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II.

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La gran plaga vermiglia dall'orizzonte saliva lentamente verso lo zenit, tendeva ad occupare tutta la cupola del cielo. Un vapore di metallo in fusione pareva ondeggiare su i tetti delle case; e nel chiarore discendente dal crepuscolo raggi gialli e violetti si mescolavano con un tremolío d'iridescenza. Una lunga striscia più luminosa fuggiva verso una strada sboccante su l'argine del fiume; e s'intravedeva al fondo il fiammeggiamento delle acque tra i fusti lunghi e smilzi dei pioppetti; poi un lembo di campagna asiatica, dove le vecchie torri saracene si levavano confusamente come isolotti di pietra fra le caligini. Le emanazioni affocanti del fieno mietuto si spandevano nell'aria; era a tratti come un odore di bachi putrefatti tra la frasca. Stuoli di rondini attraversavano lo spazio con molto schiamazzo di stridi, trafficando dai greti del fiume alle gronde. [pg!5] Nella moltitudine il mormorío era interrotto da silenzi di aspettazione. Il nome di Pallura circolava per le bocche; impazienze irose scoppiavano qua e là. Lungo la strada del fiume non si vedeva ancora apparire il traino; le candele mancavano; Don Cònsolo indugiava per questo ad esporre le reliquie, a fare li esorcismi; e il pericolo soprastava. Il pánico invadeva tutta quella gente ammassata come una mandra di bestie, non osante più di sollevare li occhi al cielo. Dai petti delle femmine cominciarono a rompere i singhiozzi; e una costernazione suprema oppresse e istupidì le coscienze al suono di quel pianto.

Allora le campane finalmente squillarono. Come i bronzi stavano a poca altezza, il fremito cupo del rintocco sfiorò tutte le teste; e una specie di ululato continuo si propagava nell'aria, tra un colpo e l'altro.

“San Pantaleone! San Pantaleone!”

Fu un immenso grido unanime di disperati che chiedevano aiuto. Tutti, in ginocchio, con le mani tese, con la faccia bianca, imploravano.

“San Pantaleone!”

Apparve sulla porta della chiesa, in mezzo al fumo di due turiboli, Don Cònsolo scintillante in una pianeta violetta a ricami d'oro. Egli teneva [pg!6] in alto il sacro braccio d'argento, e scongiurava l'aria gridando le parole latine:

Ut fidelibus tuis aeris serenitatem concedere digneris. Te rogamus, audi nos.

L'apparizione della reliquia mise un delirio di tenerezza nella moltitudine. Scorrevano lagrime da tutti li occhi; e a traverso il velo lucido delle lagrime li occhi vedevano un miracoloso fulgore celeste emanare dalle tre dita in alto atteggiate a benedire. La figura del braccio pareva ora più grande nell'aria accesa; i raggi crepuscolari suscitavano barbagli variissimi nelle pietre preziose; il balsamo dell'incenso si spargeva rapidamente per le nari devote.

Te rogamus, audi nos!

Ma, quando il braccio rientrò e le campane si arrestarono, nel momentaneo silenzio un tintinnío prossimo di sonagli si udì, che veniva dalla strada del fiume. E avvenne allora un repentino movimento di concorso verso quel lato; e molti dicevano:

“È Pallura con le candele! È Pallura che arriva! Ecco Pallura!”

Il traino si avanzava scricchiolando su la ghiaia, al passo di una pesante cavalla grigia a cui il gran corno d'ottone lucido brillava, simile a una [pg!7] bella mezzaluna, su la groppa. Come Giacobbe e li altri si fecero in contro, la pacifica bestia si fermò soffiando forte dalle narici. E Giacobbe, che s'accostò primo, subito vide disteso in fondo al traino il corpo di Pallura tutto sanguinante, e si mise a urlare agitando le braccia verso la folla: “È morto! È morto!”

San Pantaleone

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