Читать книгу Papà Prende Le Redini - Kelly Dawson - Страница 12
Capitolo Quattro
Оглавление"Salsiccia." Darren le sussurrò la parola all'orecchio mentre le passava accanto, dirigendosi alla selleria. Era solo una parola detta a mezza voce, ma tanto bastava.
"Salsiccia! Salsiccia!" ripeté, sforzandosi di ripetere la parola a voce bassa. Era difficile - voleva gridarlo al mondo, il suo cervello le urlava di urlarlo a squarciagola - ma controllò l'impulso. "Salsiccia, salsiccia, salsiccia." ripeté ossessivamente.
"Strano!" le disse, passandole di nuovo accanto qualche minuto dopo, con una smorfia di chiaro disgusto sulla faccia, sentendola ripetere quella parola centinaia di volte.
Darren aveva scoperto accidentalmente la parola chiave, quando la signora Lewis aveva portato un vassoio di panini caldi con salsiccia appena sfornati, per la colazione del giorno prima. Bianca aveva pronunciato la parola tra sé e sé per tutta la mattina e, sfortunatamente, Darren l'aveva sentita. E da allora, non aveva fatto altro che cogliere l’occasione per sussurrarle la parola "salsiccia" all'orecchio.
Le parole chiave erano casuali. Qualsiasi parola poteva farla esplodere, e malgrado la maggior parte delle frasi scorresse via senza problemi, tuttavia il suo cervello a volte si fissava su una parola a caso; e, quando succedeva era finita, non aveva più pace. Tutto quello che poteva fare era sperare che l'ecolalia sarebbe passata presto.
Bianca si era goduta i suoi primi due mesi nella scuderia di Tom Lewis e, a parte Darren e il rancore che lui sembrava nutrire contro di lei dopo che lei purtroppo aveva rifiutato un appuntamento con lui il secondo giorno di lavoro, andava d'accordo con tutti gli altri membri del personale. Era una squadra laboriosa ma amante del divertimento, e lei si era adattata bene. E, anche se sapeva che tutti ormai conoscevano i suoi tic - bisognava essere sordi e ciechi per non notarli - nessuno di loro le aveva mai detto una parola offensiva al riguardo. Nessuno, tranne Darren. A quanto pare, lui provava un grande piacere nel trovare nuove parole chiave per farla andare di matto, o nel mimare le sue folli smorfie e i comportamenti strani. Se lei si schiariva la gola, lo faceva anche lui. E se lei annusava, come faceva spesso, e lui era nei paraggi, le andava vicino e le annusava l’orecchio.
Bianca cercava di continuamente di non scoppiare a piangere. No, non lo avrebbe fatto. Non più. Aveva finito di versare lacrime sulla sua Tourette. Non l’avrebbe aiutata a migliorare le cose; semmai, le faceva peggiorare i tic.
Non ci pensare, Bee. Anche adesso, poteva sentire le parole incoraggianti di Annie nel suo orecchio. Le mancava sua sorella. Aveva passato così tanto tempo con Rose, per rafforzare il loro legame e farla guarire dalle sue ferite, che non aveva avuto tempo da stare un po’ con Annie. La sera si rannicchiavano insieme nel letto, ma a quell’ora Annie era troppo stanca, debole e malata per farsi quattro chiacchiere con lei, e non poteva fare altro che godere della compagnia della sorella.
Sobbalzò al tocco gentile di una grande mano sulla sua spalla.
"Vuoi che dica a Darren di darci un taglio?" Le chiese Clay, con la sua voce da baritono.
Lei scosse la testa. “No, lascia perdere. Non voglio urtare qualcuno, stando qui. Inoltre, ho passato momenti ben peggiori, nella mia vita.”
"Va bene. Bene, fammi sapere se cambi idea. " Con un sorriso amichevole, si toccò il cappello e continuò a camminare verso le scuderie.
* * *
Clay si appoggiò alla recinzione del cortile rotondo e appoggiò la testa sugli avambracci, osservandola in silenzio. Aveva un dono con i cavalli, senza dubbio. I progressi che Bianca aveva fatto con Rose in soli due mesi erano stati incredibili. I suoi proprietari sarebbero venuti l'indomani per vederla correre e, sebbene sarebbe stata solo la seconda volta che Bianca l'avrebbe cavalcata, non aveva dubbi che sarebbe andato tutto bene.
Il viso di Bianca era sereno e rilassato e non aveva tic, mentre si concentrava sul cavallo, comunicando con lei in quel suo modo silenzioso e che rafforzava ogni giorno di più il loro legame. Clay continuò a guardarla, apprezzando il modo aggraziato con cui si muoveva, la sicurezza nel trattare con la puledra. Era così carina quando il suo viso non si contraeva in quelle orribili smorfie! Era un vero peccato che avesse quella malattia, altrimenti sarebbe stata una donna meravigliosa.
Bianca alzò lo sguardo e si accorse che lui la stava guardando; lui le sorrise, ma lei non rispose. Si limitò a girare di scatto la faccia, per poi voltarsi a guardarlo di nuovo dopo qualche secondo, con un’espressione accigliata sul viso.
"Non guardarmi.” Lo pregò in un sussurro, ma lui riuscì a sentirla lo stesso.
"Perché no? Dovresti essere abituata agli sguardi dei maschi!” rispose lui.
“Oh, certo! Mi guardano, eccome! Anche le ragazze. A tutti piace guardarmi per prendermi in giro!” La sua voce era amara, triste e malinconica, e lui si rese immediatamente conto di avere fatto una gaffe.
“Aspetta, non intendevo questo!” protestò, ma ormai era tardi. Capì che, per la frustrazione, Bianca stava lottando contro un altro tic. Evidentemente le sue parole l’avevano sconvolta. Idiota! Si disse.
"Quello che volevo dire è che sei bellissima! Dovrebbero dirtelo più spesso!”
Lei sbuffò e scosse la testa, ma Clay notò il mezzo sorriso che stava cercando di nascondere. "Nessuno me lo dice mai."
"Non ci credo.”
"Non lo fanno, credimi." Rivolse la sua attenzione al cavallo.
"Io invece voglio dirtelo."
Bianca si voltò e lo guardò con aria sorpresa. "E perché?"
"Te l’ho detto: sei bellissima." La sua voce era dolce mentre glielo diceva, e non mentiva: la trovava davvero bellissima. I suoi occhi erano sempre così tristi, sembrava così fragile... forse erano proprio queste le cose che lo attiravano di più in lei, e che scatenavano la sua voglia di proteggerla.
"Sono un mostro." Bianca pronunciò queste parole con voce ferma, come se ne fosse fermamente convinta.
Il cuore di Clay si spezzò. "Non sei affatto un mostro."
"Sì, lo sono." Poi si voltò di nuovo verso Rose, ordinando silenziosamente al cavallo di abbassarsi sui quarti posteriori.
Clay continuò a fissarla intensamente, impressionato dalle tecniche naturali di equitazione che Bianca stava usando per costruire il legame con la cavalla e rendere il suo corpo forte ed elastico come una volta. Anche se la puledra non era ancora al massimo della forma fisica, ora che Bianca la cavalcava tutti i giorni ben presto sarebbe tornata perfetta.
Più rimaneva a guardarla, più si sentiva attratto da lei. Doveva essere rimasto affascinato per un bel po’, perché quando tornò in sé la vide accanto a lui che armeggiava con il chiavistello del cancello, tenendo in mano le redini di Rose. Cogliendo l’occasione al volo, lui allungò una mano e le toccò delicatamente la spalla, guardandola fisso negli occhi. All'inizio Bianca evitò di guardarlo, ma lui mantenne lo sguardo fisso, fino a che lei non alzò i bellissimi occhi. Lui le lanciò uno sguardo di sfida.
"Non sei un mostro.- le disse Clay dolcemente ma con fermezza - Se tu fossi mia, ti sculaccerei solo per averlo pensato.” le disse.
Lei sorrise appena. "Meno male che non sono tua, allora. Perché io invece non faccio che ripetermelo. Sono un mostro, è così.”
Le tenne una mano sulla spalla, tenendola ferma. "No." esclamò.
“Invece sì!” quasi gridò lei, scrollandosi la sua mano da dosso. “Posso andare adesso? Ho del lavoro da fare!”
Lui si scostò per lasciarla passare, ma fece in tempo a vederle sulla faccia un mezzo sorriso. Allora, gradiva le sue attenzioni? Bene, questo la rendeva ancora più attraente. Clay non aveva mai incontrato una donna più forte e coraggiosa di lei, indomita e decisa ma anche così fragile dentro. Il suo cuore si strinse al pensiero di quanto dolore dovesse sopportare. Sospirò frustrato, desiderava intensamente farla sua.
* * *
Ancora! – pensò Bianca, eccitata – Ha di nuovo tirato fuori la sculacciata! Tuttavia, oltre le chiacchiere, non si era spinto oltre. Se era così ansioso di sculacciarla, perché non lo faceva?
Ogni giorno, Annie le chiedeva se aveva fatto progressi con Rose. Poi cominciò a informarsi dei suoi progressi con Clay. Immancabilmente, la risposta era sempre la stessa: no. Clay la trattava gentilmente; tutti i fratelli erano cordiali con lei. Come la maggior parte delle persone alle scuderie. Ma a parte le chiacchiere banali tra colleghi, nessuno aveva mai mostrato desiderio di conoscerla e quindi, per quanto la riguardava, era come se non esistesse per loro.
Annie. Il suo cuore si strinse al pensiero di sua sorella. Anche non volendo, l'immagine della sua fragile sorella le balenò nella mente. Annie aveva combattuto coraggiosamente - stava ancora combattendo coraggiosamente - ma aveva perso la sua battaglia. Contro il cancro, non c'erano mai vincitori. O almeno, raramente. In pratica, c'erano solo vittime. Vittime dei danni della chemioterapia e delle radiazioni, vittime della orrenda malattia che le divorava da dentro. E poi c’erano le altre vittime, padri, madri, sorelle, che avrebbero pianto per la morte dei loro cari. Il tempo di Annie stava scadendo e, invece di starle accanto per godere di quegli ultimi giorni, Bianca aveva scelto di stare con un cavallo. Quando il pensiero la trafisse, si sentì riempire gli occhi di lacrime per un profondo senso di colpa. Doveva riordinare le sue priorità: trascorrere del tempo con sua sorella era troppo importante.
"Oh, Bianca! - gridò Clay, mentre lei guidava la puledra nella stalla e chiudeva la porta - I proprietari di Rose verranno domani per vederti correre: vogliono cronometrarti, vedere quanto è veloce la puledra. Se è sono soddisfatti lei rimane. Altrimenti ... "La voce di Clay si spense. Non aveva bisogno di finire la frase. Entrambi sapevano quale destino attendeva la puledra se non fosse stata abbastanza veloce. I proprietari avevano già investito così tanti soldi per salvare quel cavallo, evidentemente non erano disposti a continuare a pagare per lei senza un adeguato ritorno.
"Fidati, è veloce. - rispose Bianca – Ormai mi sono chiare le sue potenzialità. E’ una campionessa.”
Clay annuì semplicemente. "Vedremo."
* * *
"Sei in ritardo!" La voce accusatrice fu la prima cosa che Bianca sentì mentre apriva la porta d'ingresso. "Tuo padre è ancora al pub, ubriaco come al solito, e oggi non sei nemmeno tornata a casa per pranzo. Annie mi ha detto che negli ultimi tempi torni a casa solo la sera. Tua sorella non conta proprio niente, per te? "
Bianca si voltò di scatto, con la faccia in fiamme, per affrontare la donna che le aveva abbandonate per rifarsi una vita e che ora cercava prepotentemente di imporsi nella loro.
"Come?" gridò, non appena la sua faccia ebbe finito di contrarsi per un violento tic. "Sono stata io a prendermi cura di Annie per anni mentre tu te ne andavi in giro per il mondo dimenticandoti che avevi due figlie! Come osi tornare qui da padrona e accusarmi di non amare mia sorella? Annie è sempre stata la persona più importante della mia vita e lo sarà sempre! "
Le due donne rimasero nell'atrio a urlarsi addosso per diversi minuti, lanciandosi insulti di ogni tipo. Strillavano così forte da coprire il rumore dell’auto che si fermava nel vialetto, finché la porta d'ingresso non si aprì e il padre di Bianca rimase lì, a fissare in silenzio le due donne che urlavano. La madre di Bianca si girò a guardarlo, e Bianca ne approfittò per scappare, fuggendo lungo il corridoio verso la camera da letto di sua sorella.
Annie era completamente sveglia quando Bianca entrò; le loro grida l’avevano destata nel bel mezzo del sonno. Copiose lacrime le scorrevano lungo le guance e il cuore di Bianca si strinse a quella vista: Annie non aveva mai pianto in vita sua.
"Devi mettere da parte il tuo rancore, Bee. - sussurrò Annie - Non puoi odiarla per sempre."
"Dovrei perdonarla?" Bianca era incredula. "Mai! Non la perdonerò mai per averci abbandonato proprio quando avevamo più bisogno di lei! "
Annie lisciò le lenzuola del letto. "Siediti. - disse dolcemente tra le lacrime - Ho preso una decisione. Domani mi farò ricoverare in ospedale. Non voglio essere più un peso per te. "
"No, Annie! - protestò Bianca con tutte le sue forze - Non sei un peso! Tornerò a casa prima, te lo prometto! E verrò anche a ora di pranzo! Mi dispiace tanto di averti deluso, Annie, per favore non mi lasciare! "
Annie si limitò a scuotere la testa. "Hai una vita da vivere, Bee. – disse - Un lavoro, forse un uomo, e un cavallo da salvare. Basta prenderti cura di me. Lo hai fatto per tutta la vita, ora devi pensare a te.”
"Ma io voglio stare con te!"
"Ed io non voglio, Bianca." La voce di Annie era dura e fredda, ma Bianca sapeva che stava fingendo. Sapeva quanto fosse pronta Annie a sacrificarsi per la felicità di qualcun altro; questa consapevolezza la fece crollare del tutto e scoppiò a piangere.
"Non puoi dire questo, Annie! – la implorò tra le lacrime - Lo so che non fai sul serio.”
"Ti sbagli, sono davvero convinta. - disse Annie con forza - Domani vado in ospedale. MI accompagnerà nostra madre. Potrai comunque venire a trovarmi, nelle ore di pausa dal lavoro.”
Quella notte Bianca non riuscì a chiudere occhio, era troppo sconvolta. Non fece che tenersi stretta al petto la mano di Annie, cercando di coordinare i suoi respiri rapidi e irregolari a quelli lenti e ritmici di Annie, provando a rilassarsi in tutti i modi, senza riuscirci. Aveva lo stomaco a pezzi, la testa le doleva e non riusciva a chiudere gli occhi. Sperava che il tempo si fermasse, che il domani non sarebbe mai arrivato. Non solo stava perdendo quella che per lei era più di una sorella, ma forse avrebbe perso anche il cavallo che stava iniziando ad amare.