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La Sagara Del Cinghiale

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La caccia al cinghiale costituisce l’apice annuale della stagione venatoria, alla quale partecipa con fervore l’intera popolazione del paese. In modo attivo o passivo. Ruolo attivo come cacciatore, battitore o sponsor, ruolo passivo come criticone, piantagrane, saputello o come attivista della protezione animali.

Cacciare, questa è la grande passione degli uomini veri, qui dalle nostre parti. É la festa degli istinti maschili primordiali; per molti significa la metà della vita, raccontare la caccia e diffondere frottole... è l’altra metà.

L’abbattimento di piccoli uccelli canori, fagiani mansueti e lepri – messi lì per l’occasione - vale come prova di abilità, ma la caccia al cinghiale condotta con successo è un atto di eroismo. Grazie alle innumerevoli e terribili storie dell’orrore che circolano sin dai tempi antichi, la caccia al cinghiale viene considerata come estremamente pericolosa e, come tale, un fenomeno decisamente virile.

I paurosi seguaci di Sant’Uberto – e di questi, da noi, ne esistono parecchi – devono comunque dimostrare coraggio e virilità con la doppietta, preservando la propria vita ed il costoso vestiario da danni accidentali, ma soprattutto sparando su qualsiasi cosa che si muova. Guardando, soltanto dopo, cosa o chi sia stato colpito. Con selvagge sparatorie cercheranno forse di offrire il loro contributo contro la minaccia di sovrappopolazione del nostro pianeta.

La caccia o - meglio detto - l’incidente di caccia, serve spesso per regolare dei conti, faide famigliari o sanare liti tra vicini, ma queste sono, evidentemente, affermazioni non dimostrabili, regolarmente fatte dagli insidiosi nemici della caccia, che vorrebbero soltanto gettare discredito su questa nobile attività sportiva.

Più si avvicina il giorno dell’apertura della caccia al cinghiale, più fervidi diventano i necessari preparativi. Tutte le famiglie vengono coinvolte in una frenetica attività. Bisogna confezionare a misura le nuove tute mimetiche... nessuno vuole fare brutta figura. Bisogna procurarsi fucili nuovi o portare quelli già usati da un armaiolo per la revisione in caso di colpi mancati il cacciatore diventerebbe lo zimbello del paese.

I cani devono essere ben addestrati, bisogna sostituire il coltello da caccia perso, anche il vecchio cappello non va più bene, gli stivali non sono all’ultima moda e forse quest’anno ci si può persino permettere un binocolo nuovo o meglio ancora un walkie-talkie. Quando si tratta della caccia, niente è “abbastanza” visto che si mette in gioco il “tutto”.

Questa collettiva “febbre da caccia” finirebbe per essere un caos tutto meridionale, se non ci fosse il locale Club dei Cacciatori, che, con la sua severa organizzazione, mette ordine nelle cose. Questo Club altro non è che una sotto- organizzazione del partito locale di maggioranza, il quale elegge tutti gli anni la Commissione di Caccia, ovverosia confermare i candidati proposti dal vertice del partito. Lista unica, come al solito.

Non c’era mai stata una opposizione, fatto che di per sé avrebbe costituito una pesante infrazione alla disciplina del partito, quasi nessuno in paese avrebbe potuto permettersi una tale mancanza di rispetto.

Ciò non ostante, un bel giorno è successo l’improbabile.

Un gruppo dei giovani membri del partito si opponeva alla lista unica, con la motivazione che questo metodo di votazione fosse antidemocratico. Volevano allargare la lista, in particolare con persone della loro generazione.

Il litigio era servito!

I dirigenti del partito ed i loro – finora- compagni preferiti, non erano disposti a dialogare. Si era sempre agito così e quello che contava veramente per la caccia era l’esperienza. Non si poteva, da un momento all’altro, mettere da parte i valorosi combattenti ... e, e, e.

I giovani rimanevano inflessibili e infine minacciavano di fondare una Associazione propria.

Questo metteva la vecchia guardia in fermento. La riunione slittava alla sera successiva, di modo che tutti potessero dormirci sopra. C’era ben poco da dormire. Al contrario, le prossime ore furono rimpinzate di intrallazzi, promesse, minacce, proposte di mazzette e di dure trattative segrete.

La sera dopo il segretario del partito in persona proponeva 34 candidati per l’elezione della Commissione di Caccia, composta da 17 persone.

Dopo un animato dibattito il vertice del partito si dichiarava d’accordo. Entrambi – partito e opposizione –potevano fare 17 proposte.

Si era fatto molto tardi, motivo per derubricare l’elezione alla sera successiva.

Ciascun gruppo portava con sé i propri membri e i propri simpatizzanti.

La sala comunale era piena all’inverosimile.

Evidente che la frangia conservatrice del partito aveva organizzato una schiacciante superiorità, presentando i candidati. Tutti cacciatori esperti, compagni meritevoli del partito, rappresentanti comunali e partigiani leggendari. Contro di loro, i candidati dell’opposizione, erano giovanotti immaturi, cacciatori dilettanti e principianti, non avevano nessuna chance.

L’esito del voto sembrava già scontato sin dall’inizio a favore della vecchia guardia. Ed è proprio per questo che il partito, nella convinzione di vincere, aveva rinunciato alle solite manipolazioni. Con molta tranquillità poteva attendere il verdetto.

Dopo lo spoglio delle schede, il cielo del partito si oscurava e regnava un grande sgomento.

9 dei 17 seggi erano stato conquistati dai giovani.

La grande esultazione sovrastava il quasi altrettanto rumoroso digrignare dei denti nei ranghi del governo. La nomenclatura trascorreva il resto della notte in trattive segrete.

Qualcosa doveva essere andato storto, questo era chiaro. Chi non aveva seguito le linee-guida del partito?

Chi aveva votato per l’avversario? Quali erano i franchi tiratori?

Si voleva e si doveva di nuovo far vedere chi aveva l’ultima parola. Un’azione di pulizia si imponeva. Esistevano dei mezzi già sperimentati per far ragionare le pecorelle smarrite.

Per prima cosa c’era bisogno di una piccola correzione della procedura elettorale.

Ma all’improvviso il segretario del partito si opponeva e consigliava di accettare il voto.

Eloquenti scambi di sguardi seguirono.

Dunque, è da quella parte che tirava il vento, un vento che sapeva di tradimento.

Venivano pure consultati influenti personaggi del partito provinciale.

Anch’essi consigliavano di lasciare che le cose seguissero il loro corso perché nella situazione attuale non c’era spazio per manipolazioni senza che qualcuno se ne accorgesse. Si potrebbe anche vincere arrendendosi, e tra l’altro, non si dovevano perdere di vista le prossime elezioni del parlamento, cioè non bisognava indispettire l’elettorato giacché la situazione politica del Paese sarebbe già abbastanza confusa e richiederebbe una acuta sensibilità.

Brontolando, gli sconfitti si arrendevano.

Come da tradizione il presidente del Comitato Organizzativo venne designato dal presidente del partito.

E guarda un po’, costui nominava capo un certo Ferro, un giovane, con la misera scusa che era il suo gruppo ad aver ottenuto la maggioranza in Commissione, e pertanto il diritto alla presidenza.

Nonostante Ferro fosse un tipo furbo, una specie di eroe di paese - attaccante di successo nella squadra locale di calcio - i vecchi non intendevano ingoiare il rospo.

Ponevano un ultimatum: o veniva eletto Acciaio, il versatile pluriennale capo o avrebbero fondato una nuova Associazione.

Fu così che da un momento all’altro si trovarono di fronte il nobile circolo dei cacciatori Senior - patrioti valorosi - contro lo Junior club degli immaturi seguaci di Sant’Uberto.

Accesi dibattiti e scaramucce venivano pacificati dal Sindaco nei giorni successivi. Dopo aver accettato i consigli del segretario del partito, stabiliva per Decreto di dividere il territorio comunale in due zone di caccia mettendole a disposizione alle due Associazioni.

La linea di demarcazione attraversava la zona boscosa nella parte meridionale del Comune, là dove si nascondeva la maggior parte dei cinghiali. Appena terminata la delimitazione, di notte, venivano mandate delle pattuglie di ricognizione per esplorare il passo della selvaggina e individuare le pozze di fango. Oltretutto venivano inviati anche dei volontari nella zona degli avversari, dove sparare all’impazzata per notti intere, in modo da scacciare i cinghiali dirigendoli – possibilmente – nel proprio territorio.

Acciaio minacciava i suoi avversari con botte, espulsione dal partito e denuncia ai carabinieri, con l’accusa di bracconaggio prima dell’apertura ufficiale della caccia. Due giorni dopo però, suo cugino Ottorino veniva acciuffato nella zona boschiva avversaria. Con il fucile spezzato e il fondoschiena sanguinante tornava in paese dopo la sua fallimentare spedizione.

Il vertice del partito era infuriato per l’offesa recata ad un consigliere comunale in carica, offendendo in tal modo i Diritti Umani. Questo era un oltraggio ad un pubblico ufficiale, un affronto alle istituzioni statali e un’offesa al patriottismo partigiano, visto che il malconcio era un portatore di varie medaglie al merito. Bisognava assolutamente fare qualcosa contro la spocchiosa masnada di gioventù deviata, reazionaria e neoborghese. Bisognava assolutamente fermare i malandrini, impedire a questi Hooligans una volta per tutta il loro fare criminale.

La metà del paese era indignata.

L’altra metà ormai scoppiava di gioia per la disgrazia altrui.

Purtroppo, si venne a sapere ben poco del seguente incidente, poiché il medico del paese, avendo estratto i pallini di piombo dalla schiena di uno sfortunato giovane appartenente al gruppo di Ferro, aveva osservato il segreto professionale.

Alcune insignificanti dispute riempirono il lasso di tempo prima del grande giorno nel quale, finalmente, lo spettacolo poteva avere inizio.

Il giorno X cadeva in un giorno feriale. Il sindacato decideva lo sciopero generale, in modo da permettere al popolo dei lavoratori di poter partecipare alla grande battuta di caccia.

Molto prima del sorgere del sole, due interminabili colonne di automobili si allontanavano dal paese, e sul fare del giorno i battitori, i padroni dei cani e i cacciatori prendevano posto nelle rispettive postazioni.

I due capi erano molto nervosi poiché l’esito della giornata andava ben oltre l’onore del cacciatore. Si trattava della questione del Potere.

Il partito degli sconfitti avrebbe dovuto, sicuramente, fare i conti con la derisione.

Nel caso che tutto dovesse versare al peggio, Ferro rifletteva su una sua eventuale emigrazione. Avrebbe forse potuto trovare un posto nel Milan o cercare lavoro in Germania o in Belgio. Per conto suo, Acciaio sapeva di dover vincere questa battaglia. Nel caso contrario, il suo prestigio nel paese sarebbe sceso a zero sotterrando la sua speranza di sfidare l’attuale sindaco alle prossime elezioni. Qualcuno gli avevo già fatto certe promesse e allusioni, che sarebbero ovviamente cadute nel nulla.

Ferro aveva equipaggiato la sua truppa con walkie-talkie e stabilito il suo quartier generale all’interno del suo fuoristrada. Con una carta sulle ginocchia e il walkie-talkie nella mano guidava la battaglia dei suoi fedeli. Acciaio aveva preso posizione su una collina sovrastante il territorio, insieme ad una manciata di fedeli che poteva utilizzare come corrieri e sparare il colpo con il quale aprire la battuta di caccia.

I cani perlustravano la boscaglia, i battitori iniziavano ad urlare, a chiamare e a sparare per spingere i cinghiali davanti ai fucili dei cacciatori.

Per i cinghiali era arrivato il giorno del giudizio. Si era scatenato l’inferno.

Per i non addetti, come minimo, poteva sembrare la battaglia di Montecassino o di Verdun, poiché, sentite dal paese non si potevano distinguere le schioppettate delle due fazioni. I battitori gridavano e – presi dall’entusiasmo – sparavano colpi per aria, i cacciatori sparavano a tutto quello che si muoveva davanti ai loro fucili. I cani abbaiavano e ululavano fino all’isteria. Era una vera, meravigliosa battuta di caccia al cinghiale.

Quando non c’era più niente a cui sparare, il capo suonava la tromba, segnale di avviso per la fine della battuta di caccia.

Era arrivato il momento di contare, di fare il bilancio.

Ciascuno dei due gruppi aveva abbattuto all’incirca due dozzine di cinghiali, di diverse grandezze.

Che ci fossero andati di mezzo anche alcuni cani non stupiva nessuno in modo particolare, faceva parte del gioco. Ma quando, dietro un cespuglio, fu trovato – poco prima di andare via – il cadavere del segretario del partito crivellato di colpi, a qualche cacciatore tremarono le gambe.


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