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PREFAZIONE DELL’AUTORE

Il pudico Governo che guidava l’Italia quand’ero piccolo, anni ‘50 del XX secolo, si faceva carico scrupolosamente di salvaguardare la buona morale dei cittadini e, in primo luogo, di rispettare l’innocenza dei bimbi, arrivando a far indossare mutandoni sulle nude gambe delle ballerine negli spettacoli di rivista della neonata TV statale, canale unico, che il sabato sera allietavano domesticamente i possessori dei primi televisori in bianco e nero; ma quel verecondo Governo, per contro, non si preoccupava affatto d’inquietare l’infanzia, me compreso, programmando al pomeriggio documentari naturalistici con sequenze di animali che assalivano e divoravano animali: leone antilope, serpente topo, pesce grosso pesce piccolo o, caso peggiore, squalo foca, e così via; e si aggiunga che al cinema, cui i miei genitori mi portavano nel pomeriggio della domenica, essendo allora comune il “cortometraggio” fra uno spettacolo e l’altro, non poche volte dovevo assistere, a colori, ad analoghe esibizioni di carnivora ristorazione animale. Sembra che oggigiorno simili cose non preoccupino minimamente i piccoli, adusi a elettronici giochi di gran violenza, ma certamente non era così in quel tempo di più candidi giocattoli fisici: trenino, meccano, macchinine, biglie... Io mi chiedevo ogni volta con ansietà: “Perché la natura è così malvagia? Dio non avrebbe potuto fare il mondo diversamente?”

A parte gli ebeti, che si dice siano sempre contenti, nessuno, io penso, prima o poi non s’è posto drammaticamente il più generale quesito: “Perché c’è il male?” e non ha cercato di adattare la propria vita alla risposta, sempre che ne abbia trovata una: persone comuni, filosofi, religiosi. Così è stato e continua a essere, lungo tutta la Storia:

Molto anticamente in India sorge un discreto concetto per assicurare ordine sociale e scansare, per quanto possibile, il male che viene dall’uomo - se non altro quel particolare dolore, ché quello che viene dalla natura è invece quasi invincibile, almeno a quei tempi, ad esempio nessuna malattia seria è curabile -: si tratta dell’idea combinata della metempsicosi e delle caste: fai il male e ti reincarni in un vermiciattolo, fai il bene – chi sa come può un anellide ermafrodita fare il bene - e recuperi posizioni e puoi tornare a essere uomo, anche se solo paria per il momento, e quindi salire di casta fino a divenire, reincarnazione dopo reincarnazione, addirittura un sacerdote; ma attenzione a non scadere di nuovo nel male, se no... L’idea di un fine ultimo non c’è ancora, le reincarnazioni sono eterne, al male esistenziale non si sfugge mai. Bisogna aspettare il buddha, VI secolo a.C., perché l’incarnarsi in una bestia sia tolto di mezzo e, soprattutto, si sgomberi l’idea dell’eternità delle vite. Ora si può sperare di porre fine a una pena prima creduta eterna, adesso finalmente c’è, sia pur lontanissima, la mèta del dissolversi della persona nell’oblio-Nirvana. Già, ma “perché, di fondo, il male?” “Comunque”, risponde il buddismo, “sono i desideri materiali ad aumentare le ambasce del cuore, cerchiamo almeno di annullare quelli; e l’essenziale è che, alla fine, non ci si reincarni più”. In Oriente il ciclo delle rinascite è inteso ancor oggi con afflizione; chi sa perché, invece, oggidì nel nostro Occidente a molti la reincarnazione piace assai, tanto da preferirla all’idea d’origine giudeo-cristiana di vita eterna gioiosa in Dio.

Per gli antichi Ebrei è tutta colpa del peccato originale di Adamo se si soffre, comunque chi è giusto ha una vita e una discendenza prospere anche se poi, essendo discendente della prima coppia peccatrice, muore per sempre. Siamo dopo l’esilio babilonese nel secolo VI a.C. entro l’ambiente del secondo Tempio, in cui si stendono i cinque libri del Pentateuco - non scritto, come invece molti credono ancor oggi, ai tempi e per mano di Mosè1 -, dei quali il primo, la Genesi, avverte che Dio è buono e tutto quanto ha creato lo è, tant’è vero che nello stesso testo egli è mostrato mentre se ne compiace; è buona anche la libertà che ha concesso all’essere umano, peccato che questi abbia scelto il male e rovinato tutto, non solo la propria vita ma il mondo intero che è diventato cattivo come lui: prima il leone pascolava con l’antilope. Fuori dal simbolo, gli autori di questi passi dicono in sostanza, mostrando il mitico Eden: “Vedete come Israele sarebbe felice se non peccassimo?” All’idea della vita eterna si giunge solo attorno al III secolo a. C., ebrei della setta dei farisei ne hanno l’illuminazione e la mettono per iscritto: per essi la persona dei giusti, grazie a Dio, risorgerà con la sua individuale intelligenza - i giusti sono loro, i farisei, parola che non per nulla significa “i separati”, gli unici giusti, potremmo dire -. Un’altra setta, quella dei sadducei, non è d’accordo, per costoro si muore e basta, come tutti quanti la pensavano fin ad allora; inoltre, per maggior disaccordo, sono sacri secondo loro solo i libri che ritengono i più antichi, i cinque scritti, credono, da Mosè in persona. detti nel complesso la Legge, la Torah: in ambiente cristiano saranno il Pentateuco; i farisei, diversamente, accettano come Parola anche molti altri testi che saranno poi accolti pure dai cristiani.

In Persia col Mazdeismo, culto del dio Mazda basato sugli insegnamenti di Zarathuštra o Zoroastro, pensano di risolverla immaginando un unico dio del bene, Ahura Mazda il quale fin dai primordi s’è scisso in due parti, un po’ come fa una cellula, originando uno spirito divino del male chiamato Angra Mainyu o Ahreman ovvero Ahriman o, in italiano, Arimane. Non è chiaro perché ciò sia capitato, è di fede che ciò è avvenuto contro la volontà dello stesso benigno Ahura Mazda. I due spiriti primordiali sono gemelli, ciascuno è dotato di propria individuale volontà. Essi sono perennemente in lotta, per adesso la vince di norma il cattivo e noi soffriamo, ma poi… Essendo i due iddii riferibili a una comune matrice, si tratta di una Divinità bifronte ma unica, per cui si può parlare, a ben vedere, d'un credo monista anche se con l’esteriore aspetto di culto dualista: il dualismo vero e proprio adora esclusivamente un dio buono e insieme cattivo, non adora due dèi, l’uno positivo e l’altro negativo, pur se originati dalla scissione di un unico iddio originario.

Per i Greci - in particolare per Platone - la materia, eterna e non creata da Dio, è stata modellata nelle forme e secondo le leggi del nostro universo da un artefice e legislatore divino, un bel tipo d’incosciente arruffone chiamato il Demiurgo, cioè l’Artigiano: gli animi umani sono stati infelicemente imprigionati nei corpi. Bisogna filosofare migliorandosi, reincarnandosi così in uomini sempre migliori, fino alla cessazione delle incarnazioni e a essere di nuovo, una volta per tutte, spirituali. Su tal idea basilare successivi pensatori, riuniti in vari gruppi e gruppuscoli, persone di spirito assolutamente elitario, ritengono che soltanto alcuni individui, essi stessi per l’appunto, siano spirituali, mentre la maggior parte degli altri, no; esclusivamente per il loro bene è venuto sulla terra un salvatore–rivelatore della vera sapienza divina e grazie a lui essi non si annichiliscono morendo ma si possono salvare dalla materia e quindi dal dolore sopravvivendo felici: solo loro, gli pneumatici o spirituali che hanno in sé l’eterno pneuma o scintilla divina; non tutti gli altri, gli ilici o materiali, che sono mortali perché posseggono solo il corpo e l’anima - o psiche – che periscono. Alcuni gnostici però, i valentiniani, meno ingenerosi pensano che ci sia un’altra categoria al mezzo, quella degli psichici, i quali sforzando la loro anima-psiche possono arrivare al punto di spiritualizzarla sufficiente per poter, almeno, sopravvivere ai margini del pleroma divino, se non nel suo bel mezzo come loro, i privilegiati, gli spirituali.

Pure la pensano elitariamente certi ebrei non ortodossi che, peraltro, su alcune cose secondarie la vedono diversamente.

Gli uni e gli altri sono definiti gnostici dagli studiosi moderni, mentr’essi si definivano, semplicemente, pneumatici.

Diversamente dagli gnostici, per la maggior parte dei pensatori giudei e poi per quelli cristiani la Rivelazione divina non è un’illuminazione dovuta a un salvatore-rivelatore, essa procede a tappe nella Storia e, via, via, sull’insegnamento della stessa, viene trascritta nei libri biblici, cioè nel Primo, o Antico, testamento e nel Nuovo testamento, il secondo scritto a far capo dai primi anni ‘50 d.C. - alcune lettere di Paolo - e concluso entro il decennio 90-100 - Vangelo di Giovanni -2 ; Nuovo testamento che è interamente dedicato alla figura di Gesú di Nazareth detto l’Unto, cioè il Messia dall’ebraico e il Cristo dal greco: ebrei suoi apostoli prédicano, secondo i credenti in parole ispirate da Dio, ch’egli è risorto in corpo e anima per virtù sua propria e che dunque, oltre che uomo, è Dio stesso; e alcuni loro discepoli pongono per iscritto la sostanza delle loro parole formando così, via, via, i ventisette libri del Nuovo testamento; ad esempio Marco, discepolo di Pietro, ne riporta la predicazione scrivendo uno dei quattro Vangeli. Quei primissimi cristiani non sono elitari come i farisei e come gli gnostici, affermano che, grazie al Salvatore-Cristo, tutti gli esseri umani possono avere la vita eterna, che il loro corpo materiale e psichico si trasformerà, morendo, e risorgerà in forma gloriosa e spirituale sopravvivendo eternamente e gioiosamente in Dio, proprio come è accaduto alla persona di Gesù: purché si segua l’esempio d’amore di lui e si creda ch’egli è risorto. Cercano di farla sapere dappertutto, la magnifica notizia della Risurrezione; purtroppo a certi ebrei, precisamente all’élite che ruota attorno al tempio e al sinedrio - parlamento - di Gerusalemme e, presto, anche a tanti romani tal idea non piace, così fanno ammazzare o ammazzano direttamente gli apostoli, i discepoli e i loro seguaci: di regola in modi orribili.

Gli gnostici, curiosi delle novità, s’interessano quasi subito al Cristianesimo e molti, ma alla loro maniera, si cristianizzano: dicono che il vero Cristianesimo è il loro e che di risurrezione del corpo, neanche a parlarne; e continuano a insistere che solo loro, gl’illuminati, si salvano.

Da quel tempo non cessano più le diatribe fra gnostici cristianeggianti e cristiani doc, diverbi acerrimi nei primi secoli dell’era cristiana; ma… i membri della Chiesa, qui non importa discernere fra cattolica, ortodossa e riformata, sono davvero i cristiani doc? Gli antichi gnostici credevano d’essere i veri e soli cristiani mentre ancora ai nostri tempi, secondo certi studiosi, ad esempio il Bultmann, il Cristianesimo è derivato dallo Gnosticismo che sarebbe Gnosticismo, per così dire, annacquato; ma… una disputa in merito è giustificata? A me sembrerebbe una questione di lana caprina, un almanaccare senza costrutto, come lo era per Orazio3 l’elucubrare se l’aggrovigliato, pungente e ruvido vello delle capre, inconfondibile col vello ovino, fosse lana oppure pelo. Per me è pura e semplice opzione personale il ritenersi vero cristiano in quanto s’accolgono i concetti ecclesiali ovvero perché si fanno proprie le nozioni gnostiche: scelte entrambe oneste se ciascuna sia tenuta per sé, non pretendendo d’imporla violentemente agli altri come se fosse l’unico Vero Cristianesimo. Qualora si ritenesse utile saperlo, io m’annovero fra i cristiani della prima opzione.

Guido Pagliarino

La Sfida

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