Читать книгу Cervello E Pandemia: Una Prospettiva Attuale - Juan Moisés De La Serna Tuya - Страница 5

Capitolo 1. Introduzione allo studio del Cervello

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La ricerca sul cervello è stata una costante nel mondo della scienza. Vi sono tracce sin dai tempi degli antichi egizi, che hanno lasciato tracce di trapanazioni al cranio, che hanno effettuato per “liberare” il paziente dai suoi problemi, una pratica che è stata mantenuta fino allo sviluppo della medicina come scienza (Collado-Vázquez & Carrillo, 2014).

I primi studi anatomico-descrittivi sui cervelli post mortem, hanno permesso di differenziare lobi, solchi e fessure cerebrali a livello della corteccia e di identificare strutture sottocorticali, che erano visibili nonostante le dimensioni ridotte di alcuni.

Lo sviluppo del microscopio ha permesso la nascita dell’istologia, nota anche come anatomia microscopica, dove nel tempo si iniziano ad osservare le cellule cerebrali, per classificarle successivamente e stabilire le regioni in cui si trovano più frequentemente. Grazie alla colorazione e ai contrasti come, ad esempio, con il cloruro d’oro o il cromato d’argento, è stato possibile delimitare la struttura degli strati e al loro interno le forme dei neuroni.

Immagine 1 Tweet Neurone al Microscopio Elettronico

Traduzione Immagine 1: Neurone visto al microscopio elettronico a scansione.

Risorsa: Detective della scienza

Attualmente, i microscopi elettronici, che hanno una risoluzione cinquemila volte maggiore dei microscopi ottici, hanno permesso di osservare i mitocondri, l’apparato di Golgi e le altre strutture interne dei neuroni, nonché le proteine (@ rafaelsolana2, 2020) (vedi Immagine 1).

Va chiarito che, oggi, è abbastanza comune parlare di neuroscienze e cervello, ma non è sempre stato così, perché è un campo di conoscenza emerso relativamente di recente. Tuttavia, in senso stretto, non è possibile affermare che esiste una neuroscienza in quanto tale, bensì essa è un insieme di contributi provenienti da molti rami del sapere, che alimentano e compongono il corpo delle neuroscienze. Quindi, se si tiene conto del suo oggetto di studio, del sistema nervoso e della sua attività, si può affermare che essa comprende sia l’anatomia che la biochimica, ma anche la genetica e la psicologia.

Sebbene, inizialmente nasca come specializzazione della medicina, dalle analisi anatomofisiologiche del sistema nervoso, oggi sarebbe impossibile separarla da tutti i contributi che ha ricevuto da altre aree di conoscenza.

Allo stesso modo, le neuroscienze non serviranno solo a spiegare come funziona il sistema nervoso e il suo organo più importante, il cervello, ma si occuperanno anche di più sottozone, come, per esempio, il neuromarketing, la neuroeconomia (Terán & López-Pascual, 2019), la neurofarmacologia, la neuropsicologia, la neuroanatomia o la neurolinguistica.

L’importanza di questo campo di studio sta nel fatto che, grazie a tutto questo, è possibile sapere in modo più chiaro come funziona una persona e come funziona una società, nonché quando si affrontano disturbi dello sviluppo importanti, come il Disturbo dello Spettro Autistico o le malattie neurodegenerative come la Malattia di Alzheimer.

Un campo di conoscenza a cui partecipano ricercatori di tutti i paesi del mondo, che giorno dopo giorno offrono nuove informazioni, ponendosi nuovi interrogativi, al fine di comprendere l’organo più complesso del corpo umano, il cervello.

Ad esempio, in uno studio attuato per comprendere la questione dello sviluppo di persone dotate o di persone con elevate capacità, sembra essere un po’ lontano dall’interesse della società, più sensibile ad altri problemi, comprendendo che i “più intelligenti” saranno in grado di “sopravvivere” e “cavarsela” da soli. Quindi ci si concentra sui bisogni speciali di coloro che “realmente” ne hanno bisogno, in modo che possano raggiungere lo stesso livello degli altri, e migliorare il più possibile.

D’altra parte, ci sono società che hanno a cuore questo gruppo, che stabiliscono politiche volte alla diagnosi precoce e alla formazione specifica, per migliorare le proprie capacità. La società non fa altro che investire sul proprio futuro, sapendo che queste persone sono quelle che domani saranno in grado di risolvere i problemi che sorgono, contribuendo a nuovi progressi e scoperte.

Esistono due concezioni che sono basate su diversi approcci all’intelligenza, la prima ne spiega una più biologica, dove si presume che data una dotazione genetica, la persona l’avrà per tutta la vita, e questo “faciliterà” il suo sviluppo.

D’altra parte, la seconda, senza rifiutare la dotazione genetica, concepisce che si debba lavorare attraverso lo sforzo e la pratica per poter sviluppare al massimo le proprie capacità, il che permetterà alla persona di essere un “grande” medico, musicista o scienziato, ma le persone dotate hanno cervelli diversi?

Questo è quanto hanno cercato di scoprire con uno studio realizzato con la partecipazione dell’Istituto di Ricerca Biomedica August Pi i Sunyer (IDIBAPS), con la scuola Oms e Prat, con la Fondazione Catalogna, con la Fondazione Oms, con il Centro di Diagnostica per Immagini della Clinica Ospedaliera, con il Gruppo di Elaborazione di Dati e Segnali e con il gruppo di Ricerca in Digital Care dell’Università di Vic, insieme all’Istituto di Neuroscienze e al Dipartimento di Psicologia Clinica e Psicobiologia dell’Università di Barcellona (Spagna) e all’Unità di Mappatura del Cervello del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Cambridge (Inghilterra) (Solé-Casals et al., 2019) .

Allo studio hanno partecipato 29 bambini con un’età media di 12 anni, 15 dotati di Q.I. maggiore di 145 con percentili superiori al 90% nella memoria, nell’atteggiamento di ragionamento spaziale, numerico, astratto e verbale. Il resto funge da gruppo di controllo con Q.I. fino a 126, valutati utilizzando la Wechsler Intelligence Scale for Children (Wechsler, 2012).

Tutti i bambini sono stati sottoposti ad una risonanza magnetica in stato di riposo, per confrontare le caratteristiche cerebrali di entrambi i gruppi.

I risultati mostrano differenze anatomiche tra i due gruppi eguagliati per età, che, nel caso delle persone dotate, contengono strutture con interconnessione globale ed integrate, cioè si produce una concentrazione topologica a livello neuronale che ne aumenta l’efficacia rispetto al gruppo di controllo che ha una distribuzione più ampia e diffusa.

In questo modo, i cervelli dei superdotati non solo eseguono elaborazioni più efficienti in aree specifiche, ma la comunicazione tra queste aree e l’integrazione delle informazioni è anche più veloce ed efficiente, consentendo ad esempio, di avere una maggiore capacità nella memoria di lavoro, la quale richiede la partecipazione di varie regioni per poter seguire e portare a termine un determinato compito.

Tra i limiti dello studio, commento che erano stati inclusi solo i maschi, tralasciando l’analisi del cervello delle ragazze, e che è stato analizzato anche solo il cervello dei destrimani, con la rappresentazione dei destrimani tra le persone superdotate, che era più bassa rispetto alla popolazione generale.

Nonostante quanto detto sopra, lo studio ci consente di capire come le persone meno dotate avranno una maggiore capacità cerebrale di elaborare le informazioni, il che non è necessariamente correlato a migliori risultati accademici.

Sebbene gli autori non commentino “l’origine” di queste differenze, poiché non riescono a valutare il ruolo della genetica o dell’ambiente, è chiaro che spetta al sistema educativo fornire la stimolazione necessaria per sviluppare il potenziale neuronale del bambino.

Lo Sviluppo del Cervello

Lo sviluppo del cervello è geneticamente determinato, in modo che le strutture neuronali siano “ripetute” da umano a umano, il che consente l’identificazione morfologica, sebbene ciò non implichi che i cervelli siano gli stessi, ma sono gli stessi anche la distribuzione in lobi, le aree e le regioni, le scanalature, i tratti o i ventricoli neuronali.

Infatti, i primi studi anatomici del cervello, effettuati post mortem, si sono concentrati proprio sulle somiglianze e sulle differenze di cervelli di persone che avevano sofferto di una qualche patologia, messi a confronto con cervelli sani. In questo modo si è cercato di comprenderne le implicazioni neurali di ogni determinata patologia (Haines, Faaa e Mihailoff, 2019).

Uno dei casi più conosciuti nella storia è quello di Phineas Gage, che ha subito un infortunio sul lavoro in miniera, dove una sbarra con cui stava lavorando gli ha perforato il cranio. Da quel momento in poi il suo comportamento è cambiato diventando irregolare, imprevedibile e anche spericolato.

Lo studio post mortem ha permesso di conoscere le aree colpite, nello specifico il lobo frontale sinistro, che ha permesso di stabilire le prime ipotesi sul ruolo del lobo frontale nel controllo degli impulsi, nel giudizio, nonché nella sua partecipazione ai compiti di pianificazione, di coordinamento, di esecuzione e di supervisione dei comportamenti (Echavarría, 2017).

Attualmente, i progressi nelle tecniche consentono di osservare il cervello e di lavorare dal vivo con determinate funzioni, il che ha permesso di conoscere non solo le aree cerebrali coinvolte, ma anche le vie di comunicazione tra le aree corticali e le aree sottocorticali di determinati processi, sia di tipo più fisiologico che cognitivo. Il tutto applicato al campo della medicina, che consente di confrontare il cervello dei pazienti con il cervello “normale”, e quindi consente di determinare a che punto si trova il “problema” in esso, cosa particolarmente importante al momento dell’intervento chirurgico, quando il resto dei trattamenti non ha l’efficacia attesa nel risolvere il “problema”.

Le differenze morfologiche o di densità danno indizi ai neurologi sulle patologie di cui può soffrire un determinato paziente, quindi nel caso del morbo di Alzheimer, la microscopia ha permesso di verificare la presenza di placche senili e grovigli neurofibrillari, anche dall’anatomia macroscopica. La perdita di densità delle strutture neuronali e l’allargamento del ventricolo è caratteristico di questa malattia (@evafersua, 2009) (vedi Immagine 2).

Immagine 2 Tweet Cervello con Alzheimer

Traduzione Immagine 2: Questa è l’immagine di un cervello di un ratto modificato con Alzheimer: in rosso si possono osservare le placche tossiche della proteina amiloide e in marrone i grovigli di proteina Tau (marroni).

Sebbene fino a questo momento lo studio del cervello sia stato considerato statico e invariabile nel tempo, quest’idea è lontana dalla realtà. Infatti, nello sviluppo del cervello si possono distinguere due stadi ben definiti, prima e dopo la nascita, e, a differenza di quanto accade in altre specie, il cervello umano al momento della nascita si sta ancora formando ed è incompleto. Questo significa che è meno indipendente e che richiede cure e protezione per un tempo più lungo.

Lo sviluppo neurale è già osservabile a partire dalle quattro settimane di gestazione, da lì inizia un processo accelerato di formazione di nuove cellule, la loro migrazione, la differenziazione e la specializzazione, per poi stabilire successivamente le interconnessioni assoniche tra loro (Portellano, 2000).

Il sistema nervoso si sviluppa dal tubo neuronale dove, intorno alla quarta settimana di gestazione, si divide in tre vescicole del cervello, il romboencefalo, il mesencefalo e il proencefalo.

A cinque settimane di gestazione, le cinque vescicole da cui si svilupperà il cervello si sono già formate, dividendo il romboencefalo in metencefalo (ponte e cervelletto) e mielencefalo (tronco encefalico o bulbo). Il mesencefalo darà origine al peduncolo cerebrale e a quattro collicoli, due superiori legati alla vista e due inferiori legati all’udito. Il proencefalo sarà diviso in due, il diencefalo (talamo, ipotalamo, subtalamo, epitalamo e terzo ventricolo) e il telencefalo (emisferi cerebrali).

A tre mesi di gestazione, il sistema nervoso è già sufficientemente formato per esprimere i primi riflessi di base, come muovere le articolazioni.

A quattro mesi, gli occhi e le orecchie sono già formati e il bambino può reagire a luci e suoni esterni.

A cinque mesi iniziano i primi movimenti controllati.

A sei mesi si verifica un rallentamento nella formazione di nuovi neuroni e invece aumenta il processo di interconnessione tra di loro, formando il primo semplice apprendimento, ad esempio, l’abitudine, dove non vengono più curati gli stimoli ripetitivi.

Nonostante il cervello non finisca di svilupparsi all’interno dell’utero, è stato dimostrato come il bambino sia in grado di catturare le differenze di stimoli, sia visivi che uditivi, e, attraverso questi, gli si può “insegnare”.

Tuttavia, si deve comprendere quanto sia limitato il processo, perché i circuiti neuronali non sono consolidati, nonostante nei neonati siano stati osservati alcuni cambiamenti nell’attività elettrica cerebrale a fronte di determinati stimoli presentati mentre sono nell’utero. Quando vengono confrontati i bambini esposti con quelli non esposti a determinati stimoli, si mostra l’apprendimento.

L’Università di Helsinki (Finlandia) (Partanen et al., 2013) ha condotto uno studio al riguardo, che ha studiato 33 donne in gravidanza, metà delle quali sono state ripetutamente costrette ad ascoltare una pseudo-parola, cioè una parola inventata durante il giorno, che non esiste nella loro lingua, mentre l’altra metà non ha sentito nulla di nuovo.

Dopo la nascita, il bambino è stato valutato utilizzando l’elettroencefalogramma, che valuta l’attività elettrica del cervello. Si è scoperto che i bambini del primo gruppo erano in grado di riconoscere le pseudoparole, il che indicherebbe una certa capacità di apprendimento e memoria. Quindi, da questo studio si afferma l’importanza della stimolazione precoce nello sviluppo cognitivo, anche prima della nascita, durante la gestazione.

Dopo la nascita e grazie alla stimolazione ambientale, c’è un enorme aumento delle connessioni sinaptiche tra i neuroni, raggiungendo la loro massima espressione dopo 6 mesi.

All’anno di vita, il bambino ha quasi il doppio delle connessioni di un adulto, collegando strutture e aree quasi senza alcun tipo di ordine, che andranno perse per mancanza di pratica, grazie al fenomeno dell’apoptosi o morte neuronale programmata. Tutti quei neuroni che non hanno connessioni forti tenderanno a scomparire, trattenendo solo quelli che sono “utili” in base all’esperienza e all’apprendimento, producendo un assottigliamento corticale. Il meccanismo di apoptosi non è esclusivo dei neuroni (@CienciaDelCope, 2020) (vedi Immagine 3).

Immagine 3 Tweet Apoptosi per COVID-19

Traduzione Immagine 3: Spettacolare immagine presa da un microscopio elettronico a scansione di particelle di coronavirus SARS-CoV-2 (in rosso) sopra la superficie di una cellula in stato di morte programmata (apoptosi) estratta da un paziente con #COVID-19.

Tecniche di studio

Per quanto riguarda la classificazione delle tecniche di analisi del cervello per arrivare alla loro comprensione, è possibile distinguere tra tecniche invasive e non invasive. Le prime sono quelle che richiedono un intervento diretto a livello cerebrale, cosa che in passato era una pratica “usuale”, ma che viene interrotta ogni giorno per lo sviluppo di tecniche non invasive, evidenziando tra le prime:

- Chirurgia stereotassica, basata sulla mappatura delle strutture cerebrali.

- Elettrocorticogramma, costituito dall’introduzione di elettrodi sotto il cuoio capelluto, per una localizzazione più accurata dell’attività elettrica neuronale.

- Metodi dannosi, in cui una struttura o un’area è parzialmente o totalmente danneggiata per potere studiare l’influenza sul comportamento dell’individuo.

- Stimolazione elettrica, dove vengono trasferiti impulsi deboli che aumentano i segnali dei neuroni vicini all’elettrodo, mostrando schemi comportamentali o quelli delle lesioni.

- Intervento farmacologico, in cui vengono somministrati dei farmaci per controllare gli effetti sul cervello e sul comportamento. Questi possono causare danni chimici selettivi, attraverso l’uso di neurotossine, o influenzare funzioni specifiche, attraverso l’intervento su specifici neurotrasmettitori o recettori.

- Intervento genetico, cioè si tratta di eliminare o sostituire i geni per osservare gli effetti che provocano a livello neuronale e comportamentale.

- Le tecniche non invasive, invece, sono quelle che consentono di fare inferenze attraverso valutazioni, senza la necessità d’intervenire direttamente nel cervello della persona.

- Tomografia assiale computerizzata o scansione cerebrale, che consente di estrarre ai raggi X immagini tridimensionali del cervello in sezioni orizzontali.

- Risonanza magnetica, che fornisce immagini ad alta risoluzione dagli atomi di idrogeno attivati dalla radiofrequenza.

- Risonanza magnetica pesata in diffusione, attraverso la quale è possibile determinare la trattografia a livello cerebrale, potendo ottenere indici quali anisotropia fattoriale e diffusività media.

- Risonanza magnetica funzionale, in cui si osserva la variazione del flusso di ossigeno nel sangue nelle aree attive del cervello.

- Tomografia ad emissione di positroni, in cui l’attività cerebrale viene osservata attraverso un reagente che viene somministrato per via endovenosa.

- Elettroencefalografia, che valuta l’attività elettrica del cervello a livello del cuoio capelluto mediante elettrodi.

- Magnetoencefalografia, che valuta i campi magnetici delle correnti elettriche (@fisicagrel, 2020) (vedi Immagine 4).

Allo stesso modo, si può fare una distinzione tra tecniche cerebrali dirette e indirette: le prime sono quelle che lavorano direttamente con il cervello, utilizzando metodi invasivi o non invasivi, cioè si riferiscono a tutte le tecniche discusse nella sezione precedente.

D’altra parte, le tecniche indirette tengono conto del funzionamento del cervello senza la necessità di osservazione diretta o inferenziale, e non tanto per le strutture cerebrali. Cioè si tratta di studiare le prestazioni in diversi compiti, e attraverso esse è quindi possibile controllarne il funzionamento cognitivo.

Immagine 4 Tweet sulla Magnetoencefalografia

Traduzione Immagine 4: L’effetto Josephson è la base degli SQUIDS (dall’inglese Superconducting Quantum Interference Devices, in italiano Dispositivo Superconduttore ad Interferenza Quantistica), che usiamo per misurare i campi magnetici molto molto piccoli. Gli SQUIDS si usano, per esempio, nella magnetoencefalografia, tecnica non invasiva che registra l’attività funzionale cerebrale.

Valutazioni che diventano essenziali, quando le tecniche dirette non forniscono informazioni chiare al riguardo, come accade nei primi stadi di alcune malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer (Ocaña Montoya, Montoya Pedrón, & Bolaño Díaz, 2019).

Alcune di queste tecniche sono generiche, in termini di esplorazione di problemi neurologici, mentre altre cercano di verificare se c’è stato o meno un deterioramento in alcune funzioni cognitive, siano esse attenzione, memoria o linguaggio, come ad esempio con il test di Stroop.

Per quanto riguarda il Test del colore e della parola, va notato che è uno dei test più utilizzati per la rilevazione dei problemi neuropsicologici, dei danni cerebrali e per la valutazione delle interferenze.

D’altro canto, lo Screening del Declino Cognitivo in Psichiatria è un breve test volto a valutare la presenza di deficit cognitivi che si presentano più frequentemente negli adulti con qualche tipo di disturbo psichiatrico: memoria, attenzione, funzioni esecutive e velocità di elaborazione.

Cervello E Pandemia: Una Prospettiva Attuale

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