Читать книгу Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7 - Giannone Pietro - Страница 7
LIBRO VENTESIMOSETTIMO
CAPITOLO IV
Come si fosse introdotta in Napoli l'arte della stampa e suo incremento. Come da ciò ne nascesse la proibizione de' libri, ovvero la licenza per istampargli; e quali abusi si fossero introdotti, così intorno alla proibizione, come intorno alla revisione de' medesimi
§. II. Abusi intorno alle proibizioni de' libri che si fanno in Roma, le quali si pretendono doversi ciecamente ubbidire
ОглавлениеBisognò ancora rintuzzare un'altra pretensione della Corte di Roma intorno a quest'istesso soggetto della proibizion de' libri. Pretendevano, che a chiusi occhi i Principi cristiani dovessero far valere ne' loro dominj tutti i decreti che si profferivano in Roma dalle Congregazioni del S. Ufficio o dell'Indice, per li quali venivano i libri proibiti, e che non stassero soggetti questi decreti a' loro Regj placiti, onde dovessero da noi eseguirsi, senza bisogno d'Exequatur Regium. Della cui necessità e giustizia, sarà da noi diffusamente trattato ne' seguenti libri di quest'Istoria.
Ma non meno in Francia che in Ispagna, in Germania, Fiandra ed in tutti gli altri Stati de' Principi cattolici, che nel nostro reame (sempre che s'abbia voluto usare la debita vigilanza) fu lor ciò contrastato, e come ad un attentato pregiudizialissimo alla sovranità de' Principi, se gli fece valida l'esistenza; tanto che siccome tutte le Bolle, rescritti ed altre provisioni che vengono di Roma, non si permettono, che si pubblichino e si ricevano senza il placito Regio; così ancora i decreti fatti sopra la proibizione de' libri soggiacciano al medesimo esame. Anzi se mai i Principi ed i loro Ministri devono usar vigilanza nelle altre scritture che vengono di Roma, in questi decreti devono usarla maggiore; così perchè si sa la maniera, come in Roma i libri si proibiscono, come ancora il fine perchè si proscrivono, ed i disordini e scandali che potrebbero cagionare ne' loro dominj, se si lasciassero correre a chiusi occhi.
Si sa che i Cardinali che compongono queste due Congregazioni onde escono tali decreti, non esaminano essi i libri: alcuni per la loro insufficienza, altri perchè distratti in occupazioni riputate da essi di maggiore importanza, non possono attendere a queste cose, e molto meno il Papa, da chi sarebbe impertinenza il pretenderlo. Essi commettono l'esame ad alcuni Teologi che chiamano Consultori, ovvero Qualificatori, per lo più Frati, i quali secondo i pregiudicj delle loro scuole regolano le censure. Ciò, che non consente colle loro massime, riputano novità, e come opinioni ereticali le condannano. I Casuisti, che s'han fatta una morale a lor modo, giudicano pure secondo que' loro principj. Ma il maggior pregiudicio nasce quando si commette l'affare a' Curiali istessi ed agli Ufficiali e Prelati di questa Corte per esaminar libri attenenti a cose giurisdizionali; può da se ciascun comprendere, quanto in ciò prevaglia l'adulazione in ingrandire l'ecclesiastica e deprimere la temporale. Si sa quanto da costoro s'estolle sopramodo l'autorità del romano Pontefice sopra tutti i Principi della terra, insino a dire che il Papa può tutto, e la sua volontà è norma e legge in tutte le cose: che i Principi ed i Magistrati siano invenzioni umane; e che convenga ubbidir loro solamente per la forza; onde il contraffar le loro leggi, il fraudar le gabelle e le pubbliche entrate, non sia cosa peccaminosa, ma solo gli obbliga alla pena, la quale o colla fuga o colla frode non soddisfacendosi, non per ciò restano gli uomini rei innanzi la Maestà Divina, compensandosi col pericolo che si corre: ma per contrario, che ogni cenno degli Ecclesiastici, senza pensar altro, debbia esser preso per precetto divino ed obblighi la coscienza. Sono tanti arghi e molto solleciti e vigilanti, perchè non si divulghi cosa contraria a queste loro mal concepite opinioni. Ed è ormai a tutti per lunga esperienza noto, che la Corte di Roma a niente altro bada più sollecitamente che di proscrivere tutti i libri che sostenendo le ragioni de' Principi, i loro privilegj, gli statuti, le consuetudini de' luoghi e le ragioni de' loro sudditi, contrastano queste nuove loro massime e perniziose dottrine.
Fatte che hanno questi qualificatori le censure le portano a' Cardinali, i quali senza esaminarle in conformità di quelle condannano i libri. E lo stile d'oggi in formar tali decreti è pur troppo grazioso: si condanna semplicemente il libro, senza censura e senza esprimersi o designarsi niuno particolar errore, che avrebbe forse potuto dar occasione alla proibizione; ma generalmente come continente proposizioni ereticali, scismatiche, erronee contro i buoni costumi, offendenti le pie orecchie e cose simili, e senza impegnarsi a spiegare quali siano l'ereticali, l'erronee etc. se ne liberano con una parola respective, lasciando l'autore ed i lettori nell'istessa incertezza ed oscurità di prima. L'esperienza ha poi mostrato, che per queste sorti di proibizioni ne siano nate presso i Teologi stessi gravi contrasti, li quali sovente han perturbato lo Stato, perchè accaniti i Frati di opinione contraria, non han mai finite le risse e le contese.
Parimente a questi decreti sogliono andar congiunte alcune clausole penali contro i lettori e detentori dei vietati libri che sovente toccano la temporalità de' sudditi o conturbano i privilegj ed i costumi delle province. Sovente per alcuni errori che si trovano sparsi in un libro, che a' Professori ed alla Repubblica sarà utilissimo, si proibisce interamente il libro; onde lo Stato viene a riceverne incomodo e danno.
Per tutte queste ed altre ragioni, non meno i più saggi Teologi43, che la pratica inconcussa di tutte le province d'Europa, han fatto vedere che si appartenga al Principe, non meno che fassi nell'altre provisioni che vengono da Roma, d'invigilare sopra questi decreti. Qualunque decreto che venga da Roma da queste Congregazioni o editto che si faccia dal Maestro del Sagro Palazzo, onde vengono i libri vietati, non è stato mai esente dal placito regio ma fu sempre sottoposto ad esame: siccome lo stile di tutte le province cristiane il quale ebbe il suo principio, sin che da Roma cominciarono ad uscire queste proibizioni, lo dimostra. E ben si vide praticato nell'Indice stesso volgarmente detto Tridentino, fatto compilare dal Pontefice Pio IV poco da poi terminato il Concilio.
Secondo l'antica disciplina della Chiesa, la censura de' libri s'apparteneva a Concilj, siccome il Concilio Niceno, Efesino e di Calcedonia fecero de' libri d'Arrio, di Nestorio e d'Eutiche. Volendo i PP. del Concilio di Trento seguitare le medesime pedate, da poi che quello fu ripigliato sotto il Pontefice Pio IV, proposero in una Congregazione tenuta in Trento a' 26 gennaio del 1562 che dovessero esaminarsi i libri dati fuori dopo l'eresie nate in Germania ed altrove, e sottoporsi alla censura del Concilio, acciò che determinasse quello, che gli parrebbe: fu conchiuso, che si commettesse ad alcuni PP. la cura di farne Catalogo, ovvero Indice di quelli e de' loro Autori; siccome da' Presidenti di esso fu data la commessione a diciotto Padri, a' quali poi con decreto del Concilio fu incaricato, che diligentemente esaminassero i libri riferendo poi al Sinodo ciò che aveano notato, per darvi providenza44. Essendosi da poi affrettata la conchiusione del Concilio, di quest'affare dell'Indice non se ne trattò altro, ma solamente nell'ultimo giorno che quello ebbe fine, essendosi letto il decreto della sessione 18 fu risoluto, che non essendosi potuto dal Concilio porre a quest'affare l'ultima mano per tanta moltitudine e varietà di libri, ordinava per ciò che tutto quello, che i Padri destinati alla cura di quest'Indice avean fatto, che lo presentassero al Pontefice, dalla cui autorità e parere si determinasse l'Indice e fosse divulgato.
In conformità di ciò, essendosi disciolto il Sinodo fu da que' Padri presentato al Pontefice Pio IV un Indice, ove aveano notati gli Autori ed i libri, che riputavano doversi proscrivere. Il Pontefice, come egli testimonia nella sua Bolla pubblicata per ciò in forma di Breve, che incomincia: Dominici gregis, fece esaminar da altri dotti Prelati l'Indice, e dice averlo anche egli letto; onde lo fece pubblicare con alcune Regole, che si dicono perciò dell'Indice, dando fuori quella Bolla, nella quale comanda, che quell'Indice con le Regole ivi aggiunte, debba da tutti riceversi, ed osservarsi sotto gravissime pene e censure. Minacciansi tutti coloro, che leggeranno, o riterranno quei libri in quest'Indice contenuti: dichiara, che questa proibizione, dopo tre mesi, da che sarà la Bolla pubblicata ed affissa in Roma, obbligherà tutti in maniera, ac si ipsismet hae literae editae, lectaeque fuissent45.
Fu quest'Indice diviso in tre classi. Nella prima, non i libri, ma i nomi degli Autori solamente s'esprimono, perchè tutti conoscessero, che venivano proibite non solo le opere già stampate, ma anche quelle da stamparsi da loro. Nella seconda, si riferiscono i libri, i quali per la non sana dottrina, o sospetta che contengono, si ributtano, ancorchè gli Autori non fossero separati dalla Chiesa. La terza abbraccia quei libri, che senza nome d'Autore uscirono alla luce e che contengono dottrina, che, come contraria a' buoni costumi ed alla Chiesa romana, si è riputato dannarla.
Ma siccome pubblicati che furon in Roma i decreti del Concilio, non per ciò nell'altre regioni d'Europa furono quelli attinenti alla disciplina ed alla riforma universalmente ricevuti, come al suo luogo diremo; così ancora pubblicato che fu quest'Indice in Roma, non ostante la Bolla di Pio, non fu senz'esame ricevuto, nè accettato in tutte le sue parti in Francia, in Spagna, nelle Fiandre ed in altre province cristiane.
Diedesi l'Indice ad esaminare a' Collegi, alle Università e ad uomini dottissimi di ciascun paese. In Francia, la cosa è pur troppo nota, che quelle Università vi vollero la lor parte, nè lo ricevettero in tutto secondo il suo vigore.
In Spagna parimente il Re Filippo II lo fece esaminare dalle sue Accademie ed Università, nè fu in tutto ricevuto; poichè fra gli altri libri, l'opere di Carlo Molinco, arrolate nell'Indice Tridentino fra gli Autori di prima classe, non tutte furono vietate, alcune furono permesse, altre con piccola espurgazione parimente permesse. Quindi sursero in Spagna, ed altrove gl'Indici Expurgatorj; poichè i Prelati e le Università ed i Collegj di ciascuna provincia vollero in ciò avervi anche la lor parte e credettero, che la lor censura fosse più esatta per le province ove dimorano, ed il Principe sa meglio ciò che nel suo Stato possa apportar quiete, o incomodo, o disordine, che non si sa di fuori. Così in Spagna s'è introdotto stile di farsi questi Indici. E dall'Indice Expurgatorio fatto compilare per comandamento del Cardinal Gaspare di Quiroga Arcivescovo di Toledo e General Inquisitore di Spagna, ed impresso nel 1601, manifestamente si vede, che in Spagna l'Indice Tridentino non fu giammai in tutto e secondo il suo rigore ricevuto.46
Parimente l'istesso Filippo II non solo ne' suoi Regni di Spagna, ma in tutti gli altri suoi dominj, volle che l'istessa vigilanza si fosse usata; e siccome fece de' decreti del Concilio, con maggior ragione dovea premere, che per quest'Indice Tridentino si facesse. Nella Fiandra divulgato che fu, non per ciò fu ciecamente ricevuto; ma per autorità Regia si diede ad esaminare. Essendosi osservato, che in quello si proscriveano molti libri in ogni facoltà e scienza, i quali gastigati e purgati da alcuni errori e false opinioni, poteva di quelli aversi buon uso e leggersi con utilità e profitto: narra Van-Espen47, dotto Prete e gran Teologo dell'Università di Lovanio, che il Duca di Alba, allora Governatore di quelle province, in nome del Re Filippo II comandò, che si fossero conservati que' libri proscritti dall'Indice Romano, e solamente fece bruciare l'opere degli Eresiarchi. Ma perchè da que' riserbati non si cagionasse danno, commise a' Prelati ed alle Università ed agli uomini letterati di quelle province che esaminassero que' libri, notassero gli errori e gli espurgassero, con farne particolari Indici. Fu con ogni diligenza ciò eseguito e presentati poi al Duca gl'Indici, instituì egli in Anversa un Collegio di Censori, al quale per l'Ordine ecclesiastico presedè un Vescovo, ed in nome del Re vi fu proposto il famoso Teologo Arias Montano, quel medesimo, ch'era intervenuto al Concilio in Trento. Questi Censori con ogni diligenza e maturità esaminarono di nuovo i libri contenuti in que' Cataloghi, conferirono i luoghi notati da' primi Censori con gli esemplari, e ne formarono un'esatta Censura; dando poi fuori un libro, al quale diedero questo titolo, Index Expurgatorius. Quest'Indice poi nel 1570, per ispezial diploma del Re Filippo II, fu approvato, e per sua regal autorità fu comandato, che s'imprimesse, come fu fatto e di quello si servirono poi tutte quelle province, non già del Romano. Erano questi due Indici fra loro differenti: in questo Expurgatorio di Fiandra, più libri, che per l'Indice romano erano assolutamente proscritti, furono ritenuti e permessa la lor lezione, essendosi solo in alcuni usata qualche espurgazione ed emendazione: siccome, per tralasciarne molti, fu fatto dell'opere istesse di Carlo Molineo, affatto proscritte e totalmente condannate dall'Indice Romano, le quali con piccola emendazione furono permesse. Il Commentario alle Consuetudini di Parigi dello stesso Molineo, fu senz'alcuna correzione ritenuto, dicendosi: In hoc opere nihil est, quod haeresim sapiat, quapropter admittitur. De' suoi trattati De donatione, et inofficioso testamento, pur si disse: Nihil habent, quod Religioni adversetur, aut pias aures offendere possit, quapropter admittitur. E così di molte altre sue opere fu giudicato.
Questa fu la pratica, che cominciò ne' Dominj dei Principi cristiani, nell'istesso tempo che da Roma si cominciarono a far Indici proibitorj di libri. Molto più fu ne' seguenti tempi continuata, quando i Principi s'accorsero, che in Roma si badava molto a questo affare, e ch'era entrata in pretensione di poter sola proibire i libri, e che senza altra promulgazione ed accettazione, che di quella fatta in Roma, nelle altre province dovesse valere ciò che in Roma veniva stabilito. Fondossi a tal effetto nel Pontificato di Sisto V una nuova Congregazione di Cardinali, chiamata per ciò dell'Indice: e così questa, come l'altra del S. Uficio, ed il Maestro del Sagro Palazzo Appostolico, non badavano ad altro. Ma non perciò s'arrestarono i Principi ne' loro Reami far valere le loro ragioni e preminenze, così di non permettere impressione di libro alcuno senza lor licenza, nè senza il consueto exequatur regium far osservare le proibizioni di Roma, come anche di proibire essi i libri, come si è detto di sopra.
La loro vigilanza vie più crebbe, quando s'accorsero, che in Roma erano più frequenti, che prima le proibizioni; e che qualunque libro che usciva, nel quale si difendevano le regalie di qualche Principe, o si facevano vedere le intraprese della Corte di Roma sopra la loro autorità e giurisdizione a' diritti delle Nazioni, erano pronti i decreti della Congregazione dell'Indice, e gli editti del Maestro del Sagro Palazzo a proibirlo.
Per questa cagione furono avvertiti di non permettere, che simili proibizioni fossero ne' loro Reami ricevute. I Re di Spagna, come dice Salgado48, non meno che i Re di Francia, avendo avvertito, che in Roma erano questa sorte di libri affatto vietati, solo perchè in quelli si fondavano le regalie e la giurisdizione de' Re e le ragioni de' loro sudditi; per riparare ad un così grave pregiudizio, ordinarono, che i Brevi appostolici e consimili decreti o editti fossero portati alla suprema Inquisizione di Spagna, e secondo il costume usitatissimo ne' Regni di Spagna, fossero ritenuti, nè permessa la loro pubblicazione e molto meno l'esecuzione, affinchè non allacciassero le coscienze de' sudditi per queste proibizioni, non ad altro fine procurate, che per annientare le ragioni de' Principi e delle Nazioni.
Questo medesimo fecero valere nelle province di Fiandra, e quel ch'è da notare, nel nostro Regno di Napoli ancora, cotanto a Roma vicino, ed al quale sovente gli Spagnuoli, per vantaggiar le condizioni dei Regni loro di Spagna, permisero, che molti aggravj dalla Corte di Roma sofferisse.
Il Pontefice Clemente VIII, dopo la Giunta di Sisto V, accrebbe l'Indice Romano e fatto di nuovo imprimere e pubblicare, in tutto il tempo del suo Pontificato tenne così esercitata la Congregazione dell'Indice ed il Maestro del Sagro Palazzo, che non vi fu anno, che da Roma non uscissero decreti e editti proibitorj. Dal primo anno del nuovo secolo 1601, e per li seguenti anni insino alla sua morte, non uscivano altro da Roma, che questi decreti e editti, per li quali furono successivamente proibiti molti libri di quasi tutte le professioni e scienze, sol perchè o gli Autori erano separati dalla Chiesa, o perchè sostenevano le regalie, o altre ragioni di Principi, o perchè qualche errore fosse in quelli trascorso. Furono proibiti molti libri legali, fra gli altri con molto rigore l'opere di Molineo, li trattati di Alberico Gentile, di Giovanni Corasio, di Scipione Gentile e di tanti altri.
Infra questi il nostro reggente Camillo de Curte, che, come diremo, fu uno de' più rinomati nostri Professori di que' tempi, diede in Napoli, nel 1605, alle stampe una sua opera intitolata: Diversorii juris Feudalis Prima, et Secunda Pars: nella seconda parte della quale trattò de' remedj, che sogliono praticarsi nel Regno per difesa della giurisdizione regale, affinchè nè i diritti regali ricevano oltraggio, nè i suoi vassalli siano oppressi da' Prelati, usurpando la regal giurisdizione: dichiara in questo libro il modo solito e per lungo uso stabilito di resister loro: cioè nel principio di farsegli una, due e tre ortatorie: quando queste non bastano, di chiamargli: non obbedendo alla chiamata, di sequestrar loro le temporalità e carcerare i parenti più a lor congiunti, i servidori, anche gli amici: e per ultimo, non volendo obbedire, di cacciargli dal Regno. Modi legittimi, permessi ed approvati da una inveterata pratica di tutti i Regni d'Europa. Ma il libro appena fu dato alla luce, che ecco si vide nel medesimo anno uscir da Roma un editto, col quale fra gli altri libri venne anche severamente proibito questo, con tali parole: Camilli de Curtis secunda pars Diversorii, sive Comprensorii juris Feudalis, Neapoli apud Constantinum Vitalem 1605 omnino, et sub anathemate prohibetur49.
Il Conte di Benavente, che si trovava allora Vicerè in Napoli, intesa la proibizione, non volle a patto veruno concedere Exequatur all'editto; anzi a' 14 decembre del medesimo anno, scrisse una grave consulta al Re Filippo III, nella quale fra l'altre cose occorsegli in materia di giurisdizione, gli diè raguaglio di questa proibizione fatta del libro del Reggente in Roma, sol perchè in questo si dichiaravano que' rimedj ed i diritti di S. M. che ha in simili occorrenze, rappresentando al Re, che contro questo abuso bisognava prendere risoluti e forti espedienti, perchè altramente ciò soffrendosi, non vi sarebbe chi volesse difendere la regal giurisdizione50.
Parimente nel 1627, sotto il Pontificato di Urbano VIII, dalla Congregazione dell'Indice uscì un decreto sotto la data de' 4 febbrajo di quell'anno, dove oltre la proibizione fatta d'alcune opere legali di Treutlero, di Ugon Grozio e dell'Istoria della giurisdizion pontificia di Michele Roussel, fu anche proibito un libro che D. Pietro Urries avea allora pubblicato in Napoli in difesa del Rito 235 della nostra G. C. della Vicaria, intorno a' requisiti del Chericato, da riconoscersi da quel Tribunale; e perchè quel Rito, ancorchè antico, non mai però interrotto, si oppone alle nuove massime della Corte di Roma, fu tosto il libro proibito in Roma: Petri de Urries liber inscriptus: Aestivum otium ad repetitionem Ritus 235 M. C. Vicariae Neapolitanae51. Ma il Duca d'Alba Vicerè non fece valere nel Regno quel decreto, e ne scrisse al Re, da cui ne ricevè risposta sotto li 10 agosto del detto anno, maravigliandosi della proibizione fatta in Roma di quel libro dove non si difendeva, che un Rito antichissimo della Vicaria del Regno52.
Questa vigilanza si tenne presso di noi, quando si volevano far valere i nostri diritti e le nostre patrie leggi ed istituti; poichè noi, affinchè non si ricevano bolle, brevi, decreti, editti ed in fine ogni provisione di Roma senza l'Exequatur Regium, ne abbiamo legge scritta stabilita dal Duca d'Alcalà nel 1561, quando vi era Vicerè, e che leggiamo ancora impressa nei volumi delle nostre Prammatiche53: requisito che in conformità della legge era necessario, e si praticava anche ne' decreti che venivano da Roma, per li quali si proibivano i libri: ed in ciò il Regno nostro non ha che invidiare (quando si voglia) nè a Francia, nè a Spagna, nè a Fiandra, nè a qualunque altro Principato più ben istituito e regolato del Mondo Cattolico.
In Francia è a tutti noto che non han forza alcuna simili Bolle o Decreti proibitorj di Roma: sono quelli ben esaminati, e se si trovano a dovere, si eseguiscono, altrimente si rifiutano. Ciò che non potrà più chiaramente dimostrarsi, se non per quello che accadde nella proibizione dell'opere di Carlo Molineo. Avendo la Corte di Roma saputo, che non ostante l'indice Romano, per cui erano state affatto quelle proibite, venivano lette in tutti i Regni d'Europa, particolarmente in Francia ed in Fiandra, le cui Università e Censori, avendole solamente espurgate d'alcuni errori, le permettevano, tanto che giravano per le mani di tutti i Giureconsulti e d'altri Letterati, e tenute in sommo pregio; Clemente VIII riputando ciò a gran dispregio della Sede Appostolica, a' 21 Agosto del 1602, cavò fuori una terribile Bolla, colla quale sotto gravissime pene e censure proibì di nuovo assolutamente tutti i suoi Libri, anche gli Espurgati, dicendo, che non aliter quam igne expurgari possint. Rivocò per tanto tutte le licenze date, e volle che per l'avvenire affatto non si concedessero. Quindi nacque il moderno stile delle Congregazioni del S. Officio e dell'Indice, che nelle licenze, che si concedono, quantunque ampissime di legger libri, anche laidissimi e perniziosi, si soggiunga sempre: Exceptis operibus Caroli Molinei. Fu pubblicata questa Bolla, secondo il solito, in Roma a' 26 agosto di quell'anno 1602, ed affissa ad valvas Basilicae Principis Apostolorum in acie Campi Florae, soggiungendosi che tutti ita arctent, ac afficiant, perinde ac si omnibus, et singulis intimatae fuissent.
Ma che pro? niente valse questa Bolla, nè in Francia, nè nelle Fiandre, nè altrove: l'opere di questo insigne Giureconsulto niente perderono di pregio, nè erano meno stancate da' Professori ora di prima: tutti i Giureconsulti, ed ogni Pratico l'ebbe tra le mani, ed era più studiato quest'Autore, e più frequentemente allegato nel Foro che Bartolo e Baldo; e resesi così necessario, che, come dice Bertrando Loth54, nella Francia ed in Fiandra niuno insigne Pratico o Avvocato può starne di senza, particolarmente nell'Artesia, dove le Consuetudini di quella Provincia essendo simili a quelle di Parigi, gli scritti di questo Autore sono stimati più di tutti gli altri, e molta autorità ha ottenuto ne' loro Tribunali.
I Prammatici franzesi gli hanno così famigliari che non vi è arringo o scrittura che si faccia, che non sia ripiena di allegazioni tratte da quelli in qualunque materia, sia di ragion civile o canonica. Ma niun argomento più convince non essere stata in Francia ricevuta questa Bolla, e di non essersi di tal proibizione tenuto alcun conto, quanto quella magnifica ed esatta Edizione fatta modernamente di tutte le Opere di questo Autore in Parigi, e proccurata per opera ed industria di Francesco Pinson il giovane, celebre Avvocato di Parigi, il quale oltre avervi aggiunte alcune sue note molto erudite ed accomodate alla moderna pratica, aggiunse ancora alle suddette opere alcune altre appartenenti alla materia ecclesiastica, che compongono il quarto e quinto tomo. Fu divolgata questa edizione in Parigi in cinque volumi, con espresso privilegio del Re, perchè più chiaramente si conoscesse nel Regno di Francia non essersi tenuta in niun conto la proscrizione di Roma.
Ed in vero non meritavan tanta abbominazione l'Opere di questo Autore, che dovesse portar tanto orrore, il quale, ancorchè non bene sentisse in vita colla Chiesa romana, morì poi Cattolico; e se si permettono, come bene a proposito osservò Van-Espen55, l'opere de' Gentili, ancorchè piene di lascivie e di laidezze, che possono con facilità corrompere i costumi dei giovani; perchè non s'avran da permettere l'opere d'un così insigne Giureconsulto per la loro gravità, dottrina ed erudizione, dalla lezione delle quali possono ritrarre gran frutto? Tanto maggiormente che se bene in quelle vi siano mescolate alcune cose che non bene convengono colla dottrina della Chiesa romana, hanno a ciò rimediato colle loro note, ed avvertimenti Gabriele de Pineau e Francesco Pinson, in maniera che ora è più facile di poter essere contaminati i giovani dalla lezione de' libri lascivi de' Gentili, che il Giureconsulto cristiano possa essere in pericolo, leggendolo, di deviare dalla dottrina della Chiesa Cattolica.
Altri esempi non meno illustri potrebbero raccorsi dalla Francia e dalle province di Fiandra, che convincono il medesimo: come delle proscrizioni fatte in Roma del Libro di Cornelio Giansenio Vescovo d'Iprì, intitolato Augustinus, e della Bolla per ciò emanata dal Pontefice Urbano VIII nel 1643, che comincia: In Eminenti; delli decreti profferiti in Roma dalla Congregazione del S. Ufficio sotto li 6 settembre del 1657 per li quali, fra l'altre, furono proscritte le Lettere volgarmente chiamate Provinciali; della Bolla d'Alessandro VII promulgata in Roma nel 1665, per la quale furon proscritte due Censure della Facoltà di Parigi, non fatte valere nè in Francia, nè in Fiandra: e di tante altre delle quali Van-Espen trattò diffusamente56.
Solo non abbiam riputato tralasciare in quest'occasione di notare, che per tutti i Regni d'Europa i Principi hanno invigilato soprammodo, che da Roma non si proscrivano libri che difendono la loro giurisdizione e le prerogative de' loro Popoli; e con tutto che fossero da quella Corte stati proibiti, non han fatta valere ne' loro Stati la proibizione, nè permesso che i decreti fossero ricevuti, tanto che senza scrupolo vengon letti, nè la proibizione curata; poichè hanno essi scoverto l'arcano di Roma, e quanto importa, che i loro sudditi non s'imbevino d'opinioni che ripugnano al buon governo.
Ne' Regni di Spagna, come si è detto, i decreti venuti di Roma, onde si proibiscono i libri che difendono l'autorità regia, sono ritenuti e si sospende l'esecuzione57.
In Francia la cosa è notissima, e tra le prove della libertà della Chiesa gallicana58, si legge un arringo fatto dall'Avvocato del Re Domenico Talon nel Consiglio regio, per occasione d'un consimile decreto emanato dalle Congregazioni del S. Ufficio e dell'Indice, dove fa vedere che simili decreti non debbono pubblicarsi, come pregiudizialissimi alla Corona ed allo Stato; ed avverte che far il contrario cagionerebbe gravi disordini; poichè da quelle Congregazioni tuttavia l'Indice proibitorio ed espurgatorio di libri si va accrescendo, ed alla giornata prende augumento, e si proscrivono libri in diminuzione delle Regalie del Re e libertà della Chiesa gallicana, siccome eransi avanzati di proibire sino agli Arresti del Parlamento contra Giovanni Castelli, l'opere dell'illustre Presidente, Tuano, le libertà della Chiesa gallicana ed altri Libri concernenti la persona del Re e la sua regal giurisdizione.
In Fiandra dal Consiglio di Brabante co' medesimi sensi ne fu avvertito l'Arciduca Leopoldo, a cui nel 1657 dirizzarono que' Consiglieri una Consulta, nella quale l'ammonirono, che trascurare questo punto sarebbe l'istesso che rovinar l'imperio; perchè già con lunga esperienza s'era veduto, che Roma non fa altro, che proscrivere que' libri che difendono la Regia autorità, tanto che ricevere quelli decreti senz'esame e senza il Placito Regio, è il medesimo che permettere che il Papa possa proscrivere ed interdire al Re di far editti o far imprimere libri o scritti, per li quali sono difese le ragioni sue regali e de' suoi vassalli. E confermando tutto ciò con esempj di fresco accaduti, gli raccordarono che intorno a quattro anni furono in Fiandra impressi due scritti, uno sotto il titolo: Jus Belgarum circa Bullarum receptionem; l'altro: Defensio Belgarum contra evocationes, et peregrina Judicia. In quelli non si toccava niun dogma o articolo di fede, ma unicamente si difendevano le ragioni di S. M. di non ammettersi Bolle senza il Placito Regio: ciò non ostante, erano stati da Roma con decreto Pontificio proscritti: tanto che bisognò che il Consiglio del Brabante con suo decreto facesse cassare ed annullare la proibizione, come si legge dell'arresto rapportato da Van-Espen nel suo Trattato De Placito Regio59.
Questa medesima vigilanza tennero anche un tempo i nostri Vicerè, e sopra tutti, come vedremo ne' seguenti libri di quest'Istoria, il Duca d'Alcalà: la tennero ancora il Conte di Benavente ed il Duca d'Alba, per la proibizione fatta a libri del Curte e d'Urries; ma ora par che in ciò siasi perduto quel vigore e zelo che si dovrebbe tenere del servigio Regio e del Pubblico; e siansi alquanto i Ministri del Re raffreddati in un punto cotanto importante: ciò che hammi mosso a far questa digressione. Non solo si veggono uscir da Roma libri pregiudizialissimi alle ragioni del Re e de' suoi vassalli, ma si permette che s'introducano nel Regno, e la loro lezione non è vietata; ma quello che merita più tosto riscotimento che ammirazione, è il vedersi che all'incontro si proibiscono in Roma ogni dì colla maggior facilità tutti i libri, ove si difendono, contro gli attentati di quella Corte, le ragioni del Re e delle Nazioni; e senza che i Decreti o Bolle siano qui ricevute, senza che vi s'interponga Regio Exequatur, che presso noi è per legge scritta indispensabile a tutte le provisioni che vengano da Roma, niuna eccettuata, si permette l'effetto, non si puniscono chi le osserva, e si crede il suddito peccare leggendogli contro il divieto di Roma, e non peccare rompendo la legge del Principe, per la quale queste provisioni, quando non siano avvalorate di Regio placito, si riputano nulle e di niun vigore, ed in effetto, è come se non vi fossero. E qual maggiore stupidezza fu quella ne' trascorsi anni tra noi usata, che contendendosi tra la Corte di Roma, e 'l nostro Re intorno a' Benefici che giustamente si pretendono doversi conferire a' Nazionali, ed il Principe l'avea con suo Editto comandato; appena uscite tre nobili Scritture, che difendevano l'Editto, e lo dimostravano conforme non meno alle leggi, che a' canoni, si videro tosto in Roma con particolar Bolla di Clemente XI proscritte e condannate alle fiamme, e noi taciti e cheti non farne alcun risentimento; ed all'incontro le contrarie girar attorno libere e franche, senza che si fosse lor dato il minimo impedimento? Anzi siam ridotti a tal vano timore, che non s'ardisce di dar alle stampe opere per altro utilissime, sol perchè si temono queste proscrizioni di Roma.
All'incontro non avviene così de' libri di Roma, che sono stampati e cento volte ristampati, e corrono sempre per le mani di tutti, donde la gente viene universalmente imbevuta di quelle opinioni pregiudizialissime all'autorità del Re ed alle ragioni de' Popoli. Forse altri dirà, non doversi di ciò molto curare, e non piatire in ogni passo per vane parole: non l'intende però così Roma. Sono parole sì, ma, come altri disse, parole che tirarono alle volte eserciti armati: parole che istillate continuamente agli orecchi dei Popoli, gli rendono persuasi di ciò che scrivono, onde nasce l'avversione, la contumacia e l'indocilità di non potergli poi più ridurre alla diritta via: condannano perciò nelle occasioni la parte del Principe, stimano noi miscredenti, e che si voglia colla forza solo sopraffargli. Empiono di false dottrine le coscienze degli uomini, e sovente pregiudizialissime allo Stato; onde nasce che si creda da alcuni potersi usar fraude ne' pagamenti de' dazj e delle gabelle; e se siano imposte senza licenza della Sede Appostolica, credono che non siano dovute, perchè così leggono nella Bolla in Coena Domini, e così ne' loro Casuisti e Teologi. Quindi s'apprendono i tanti alti concetti della potenza e giurisdizione ecclesiastica, ed all'incontro i tanto bassi della potestà del Principe60. Ma di ciò sia detto abbastanza e prendane chi può e deve di ciò cura e pensiero. Di questa mia qualsisia opera ben prevedo che l'abbia da intervenire lo stesso; ma io che, nè per odio, nè per altrui compiacenza ho intrapreso a scriverla, ma unicamente per amor della verità, e per giovare a coloro che vorranno prendersi la pena di leggerla, se ciò l'avverrà, rivolto al Signore che scorge i cuori di tutti ed a cui niente è nascoso, lo pregherò vivamente che la benedica egli, ed istilli negli altrui petti sensi di veracità e d'amore.
43
Fra' quali è da vedersi Van-Espen de Promulgat. Ll. Eccl. par. 4 cap. 1 § 1, 2 et 3.
44
Decr. Conc. Trid. sess. 18.
45
Si legge questa Bolla nell'Indice Tridentino, e nel Bullario tra le Costituzioni di questo Pontefice, sotto il num. 77.
46
Van-Espen de Usu placiti reg. par. 4 c. 2 § 3.
47
Van-Espen l. c.
48
Franc. Salgado de Supplicat. ad SS. par. 2 c. 38 num. 141.
49
Leggesi nell'editto del 1605 sotto Clem. VIII nell'Indice de' libri proib.
50
Questa consulta si legge tra' M. S. di Chiocc. tom. 17 de Typograph.
51
In Indice libr. prohib. sub Urban. VIII ann. 1627, 4 Feb. V. Petram. d. Rit. 235.
52
È da vedersi la lettera del Re nel t. 17 de' M. S. Giur. di Chioc.
53
Prag. 5 de Citation.
54
Bertrand. Loth in Resol. Belgic. tract. 14 quaest 2 art. 7.
55
Van-Espen par. 4 de Usu plac. Regii, cap. 2 § 4.
56
Van-Espen loc. cit. cap. 3, 4, 5 et 6.
57
Salgad. de Supp ad SS.
58
Probat. libert Eccl. Gall. cap 10 num. 11.
59
Van-Espen in Appendice, litter. E.
60
V. il P. Servita nell'Istoria dell'Inquis. ver. fin.