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PREFAZIONE DELL’AUTORE ALLE PRECEDENTI DUE EDIZIONI CARTACEE

È questo un romanzo ambientato in un’epoca di isterie religiose, di caccia alle streghe e della donna considerata come una cosa, nonostante lo sbandierato precetto cristiano di amare il prossimo e l’affermazione neotestamentaria che “non c’è più uomo, non c’è più donna, ma tutti sono eguali davanti a Cristo”.

Anche se si tratta di un’opera di narrativa, ho tentato d’immergermi nella mentalità del ‘500. Come gli storici sanno, nel guardare al passato bisogna eliminare, il più possibile, il sentire contemporaneo, ché altrimenti si rischierebbero giudizi astorici. Ad esempio la pena capitale, oggi, è normalmente giudicata cosa atroce, nel ‘500 era considerata ovvia punizione e si pensava che l’assassino pentito scontasse con la morte tutti i suoi peccati, salendo così al Paradiso. Come vedremo, già c’era invece chi si batteva contro la tortura, ben prima del Beccaria.

Intervengono nella narrazione personaggi di fantasia e altri realmente vissuti. Il protagonista stesso è figura storica, il cui nome è rimasto per un suo trattato contro la stregoneria. Si sa che era avvocato. Non risulta che fosse giudice pontificio come io immagino. L’ho dipinto uomo privo di auto ironia. Ho cercato d’infilare io ironia e – nero – umorismo involontari, in certi suoi atteggiamenti e in certe sue descrizioni e considerazioni. L’avvocato Ponzinibio e il tremendo domenicano Spina sono anch’essi realmente esistiti, oltre che, naturalmente, le grandi figure storiche che richiamo nell’opera. Pure l’indemoniato Balestrini è veramente vissuto, solo che risiedeva in Piemonte e non nel Lazio: un caso che oggi si potrebbe dire di mitomania e schizofrenia con istinto suicida. Il giovane vescovo Micheli è invece personaggio fantastico, anche se è immagine di alcuni alti prelati che furono accusati di eresia perché predicavano la carità evangelica, i cardinali Pole, Sadoleto e Morone. Pure sono di fantasia, oltre a figure minori, Mora, il cavalier Rinaldi, il principe di Biancacroce. Quest’ultimo ho mantenuto sempre sullo sfondo, incombente.

L’idea del romanzo m’era sorta dopo una ricerca sulla caccia alle streghe per capire, almeno, le ragioni storico – sociali di tanta barbarie al culmine dell’epoca rinascimentale. Quanto avevo trovato è sintetizzato nelle considerazioni dell’avvocato Ponzinibio, del vescovo Micheli, del cavalier Rinaldi e, da un certo punto dell’opera, del protagonista.

Nel XVI secolo persisteva la forma allocutiva voi, ma ormai accanto al lei che, anzi, la stava soppiantando: ho preferito questa perché naturale tanto per me quanto per la maggioranza dei lettori, dato che il voi sopravvive solo in alcune zone del meridione d’Italia. Ho tentato, a volte con l’intento di far sorridere, una lingua che, pur essendo di gran norma moderna, richiamasse in qualche luogo quella del XVI secolo.

Guido Pagliarino

Il Giudice E Le Streghe

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