Читать книгу La battaglia di Benevento: Storia del secolo XIII - Francesco Domenico Guerrazzi - Страница 10
FURORE.
ОглавлениеGli occhi infiammati, e pregni
Di lagrimevol riso;
Roca sonar la voce, e le parole
Con subiti sospiri;
Stare inquïeto, andare
Frettoloso, e voltarsi
Spesso, quasi altri il chiami.
Son certissimo segno
Di un antico furore.
CANACE, tragedia antica
È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d'Italia abbia negato esser questo il più puro sereno che mai rallegrasse il sorriso di Dio?—È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d'Italia allorchè il figlio primogenito della Natura lo veste della pompa dei suoi raggi non abbia sentito suscitarsi la mente pei grandi che non sono più, di cui il nome è rimasto nell'anima come armonia di arpa che cessò di esser tocca?—Quali braccia non si prostesero a quell'astro di vita, mentre abbandonando alla notte il dominio del cielo, dai confini dell'oceano lo saluta con gli ultimi raggi, e non implorarono che rimanesse nella sua celeste dimora?—Ma s'egli partì con la sera tornò col mattino, e vide i secoli dileguarsi nella eternità, le generazioni incalzarsi nella tomba, e la vicenda infinita delle virtù e dei delitti. Breve fu la sua luce sopra l'onore d'Italia; lunga sul dolore, e su l'onta. Ahimè! io non avrei creduto giammai che i popoli potessero morire della morte degl'individui.—E su quale occhio non ispunta la lacrima, allorchè la mesta luco della luna e delle stelle sogguarda dall'alto i campi silenziosi della terra? Voce di celeste armonia suona dal rotearsi delle stelle pel cielo, voce di sempiterno canto: e quantunque per troppa distanza non percuota l'orecchio del figlio della terra, pure gl'ispira un senso secreto, una invincibile pietà, che destandogli nell'anima le rimembranze tristamente soavi lo sforza al pianto.¹ Bello sei, o cielo d'Italia, sia che la notte od il giorno ti allegri, e veramente opera divina. Quando la Italia sedeva regina del mondo, tu l'eri convenevole padiglione; ma ora….. i valorosi sono morti, i monumenti dispersi, la fama stessa dileguata….. e perchè, o cielo, a tua posta non muti?—Il manto funerale della bellezza non è oscuro; la gente lo sceglie di lieto colore, l'orna co' fiori della gioia, e tenta ingannarsi sopra una vita che non è più: onde i sospiri, e gli addii, che le si fanno al suo discendere nella fossa, non sono come a persona morta, ma come a tale che deve lungo tempo starsi lontana da noi. L'eterna sapienza che governa il creato concesse questo bel cielo alla Italia, onde le fosse splendido testimonio nei suoi giorni di gloria, e conforto in quelli più lunghi della sventura. Egli solo è rimasto, perchè l'ira degli uomini non ce lo ha potuto rapire….
¹ Questa è opinione di Pitagora
E la terra!—Ogni zolla contiene la cenere del cuore di un eroe. I nostri passi sono su la polvere dei grandi… i passi di noi più meritevoli di andare sepolti sotto la polvere! Solo lo straniero conosce le nostre storie, e pieno di reverenza teme ad ogni orma che muove si sollevi dalla terra una voce che gridi: codardo, perchè calpesti un valoroso? Va pur franco, straniero, chè ogni avanzo di vita sia bene spento sul limitare della morte, nè questi tramonti conoscano crepuscolo; nè dai sepolcri esca grido di trapassato, dove non ve lo ponga il valore, o la pietà dei viventi. Agli avviliti le tombe offrono la stanza del cadavere sformato, piuttosto che l'altare dei magnanimi sensi; la mente trascorre al lezzo, piuttostochè alla gloria: e noi siamo da gran tempo tali, che non osiamo popolare gli avelli co' sublimi fantasmi della grandezza. A che mai sorgerebbero le forme venerate dei padri? Forse a vedere di qual condanna vada fulminata la loro schiatta infelice? Forse a conoscere che non vive cuore italiano che palpiti per le glorie italiane? Risparmiatevi, o padri, questo amaro cordoglio: risparmiateci, o padri, la rampogna delle vostre sembianze: la morte stia convenevole spazio tra noi.—Possano questi secoli non essere rammentati nella Storia! Possano i posteri lasciarci il retaggio che solo aneliamo…. l'oblio!
Per cui sono quei frutti? La terra non cura saperlo: ella li presenta liberale a chiunque stende la mano per raccoglierli. Una spada di fuoco fu posta a guardia dell'Eden, e i padri peccatori ed i figli innocenti ne perderono la speranza della vista…. Se in voi non rugge ardimento di battaglia…. maledetto colui che manderà il gemito della viltà…. abbiatevi almeno quello che può avere di grande il vituperio…. soffrite muti.
Io racconto una storia di delitti, delitti atroci e crudeli, quali uomini scellerati, che hanno in odio il Creatore e la creatura, possono commettere: quali appena si stimerebbe che vi fosse orecchio da intenderli, non che anima da divisarli, e braccio da eseguirli. Nè alcuno mi accusi ch'io mi proponga atterrire anzichè ammaestrare la gente. Lieve cosa è il detto, ma la parola della sapienza non vola sovente dal labbro degli uomini. Mediti prima chi tale avvisa accusarmi su le vicende dei secoli; mediti sopra il cuore degli uomini, e veda la storia dei generosi esser fatta pei generosi. Di niun sorriso va lieto l'aspetto della virtù; suo solo compenso la gloria:—altissimo e primo veramente tra i conforti concessi alla decaduta schiatta di Adamo! ma altissimo e primo pei cuori gentili che sanno amarla, vivere per essa, e per essa morire. Laddove il vizio abbia inaridito le menti, e le anime languiscano appassite dalla costumanza del male, che sono essi mai i fantasmi della gloria? Nomi di scherno, soggetti di riso. Più veemente forza si vuole che non è la voce della virtù. Lo aspetto delle rovine del misfatto può commuovere quegli spiriti, o nessuna altra cosa lo può. La sola voce tremenda dell'Arcangelo spezza le lapide, e suscita i trapassati dal letargo della morte….
È l'ultimo grado del crepuscolo; un raggio mestissimo si diffonde lungo i lidi fiorenti di Napoli. Le vette dei monti Tifata, Vesuvio, e degli Appennini che lo ricingono da un lato, ardono di luce vermiglia, che a mano a mano degradando nelle montagne più lontane si smarrisce nel buio della notte sorvegnente, come il tempo si confonde nella eternità. Soave spira il venticello della sera, che ora sommuove a fior di ala la marina, ora lambisce l'alito odoroso del melarancio, dell'aloè, e di ogni più doviziosa pianta dell'orientale vegetazione, che allegra le coste di Posilipo e di Mergellina, e quasi per vaghezza ne circonda il passeggero, e lo sospinge al cielo come un tributo che offre la terra al suo Creatore. Dolce suona il canto della sera col quale il vassallo si annunzia da lontano alla sua famiglia. Dolce s'inalza l'inno del saluto che il pescatore volge alla luna sorgente dai monti opposti, mentre co' remi percuote a misura le onde del golfo di Napoli. Bella è la tua terra, o infelice contrada, bella quanto il paradiso terrestre nei primi giorni della creazione!
Ma sotto una volta del castello capuano, splendida dimora del Re Manfredi, che mena ai giardini reali, un giovane insensibile a tanta magnificenza della Natura traccia sopra la sabbia disordinati segni con la punta della spada. Bello e maestoso si presenta allo aspetto: i biondissimi capelli divisi in mezzo alla fronte gli pendono giù per le spalle; il volto per ogni parte leggiadro; ma i suoi grandi occhi azzurri spesso si avvolgono ferocemente sotto le ciglia abbassate, spesso si fissano immobili, e in diversa direzione, per la intensità del pensiero, come se osservassero alcuna cosa al di là di questo mondo. Sopra la sua fronte sta un segno che non vide mai la fronte della giovinezza. Qual cosa può avere impresso questo marchio inamabile degli anni su la testa di colui che ne vide trascorrere venti soltanto? L'amarezza dell'anima numera gli anni nel volto del travagliato, e quel segno sta sopra il suo capo come la corona del dolore.
Sciagurato! Non carezza materna acquietò mai il suo pianto; non bacio di padre lo rallegrò nei giorni della infanzia; egli non conobbe padre, nè madre. Sta nella vita come pianta nel deserto.—Ricerca la sua memoria, e trova in quella la solitudine dell'intelletto: solo lontano lontano alcune rimembranze di sangue…. ma confuse, ma oscure per modo, che invano si sforza richiamarle più specialmente al pensiero. La sua anima arde quanto il sole sotto il quale egli nacque; la sua nascita lo affanna: un senso segreto di grandezza lo travaglia; anela una cosa che neppure egli conosce; vorrebbe con uno sguardo penetrare nei misteri della creazione, vorrebbe con un moto dominare i popoli della terra, vorrebbe essere un Dio con gli attributi dell'uomo, o un uomo con la scienza e la folgore di Dio. Ma l'alta fantasia, considerando il suo misero stato, sviene nello ardore della immagine; il suo cuore allora geme straziato dall'angoscia, sente tutto il tormento del delirio dell'ambizione. Forse questo fuoco avrebbe da gran tempo consumato la sorgente della vita, dove una forma di celesti sembianze non gli sorgesse nell'anima, e ne acquietasse alcuna volta le tempeste. Certo, quello è un amore disperato; e ben degno di lui. Il solo pensiero, se gli uomini potessero conoscere il pensiero, sarebbe punito. Uno scudiero osa sollevare lo sguardo alla figlia de' Re? Quali sono le sue speranze? Confida che la vergine del sangue svevo piegherà il cuore fino a lui? Conosce i pericoli, pensa ai tormenti che sono per occorrergli? Egli ama, e disperatamente ama.
Ma i suoi sguardi da lungo tempo insensibili a quanto di più solenne gli profferiva la Natura, si affissano a un tratto su la magione del figlio di Federigo. Il castello capuano sembrava veramente dimora da Re: ma se per la mole appariva quale la creatura memore esser parte del Creatore può immaginare, per la sua fortezza era pur quale il tiranno nell'agonia della paura può eleggere: conciossiachè Guglielmo il Tristo della stirpe normanna a difesa della propria vita lo fabbricasse. Mura grossissime, frequenti torrioni, cavalieri, baloardi, e tutti gli accorgimenti che l'arte nel dodicesimo secolo consigliava, erano stati adoperati per sicurare il tiranno tremante: ma invano!—dove la vendetta degli uomini manchi, veglia il giudizio di Dio: egli moriva, e non di ferro: ma la sua stirpe fu spenta; il trono fondato dal valore di Roberto Guiscardo, e dal Conte Ruggiero, cadde sotto la eterna giustizia, che i delitti di Guglielmo I fece scontare allo sventurato Guglielmo figlio di Tancredi Conte di Lecce.
Federigo II volle rendere più lieto il castello, allorchè, condusse, a Napoli Niccola Pisano, il più grande artefice del suo secolo, e gli commise la cura di adornarlo. Ma il genio dell'architetto piegò suo malgrado alla vista dello edifizio che migliorava, e i suoi trovati non fecero che aumentarne l'orrore.—Così l'armonico Trovatore se nel silenzio della notte si avvisa cantare la canzone giocosa, gli sfuggono suo malgrado mestissime note, e finisce con la ballata del dolore.
La luna, che tutta lieta di trascorrere i cieli, non cura se in terra sia maladetto o benedetto il suo raggio, e lo diffonde sul volto dell'amante che accelera col desio l'ora del colloquio di amore, e sul volto del sicario che si slancia dalla tenebra, stende il colpo, e ritorna nella tenebra, manda la sua luce sul castello capuano. Le parti illuminate di questo edifizio sembrano anche più grandi pel contrasto delle ombre in cui le altre parti sono sepolte. Alcuni torrioni paiono non aver fondamento sulla terra, e starsi così sospesi per l'aria; altri mezzo rovinati; e presentano alla fantasia uno di quei castelli che i romanzieri descrivono nelle loro leggende: dove gli spiriti maligni si ragunano a celebrare il nefando sabbato e a inebbriarsi di sangue. La calda immaginazione dell'osservatore può vedere avvolgersi per quelle rovine lo spettro di Guglielmo il Malvagio condannato a visitare la casa da lui eretta, abitata da stirpe non sua; e può sentire il singulto dell'ira, o della coscienza, ch'ei manda nella disperazione dell'anima.
Tale era lo edifizio che il giovane considerava. Poichè l'ebbe con lentissimi sguardi e più volte misurato, scosse la testa, e parlò: «L'opera della tirannide è grande quanto l'opera della generosità…. La paura ha dato il suo sublime, come lo ha dato la pompa…. il buono e il tristo produssero parimente le maraviglie del volgo, che sono la compassione della debolezza umana per coloro che han cuore.—Santa Maria! Che cosa egli è mai questo castello? Che i tesori che trovò Manfredi in Luceria? Che la potenza di Federigo Barbarossa, e di Federigo II? Essi non poterono conquistare la Italia: quegli fu arrestato da mura di creta e di paglia; questi disfatto da gente, dalla quale si allontanava per non vedere la morte.¹ E poi che sarebbe l'impero d'Italia, quello del mondo? Potresti essere il più grande di tutti i mortali, ma pur sempre mortale; il più forte tra gli uomini:—ma chi vanta nel braccio la forza del turbine? Il più sapiente dei figli della terra:—ma chi ha lo intelleto dei figli del cielo? Pure l'anima mia potrebbe questo sentimento che mi travaglia la vita obliare o almeno lenire, dove potessi posare la testa sul seno…. di cui? Non l'ho io nominata? Non sono i passi di uomo questi che si allontanano?—No… tutto è tranquillo. Fino tremare di nominarla! O capuano! io sarei contento delle tue mura; o soglio del mio Re, comunque angusto, mi giungeresti ben grato, dove io mi vi potessi sedere con quella che ho fatto donna dei miei pensieri? Io ho amato sempre il trono perchè mi sento nato per quello: ora poi questo desiderio è diventato furore, perchè in altro modo che sul trono non si può vivere con lei…. nè, se si potesse, il vorrei…. Ma io sono un oscuro…. nudrito per pietà in casa non mia, costretto a servire con mente da dominare…. non conosco padre nè madre…. e devo tremare di conoscerli, perchè forse il mio nascimento va macchiato con nota d'infamia.»
¹ Il Barbarossa nel 1175 fu costretto a levare l'assedio d'Alessandria detta della Paglia per la ragione esposta. L'esercito di Federigo fu disfatto nel 1248 dai Parmigiani, mentre egli sicuro del conquisto di Parma si allontanava dal campo per sollazzarsi alla caccia del falcone.—Vedremo in seguito questi fatti.
E qui tacque: un pallore mortale gli si diffuse pel volto: stette immobile con intentissimi sguardi, e con la bocca mezza aperta, come il tormentato dalla sete; giù per le guancie gli trascorrevano grosse stille di sudore che gli scaturivano frequenti dalla fronte, quasi spremute dal cervello compresso dall'angustia. Dopo alcun poco il sangue tornò impetuoso per modo a infiammargli la faccia, che le vene inturgidite e i muscoli dilatati pareano doversi spezzare alla violenza del moto: allora tutto il suo corpo si agitò convulso, e si pose ambe le mani sul capo quasi per impedire che si rompesse. Stato tanto miserabile non poteva prolungarsi più oltre, ed egli cadde gemendo sopra un sedile di pietra.
«Oh questo non può durare,» dopo lunga ora riprendeva in fievole accento «non può durare, nè durerà.—Poichè la morte è certa, proviamo morire con ardimento, e sveliamoci.—Con ardimento! Ma questo potrebbe fruttare l'onta del rifiuto; e mentre stimava morire da generoso, sarò sprezzato dall'orgoglio, e forse vilipeso come stolto. Santa Maria! Che vita è questa dove la pratica di una virtù partorisce il frutto del delitto, e la pratica del delitto la mercede della virtù? Chi è il sapiente che ne ammaestra a distinguere l'uno dall'altra? Chi quegli che ne insegna in che cosa consistano? Il delitto di questo secolo stimarono e stimeranno il delitto dei secoli futuri? Virtù che mi nuoce è sempre virtù? Devo praticarla a mio danno? Dove ha scritto la natura le sue leggi?—Nel cuore? Io sovrappongo la mano al cuore, ma egli palpita al sussulto delle passioni.—Che serve meditare su la ragione della necessità? Meglio vale subirla con le mani incrociate sul petto, e starci a vedere che cosa ne viene. Così farò.
—Dunque sono io tanto sventurato? La mia memoria non può ricordare nulla che giovi a blandire con le illusioni un'anima lacerata da tante angoscie reali?—Oh! bello lusinga il regno delle immagini, ma il loro fascino è come quello del serpente; questo finì col peccato, quelle finiscono coll'inaridire la mente che a loro si abbandona.—Pure il giorno che il suo genitore assunse la corona de' Re, ella lasciava cadere ai miei piedi la grimpa che le cingeva la persona: io la raccolsi…. e meco trionfò nel torneo…. ed ora mi posa sul cuore, e sarà la compagna della mia vita, e mi coprirà la faccia nella fossa.—E il giorno del torneo? O sola luce dei miei anni passati! Oscuro donzello, ricoperto di maglia, coi colori della figlia di Manfredi, mi confusi tra i superbi Baroni e capitani famosi, ed osai giovinetto giostrare di lancia co' maestri dell'arte, con cavalieri incliti per mille prove, e vinsi. Rimaneva il prode Conte Giordano di Angalone: ci affrontammo; ei cadde rovesciato sopra la polvere. Egli ne dette la colpa alla cinghia della sella, e sarà, ma cadde.—Io mi nascosi, egli ebbe il premio della giostra, dacchè il vero vincitore non si presentava; nè io lo invidiai, chè mi parea avere più alto premio conseguito che il suo non era,—l'amore della figlia del Re.—E il giorno veniente? Oh! non dimenticherò mai il giorno dodicesimo di agosto. Io le guidai il bianco palafreno:—ella in salendo pose la sua nella mia mano…. e tremò…. ed io pure tremai, ed arrossii.—Ma ed ella arrossì? Io non osai sollevare gli sguardi. Oh! quella fu gioia, e…. forse fallace. Chi sa che il velo non cadesse per caso? Chi mi assicura che il suo tremore non venisse da pericolo di caduta? o piuttosto da sdegno del mio tanto ardimento? Il sangue svevo ribolle superbo: ma se orgoglio facesse lignaggio, io pure mi sentirei sangue di Federigo.—E quando ella inchinandosi dalla sua altezza m'interrogasse: chi sei?—Chi sono?—Uno ignoto a me stesso, e ad altrui; un respinto per la colpa materna dal seno dello stesso genitore, un monumento vivente del peccato, una onta a me, una vergogna ai miei. O chiunque voi siate che mi donaste una vita che non avrei accettata giammai, dove si potesse rifiutare di nascere, grandi devono essere stati i vostri peccati, perchè atroce è la pena che ne porto!»
Così parlava il travagliato, alternando la vicenda del dolore e della gioia, allorchè la natura lo sovvenne con la stanchezza, e il bisogno del riposo lo costrinse a sedersi. Le sue labbra presero ad articolare le note di una mesta ballata, e la mente seguace dell'armonia si deliziò nei concenti divini, nati e custoditi sotto il cielo d'Italia.—All'anima confortata si affacciò quindi il suono delle imprese guerresche: egli lo cominciava leggero leggero: a mano a mano cresceva; finalmente si sollevò al punto, in che si ode quando il nemico si riversa sull'inimico. Allora trascorse nei giorni della gloria, sentì l'alito della fama, sorse, tolse la spada, e nobilmente avvolto nel mantello camminò nell'orgoglio della mente sollevata fino al pensiero dell'Onnipotente Distruggitore.