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IV

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Esse ascendono in folla al richiamo, turbinano davanti a noi come le anime dolenti nel tenebroso vento che Dante ideò, e Voi tutte le riconoscete al viso, alle vesti, alle attitudini, perchè i loro nomi di gloria vi sono familiari. Io non so come si ardisca insegnare alle turbe in prosa e in rima che la visione artistica del dolore ha origini cristiane, che procede dalla glorificazione di un infame strumento di tortura e di morte, che l'arte antica fu solo una fioritura di bellezza serena e di gioia. Voi tutti sapete che non è vero. Altro che armoniose membra di Veneri caste e di efebi divini, altro che placide maestà di volti olimpici ha dato l'arte antica. Vedete Laocoonte che passa contorcendosi fra le spire dei draghi, levando al cielo clamores horrendos; vedete il bel guerriero ferito del Campidoglio che reclina tristemente il capo nelle ombre della morte, e se l'una opera e l'altra Vi paiono pensate e condotte dagli artefici a prova della loro scienza e della valente mano, se il dolore fisico Vi sembra predominar troppo in esse sul dolore morale, vedete Niobe che impietrata piange ancora secondo il tragico mito, piange spaventosamente per gli occhi di sasso, Niobe, il sempiterno dolore inflitto alla creatura umana dall'Invisibile, che innamorò di sè l'arte greca e la sua imitatrice latina. Ecco le creazioni dei grandi tragici. Prometeo, che soffre in fiero silenzio mentre i carnefici ne configgon le catene alla rupe e, appena è solo, caccia un urlo, chiama, come il profeta, le genti «HIdesthe me». «Attendite et videte». Ecco la frigia Cassandra, schiava nella reggia degli Atridi, ululante nel suo barbaro linguaggio quale una belva prigioniera. Ecco il dolore disceso fin nelle tombe a invader le ossa dei morti, il fantasma del vecchio re Dareios che piange con Atossa, la compagna sua tuttora vivente, sulle sventure del figlio Serse, e la dolce Elettra singhiozzante sopra una ciocca di capelli sconosciuti, Antigone e Ismene che a vicenda si eccitano al pianto. Ecco Edipo e l'ombra sinistra del Destino. E che è mai finalmente la tragedia greca se non la forma di bellezza onde si vestì un grandioso concetto del dolore e del suo ufficio nel mondo? Il dolore vi è rappresentato come un frutto inevitabile del disordine, come un castigo che persegue il sangue colpevole di generazione in generazione e punisce nell'infante in cuna il delitto degli avi. Lo spettacolo del soffrire fatale, immeritato dagli afflitti avvinse a sè la mente dei tragici di Atene e, per opera loro, il cuore del popolo. Certo quei grandi poeti non videro in esso che crudeli vendette divine e il volere del destino implacabile, non ebbero coscienza di un'azione provvidenziale e salutare del dolore; ma vi divinarono tuttavia la forma di un ordine onde non valevano a penetrare l'essenza. La stessa Iliade prende bellezza e grandezza sovrana dal suo elemento tragico, dal Fato che v'incombe agli uomini e agli Dei e il poeta di Achille non lo ha forse mai tanto amato come quando a lui, salito alle vendette sul suo carro di battaglia, fa profetare dal cavallo Xanto una sinistra profezia di sventura.

Il dolore nell'arte: discorso

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