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Singapore 2

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In meno di mezz'ora il taxi si fermò davanti all'ingresso di un complesso edilizio e l'autista mi disse che quella era la destinazione che avevo annotato sul foglio. Diedi un'occhiata e vidi che a destra dell'ingresso c'era scritto Spanish Village 56-88 Farrer Road e, quella che supponevo, fosse la stessa cosa in caratteri cinesi. Dopo aver scambiato qualche parola con la guardia ai controlli di sicurezza, entrò nel complesso e si fermò all'interno. Lo pagai con i dollari di Singapore che avevo portato dalla Spagna e lo guardai allontanarsi.

Lessi di nuovo il foglio su cui era scritto l'indirizzo. Ero nel posto giusto. Iniziai a camminare con tutti i miei bagagli al seguito, alla ricerca del portone. Il complesso consisteva in un gruppo di edifici beige e piastrelle rosse su ogni terrazza. Alti quattro piani più il pianterreno, formavano tutti insieme un'ellisse. In mezzo agli edifici trovai una piscina abbastanza grande, un parco giochi, parcheggi esterni, due campi da tennis, una zona barbecue ... Si vedeva che qui costruivano quartieri molto completi, non come il triste appartamento in cui stavo mentre cercavo una casa migliore in cui vivere con la mia ex. La mia ex, Cristina. Adesso era a migliaia di chilometri da me, e anche se c'erano momenti in cui la sentivo dolorosamente vicina, con un'intensità spaventosa; dovevo dimenticarla. Ormai ero stufo di così tanto dolore, autocommiserazione motivata e insolita miseria, che dovevo tornare a godermi la vita. Volevo tornare a essere quel pazzo David che ero prima di incontrarla; apertamente, senza compromessi, senza bisogno di dare spiegazioni a nessuno. Almeno per la parte di incontrare tante donne e godermele senza legami.

Una volta dentro, mentre cercavo la porta del palazzo, un uomo dai lineamenti asiatici mi intercettò e mi chiese in un inglese molto strano dove stavo andando. Pensai che fosse qualcuno della manutenzione o qualcosa del genere. Gli dissi che ero un nuovo inquilino e lo informai dell'indirizzo. Questo sembrò rassicurarlo. Mi strinse la mano con calore e con un ampio sorriso sul volto, mi accompagnò alla porta del mio palazzo, aiutandomi con una valigia. Citofonò lui stesso al mio appartamento e quando qualcuno rispose con una voce che mi risultò familiare, gli disse che era arrivato il nuovo inquilino. Mi fermai un attimo a pensare quanto fosse stato intelligente il custode, senza contraddirmi, ma accompagnandomi alla porta per confermare le mie informazioni ai miei coinquilini. Quando la voce confermò che mi aspettava, fu soddisfatto, mi salutò ed io entrai in quella che sarebbe stata la mia nuova casa per almeno i prossimi sei mesi. O almeno, questo era quello che credevo.

Suonai il campanello e spinsi la porta. Rimasi sorpreso. Mi era sembrato di riconoscere la voce di Josele, che era un collega della mia azienda, un amico con cui avevo lavorato fianco a fianco per tre anni e che, alla fine andò ad occuparsi di un progetto negli Stati Uniti insieme ad un altro collega della banca. Fin dall'inizio eravamo andati d'accordo trovandoci molto bene insieme. Ero molto triste quando il progetto terminò e dovemmo separarci, ma avevamo continuato a mantenere contatti regolari e vederci ogni volta che lui tornava in Spagna.

Josele mi stava aspettando sulla porta dell'appartamento, come avevo sospettato. Non era cambiato affatto, con quei capelli cresciuti come un parrucchino, una brutta imitazione di Elvis Presley. Appoggiai la valigia e lo zaino per terra e lo abbracciai calorosamente.

«Josele? Sei tu?»

«Sorpresa! Entra e ti racconteremo. Guarda chi c'è qui», disse, aprendo completamente la porta.

«Dámaso!»

Entrai di corsa e lo abbracciai sollevandolo in aria. Dámaso era un altro dei colleghi che l'azienda aveva inviato con Josele negli Stati Uniti. Un po' bizzarro, ma un volto familiare, dopo tutto. La giornata non poteva iniziare meglio con questi due personaggi come coinquilini.

«Ma cosa ci fate qui? Non eravate negli Stati Uniti?»

«Sì, c'eravamo», rispose Dámaso «il progetto è terminato e siamo stati entrambi inviati qui di recente. Valentin ci ha detto che saresti venuto, ma non abbiamo voluto dirti niente per farti una sorpresa.»

«E che sorpresa ragazzi! Non potrebbe davvero essere migliore. Di nuovo insieme e questa volta condividendo un appartamento. Singapore preparati!»

«Sì!», urlò Josele con entusiasmo. «Possiamo tornare a fare sport insieme. Dámaso ed io andiamo a correre due volte a settimana e giochiamo in un campionato di basket per espatriati. Ti abbiamo già iscritto alla squadra.»

«Fantastico», risposi «almeno non diventerò grasso come un bue e mi aiuterà a conoscere persone nuove. Bene, raccontatemi com'è la vita qui.»

«Ci sono anche Diego e Tere», puntualizzò Dámaso.

«Anche loro! È fantastico, l'intera banda di nuovo insieme. Non pensavo che avremmo lavorato di nuovo insieme sullo stesso progetto.»

«Sì, e sappiamo qualcosa che tu non sai ...»

«Suppongo che anche Diego faccia parte della squadra di basket.»

«Sì, è iscritto, ma non è questo.»

«Allora cosa?»

«Escono insieme.»

«Che stai dicendo?! Tere e Diego? Da quando?»

«Beh, non lo sappiamo perché non ce l'hanno detto subito, ma sicuramente prima di venire qui, quindi almeno due mesi.»

«Non l'avrei mai sospettato; anche se, in effetti, se ci pensi, sono molto compatibili per via del loro modo di essere. Sono felice per loro! E quindi, adesso?»

Josele e Dámaso mi mostrarono prima la casa. Aveva tre camere da letto e due bagni. Io dovevo condividere un bagno con Josele. A quanto pare, Dámaso aveva insistito per averne uno solo per sé e a Josele non importava. Il soggiorno e la cucina erano spaziosi. La casa aveva internet con wi-fi e una terrazza chiusa da cui si vedeva la piscina. Mi avevano anche detto che il complesso aveva guardie di sicurezza 24 ore su 24. L'uomo che mi aveva intercettato in giardino era di origine cinese e si chiamava Shao Nan ed era l'addetto alla manutenzione durante il giorno. Di notte c'era un malese di nome Datuk Musa. C'erano anche una palestra, una sauna e un campo da squash al piano terra e un giardino con diversi barbecue che avevo visto poco fa in modo da poter fare un picnic senza dover lasciare l'edificio. Sebbene ci fosse un grande televisore in soggiorno, ogni stanza ne aveva uno più piccolo, così come l'aria condizionata, un tavolo da lavoro con una sedia e un grande armadio per i vestiti. Non so se il resto degli abitanti del Paese avesse case uguali a questa, ma il tenore di vita qui sembrava incredibile. Avevamo due centri commerciali a venti minuti a piedi; con tutti i tipi di ristoranti, alimentari e negozi di abbigliamento, banche per fare affari o luoghi per divertirsi. Dai, la nostra posizione era perfetta.

Poi mi diedero alcune informazioni utili sui mezzi di trasporto in città. La metropolitana si chiamava MRT e c'erano quattro linee che attraversavano Singapore da nord a sud e da est a ovest. C'erano anche autobus e l'uso del taxi era molto frequente, dato che era abbastanza economico. La compagnia aveva acquistato per me una carta di trasporto misto che era utile sia per la MRT che per gli autobus. Gli uffici della nostra azienda erano vicino alla foce del fiume Singapore e ad un grande parco urbano chiamato Fort Canning Park. I miei colleghi usavano l'autobus per andare al lavoro. Avevamo una linea diretta e in meno di quaranta minuti arrivavano in ufficio.

Le ore di lavoro erano variabili, come ovunque. A Singapore era normale lavorare quarantaquattro ore alla settimana e avere quattordici giorni di ferie, anche se fortunatamente avevamo mantenuto le ferie dalla Spagna. A Singapore avevano una cultura del lavoro completamente diversa rispetto alla Spagna. Non credevo che in Spagna fossimo in grado di stabilire una settimana lavorativa di quarantaquattro ore e solo quindici giorni di ferie.

Josele mi diede una borsa con dentro una scatola.

«Questo cos'è?»

«Un piccolo regalo dell'azienda. È il tuo cellulare aziendale per Singapore. Dentro ci sono il telefono, la SIM card e le istruzioni per connetterti con tutte le applicazioni dell'azienda, anche se, in realtà, l'unica utile è l’e-mail. Lunedì al lavoro ti daranno il tuo laptop.»

«Okay, grazie mille. Mi spiegherai la questione delle tariffe e delle chiamate verso la Spagna. E per mangiare? Come vi organizzate? Con menù fisso? In ristoranti come in Spagna?»

«Beh, ci sono molte opzioni», rispose Josele. «È molto raro trovare persone che mangiano nei ristoranti perché sono molto costosi. La consuetudine è mangiare nella mensa della palazzina degli uffici, negli hawker centers, che sono gruppi di cucine con un piccolo bancone che condividono un'area abilitata per mangiare, nei coffee shops, che sono come gli hawkers, ma più cari e belli ...»

«E con l'aria condizionata!», Dámaso lo interruppe. «È dove, di regola, mangiamo noi.»

«Sì, sì, e con l'aria condizionata», continuò Josele. «È che Dámaso soffre molto il caldo e l'umidità. In ognuno di questi posti, puoi sia mangiare che comprare cibo da asporto. Dipende da ognuno e se c'è spazio per sedersi, perché a volte non c'è posto a causa della grande quantità di persone all'interno. Anche i fast food come Burger King, McDonald's o altre catene di ristoranti asiatici che non esistono in Spagna sono abbastanza pieni. Ci sono persone che si portano il pranzo al sacco ma è molto raro vedere degli occidentali. Le persone dal Bangladesh o dalle Filippine tendono a portarselo perché a loro piace mangiare cose tradizionali del loro Paese e se le cucinano da soli ...»

«Bene, bene», lo interruppi ridendo. «Ti ho solo chiesto dove mangi di solito, non di farmi uno studio sulla società di Singapore e sul suo stile alimentare. Che pezza mi hai attaccato! Ho avuto il tempo di sistemare il telefono e renderlo operativo. Aspettate un attimo, chiamo mia madre.»

«Salutala da parte nostra!», esclamarono entrambi all'unisono.

La conoscevano da quando lavoravamo insieme a Madrid, da un giorno in cui erano venuti a pranzo a casa mia. Mia madre era un'ottima cuoca, si era appassionata al cibo spagnolo e amava avere ospiti. Aveva avuto una giovinezza tempestosa, per così dire, ed era felicissima di accogliere nuovi amici che, già a prima vista, sembravano brave persone; niente a che vedere con le amicizie poco raccomandabili della mia adolescenza. Approfittai del telefono aziendale per chiamarla e dirle che mi ero già sistemato e che ero tornato a vivere con i miei amici. Era molto felice di sapere che non ero solo e che avevo già incontrato delle persone. Mi mandò tanti baci per entrambi. Le dissi che l'avrei chiamata per parlare con più calma tra qualche giorno. Quando riattaccai continuai a fare domande su ciò che mi interessava sapere del posto.

«E per divertirsi, cosa si fa da queste parti? Non ho bisogno che tu mi dica tutto quello che c'è da sapere sulla città oggi stesso, eh, Josele? Dovremo anche divertirci un po', qualcosa di particolare?»

«Molte cose», rispose Dámaso. «A Singapore non ti annoierai, questo è certo. Ci sono tutti i tipi di divertimenti: da incredibili simulatori di volo, corse di cavalli, casinò, parchi di divertimento, sentieri escursionistici, musei, molti centri commerciali e, naturalmente, centinaia di pub e club per uscire e incontrare persone, che tu ne hai bisogno, soprattutto qualche ragazza dopo la carognata che ti ha fatto Cristina.» Il mio viso mostrava quanto fossi d'accordo con quest'ultima frase. Volevo tornare ai miei tempi folli, in cui la cosa importante era finire a letto con una ragazza, non importa quale. «Vicino a casa nostra, dall'altra parte del parco, c'è una delle principali zone di festa. Intorno ad una strada chiamata Mohamed Sultan Road che è piena di locali e discoteche. Venti minuti a piedi da qui. E naturalmente c'è anche il golf dall'altra parte di Marina Bay!»

«Mi sembrava strano che tu non tirassi fuori l'argomento del golf. Sicuramente hai scoperto prima come diventare un socio del campo da golf che hanno qui intorno che dove comprare il pane la mattina. E se hanno lettini abbronzanti a raggi uva, comunque, è perfetto, giusto?» Mi misi a ridere.

«Hai idea di come ci si sente a colpire un ace? Colpire una palla con un solo colpo di partenza? Nemmeno io, ma continuo a provare.»

«Come lo conosci bene, David», commentò Josele tra le risate. «Appena è arrivato, ha chiesto al tassista la strada per venire qui dall'aeroporto. E una volta all'anno hanno gare di Formula 1, ovviamente. Penso che sia verso settembre e ci hanno detto che è incredibile, perché corrono per la città di notte; quindi, se siamo da queste parti dobbiamo andare, anche se non ti piacciono molto le corse, perché anche solo l'atmosfera lo merita.»

«Ma da quanto siete qui? Avete avuto il tempo per fare tutte queste cose?»

«No, amico», disse Josele con un sorriso. «Le informazioni sui bar, sì, naturalmente; ma la maggior parte delle cose ci sono state raccontate dai colleghi che sono qui da più tempo. Ora che sei arrivato tu, ci muoveremo sicuramente di più.»

«Amico, speravo di poter navigare un po' anch'io. Soprattutto se in buona compagnia.»

«Intendi noi o una ragazza carina?»

Tutti e tre ridemmo di gusto. Era chiaro che durante questo periodo che erano stati negli Stati Uniti, non avevamo perso la complicità che avevamo sempre avuto nei nostri progetti insieme in Spagna. Soprattutto quella che avevo con Josele.

I bei tempi si stavano avvicinando.

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