di nuovo?—Domandai con ansia, a quelli che mi avevano fatto un cerchio all'intorno.

—Che ci è di nuovo?—Proferì con rabbia, il più secco e più bisbetico—Perdio!…. Vieni al Consolato e vedrai…. E avrebbe a andar benino, davvero!

—Andrà come doveva andare—Soggiunse un'altro—Quando alla testa ci si vuol metter certa gente…. Quando si vuol proceder sempre con certa maniera…. Già lo dicevo io… tutte le volte che ci siam fidati dei Francesi si è fatto proprio un bel bollo.

—Ma insomma cosa ci è?… si parte?….

—Sì…. per Firenze, o per dir meglio per le Murate!

—Ma…. come?

—Vieni…. vieni con noi e ti si ripete, vedrai.

Non intendendo alcuna cosa, ma volendomi per lo meno sincerare su una sventura, che non conoscevo e che ci minacciava, seguii colla coda tra le gambe, i bravi ragazzi.

Arrivammo in due salti alla sede del Consolato; in faccia alla porta una folla innumerevole di popolani chiassava, si agitava, gestiva; qualcuno, senza far tanti discorsi, si era già messa la camicia rossa sotto la giacchetta; un andare o venire, un rimescolarsi continuo, un'accalcarsi intorno a qualche povera vittima che esciva dal portone, un vociar di ragazzi che a capanelli osservavano la scena, e gridavano incessantamente: Viva Garibaldi…. Per una spedizione fatta in tutta segretezza il principio non poteva esser migliore!

—Ma che vi è dunque?—Domandai a un mio compagno.

—Il console non si fa vedere, il cancelliere, nuovo Pilato, dice che se ne lava le mani, e tutta questa gente è rimasta come la celebre statua di Tenete.

—E che abbiamo da fare?

—Va tu, che sai alla meglio bestemmiare un po' di francese, scongiura quella gente a prendere una decisione; lo vedi meglio di me, qui, se non si schizza tutti in domo Petri è un vero miracolo.

Con quale animo andassi, se lo può di leggieri immaginare il lettore; chi ben comincia è alla metà dell'opera, dicevano i nostri nonni che non era baggei, e cominciare peggio di noi, credo, sarebbe stata cosa impossibile.

Mi feci annunziare al cancelliere, e poco dopo venivo introdotto.

Il cancelliere era un bel giovinetto; aveva una fisonomia distinta ed aristocratica e mi accolse con tutta l'educazione possibile; pure sin da bel principio mi avvidi, che la mia presenza gli riusciva incresciosa più di quella di un creditore, e rimasi convinto che la camicia rossa non era di certo una delle simpatie più sentite di quell'impiegato. Difatti il nuovo governo della Repubblica Francese aveva lasciato al suo posto tutti i vecchi funzionari, i quali in quel bailamme non sapendo a qual Santo votarsi cercavano di restare in bilico, come meglio sapevano, fermi però nella idea di non compromettersi; mettetete anche un po' d'affezzione alla dinastia che aveva loro dato quel posto…. eppoi ditemi se questa trascuraggine del governo repubblicano non ha dicerto influito a che fosse sì scarso il numero degli Italiani, che mossi da un'idea generosa, hanno pugnato e gloriosamente pugnato sui campi di Francia.

—Capisco digià, perché viene.—Mi disse pel primo e facendomi segno di sedere, il cancelliere—Con mio gran rincrescimento: però, sono obbligato di dirle che non possiamo far niente per loro.

—Ma se a Firenze ci hanno inviato qui!….

—A Firenze hanno perduto certamente il cervello…. Le pare, che noi vogliamo suscitare una questione di diritto internazionale….

—Ma anche noi, le ripeto siamo stati spediti direttamente e a colpo, sicuro: di più sappiamo che l'altra sera partirono altri volontarii, mandati da loro, e si ha diritto d'andare anche noi.

—Per me si figuri le manderei subito—Aggiunse l'altro con un sorriso ed io credendo immediatamente a quest'ultimo desiderio di lui che parlava, ma non volendo darmi per vinto, esclamai: Ma è così, che l'Ambasciata Francese di Firenze mantiene le proprie promesse?

—Noi non abbiamo ricevuto ordini dall'Ambasciata…

—Ma pure l'altra sera partirono…

—Non glielo nego, ma sapesse le rimostranze della questura…

—Ebbene: su noi può fidare, noi non la comprometteremo… ci dia l'imbarco… lei vede lo scopo pel quale partiamo…

—Si provvedano dei loro passaporti…

—Se non gli vogliono dare.

—Prenda un mio consiglio… lei mi pare un giovane a modo, torni a casa… Metz, se non ha capitolato, poco può stare a farlo… accetti un mio consiglio, glielo ripeto, torni a Firenze.

—A Firenze poi no!..

—È la meglio!

—Mi meraviglio che un Francese..

—Allora faccia lei—secco, secco ed alzandosi, per farmi veder che l'uggivo, mi proferì il cancelliere.

Disanimato, e non volendo attaccare una briga che poteva mandare a voto tutti i nostri disegni, salutai appena il mio consigliere, e gabellandolo per imperialista e anche, peggio, scesi di corsa la scala, e preso a braccetto un mio amico, partii con gli altri dalla piazzetta del Consolato.

Andare bisognava andare; a dispetto del mondo e delle circostanze; una nuova poesia si aggiungeva a quella immensa che ci aveva sostenuto fino a quel punto; sfuggire i questurini, farla in barba alle autorità costituite, sfidare un nuovo pericolo, raggiungere il nostro scopo, giusto appunto, quando i pusilli, scoraggiati sarebbero tornati indietro,… era troppo bella, troppo attraente la prospettiva, per poter stare un sol'attimo dubbiosi su ciò che dovevamo intraprendere.

Io esposi queste idee agli amici, e, godo dire, che queste idee furono accolte con entusiasmo: ma a che parte rivolgersi per ottenere l'intento? Quali passi potevamo tentare con sicurezza? Quale speranze ci sorridevano? Quali probabilità di successo? Noi non lo sapevamo, il romanticismo di una avventura, che offriva in se stessa tanti pericoli, ci sorrideva certamente e noi eravamo contenti: contenti come il povero diavolo, abbandonato da tutti che incerto dell'indomani, si addormenta tranquillamente sull'erba di un viottolo, sotto un cielo sereno e popolato di stelle, sognando pace, agiatezza, fortuna… Oh! l'idea dì un dovere che si compie, malgrado gli ostacoli che frappongono gli uomini e la sorte, fa piovere in seno una consolazione che intender non la può chi non l'abbia provata.

Andammo all'Agenzia dei vapori della compagnia Valery, e per quanto scongiurassimo l'agente, ci fu impossibile ottener da lui, anche pagandolo il doppio, un biglietto di imbarco. Gli ordini della questura erano precisi.

—Noi glielo daremmo anche gratis, ci ripetevano quegli impiegati, ma…

Quel ma era tanto eloquente, che noi non aggiungemmo parola.

Con un po' di sconforto nell'anima, dopo aver girellato a casaccio un'altra mezz'ora afiaccolati e cascanti ci butammo sulle panche di un caffè di Via Grande; un tavoleggiante, giovinetto che avrà avuto appena appena quindici anni, dopo averci ben bene sbirciato, venne da me e chiamommi dapparte.

—Lei vuole imbarcarsi per la Francia? Mi sussurrò a bassissima voce.

—Sì—risposi io francamente, chè non potevo credere in sì giovine età nequizia veruna.

—Ebbene… le dò il mezzo d'imbarco.

—Non scherzi?

—Sulla mia parola d'onore.. Aspetti un momentino e le porto l'uomo per la quale!…..

—Bravo, e se farai bene ti prometto una buona mancia.

Il giovinetto se ne andò saltellante e fece poco dopo ritornò, accompagnato da un barcaiolo, un pezzo di diavolone, tarchiato e traverso; che era un piacere a vederlo; intanto io aveva messo i compagni a parte della peregrina scoperta e, quando questi ultimi videro avvicinarsi quel colosso in giacchetta, gli si fecero incontro con una grazia e con certe fisonomie così gentilmente ridenti, che si poteva credere che non un omaccio, ma la più vaga figlia di Eva fosse entrata in quel mentre nel nostro caffè.

—Dunque loro vogliono, andare? Dandomi una seconda, stretta di mano, cominciò a dirmi il barcaiolo.

—Sicuro!—Rispondemmo noi tutti—Ma vediamo tante difficoltà.

—Si fidino di me, che non fo per dire, ma lo può domandare a tutta la piazza sono uno di quei buoni.. si figurino, ho fatte tutte le campagne e anche Aspromonte e Mentana e se non fosse perchè; perchè… e questo non è nulla: quello che ho fatto per salvare i compromessi politici!… Le son cose che forse non le crederebbero… Hanno fatto bene a rivolgersi a me, perchè ci è di gran canaglia tra i barchettaioli e.. e….

—E insomma t'impegni di farci entrare in un bastimento, deludendo la vigilanza delle guardie?…

—Se me ne impegno…. Faccian conto di esserci sopra…

—Tu potrai contare sulla nostra riconoscenza.

—Oh! io per il partito darei un bicchier del mio sangue.

—Dopo ti daremo qualche cosa….

—Oh! mi contento di un trentino per uno:

—Così poco!—Esclamammo noi, credendo che ragionasse di centesimi:

—Sicuro,… vedono che mi adatto: per lor signori cosa son trenta franchi?

Ammirammo tutti insieme lo spìrito patriottico che ci faceva pagare 150 lire, quello che nella stagione dei bagni si ottiene a dir molto con ottanta centesimi; pure, strìngemmo la mano al generoso, dicendogli che ci saremmo riveduti più tardi; poichè eravamo decisi, con nostro gran sacrifizio, ad appigliarci a quest'ultimo partito, se gli altri ci fossero falliti.

—Ci movemmo dal caffè, e vedemmo un insolito brulichìo in quella contrada, sempre brulicante di popolo: che è, che non è?… Hanno arrestato un maggiore Garibaldino: la questura si era avveduta, e non ci voleva una gran fatica, che molti giovanotti volevano partire per la Francia e cominciava a allungar le sue grinfe. Lo sconforto cominciava a impossessarsi anche di noi.

—Ettore—Sento gridarmi vicino. Mi voltai e vidi il Colonnello

Perelli.

—Dunque si parte? Gli domandai immediatamente.

—Parli a bassa voce… chè io son tenuto d'occhio, guardi, ecco subito due musi proibiti che ci osservano…

—Ma dunque?

—Dunque venga stasera, alla Locanda della Luna.

—Ma ci è speranza?

—Credo che ci sia sicurezza… A rivederci

—A rivederci a stasera..

—Allegri amici, dissi subito appena ebbi lasciato il mio interlocutore—Allegri amici, le speranze non che diminuire, prendono tutte le probalità di un vicino successo.. Andiamo a mangiare all'Ardenza.

Senza rispondere alle mille domande colle quali mi oppressero gli altri, che tutti di certo conoscevano il colonnello, accesi un sigaro, e strascinai i reluttanti all'Ardenza.

Da Firenze a Digione: Impressioni di un reduce Garibaldino

Подняться наверх