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IV.

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E la falange, armata di falci, di ronche, di scuri, di zappe, di schioppi, si riunì su la piazza, dinanzi alla chiesa. E tutti gridavano:

“San Pantaleone!”

Don Cònsolo, atterrito dallo schiamazzo, s'era rifugiato in fondo a uno stallo, dietro l'altare. Un manipolo di fanatici, condotto da Giacobbe, penetrò nella cappella maggiore, forzò le grate di [pg!13] bronzo, giunse nel sotterraneo, dove il busto del santo si custodiva. Tre lampade, alimentate d'olio d'oliva, ardevano dolcemente nell'aria umida del sacrario; dietro un cristallo, l'idolo cristiano scintillava con la testa bianca in mezzo a un gran disco solare; e le pareti sparivano sotto la ricchezza dei doni.

Quando l'idolo, portato su le spalle da quattro ercoli, si mostrò alfine tra i pilastri del vestibolo, e s'irraggiò alla luce aurorale, un lungo anelito di passione corse il popolo aspettante, un fremito come d'un vento di gioia volò sopra tutte le fronti. E la colonna si mosse; e la testa enorme del santo oscillava in alto, guardando innanzi a sè dalle due orbite vuote.

Nel cielo ora, in mezzo all'accensione eguale e cupa, a tratti passavano de' solchi di meteore più vive; gruppi di nuvole sottili si distaccavano dall'orlo della zona, e galleggiavano lentamente dissolvendosi. Tutto il paese di Radusa appariva dietro come un monte di cenere che covasse il fuoco; e, dinanzi, le masse della campagna si perdevano con un luccichío indistinto. Un gran cantico di rane empiva la sonorità della solitudine.

Sulla strada del fiume il traino di Pallura fece ostacolo all'incedere. Era vuoto, ma conservava [pg!14] tracce di sangue in più parti. Imprecazioni irose scoppiarono d'improvviso nel silenzio. Giacobbe gridò:

“Mettiamoci il santo!”

E il busto fu posato su le tavole e tirato a forza di braccia nel guado. La processione di battaglia così attraversava il confine. Lungo le file correvano lampi metallici; le acque invase rompevano in sprazzi luminosi, e tutta una corrente rossa fiammeggiava fra i pioppetti, nel lontano, verso le torri quadrangolari. Mascálico si scorgeva su una piccola altura, in mezzo alli olivi, dormente. I cani abbaiavano qua e là, con una furiosa persistenza di risposte. La colonna, uscita dal guado, abbandonando la via comune, avanzava a passi rapidi per una linea diretta che tagliava i campi. Il busto d'argento era portato di nuovo sulle spalle, dominava le teste delli uomini tra il grano altissimo, odorante e tutto stellante di lucciole vive.

D'improvviso, un pastore, che stava dentro un covile di paglia a guardare il grano, invaso da un pazzo sbigottimento in cospetto di tanta gente armata, si diede a fuggire su per la costa, strillando a squarciagola:

“Aiuto! aiuto!”

E li strilli echeggiavano nell'oliveto. [pg!15]

Allora fu che i Radusani fecero impeto. Fra i tronchi delli alberi, fra le canne secche, il santo di argento traballava, dava tintinni sonori alli urti dei rami, s'illuminava di lampi vivissimi ad ogni accenno di precipizio. Dieci, dodici, venti schioppettate grandinarono in un balenío vibrante, una dopo l'altra su la massa delle case. Si udirono dei crepiti, poi delle grida; poi si udì un gran sommovimento clamoroso: alcune porte si aprirono, altre si chiusero; caddero dei vetri in frantumi, caddero dei vasi di basilico, spezzati su la via. Un fumo bianco si levava nell'aria placidamente, dietro la corsa delli assalitori, su per l'incandescenza celeste. Tutti, accecati, in una furia bestiale, gridavano:

“A morte! A morte!”

Un gruppo di fanatici si manteneva in torno a san Pantaleone. Vituperii atroci contro san Gonselvo irrompevano tra l'agitazione delle falci e delle ronche brandite.

“Ladro! Ladro! Pezzente! Le candele! Le candele!”

Altri gruppi prendevano d'assalto le porte delle case, a colpi d'accetta. E come le porte sgangherate e scheggiate cadevano, i Pantaleonidi saltavano nell'interno urlando, per uccidere. Femmine [pg!16] seminude si rifugiavano nelli angoli, implorando pietà; si difendevano dai colpi, afferrando le armi e tagliandosi le dita; rotolavano distese su 'l pavimento, in mezzo a mucchi di coperte e di lenzuoli da cui uscivano le loro flosce carni nutrite di rape.

Giacobbe alto, agile e rossastro come un canguro, duce della persecuzione, si arrestava ad ogni tratto per fare dei larghi gesti imperatorii sopra tutte le teste con una gran falce fienaia. Andava innanzi, impavido, senza più cappello, nel nome di san Pantaleone. Più di trenta uomini lo seguivano. E tutti avevano la sensazione confusa e ottusa di camminare in mezzo a un incendio, sopra un terreno oscillante, sotto una vôlta ardente che fosse per crollare.

Ma da ogni parte cominciarono ad accorrere i difensori, i Mascalicesi forti e neri come mulatti, sanguinari, che si battevano con lunghi coltelli a scatto, e tiravano al ventre e alla gola, accompagnando di voci gutturali il colpo. La mischia si ritraeva a poco a poco verso la chiesa; dai tetti di due o tre case già scoppiavano le fiamme; un'orda di femmine e di fanciulli fuggiva a precipizio tra li olivi, presa dal pánico, senza più lume nelli occhi.

Allora tra i maschi, senza impedimento di lagrime e di lamenti, la lotta a corpo a corpo si [pg!17] strinse più feroce. Sotto il cielo color di ruggine, il terreno si copriva di cadaveri. Stridevano vituperii mozzi tra i denti dei colpiti; e continuo tra i clamori persisteva il grido dei Radusani:

“Le candele! Le candele!”

Ma la porta della chiesa restava sbarrata, enorme, tutta di quercia, stellante di chiodi. I Mascalicesi la difendevano contro li urti e contro le scuri. Il santo d'argento, impassibile e bianco, oscillava nel folto della mischia, ancora sostenuto su le spalle dei quattro ercoli che sanguinavano tutti dalla testa ai piedi, non volendo cadere. Ed era nel supremo voto delli assalitori mettere l'idolo su l'altare del nemico.

Ora mentre i Mascalicesi si battevano da leoni, prodigiosamente, su 'l gradino di pietra, Giacobbe disparve all'improvviso, girò il fianco dell'edifizio, cercando un varco non difeso per penetrare nel sacrario. E come vide un'apertura a poca altezza da terra, vi si arrampicò, vi rimase tenuto ai fianchi dall'angustia, vi si contorse, fin che non giunse a far passare il suo lungo corpo giù per lo spiraglio. Il cordiale aroma dell'incenso vaniva nella solitudine della casa di Dio. A tentoni nel buio, guidato dal fragore della pugna esterna, quell'uomo camminò verso la porta, [pg!18] inciampando nelle sedie, ferendosi alla faccia, alle mani. Rimbombava già il lavorío furioso delle accette radusane su la durezza della quercia, quando egli cominciò con un ferro a forzare le serrature, anelante, soffocato da una violenta palpitazione di ambascia che gli diminuiva la forza, con de' bagliori fatui nella vista, con le ferite che gli dolevano e gli mettevano un'onda tiepida giù per la cute.

“San Pantaleone! San Pantaleone!” gridarono di fuori le voci rauche de' suoi che sentivano cedere lentamente la porta, raddoppiando li urti e i colpi di scure. A traverso il legno giungeva lo schianto grave dei corpi che stramazzavano, il colpo secco del coltello che inchiodava là qualcuno per le reni. E un gran sentimento, simile alla divina sollevazione d'animo d'un eroe che salvi la patria, ferveva allora in quel pitocco bestiale.

San Pantaleone

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