Читать книгу La Tragedia Dei Trastulli - Guido Pagliarino - Страница 12

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Capitolo V I

Circa quattro giorni e mezzo dopo la denuncia di sparizione, verso il mezzodì di giovedì 23 luglio 1964, la salma del geometra Trastulli era stata ritrovata nel Po da una nostra pattuglia, grazie a una segnalazione anonima, forse d’un pescatore di fiume o d’un canottiere, inviata da una cabina telefonica stradale: il corpo, vestito con gli stessi abiti coi quali l’uomo era scomparso, emergeva frammezzo a ceppaie d’alberelli protesi compatti, a pelo d’acqua, fra i ponti Franco Balbis e Principessa Isabella.

L’affogamento avrebbe potuto esser avvenuto fra quelle frasche o, diversamente, era possibile che l’uomo fosse finito in acqua più a monte e, essendo annegato, il corpo fosse stato trasportato a valle dalla corrente, infrascandosi poi nella fitta ceppaia.

Per il medico legale la morte era occorsa alla sera o nelle iniziali ore della notte del 18 luglio, circa 110-115 ore prima del ritrovamento del cadavere, come aveva scritto nella sua relazione. Il decesso era sicuramente avvenuto per annegamento e l’analisi del liquido nei polmoni aveva accertato acqua impura di fiume con tracce delle varie sostanze chimiche presenti in quel Po torinese ch’era stato limpido e colmo di pesci fin al boom economico, poi aveva cominciato a inquinarsi a causa di scarichi industriali e, attraverso gli sbocchi delle fogne, delle più varie sostanze nocive, come, per esempio, i residui di lavaggio dei detersivi per lavatrice. Nessun affogamento altrove, dunque, da parte d’un eventuale assassino, in acqua potabile di lavabo o vasca da bagno gettando poi il morto nel Po per farlo credere affogato in Po. La necroscopia aveva anche verificato non esserci indizi d’aggressione: nessuna ferita d’arma da fuoco o da taglio né ematomi, solo qualche graffiatura a corpo morto, non improbabilmente per urti e strusci contro rametti e semigalleggianti portati dalla corrente.

“Vittorio,” avevo detto all’amico appellandolo col tu, essendo in ufficio solo noi due, “penserei che, come risulta dal verbale di denuncia, essendo il geometra non solo anziano ma, in quei giorni, pure fiacco, se lo si fosse aggredito non sarebbe stato necessario usargli violenza, sarebbe bastato intimargli di tacere sotto la minaccia di un’arma, imbavagliarlo perché non gridasse, portarlo con un furgoncino o nel bagagliaio d’un’auto sin a fiume, tirarlo fuori, prenderlo di peso, leggero com’era, spostarlo a fiume, mettergli la testa in acqua sin all’affogamento e farne scivolare dentro la salma: solo al calar del buio, ovviamente, dato che in questo mese c’è ancora luce fin a tardi, diciamo attorno alle 21 o un po’ dopo, tenendolo prima celato, legato e imbavagliato, in qualche luogo chiuso.”

“A meno d’andare in una delle zone del Po cui è possibile accedere con l’auto e che sia ben riparata da vegetazione verso terra e verso fiume, proprio come il posto dove la salma è stata ritrovata in una ceppaia”, aveva puntualizzato Vittorio.

“Già.”

“Comunque, non l’avrebbero fatto per rapina, semmai per vendetta o per un qualche interesse diverso dalla rapina; e avrebbero dovuto essere in più d’uno per minacciarlo, legarlo e imbavagliarlo eccetera.”

“Va bene, ma perché non per rapina?”

“Ran, il Po scorre troppo lontano dal suo appartamento, che come sai è in via Cernaia, e lui aveva detto ai suoi di voler fare, al suo solito, una passeggiatina prima di cena, non una marcia ultra chilometrica, a parte che per il suo fisico deboluccio non ne sarebbe stato, forse, nemmeno in grado. Dunque avrebbero dovuto rapinarlo nei paraggi di casa, ma in tale caso, se fossero giunti a ucciderlo, l’avrebbero fatto nel solito modo di quei delinquenti, una coltellata o una botta tremenda, non in modo macchinoso trasportandolo fin a Po per poi affogarcelo.”

“Logico.”

“Già; e nemmeno penso, sempre per l’assai poco verosimile passeggiata ultra chilometrica sin al fiume, che il geometra fosse caduto in acqua da solo, causa un passo malfermo, passeggiando lungopò30 . No, lui non c’era andato, a Po, o quanto meno, non a piedi; per come lo conoscevo io, era uomo di carattere; tuttavia, e poniamola come ipotesi teorica, se avesse voluto suicidarsi, sarebbe giunto al fiume sopra un taxi o un tram o un autobus. Potremmo supporre con verosimiglianza un suicidio solo qualora ne trovassimo una causa potente, come una tremenda depressione nervosa; un semplice momento di sconforto non l’avrebbe portato a tanto, lo conoscevo abbastanza da poterlo supporre; e secondo quanto hanno detto moglie e figli nell’esposto… ecco, ti leggo le loro parole precise: Era agitato e si sentiva debole: siamo inquieti, ebbene, Ran, secondo tali parole non soffriva d’una profonda prostrazione psichica, era solamente nervoso e stanco; e cause di suicidio diverse da un gigantesco esaurimento nervoso non vedrei.”

“Certamente non cause economiche, infatti dal verbale risulta che la ditta di famiglia è prospera nonostante la crisi.”

“No, Ran, proprio prospera non è più, per la crisi hanno qualche grana, ma ascoltando i loro discorsi attraverso la maledetta parete, non m’era mai parso si trattasse di problemi colossali. Tieni peraltro conto che non è affatto strano che ci abbiano dichiarato che gli affari vanno a gonfie vele, anzi è cosa del tutto normale: gl’imprenditori, anche quando incontrino difficoltà, si guardano bene dal farne mostra, si fingono floridi sempre, e non solo coi fornitori e con le banche ma con tutti, al fine della propria buona fama presso la clientela. Quanto all’armonia in famiglia, quella non c’è da sempre, i Trastulli questionavano fra loro anche in passato, per motivi di lavoro, quando il loro negozio era pieno di gente. Mai udito nulla di tragico, solo le solite diatribe e accuse di non enorme importanza; ad esempio, solo un paio di settimane fa, avevo sentito il figlio più giovane accusare madre e fratello d’aver venduto un frigorifero carissimo a un nullatenente che abita in zona ed è notoriamente un nullafacente che, secondo Clemente, le avrebbe fatte finire sicuramente in protesto; e di seguito, l’avevo udito imputare al padre d’essersene rimasto inerte invece di bloccare l’iniziativa. La mamma, in risposta, oltre a negare d’aver sbagliato, aveva rinfacciato a Clemente d’essere sempre stato affettuoso col padre soltanto mentre, con lei e l’altro figlio, no, perché era perfido; il maggiore le aveva fatto eco con Hai ragione, mamma. Da parte sua la nuora francese s’era dichiarata molto infastidita dai litigi e da un marito non abbastanza indipendente dalla madre e aveva minacciato di prendersi le figlie e tornarsene con loro in patria dai propri genitori, che sarebbero ricchissimi stando a quanto aveva detto. Le bimbe, poverine, mute e taceva pure il geometra, ma questo non significa che fosse esaurito, poteva essersi chiuso nel mutismo perché indispettito.”

“Ho capito, Ah, senti! me n’ero dimenticato di riferirti che il Pitrini m’aveva detto, consegnandomi il verbale di denuncia della scomparsa del Trastulli, che sua moglie e i suoi figli gli erano apparsi non granché tesi.”

“Hm… mah! Forse hanno un carattere molto forte, però questo non significa che non gli volessero bene. No, non mi pare molto importante, comunque lo tengo presente. Caro Ran, sai che ti dico? Che al contrario, io non nascondo per nulla che mi dispiace moltissimo che il Trastulli sia morto. Lo conoscevo quale persona, intelligente, mite e idealista. La società perde con lui un uomo di valore.”

Il commissario capo Vittorio D’Aiazzo aveva assegnato l’indagine sul Trastulli al vice commissario Aldo Moreno che, sin da fine dicembre ‘61, su istanza dell’amico al vice questore comandante della nostra sezione, aveva avuto la direzione dell’unità operativa ch’era stata dello stesso Vittorio. A parte me, destinato con lui a superiori uffici, la squadra era rimasta la stessa con vice comandante Evaristo Sordi, promosso vice brigadiere per normale avanzamento di carriera, provenendo dalla Scuola Allievi Sottufficiali. Peraltro il mio amico aveva informato il Moreno che avrebbe cooperato con lui, avendo conosciuto personalmente il defunto in quanto suo condomino nonché consocio ANPI.

Essendo stata accertata con sicurezza la morte per annegamento in fiume e non essendosi riscontrati indizi d’aggressione, il Tribunale aveva autorizzato l’inumazione del cadavere.

L’amico sapeva che la signora Trastulli era una cattolica praticante ed era convinto che avrebbe voluto per il defunto marito onoranze religiose. Qualora però l’indagine avesse accertato un suicidio e non un infortunio mortale, in base alle norme ecclesiastiche, in quel tempo rigidissime, il feretro non avrebbe potuto esser ammesso in chiesa, solo ricevere una svelta benedizione alla porta del cimitero; e sicuramente la vedova e forse tutta la famiglia ne avrebbe sofferto. Per il momento, nondimeno, restavano ancor aperti gl’interrogativi e l’amico, forzando un po’ la situazione, dato che un incidente tanto lontano da casa continuava ad apparirgli non verosimile, aveva voluto riferire personalmente al parroco della comune parrocchia, Santa Barbara, che non s’era arrivati a sicure conclusioni sui motivi della morte ma si supponeva un infortunio, non essendosi riscontrate serie motivazioni per suicidarsi: non aveva inframmezzato le parolette per ora, anche se le indagini erano in corso. M’avrebbe detto: “L’ho fatto per carità cristiana, la disposizione è troppo rigida, non mi pare proprio che consideri l’evangelico comando Non giudicate, se non volete essere giudicati. Chi può dimostrare che un suicida sia in sentimenti quando s’ammazza? O che non si penta nell’istante del trapasso?”

“Anche se avesse lasciato per iscritto l’intenzione d’uccidersi?”

“Ran, potrebbe pur sempre essersi pentito una frazione di secondo prima di schiattare.”

Evidentemente Vittorio, a differenza del suo portinaio, non era un baciapile; e qua gli era scattato in mente il suo personale concetto di purgatorio e non aveva resistito a parlarmene. Va precisato che la sua conoscenza del pensiero cattolico era notevole, acquisita su saggi teologici che leggeva regolarmente a fianco di testi filosofici. M’aveva chiesto: “Ran, sai cos’è davvero il purgatorio?”

“Mah, dicono si tratti di gente morta che soffre tra le fiamme a mezzo busto per anni e anni prima d’andare a Dio, a differenza dei dannati che son tutti avvolti dal fuoco per l’eternità.”

“Ah ah!” aveva riso bonario: “No, Ran, quelle sono raffigurazioni simboliche. La precisa definizione di purgatorio è del concilio di Trento31 ed è… ma t’interessa? Se no tralascio.”

“Sì, sì, t’ascolto.” Vittorio doveva aver notato disinteresse sul mio viso. Mentre assentivo, avevo procurato d’atteggiarlo all’opposta espressione.

“Ah, allora senti: la definizione è, più o meno questa: Una pena temporanea – nota bene: temporanea – per i giusti con residui di peccato. Tra i giusti eccetera, si comprendono anche i pentiti all’ultimo istante, perché si sono riconciliati con Dio, sia pur per il rotto della cuffia. Adesso dimmi se sai perché Dante mette il purgatorio sul pianeta Terra e non nei Cieli.”

“Beh, non so, forse perché il monte del purgatorio s’è formato, secondo l’immaginazione del Poeta, agli antipodi dell’ingresso dell’inferno, a causa del demonio precipitato da Dio giù sulla selva oscura presso Gerusalemme, dove il suo corpo satanico è sprofondato fin al centro della Terra creando un’enorme voragine a imbuto nel suolo, l’inferno; e il terriccio spostato in conseguenza è stato spinto verso gli antipodi ed è in parte emerso alla luce dall’altra parte, come monte del purgatorio: così ricordo dagli antichi studi.”

“Uhe’, un endecasillabo! Così ricordo dagli antichi studi: poeta anche sul lavoro, eh?” m’aveva burlato cordialmente.

Gli avevo risposto sorridendo con simulata sicumera: “Già, già, non metto mai limiti alla mia vena!”

Ne aveva ridacchiato, compiacente, quindi aveva proseguito serio: “Intendevo parlare del motivo teologico, Ran: Dante lo pone in terra perché, essendo una pena temporanea, cioè nel tempo, non può essere di là, nei simbolici Cieli, cioè nel Trascendente divino, dove il tempo non c’è. Invece, come ben sai, il nostro universo è spazio-tempo.”

“Sì, so che prima del mondo non c’è il tempo, non lo studiai solo in fisica ma pure in filosofia trattando Agostino d’Ippona che scriveva, ne Le Confessioni, che Dio crea il tempo e il mondo insieme, cioè tutt’e quattro le dimensioni congiuntamente, dicendola modernamente. Quindi prima che iniziasse l’universo, cioè prima del Big Bang e, per voi credenti, prima dell’atto creativo divino, il tempo non c’era.”

“Sissignore. Dunque il purgatorio, pena nel tempo, non è nell’Al di là, dove non c’è il tempo, non nei simbolici Cieli, ma nel di qua. Per me, è un istante minimo prima della morte, quindi ancora nel tempo, che Dio allarga nella mente del morente consentendogli, appunto, tutto il tempo, sia pur soggettivo, necessario per riconciliarsi con lui: anche anni, se occorrono. Messe e preghiere in suffragio sono successive ma sono già conosciute dall’Onnisciente, che ne tiene subito conto per ridurre la durata soggettiva della pena di riconciliazione. Se non fosse così, secondo il mio modo di vedere, avrebbero ragione gli evangelici che negano la realtà del purgatorio, suppongo perché considerano l’idea che ne ha la norma dei credenti, cioè che il purgatorio sia dopo la morte e, quindi, non nel tempo, in contrasto alla stessa definizione del concilio tridentino. Oh, questa cosa, non raccontarla in giro, che se la sente un qualche vescovo, mi scomunica. No, scherzo. Comunque hai capito perché t’ho fatto tutta ’sta tiritera sul purgatorio pena nel tempo?”

“Perché il Trastulli potrebbe sì essersi suicidato, ma per un momento prima di morire potrebbe aver scontato il suo purgatorio soggettivo ed essersi salvato: quindi meglio che la messa funebre sia celebrata.”

Ridente: “...e bravo Ran! 30 con lode in teologia!”

“...e in eresia?”

“Mah!”

La Tragedia Dei Trastulli

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