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LIBRO VENTESIMOSETTIMO
CAPITOLO I
I Principi di Taranto e di Rossano con altri Baroni, dopo l'invito fatto al Re Giovanni d'Aragona, che fu rifiutato, chiamano all'impresa del Regno Giovanni d'Angiò figliuolo di Renato: sua spedizione, sue conquiste, sue perdite e fuga
ОглавлениеMa non durò guari nel Regno questa tranquillità poichè, se bene alcuni Baroni, che non più a dentro penetrarono l'animo ulcerato di Ferdinando, credevano che il suo Regno dovess'essere tutto placido e benevolo; nulladimanco molti altri, che sapevano la natura sua maligna e coperta, giudicavano questa clemenzia e liberalità, che fosse tutta finta e simulata, e tra questi, i primi erano i Principi di Taranto e di Rossano parenti del Re, i quali per la grandezza loro stavano sospetti, e dubitavano, che 'l Re, ch'avea veduto vivere suo padre tanto splendidamente con l'entrate di tanti Regni, vedendosi rimaso solo con questo Regno, sempre avria pensato d'arricchirsi con le ricchezze loro e per questo non osavano di venire a visitare il Re; anzi il sospetto crebbe tanto nel Principe di Taranto, che ogni dì pensava a qualche nuovo modo d'assicurarsi; e per estenuare le forze del Re, ed accrescere la potenza sua con nuovi amici e parenti, cercò al Re, che volesse rimettere nello Stato il Marchese di Cotrone, a cui avea promesso di dare per nuora una figliuola: e cercò ancora di far ricoverare lo Stato a Giosia Acquaviva Duca d'Atri e di Teramo, padre di Giulio Antonio Conte di Conversano ch'era suo genero. Il Re, ancorchè la dimanda fosse arrogante, pure colla speranza, che tanto il Principe, quanto il Duca ed il Marchese con questo beneficio mutarebbono proposito, ne gli compiacque e mandò due Commessarj, l'uno in Apruzzo, l'altro in Calabria a dar la possessione di quelli Stati, che si tenevano ancora per lo Fisco, al Duca ed al Marchese, e rimandò gli Ambasciadori del Principe, che allora dimorava in Lecce, molto ben regalati, ed il Principe con grandissima dissimulazione mandò a ringraziare il Re, e da allora cominciarono ad andare dall'uno all'altro spesse visite e lettere. Ma il Principe, che conosceva aver offeso il Re, avendolo stretto a porre l'armi in mano a' suoi capitali nemici, quanto più erano amorevoli le lettere del Re, tanto più entrava in sospetto, perchè sapeva la sua natura avara, crudele e vendicativa, ed attissima a simulare tutto il contrario di quello, che avea in cuore. E per questo cominciò a disponersi di voler venire più tosto a guerra scoperta, non fidandosi di stare più sicuro delle insidie del Re, se non toglieva le pratiche de' servidori di Ferdinando in casa sua, per le quali temeva di qualche trattato di ferro, o di veleno. Determinossi per tanto, essendo d'accordo col Marchese di Cotrone, col Principe di Rossano e col Duca Giosia, di mandar segretamente al Re Giovanni d'Aragona a sollecitarlo, che venisse a pigliarsi quel Regno, che gli spettava per legittima successione dopo la morte di Re Alfonso suo fratello. La gran ventura di Ferrante fu, che Giovanni si trovava allora in grandissima guerra in tutti i suoi Regni, e massimamente in Catalogna, ed in Navarra, perchè non potevano i Catalani ed i Navaresi soffrire, che 'l Re istigato dalla moglie, che era figliuola dell'Ammirante di Castiglia, trattasse così male e tenesse per nemico il suo figlio primogenito, Principe tanto ben amato da tutti, e mostrasse di volere i Regni per l'Infante D. Ferrante figliuolo della seconda moglie; poichè se fosse stato sbrigato da quelle guerre, avria certamente in brevissimo tempo cacciato Re Ferrante da questo Regno: onde il Re Giovanni rispose a questi Baroni, che desiderava, che per allora osservassero la fede a D. Ferrante suo nipote, ch'egli non curava di lasciare le ragioni, che ci aveva, purchè questo Regno stesse sotto la bandiera d'Aragona. Dall'altra parte il Re Ferrante, avendo qualche indizio di questa pratica, mandò subito in Ispagna Turco Cicinello Cavaliere prudentissimo, ed il famoso Antonio d'Alessandro pur Cavaliere e Dottore eccelentissimo, che avessero a pregare il Re Giovanni, che non volesse mancare del favor suo al Re suo nipote, e che potea dire, che fosse più suo questo, che i Regni della Corona d'Aragona. Questi non ebbero molta fatica a divertire quel Re dal pensiero di volere il Regno di Napoli, perchè se ben forse quel vecchio ne aveva volontà, gli mancavano le forze. Ma ebbero fatica in saldare un altra piaga, perchè pochi dì innanzi la Regina Maria, che fu moglie del Re Alfonso morì in Catalogna, e lasciò erede Re Giovanni delle doti sue, ch'erano quattrocentomila ducati, e il Re Giovanni dicea, che doveano cavarsi dal Regno di Napoli e dal tesoro ch'avea lasciato Re Alfonso; ed ebbero questi due Cavalieri fatto assai, quando accordarono di darglieli in diece anni, dicendo ch'era tanto quanto togliere il Regno, volendo così grossa somma di danari a questo tempo, che si sospettava certa e pericolosa guerra.
Il Principe di Taranto vedendo riuscir vano il suo disegno, tentò un altra impresa, nella quale, oltre i riferiti Baroni, volle avervi anche per compagno il Principe di Rossano, che odiava il Re mortalmente, perchè s'era sparsa fama che il Re avea commesso incesto colla Principessa di Rossano sua sorella carnalmente, e moglie del Principe onde mandò a richiederlo per mezzo di Marco della Ratta, che poichè non era successo l'invito fatto al Re d'Aragona, che pigliasse l'impresa del Regno, mandassero ad invitare Giovanni d'Angiò Duca di Calabria, che ancora si trovava in Genova.
Era questo Principe venuto in Genova prima di morire Alfonso, quando per la pertinacia sua di non voler restituire a Genovesi le loro navi predate, gli costrinse disperati (poichè non trovarono nelle Potenze d'Italia alcuno ajuto) a darsi a Carlo VII Re di Francia il quale mandò a governargli Giovanni figliuolo del Re Renato, che, come si disse, s'intitolava Duca di Calabria per le ragioni di suo padre; deliberarono per tanto unitamente di mandare il medesimo Marco della Ratta a chiamarlo. Avea costui per moglie una figliuola di Giovanni Cossa, il quale, come fu detto nel precedente libro, si partì da Napoli col Re Renato, e da quel tempo era stato sempre in Francia con grandissima fama di lealtà e di valore; e per questo il Re Renato l'avea dato, come maestro, al Duca Giovanni suo figliuolo; e fu cosa leggiera ad ottenere, che il Duca venisse a quest'impresa non meno per volontà sua, che per consiglio e conforto di Giovanni Cossa, che desiderava dopo un esilio di diciannove anni ritornare alla Patria; onde nell'istesso tempo che mandò a Marsiglia al Re Renato per l'apparato della guerra, fece ponere in ordine galee e navi in Genova, e dall'altro canto il Principe di Taranto, che come Gran Contestabile del Regno avea cura di tutte le genti d'armi, pose Capi tutti dipendenti da lui, e cominciò a dar loro denari per ponersi bene in ordine, e tuttavia dalla Marca e da Romagna faceva venire nuovi soldati, ed accresceva il numero, e già pareva che in Puglia ed in Apruzzo le cose scoppiassero in manifesta guerra, e dall'altra parte nella Calabria per opra del Marchese di Cotrone le cose si trovavano ancor disposte a prorompere in tumulti e disordini. E mentre Re Ferrante era tutto inteso a reprimere questi moti, ecco che s'ebbe l'avviso, che il Duca Giovanni con ventidue galee e quattro navi grosse era sorto nella marina di Sessa tra la foce del Garigliano e del Vulturno; onde per tutte le parti si vide in un baleno arder tutto il Regno d'intestina e crudel guerra.
Tutta questa guerra, che seguì ne' primi anni del Re Ferrante, fu scritta da Gioviano Pontano, celebre letterato di que' tempi e scrittor contemporaneo, poichè fu secondo Segretario del Re Ferrante istesso. Michele Riccio, pur egli autor coetaneo, parimente trattonne, ancorchè ristrettamente Angelo di Costanzo10 poi più a minuto e con maggior esattezza ce la dipinse, protestando, che se egli s'allargava in molte cose, che il Pontano non scrisse, o non espresse, era per relazione di Francesco Puderico, quegli, che insieme col Sannazaro gli diedero la spinta, e l'infiammarono a scrivere la sua istoria, che morì nonagenario, e di alcuni altri Cavalieri vecchi, che furono prossimi a quel tempo. Antonio Zurita, che seguì per la maggior parte il Fontano, il Summonte ed altri, anche ampiamente ne scrissero; onde essendosi questa guerra cotanto divulgata da questi Autori, nè essendo ciò del mio istituto, volentieri mi rimetto all'istorie loro.
In breve fu ricevuto il Duca Giovanni dal Principe di Rossano; e spinse la sua armata fino al Porto di Napoli, ed invase gran parte di Terra di Lavoro. Passò poi in Capitanata, e trovò Baroni e Popoli tutti inclinati a seguire la sua parte. Lucera subito aperse le porte, e Luigi Minutolo rese il castello: il simile fece Troja, Foggia, Sansevero, e Manfredonia e tutte le castella del Monte Gargano: ed Ercole da Este, ch'era stato Governadore di quella provincia per lo Re, vedendo tutte le Terre della sua giurisdizione ribellate, passò a servire il Duca. Vennero anche a giurargli omaggio Giovanni Caracciolo Duca di Melfi, Giacomo Caracciolo suo fratello Conte d'Avellino, Giorgio della Magna Conte di Bucino, Carlo di Sangro Signore di Torre Maggiore, Marino Caracciolo Signore di Santo Buono, li quali aveano in Capitanata e nel Contado di Molise molti e buoni castelli; e l'Aquila a persuasione di Pietro Lallo Camporesco alzò le bandiere d'Angiò. Il Principe di Taranto, che si trovava a Bari uscì fino a Bitonto ad incontrare il Duca e lo condusse in Bari, dove fu ricevuto con apparato regale. Il Principe di Rossano tentò insidie e tradimenti per assassinare il Re; ma fu il suo esercito rotto presso Sarno. Tutto Principato, Basilicata e Calabria fin a Cosenza alzò le bandiere angioine, e l resto di Calabria l'avea fatto già ribellare il Marchese di Cotrone; e chi legge l'istoria di questa guerra scritta dal Fontano, può giudicare in che opinione di perversa natura stasse il Re Ferrante appresso i Baroni ed i Popoli, che non solo tutti quelli che con grandissima fede e costanza aveano seguita la parte di Re Alfonso suo padre, o i figliuoli d'essi cospirarono a cacciarlo dal Regno, ma gli stessi suoi Catalani, cominciando da Papa Calisto III che fu suo precettore.
Le cose di Ferdinando si ridussero in tanta declinazione, che fu fama, la quale il Fontano tiene per vera, che la Regina Isabella di Chiaramonte sua moglie, vedendo le cose del marito disperate, si fosse partita da Napoli con la scorta d'un suo confessore in abito di Frate di S. Francesco, e fosse andata a trovare il Principe di Taranto suo zio e buttatasegli a' piedi l'avesse pregato, che poi che l'avea fatta Regina, l'avesse ancora fatta morire Regina, e che il Principe l'avesse risposto, che stesse di buon animo, che così farebbe.
Il Duca di Milano, che era entrato in questa guerra in ajuto del Re Ferrante e che correva la medesima fortuna che il Re, per la pretensione del Duca di Orleans sopra lo Stato di Milano, sentendo le cose di Ferdinando in tale stato, pensò se per via di pace e di riconciliazione potesse salvargli il Regno, e mandò Roberto Sanseverino Conte di Cajazza, ch'era figliuolo di sua sorella, in soccorso del Re con istruzione di consigliarlo, che proccurasse di riconciliarsi i Baroni, e ricovrare a poco a poco il Regno; e perchè sapeva, che il Re per la natura sua crudele e vendicativa era noto a' Baroni, che non osservava mai patti, nè giuramenti, per saziarsi del sangue di coloro, che l'aveano offeso; mandò una proccura in persona di Roberto, che sotto la fede di leal Principe potesse assicurare in nome suo quelli Baroni, che volessero accordarsi col Re11. Questa venuta del Conte di Cajazza sollevò molto le cose del Re, perch'essendo parente del Conte di Marsico e di Sanseverino trattò con lui, che avesse da tornare alla fede del Re, siccome venne ad accordarsi accettando volontieri l'onorati partiti che gli fece il Re, fra' quali fu la concessione della città di Salerno con titolo di Principe; di poter battere moneta; che i beni de' suoi Vassalli devoluti per fellonia, fossero del Fisco del Principe, e non del Fisco regale, ed altri onoratissimi patti rapportati dal Costanzo. Il Conte di Marsico, che da questo tempo innanzi fu chiamato Principe di Salerno, mandò subito al Pontefice Pio per l'assoluzione del giuramento, che avea fatto in mano del Duca Giovanni, quando lo creò suo Cavaliere, rimandando al medesimo l'ordine della luna crescente, del quale l'avea ornato Cavaliere e molti altri seguirono quest'esempio; ed il Chioccarello12 rapporta la Bolla di Pio II fatta a' 5 Gennajo dell'anno 1460 colla quale assolve dal giuramento tutti coloro, che aveano dal Duca Giovanni preso l'ordine della luna crescente e disfece questa Confrateria, ch'era chiamata de' Crescenti.
L'accordo del Principe di Salerno col Re fu gran cagione della salute di Ferdinando, perchè non solo gli diede per le Terre sue il passo, e gli aperse la via di Calabria; ma andò insieme con Ruberto Orsino a ricuperarla; e perchè di passo in passo, da Sanseverino fino in Calabria erano Terre sue, o del Conte di Capaccio, o del Corte di Lauria, o di altri seguaci di casa sua, quanto camminò fino a Cosenza, ridusse a divozione del Re. Fu presa Cosenza e saccheggiata: Scigliano, Martorano e Nicastro si resero: Bisignano fu preso a forza, ed in breve quasi tutta quella provincia tornò alla fede del Re.
Il Pontefice Pio mandò Antonio Piccolomini suo Nipote in ajuto del Re con mille cavalli e cinquecento fanti, che gli ricuperò Terra di Lavoro. Nel medesimo tempo il Duca di Milano mandò nuovo soccorso, col quale nell'Apruzzo ridusse molte Terre alla sua ubbidienza. Il Re passò in Puglia per dare il guasto al paese di Lucera, ove era il Duca Giovanni con buon numero di gente, aspettando il Principe di Taranto. Si resero a lui Sansevero, Dragonara e molte altre Terre del Monte Gargano: e finalmente prese S. Angelo, dove trovò ridutte tutte le ricchezze della Puglia. Fu saccheggiato con ogni spezie di avarizia e di crudeltà, ed il Re sceso alla Chiesa sotterranea di quel famoso Santuario, trovò gran quantità d'argento e di oro, non solo di quello, ch'era stato donato per la gran devozione al Santuario, ma di quello, ch'era stato portato ivi in guardia da Sacerdoti delle Terre convicine. Il Re fattolo annotare se lo prese, promettendo dopo la vittoria restituire ogni cosa, e di quell'argento fece subito battere quella moneta, che si chiamava li Coronati di S. Angelo; che gli giovò molto in questa guerra.
(Questa moneta pur trovasi impressa dal Vergara Tab. XXIII n. 4, nella quale da una parte è l'immagine di Ferdinando e dall'altra quella dell'Arcangelo Michele, col motto IVSTA TVENDA: per iscusarsi, che la necessità di difendere lo Stato l'obbligò a valersi degli Argenti di quel Santuario).
Sopraggiunse ancora in questo stato di cose al Re Ferdinando un altro improviso ajuto, poichè venne da Albania a soccorrerlo con un buon numero di navi, con settecento cavalli e mille fanti veterani Giorgio Castrioto cognominato Scanderbecch, uomo in quelli tempi famosissimo per le cose da lui adoperate contra Turchi. Costui, ricordevole, che pochi anni avanti, quando il Turco venne ad assaltarlo in Albania, dove e' signoreggiava, Re Alfonso gli avea mandato soccorso; avendo inteso, che Re Ferdinando stava oppresso da tanta guerra, volle venire a questo modo a soccorrerlo, e la venuta sua fu di tanta efficacia che fece diffidar i suoi nemici d'attaccarlo.
Il Cardinal Rovarella Legato appostolico, che stava in Benevento, fece pratica di tirare dalla parte del Re Orso Orsino; e poco da poi il Marchese di Cotrone si riconciliò col Re, ed il simile fece il Conte di Nicatro.
Alfonso Duca di Calabria primogenito del Re, che non avea più che quattordici anni, fu mandato dal padre sotto la cura di Lucca Sanseverino ad interamente sottomettere la Calabria, il quale mostrandosi dalla sua puerizia quello, che avea da essere nell'età perfetta, con somma diligenza ed audacia perfezionò l'impresa. Dall'altro canto il Re debellò i suoi nemici in Capitanata, prese Troja e ridusse quella provincia interamente alla sua fede; onde gli altri Baroni, vedendo posta in tanta grandezza la casa del Re, ed in tanta declinazione la parte Angioina, venivano a trovarlo e rendersegli, come fece Giovanni Caracciolo Duca di Melfi.
Il Principe di Taranto vedendo finalmente, che non restava altro di fare al Re, che venire ad espugnarlo, deliberò di mandare a domandargli pace13: Ferdinando non la ricusò, e mandò Antonello di Petruccio suo Segretario col Cardinal Rovarella Legato del Papa a trattare le condizioni con gli Ambasciadori del Principe, fra le quali fu convenuto, che il Principe avesse da cacciare da Puglia e da tutte le Terre sue il Duca Giovanni. Il Principe si ritirò in Altamura, dove poco da poi morì, non senza sospetto, che il Re l'avesse fatto strangolare.
Solo rimaneva da ridurre Terra di Lavoro di là dal Vulturno e l'Apruzzo, ove il Duca Giovanni s'era fortificato ed il Principe di Rossano. Fu pertanto guerreggiato a Sora, dove le genti del Papa, ancorchè sollecitate da Ferdinando per l'assalto, non si vollero movere; con iscoprire la cagione, dicendo, che il Papa non gli avea mandati a dare ajuto al Re, perchè più non bisognava, essendo tanto estenuato lo stato del Duca d'Angiò, ma solamente perchè pretendeva, che 'l Ducato di Sora, il Contado d'Arpino e quello di Celano, essendo stati un tempo della Chiesa romana, dovessero a quella restituirsi. Il Re per non intrigarsi a nuove contese, prese espediente di dare in nome di dote il Contado di Celano ad Antonio Piccolomini nipote del Papa, e suo genero, con condizione, che riconoscesse per supremo Signore il Re; e morto poi Papa Pio, con la medesima condizione diede il Ducato di Sora ad Antonio della Rovere nipote di Papa Sisto. Finalmente il Principe di Rossano mandò pure a trattare la pace, e per mezzo del Cardinal Rovarella fu conchiusa, con condizione per maggior sicurtà, che si dovesse fermare con nuovo vincolo di parentado, cioè, che il Re desse a Giovan Battista Marzano figliuolo del Principe, Beatrice sua figliuola, che poi fu Regina d'Ungheria, la quale fu subito mandata a Sessa ad Elionora Principessa di Marzano come pegno di sicurtà e di certa pace. Ma non passò guari, che il Principe fu fatto incarcerare dal Re, il quale avendo mandato a pigliar subito il possesso di tutto il suo Stato, fece venire in Napoli la Principessa, e li figli insieme con la figliuola sua, ch'avea promessa per moglie al figliuol del Principe.
Il Duca Giovanni vedendosi tolti i suoi partigiani, s'accordò col Re d'andarsene dove gli parea, e gli fu data sicurtà, e se n'andò in Ischia; ed il Re, dopo avere interamente ridotta tutta la Puglia, l'Aquila e tutto l'Apruzzo a sua divozione, non gli restava altro, che l'impresa d'Ischia, ove erasi ritirato il Duca d'Angiò, che veniva guardata da otto galee, le quali ogni dì infestavano anche Napoli; nè potendo il Re venirne a capo, fu necessitato mandare in Catalogna al Re Giovanni d'Aragona suo zio, per far venire Galzerano Richisens, con una quantità di galee di Catalani per finire in tutto queste reliquie di guerra; onde il Duca vedendo tutti i partigiani suoi, o morti o prigionieri o in estrema necessità, deliberò partirsi dal Regno, ed imbarcato con due galee, se n'andò in Provenza: dopo la di cui partita essendo venuta l'armata de' Catalani, fu dal Toreglia, che comandava l'Isola, proposto trattato per mezzo di Lupo Ximenes d'Urrea Vicerè di Sicilia, di renderla; ma perchè il Re Alfonso avea fatta Ischia colonia de' Catalani, dubitando il Re Ferdinando, che costoro non alzassero le bandiere del Re d'Aragona suo zio, e lo facessero pensare all'impresa del Regno, si contentò fare larghissimi patti al Toreglia, con liberar Carlo suo fratello, che poc'anzi avea fatto prigione, e dargli cinquantamila ducati, e restituirgli due galee, che avea prese: ciò che fu subito eseguito, e Ferdinando rimase padrone dell'isola.
Scrive Giovanni Pontano, che nel partir il Duca Giovanni dal Regno, lasciò ne' Popoli, e massimamente appresso la Nobiltà un grandissimo desiderio di se, perch'era di gentilissimi costumi, di fede e di lealtà singolare, e di grandissima continenza e fermezza, ottimo Cristiano, liberalissimo, gratissimo, ed amatore di giustizia, e sopra la natura de' Franzesi grave, severo e circospetto. Per tante virtù di questo Principe si mossero molti Cavalieri del Regno a seguire la fortuna sua, ed andare con lui in Francia, tra' quali furono il Conte Nicola di Campobasso, Giacomo Galeotto, e Roffallo del Giudice: e questi due salirono in tanta riputazione di guerra, che 'l Galeotto fu generale del Re di Francia alla battaglia di S. Albino, dov'ebbe una gran vittoria14; e Roffallo nella guerra del Contado di Rossiglione Generale del medesimo Re in quella frontiera contra 'l Re d'Aragona, dove fece molte onorate fazioni; ed il Re gli diede titolo di Conte Castrense.
Ma il Duca Giovanni, come fu giunto in Provenza, non stette in ozio, perchè fu chiamato da' Catalani, ch'erano ribellati al Re Giovanni d'Aragona, il che aggiunse felicità alla felicità del Re Ferdinando I, perchè s'assicurò in un tempo di due emoli, del Duca Giovanni e del Re Renato suo padre e del Re d'Aragona, che si tenea per certo, che se non avesse avuto quel fastidio del Duca Giovanni, avria cominciato a dare al Re Ferdinando quella molestia, che diede poi al Re Federico il Re Ferdinando il Cattolico, che a lui successe. Il Contado di Barzellona erasi ribellato contro Re Giovanni, ed avea chiamato Re Raniero per Signore, nato da una sorella del Re Martino d'Aragona, il quale avea le medesime ragioni sopra quello Stato, e sopra i Regni d'Aragona e di Valenzia, che avea avuto il padre del Re Alfonso e di esso Re Giovanni, ch'era nato dall'altra sorella. Il nostro Re Ferdinando avvisato di ciò, mandò alcune compagnie di uomini d'arme in Catalogna in soccorso del zio, ed il Duca Giovanni da poi che partì dall'impresa del Regno, arrivato in Francia, subito andò a quella impresa, come Vicario del padre, e signoreggiò fino all'anno 1470, nel qual anno morì in Barzellona, e perchè non finissero qui di travagliare i Franzesi questo Regno, trasfuse le sue ragioni, nella maniera che diremo più innanzi, a Luigi ed a Carlo Re di Francia.
10
Costanzo lib. 19.
11
Costanzo lib. 19.
12
Chiocc. to. 1. M. S. Giurisd.
13
Ricc. lib. 4, Hist. Regn. Neap.
14
Costanzo lib. 20.