Читать книгу La Tragedia Dei Trastulli - Guido Pagliarino - Страница 7
ОглавлениеÈ bene che, a questo punto, prima ch’io prosegua con la narrazione, disegni , sia pur a rapidi tratti , il periodo storico italiano in cui la nostra vicenda si svolge, non solo per presentar n e l’ ambient azione, ma soprattutto in quanto certi eventi e luoghi di quegli anni furono causa prima di vicissitudini e drammi d ei nostri personaggi.
La popolazione di Torino e dintorni s’era ingrandita dall’inizio degli anni ‘50, causa l’immigrazione da altre regioni, soprattutto meridionali, di famiglie in cerca di lavoro. L’accrescimento s’era velocizzato durante il cosiddetto boom economico, fin a oltre seicentomila nuovi residenti: Torino era divenuta metropoli, un milione d’abitanti e, con le località della prima cintura, quasi due milioni. Gl’immigrati miravano a essere assunti, di gran preferenza, alle catene di montaggio FIAT, poderosa società ch’era ancora quasi interamente torinese, potente in città più di sindaco, assessori e consiglieri comunali. Alla FIAT e a molte altre imprese, numerose delle quali satelliti della prima, quei lavoratori servivano, eccome; non erano state però preparate abitazioni per i loro nuclei familiari, né dalla FIAT, né da aziende sue satelliti, né dal Comune, solo dalla fine degli anni ‘60 si sarebbe provveduto a costruire quartieri periferici popolari. Era così sorta, alzata da quelle stesse misere persone trapiantatesi a Torino, una miriade d’improvvisate baraccopoli, sia nei sobborghi della città, sia in diverse sue zone, mentre solo i meno sfortunati avevano trovato riparo in dimore del centro, soprattutto nella zona di Porta Palazzo entro piccoli alloggi e in soffitte di palazzi di ringhiera settecenteschi, alcuni fatiscenti. Questa massa umana, assunta al lavoro accontentandosi di salari molto bassi, aveva fatto da carburante potente al cosiddetto miracolo economico italiano, o boom che dir si voglia. Tale boom, nondimeno, non era proseguito ininterrottamente: nel 1963 aveva avuto pausa l’euforico quinquennio, come l’avrebbe definito l’anno seguente l’ipercritico deputato repubblicano Ugo La Malfa, uomo della sinistra non marxista stimatissimo da mio padre, repubblicano storico23 , così come, sul suo modello, lo scrivente Ranieri Velli.
L’espressione miracolo economico s’era spenta, l’entusiasmo degl’industriali e dei commercianti era calato di molto e quindi era caduto, mentre gli occupati nell’industria e nei servizi avevano preso a preoccuparsi, sotto minaccia di licenziamento o di già licenziati, avendo ormai iniziato a gustare un certo benessere, integrando i loro consumi primari con beni durevoli, pagati a rate con cambiali, quali il frigorifero, la lavatrice, il televisore, con formidabili affari per le industrie produttrici e i negozi di quei prodotti, come ad esempio l’esercizio commerciale della famiglia Trastulli che noi conosciamo; e non pochissimi lavoratori avevano osato permettersi l’acquisto a rate di un’auto, di norma una piccola FIAT 600 o una FIAT 500 piccina, piccina. Molti lavoratori avevano iniziato anche a godere d’almeno un paio di settimane di vacanza agostana in una pensioncina, di solito della vicina Liguria, mentre quasi tutti coloro che, sopra una gora di cambiali, erano proprietari di un’utilitaria o, addirittura, d’una FIAT 1100, avevano affrontato ogni agosto, coraggiosamente, famiglia al completo nella maggior parte dei casi stipatissima in un’utilitaria, il lungo viaggio, alla media di 70 chilometri all’ora, fin al proprio lontano borgo natio, esultanti di potersi mostrare all’arrivo sopra l’auto guadagnata col proprio apprezzato lavoro alla catena: di montaggio, ovviamente, non si fraintenda.
Negli anni precedenti il 1963 molti imprenditori, basandosi sull’indebitamento piuttosto facile e sulle paghe molto basse, avevano ingrandito la loro attività, a volte enormemente rispetto all’originaria dimensione, tanto che diverse imprese artigiane s’erano ampliate al livello industriale con numerosi dipendenti, anche centinaia; nondimeno, senza che i titolari avessero la preparazione economica adeguata per operare non a braccio, come nella loro precedente piccola o minima dimensione, ma con accortezza prevedendo, caso per caso, le possibili conseguenze delle loro iniziative e considerando la possibilità d’inattesi fattori estranei contrastanti24 . Non avevano capito, fra altre cose, che i salari bassi avevano di molto favorito la loro ascesa. Quando i lavoratori, dopo anni di lotte sindacali, avevano finalmente ottenuto significativi aumenti, erano iniziate difficoltà per tutte le aziende, osticità assai gravi, in primo luogo, per le attività improvvisate, pur non restandone esenti le antiche, collaudate e ben dirette aziende, in quanto i rapporti fra ditte produttrici di beni e ditte fornitrici di servizi sono catene collegate, a loro volta, a quelle dei settori creditizio, assicurativo, consultivo; in altri termini, si tratta d’una rete d’affari tra fornitori di materie prime e fonti d’energia, produttori di servizi e beni, distributori degli stessi, e tale rete è connessa a propria volta agli studi di consulenza, alle banche, alle assicurazioni.
Erano iniziati i fallimenti ed erano divenuti sempre più numerosi di mese in mese. Si sarebbero succeduti, ancor più gravi, ben oltre il 1964, anno peraltro dell’acme della crisi nel quale gli utili d’impresa e professionali e i redditi familiari sarebbero stati colpiti ancor più gravemente dall’incauto aumento dell’imposizione fiscale sulla benzina e da una novella tassazione sull’acquisto di automezzi, balzelli voluti da politici ben poco esperti di scienza delle finanze: quelle imposte sconsiderate avevano ovviamente aumentato i costi dei trasporti commerciali e, dunque, avevano ancor più gravato sull’intera economia. Il male maggiore era però venuto dai collegamenti di credito-debito fra le aziende e dalle azioni legali delle banche che, avendo prima concesso fidi con larghezza agl’imprenditori, avevano iniziato non solo a ridurre drasticamente le nuove aperture di credito e l’ammontare dei prestiti già accordati, ma ad aumentarne il costo percentuale e, peggio, a chiedere di rientrare ai clienti morosi, tante volte senza successo: come avrebbe potuto infatti una ditta rimborsare un prestito se troppi dei suoi clienti non le pagavano le forniture? Pericolosamente avversa era diventata nel 1964 la congiuntura, parola questa che, nel linguaggio popolare, era divenuta semplicemente e famigeratamente La Congiuntura intesa come sinonimo di crisi mentre, in realtà, quel vocabolo non significa stagnazione o recessione ma andamento degli affari, che può essere negativo, positivo o stagnante. All’inizio del triennio era stata stagnazione, innescata da una riduzione degl’investimenti dovuta al noto aumento dei salari e degli stipendi e al pesante innalzamento dei tassi d’interesse sui prestiti bancari, incrementi che avevano ristretto il capitale disponibile per gl’investimenti in acquisti di materie prime, fonti d’energia, merci, macchinari e via seguitando; peggio, il fenomeno era stato anche più grave perché, già nel 1963 ma soprattutto nel ’64 e nel ’65, non pochi grossi imprenditori avevano indirizzato abbondante parte dei loro capitali liquidi, quando non l’intero, verso certi Paesi stranieri, paradisi bancari, per ripararvi da guai la loro posizione economica e la loro stessa persona in caso di bancarotta. Dalla stagnazione s’era scivolati alla recessione: meno investimenti, meno produzione, meno scambi commerciali, meno trasporti, meno lavoro e dunque licenziamenti, perciò meno salari e stipendi e meno consumi con minori ritorni di denaro alle imprese; per molte di queste, investimenti nulli, ulteriore minore produzione, altri licenziamenti: un circolo vizioso in cui erano intervenuti fallimenti tra loro collegati, il più delle volte non innescati dai fornitori-creditori, desiderosi della salvezza dei clienti-debitori cui, anzi, andavano normalmente rinnovando cambiali su cambiali che avrebbero provato a scontare ancora una volta in banca per finanziarsi, ma attizzati proprio dalle banche che, implacabili, essendo i loro crediti privilegiati per legge, avevano preso a tempestare il mondo imprenditoriale di istanze di fallimento.
Relativamente a i negozi e agli esercenti ambulanti d e i generi di prima necessità e a molte delle famiglie d i lavoratori loro clienti , in precedenza queste ultime avevano pagato gli acquisti quotidiani in unica soluzione , a fine settimana una volta incass ato i l salario operaio , a fine mese dopo aver intascato lo stipendio impiegatizio . Subentrata la recessione, in diversi nuclei familiari uno o più membri s’eran o trovati disoccupati , per cui quelle famiglie avevano preso a rimandare i pagamenti, almeno in parte, al mese seguente e, nel contempo, avevano ridotto gli acquisti all’essenziale ; poi, accumulato debito su debito, non avevano più saldato .
D’al tra par t e , i gruppi familiari che avevano comprato beni durevoli, a rate con patto di riservato dominio firmando le solite cambiali, televisori, lavatrici e altri elettrodomestici , o addirittura un automezzo, al momento della crisi avevano lasciato cadere in protesto quel le farfalle cambiarie e s offerto il sequestro del bene. A loro volta, le imprese fornitrici de gli esercizi commerciali s’erano ri trovate impagate da molti loro clienti , dato che gli stessi non avevano più avuto il denaro per saldare gli acquisti alle scadenze previst e. S e i primi non saldati erano stati i fornitori dei commercianti , per secondi erano venuti i commessi di questi , tutti o in parte licenziat i; infine, non pochi esercizi avevano abbassato le serrande , o per ritiro dagli affari , quand’erano riusciti prima , avendo risparmi domestici , a saldare tutti i debiti , o, più sovente, per fallimento.
Come Vittorio e io avremmo saputo, s ’era ri trovata ne l fortunale recessiv o, con cambiali di clienti in protesto e difficoltà a saldare i fornitori, anche la vecchia e famosa ditta di via Garibaldi Trastulli Televisori Elettrodomestici Apparecchiature Musica , dei cui titolari, dopo quel Natale del ’61 , io m’ero dimenticato del tutto, ma che presto sarebbe tornata sul proscenio della mia vita : per motivi di sangue .