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§. I.

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L'origine della Città di Como perdesi, al pari di quella di quasi tutte le altre Città d'Italia, fralle tenebre della più rimota antichità. Cajo Plinio Seniore ne conservò bensì l'opinion di Catone, che attribuì la fondazion di Como agli Orobj; ma lo stesso Catone confessava poi d'ignorare onninamente qual si fosse questo popolo, nè di gran momento è la sentenza di Cornelio Alessandro, il quale stimò gli Orobj derivati dai Greci anche per l'interpretazione del nome, che in greca favella suona abitatori dei monti. Altri celebri eruditi studiaronsi di trovare onde le genti Orobie discendessero; ma troppo mal fermo fu il risultamento delle loro investigazioni: per la qual cosa noi ci accontenteremo di ritenere tanto più antica, quanto più imperscrutabile l'origine di Como.

Insiem cogli Orobj vennero in seguito, come ne attesta Livio, ad occupar le terre del Lario gli Etrusci o Toscani; i quali poi nell'anno 600 avanti l'Era volgare sconfitti da Belloveso, nipote di Ambigato che reggeva la Gallia Celtica ai tempi di Tarquinio Prisco, dovettero ritirarsi fra quelle contrade, che guardano l'oriente dell'alpi e volgonsi al mezzogiorno: e di tal modo nella region Comasca si stabilirono i Galli Bellovesiani che già Insubri erano denominati, conservandosi però Como per più secoli un popolo distinto ed indipendente nel governo di se stesso.

Ma nell'anno di Roma 557 Marco Claudio Marcello trionfando degli Insubri e de' Comaschi rese Como soggetta al dominio di Roma. Como sotto i Romani salì in grande dignità acquistando da prima in parte, poi in tutto i diritti e le prerogative della Romana cittadinanza sino a sollevarsi dalla condizione di suddita a quella di partecipe della sovranità. E qui è bello il ricordare i nomi di Pompeo Strabone, padre del gran Pompeo, di C. Scipione, e di Giulio Cesare; perocchè tutti a gara la favorirono e l'onorarono. Notisi altronde contro l'asserzion dell'Enciclopedia all'articolo Como, che i Romani chiamarono questa città Novum Comum per ciò solo, ch'essi vi dedussero nuove colonie, onde ristorarla dai danni, che i Reti vi avevano cagionati.

Como istette con Roma; finchè venuta l'Italia in poter de' barbari, colla caduta dell'impero Romano nell'occidente, dovette anch'essa, partecipando alle comuni sciagure, passar prima sotto il dominio de' Goti, poi sotto quello dei Longobardi, indi sotto i Franchi, e finalmente sotto la clemente signoria dei Germani.

È a questo punto, che noi possiamo ravvisare nella Città di Como i destini d'una novella Troja; perciocchè intorno all'anno 1117 a cagione della sanguinosa irruzion de' Comaschi fatta sopra Landolfo Carcano vescovo intruso scese per consiglio del milanese arcivescovo Giordan da Clivio tutta Insubria contro la sola Como, ed appena dopo dieci anni e col soccorso di venti popoli pervenne a domarla. Però ai 27 d'agosto del 1127 i vincitori Milanesi mal serbando la data fede ai resisi Comaschi abbatterono sin dalle fondamenta tutta quanta la misera Città di Como[1]. In questo disastro perirono ancora i preziosi monumenti, che a' Comaschi restavano della Romana grandezza; il che è a dire come un'arena ed un teatro che a Giulio Cesare sono attribuiti, non che le celebri loggie di L. Calpurnio Fabato: e quindi Como si giacque più anni depressa sino ai giorni di Federico Barbarossa.

I Milanesi, secondochè narra l'abate Uspergese, l'anno 1156 rinnovarono le rovine di Como; ma i Comaschi fecero poi le loro vendette, quando nel 1162 insiem co' Cesariani e cogli Alleati intervennero alla distruzion di Milano, comandata da Federico.

Umiliato poscia l'Imperadore alla famosa battaglia di Legnano, i Comaschi si accostarono alla lega, ed ebbero indi parte alla memorabil pace segnata in Costanza ai 25 di giugno dell'anno 1183.

Il primo avanzo dell'antichità de' secoli barbarici, che al forastiero, il quale muova verso Como, s'appresenti, si è la torre di Baradello, posta sopra una collina che da mezzodì soprasta la città. Questa rocca celebre nelle storie fu edificata da Luitprando Re de' Longobardi l'anno dell'era volgare 724; e venne poi smantellata dal famoso Antonio de Leva generale di Carlo V. nell'anno 1527 non rimanendone che la superba torre, e qualch'altro sfasciume[2].

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