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Capitolo Uno

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"Mi hanno dato il lavoro, Annie!" esclamò Bianca trionfante e agitando le mani in aria, entrando nel salotto di casa sua, dove sua sorella era accomodata sulla poltroncina di pelle La-Z-Boy, una coperta di lana colorata sulle ginocchia, e una rivista aperta sul tavolino da caffè accanto a lei. "Inizio domani!"

Annie le sorrise. "Sono contenta - ero convinta che ti avrebbero presa."

"Devo ringraziare il signor Lewis, Tom; all’inizio era un po’ riluttante, mi ha anche preso in giro per il fatto che sono una ragazza, ma alla fine ha accettato di darmi una possibilità, a differenza di tutte le altre stalle in giro che ho contattato."

"Sarai bravissima, Bee. - mormorò Annie - Hai un’abilità innata coi cavalli. Solo, stai attenta che la tua sindrome di Tourette non si metta in mezzo ai tuoi sogni." Sospirò lievemente e si accasciò sulla sedia; lo sforzo di parlare l'aveva esaurita.

"Non sanno della mia Tourette." confessò Bianca.

Annie si alzò di scatto. "Che cosa? Non gliel'hai detto? E perché?"

Bianca si strinse nelle spalle. "Sai com'è, Annie. – disse - Nessuno si preoccupa di capire la mia malattia, danno tutti per scontato che ne sanno abbastanza, e solo perché i media ultimamente ne hanno parlato.”

Annie annuì leggermente. "Hai ragione, Bee, ma devi dirglielo! Cerca di fargli capire cosa significa per te. Fai in modo di parlargliene, in modo che non dovrai stare continuamente in ansia. Magari non faranno nemmeno caso ai tuoi tic, ma devi dirglielo." C’era un velo di preoccupazione, nella voce di Annie e Bianca sapeva che sua sorella aveva ragione. Era passato molto tempo da quando la sindrome di Tourette le aveva rovinato la vita, ma sapeva quanto poteva rivelarsi dannosa. Sospirò.

"Va bene, Annie, glielo dirò." promise. Poi le rivolse un sorrise. "Sai, è quasi divertente. Sei tu la vera malata, eppure eccoti qui, a proteggermi." Bianca allungò la mano per prendere quella di sua sorella, e la strinse delicatamente. La presa di Annie era molto debole, e lei stessa era tanto fragile. Ma il suo sorriso era pieno di calore.

"Ci siamo sempre protette a vicenda, Bee; abbiamo sempre vissuto l’una per l’altra.”

"Come farò ad andare avanti senza di te, Annie.. – mormorò tristemente Bianca – Mi mancherai tanto."

"Non sono ancora morta, Bee." disse Annie con fermezza. Ma entrambe sapevano che era solo questione di tempo: la prognosi di Annie non era buona. Le era stato diagnosticato un cancro terminale tre anni prima e, sebbene avesse combattuto coraggiosamente, era chiaro che ormai il suo corpo non ce la faceva più. A soli venticinque anni, quindici mesi meno di Bianca, Annie era l’ombra di se stessa. La ragazza, un tempo così vivace, si era ridotta a uno scheletro, quasi calva per i danni di una inutile chemioterapia, e incapace di fare due passi da sola prima di essere sopraffatta dalla debolezza e dai conati di vomito.

Bianca si sedette sul divano accanto alla poltrona di Annie, e si mise comoda per passare la serata con sua sorella. Ora che la malattia era progredita così tanto e così rapidamente, ad Annie non piaceva più stare da sola, e il loro padre maniaco del lavoro di sicuro proprio in quel momento stava affogando i suoi dispiaceri nell'alcool al pub dietro l’angolo. Benché se ne fosse andata di casa quando loro erano solo due bambine, la loro madre aveva fatto un mezzo tentativo di tornare nelle loro vite quando aveva scoperto che Annie era malata, ma Bianca non glielo aveva permesso. Provava solo rancore per la donna che le aveva abbandonate da piccole, lasciandole da sole col padre per rifarsi una vita con lo yogi guru con cui aveva una storia, e andandosene con lui in India per “ritrovare se stessa.” Bianca ignorava se poi ci fosse riuscita, ma dal canto suo andandosene aveva perso per sempre le sue figlie. Annie era più comprensiva di Bianca, ma anche lei non aveva mai perdonato quella stupida donna che le aveva lasciate per così poco.

Con il padre che lavorava fuori casa tutto il giorno, era toccato a Bianca di prendersi cura di Annie. C’erano delle volontarie della chiesa locale che venivano a farle compagnia un paio d’ore al giorno, e questo era quanto. A Bianca non importava: Annie era sua sorella, la sua migliore amica, la persona più importante del mondo per lei. Ma a volte occuparsi della sorella diventava estenuante e ormai era chiaro ad entrambe che, di lì a poco, sarebbe stato necessario ricoverare la povera Annie in un ospedale a lunga degenza, dove avrebbe ricevuto un’assistenza adeguata.

Dopo aver cucinato la cena e riassettato la cucina, Bianca si rannicchiò accanto ad Annie sul letto matrimoniale della loro stanza. Non dormivano sempre assieme ma il giorno dopo doveva trovarsi al lavoro molto presto, e voleva che sua sorella si sentisse calma e tranquilla, quella notte.

* * *


Arrivò alle stalle alle sei precise del mattino, come le aveva detto il signor Lewis. Anche di così buon mattino l’intero complesso era tutto illuminato e in pieno fermento.

"Buongiorno, sono Clay. Tu devi essere Bianca? Papà mi ha detto che saresti arrivata.” L'uomo in piedi sulla doppia porta aperta delle scuderie sorrise e le tese la mano.

Che bel pezzo d’uomo! Sentì subito la sua forte stretta, quando lui le prese la mano.. Lo guardò velocemente da capo a piedi, ma in modo che non si notasse troppo. Aveva gambe lunghe e magre e indossava dei jeans blu e alti stivali neri. Era alto, con le spalle larghe e i fianchi stretti, la tipica corporatura a trapezio. Portava una camicia a quadri blu con le maniche arrotolate sui gomiti, il che metteva in evidenza le sue braccia forti e muscolose. Ma la cosa migliore erano gli occhi, i più dolci e blu che Bianca avesse mai visto, e quella massa di capelli biondo scuro un po’ ispidi che gli ricadevano ai lati della faccia, dove l’ombra di un pizzetto gli delineava la mascella. Sotto agli occhi c’erano delle minuscole e sensuali rughe d’espressione, e l’uomo era bello abbronzato. Dimostrava circa trent’anni. Ottenere il lavoro come apprendista fantino nella stalla di Tom Lewis era già fantastico, ma avere a che fare con quel bellissimo manzo in piedi sulla soglia che ancora le teneva la mano, sarebbe stata la ciliegina sulla torta!

"Ehm, sì - balbettò, cercando di tenere a bada i suoi tic - Sono Bianca." Quando era nervosa i suoi tic peggioravano sempre e le veniva da fare delle smorfie, a causa della contrazione dei muscoli della faccia, dietro gli occhi e sulla mascella. Si concentrò per non dare spettacolo. Non era ancora il momento di rendere nota al quel bellissimo ragazzo quella strana parte di lei. Non sarebbero mancate le occasioni, per dirglielo.

“Ok, andiamo; papà mi ha chiesto di mostrarti tutto. Lui verrà più tardi."

Non appena Clay le ebbe voltato le spalle, Bianca smise di controllare il suo tic più frequente: girare il collo, contrarre la mascella e nascondere gli occhi dietro le mani mentre li faceva roteare intorno in modo bizzarro, spalancandoli fino a sentire dolore. Dopodiché alzò le spalle e cercò di rilassare i muscoli, ben sapendo di poter tenere tutto sotto controllo solo se non si lasciava prendere dall’ansia.

Continuò a dare libero sfogo ai suoi tic, mentre Clay le era di spalle e non le prestava attenzione, intento a mostrarle le scuderie, a presentarla al resto del personale e a farle vedere i cavalli, illustrandole la routine di tutti i giorni e infine indicandole la lavagna proprio fuori alle scuderie, dov’erano segnati i cavalli da far correre nell’ambito della giornata.

"Se tutto va bene, domani troverai il tuo nome su questa lista. – le disse – Oggi farai pratica strigliando e dando da mangiare ai cavalli, così comincerai a conoscerli.”

“ Ok.” mormorò Bianca distrattamente. Camminava con spavalderia e, dato che gli stava dietro, poteva ammirare il suo bel sedere stretto nei jeans. Niente male, non c’è che dire. I suoi capelli arruffati gli sfioravano la nuca e lei moriva dalla voglia di alzarsi sulla punta dei piedi e farci scorrere le dita.

"E qui - disse Clay, fermandosi di botto e aprendo una porta a lato delle stalle – teniamo la biada per i cavalli." Agitò un braccio per il locale indicandole i sacchi ammucchiati in un angolo e i barili contenenti mangime premiscelato e polveri di integratori vitaminici allineati contro la parete di fondo. Le reti da fieno erano appese a ganci sopra le botti, e una mezza dozzina di balle erano accatastate in modo precario l'una sull'altra lungo la parete laterale.

Una rete da fieno era stata gettata distrattamente sul pavimento, dando una sensazione di sciatteria a quel posto così ben organizzato, e Clay si chinò a raccoglierla. Le passò così vicino che lei potè sentire l'odore del suo deodorante, e un brivido di eccitazione la invase, mentre l’uomo le sfiorava inavvertitamente il seno con la spalla. Trattenne il respiro mentre quel brivido le si diffondeva per tutto il corpo, facendole accelerare il battito cardiaco e indurendole i capezzoli. Lo aveva sentito anche lui? Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, era quasi ipnotizzata, mentre lo vedeva riappendere la rete al suo gancio. Si sentiva fatalmente attratta dal modo sensuale con cui lui si muoveva, dalla leggerezza con cui i suoi capelli gli accarezzavano il colletto della camicia. Quando lui si voltò a guardarla, lei scosse la testa per liberarsi dallo stato di confusione in cui si trovava e si costrinse a concentrarsi su altre cose. Nessun uomo l'aveva mai attratta a quel modo, mai! Di cosa stava parlando, Clay? E perché quel semplice tocco l’aveva eccitata così tanto?

Continuarono il giro e Bianca rimase molto colpita dalla professionalità con cui era gestito l’intero complesso. Quando Clay la presentò agli altri lavoranti delle stalle, o incontrava qualcuno mentre camminavano, era evidente il senso di cameratismo che c’era tra loro. L'ambiente di lavoro era allegro, divertente, scherzoso e Bianca capì che si sarebbe trovata bene.

Lo seguì per tutto il tragitto, schivando le carriole parcheggiate fuori dalle scuderie, fino alla fine. Alcuni giovani si stavano dando da fare per ripulire per bene il pavimento delle stalle, e Bianca non potè fare a meno di immaginare Clay mentre spalava la segatura ... con quei muscoli poderosi che si flettevano per manovrare la pala, e il suo modo di muoversi sensualmente per la stalla.

"Ok, puoi partire da qui e farti tutto a ritroso.” Clay prese una pala da un gancio sul muro e gliela porse. "Immagino che tu sappia come pulire una stalla.” disse.

E se lo avesse preso un po’ in giro? Scosse la testa, riuscendo a mantenere una faccia seria nonostante il sorrisetto che le si stava formando agli angoli della sua bocca.

"No. Credo che dovrai insegnarmi.” rispose.

Mantenne una faccia da angioletto mentre lui la guardava fisso negli occhi. Forse aveva mangiato la foglia? Anche se di recente aveva fatto lavori diversi – la segretaria a tempo determinato presso un istituto scolastico – era ancora in grado di ripulire una stalla con una mano sola! Sentì arrivare un tic, ma riuscì a tenerlo a bada, e ciò la fece sembrare ancora più seria. Doveva stare molto attenta a non far emergere la sua sindrome di Tourette, altrimenti l’avrebbero licenziata su due piedi! Era già successo.

Riuscì nel suo impegno e controllò i tic e il sorrisetto, mentre l’uomo le faceva vedere come spalare la segatura sporca e bagnata e scaricarla nella carriola. Non appena lui le voltò le spalle, lasciò andare il tic che le fece prima torcere, poi scattare e infine contrarre la faccia violentemente. Il suo collo si girò così di scatto che sentì un dolore acuto irradiarsi fino alle spalle. Sempre meglio della lotta che doveva ingaggiare ogni volta per impedire ai suoi tic di darsi alla pazza gioia. Ruotò le spalle, cercando di rilasciare i muscoli in fiamme. E ci riuscì.

Quando la faccia le tornò normale, si rimise a guardare in estasi il corpo snello e muscoloso di Clay che si muoveva con abilità nel grande e arioso box, facendo scorrere la segatura ai lati per lasciare asciugare le chiazze bagnate di cemento. Era proprio un uomo forte e bellissimo! Sorrise, compiaciuta. Era passato un bel po’ di tempo da quando aveva avuto davanti agli occhi uno spettacolo eccitante come quello che adesso le stava offrendo Clay.

Soffocò una risatina mentre Clay si sbarazzava dell'ultimo residuo di segatura bagnata e si voltava a guardarla. "Pensi di riuscirci?" le disse, porgendole la pala.

Scosse di nuovo la testa, ma questa volta non riuscì a trattenersi dal mettersi a ridere. "Non posso credere che ci sei cascato! – esclamò – Sono pratica dei lavori di stalla già dai tempi dell’asilo; certo che sono in grado di pulire una stalla!” Gli sorrise sfacciatamente. "Volevo solo guardarti mentre lo facevi!"

Lui la fissò per un attimo, a bocca aperta, poi scoppiò in una risata bassa e rimbombante che gli saliva dalle viscere, e che la fece ridere ancora di più. "Dovrei proprio sculacciarti!" la ammonì, ridendo.

Lei rimase paralizzata all’istante e rimase a guardarlo, senza parlare. Aveva sentito bene? Un brivido l’ attraversò da capo a piedi. Aveva desiderato per tutta la vita che un uomo le dicesse una cosa simile!

Rimase immobile, senza spiccicare parola, mentre lui stava ancora a ridere. Alla fine, l’uomo le fece l’occhiolino e se ne andò, lasciandola lì, con la pala in mano.

Mentre lo guardare andarsene, Bianca si chiese cos’era quel tremendo dolore che si sentiva tra le cosce. Certo, lui era sexy, ma lo erano anche molti altri uomini che aveva incontrato, e nessuno di loro l’ aveva mai eccitata tanto, prima. Forse era il fatto della sculacciata. Certo, doveva essere quello!

* * *


"È meraviglioso, Annie!" disse Bianca a sua sorella. Era tornata a casa per pranzo. Come ogni scuderia per cavalli da corsa, si lavorava soprattutto all’alba e dal tardo pomeriggio fino a sera, quindi aveva qualche ora libera durante la giornata, così poteva prendersi cura di Annie.

Annie le sorrise debolmente. "Sono contenta, per te. – le disse dolcemente – E spero che anche lui sia gentile; ti meriti un brav'uomo."

"Beh, non è ancora il mio uomo!" esclamò Bianca. Poi strinse la mano di Annie. “Ma sembra carino. E ama i cavalli, quindi è un buon inizio.” Poi sorrise e si avvicinò a sua sorella. "E credo che sia anche un amante delle sculacciate!"

Il sorriso di Annie le illuminò tutto il viso. "Oh, sorellina, sono così felice per te!" esclamò. "Posso morire felice, sapendo che hai trovato l’uomo dei tuoi sogni." Strinse delicatamente la mano della sorella, e quella piccola stretta sembrò toglierle ogni forza.

"Non puoi lasciarmi! - piagnucolò Bianca, mentre una lacrima le scorreva sul viso. "Non sono ancora pronta per restare senza te." Strinse saldamente entrambe le mani di Annie nelle sue.

"Non ancora...- confermò Annie - Ma accadrà presto. E sarà un sollievo, sorellina. La fine del dolore."

Bianca si stese sul letto accanto a sua sorella. La salute di Annie si stava rapidamente deteriorando. Il cancro stava divorando progressivamente il suo corpo; era un modo atroce di morire.

La sua pausa finì anche troppo presto e Bianca dovette tornare al lavoro. Annie si era quasi addormentata, ma sorrise quando Bianca si chinò su di lei e la baciò dolcemente sulla guancia, per poi lasciare la stanza in punta di piedi.

* * *


Clay l'aveva osservata lavorare nell'ultimo quarto d'ora. Bianca si trovava nel box della biada e aveva abilmente gettato giù dalla catasta, che arrivava ben oltre la sua testa, una bella balla di fieno, e lui la stava piacevolmente osservando dalla porta mentre lei riempiva tutte le reti. Quel lavoro facile e ripetitivo le permetteva di tenere la mente sgombra, e il suo pensiero corse alla sorella. La vita era così crudele! Annie era la persona più straordinaria che conosceva, bella dentro e fuori, e stava morendo. Non meritava di morire a quel modo.

"Cos'è che fai, con la faccia?”

Bianca sobbalzò per la paura: non l’aveva sentito avvicinarsi. Poi gemette: se n’era accorto prima di quanto sperasse! I suoi tic dovevano essere peggiorati, se lui era riuscito a notarli il secondo giorno di lavoro.

"Allora?" insistette Clay, con tono arrabbiato.

Lei sospirò e abbassò lo sguardo. "Perché ti interessa?” chiese.

Clay le lanciò un'occhiataccia. “Come responsabile di tutto il complesso penso di avere il diritto di sapere. Ti droghi?"

"No! - esclamò lei, con forza - Non è nulla del genere." Lui continuò a fissarla ed era chiaro che non l’avrebbe mollata fino a quando non avesse ricevuto una spiegazione ragionevole. Lei sospirò. Fa che non accada di nuovo! Per tutta la sua vita aveva combattuto contro lo stereotipo che i media avevano diffuso sulla sindrome di Tourette; aveva lottato per dimostrare alla gente di valere come chiunque altro, malgrado quelle strane smorfie che le si disegnavano in faccia.

"Allora? Sto aspettando!" ringhiò l’uomo.

"Ho la sindrome di Tourette."

"Quindi hai mentito."

"No." Scosse la testa con decisione.

“Ti è stato specificamente chiesto nel modulo di domanda se avevi qualche patologia medica. Hai barrato no, l'ho letto. "

"No, mi è stato chiesto se avevo delle patologie mediche in grado di interferire col lavoro. – lo corresse lei – La mia malattia non m’impedisce di lavorare.” E disse queste cose con fermezza, sperando di apparire convincente.

"Quindi le bestemmie, tutti quei tic strani che sono una mezza disabilità...e il fatto che si ripetano ossessivamente delle frasi... E’ tutto falso?" le chiese dubbioso, non sapendo se crederle o meno.

Lei scosse la testa. "No, è vero, ma solo per alcune persone. Il fatto è che la Tourette colpisce tutti in modo diverso. Ai media piace gonfiare le cose, ma io non faccio niente di tutto quello che hai detto. C’è qualcuno malato come me che le fa, ma io no. Quello che succede a me l’hai visto: faccio le smorfie. Da piccola ho avuto un po’ di quegli altri sintomi, ma poi sono passati. Quello che mi hai visto fare è quanto.”

"Allora perché non l'hai detto a papà, quando vi siete conosciuti?" domandò lui, ancora irritato.

"Perché non mi avrebbe dato il lavoro!" esclamò. "Guarda, ci sono già passata. In questo paese ci sono leggi sul lavoro molto discriminanti. Nessun datore di lavoro assumerebbe qualcuno con la sindrome di Tourette se può scegliere tra altri candidati. Nessuno la conosce veramente, ad eccezione di ciò che sentono dai media, che poi parlano solo di casi eccezionali ed estremi. Quindi anche voi mi avreste valutato su queste basi."

Clay si grattò il mento, guardandola molto pensieroso. "E se tu facessi queste cose quando sei in sella? Quando ti vengono quelle smorfie, lo fai in modo abbastanza violento. Se ti accadesse quando stai galoppando in pista rischieresti di perdere l'equilibrio, cadere e farti male o, peggio, morire sul colpo. Sai quante cause di lavoro vengono fatte ogni giorno?"

Le fece l'occhiolino, sorridendo sulla sua battuta, ma lei non ricambiò il sorriso. Non poteva: sapeva che lui aveva ragione. Alcuni dei suoi tic facciali erano movimenti bruschi e, spesso, si combinavano con violente torsioni del collo, il che alterava completamente la sua percezione dell’esterno e poteva farle perdere l’equilibrio.

"Non mi è mai successo, quando cavalco. O anche quando lavoro con i cavalli, lo giuro! Tutto ciò ha un meraviglioso effetto terapeutico su di me. A cavallo, mi sento una persona normale ".

Incrociò le dita dietro la schiena sperando di avere fortuna, e che lui le avrebbe concesso quell’ultima possibilità. Non sarebbe stato il primo a licenziarla per la sua Tourette, e senza dubbio non sarebbe stato l'ultimo.

"Se mi dai una possibilità per questo lavoro, ti prometto che non te ne pentirai." supplicò. Non voleva sembrare disperata, ma in verità lo era. Nessun'altra scuderia aveva voluto assumerla; la maggior parte degli allenatori preferiva ancora apprendisti fantini maschi, anche se in realtà maschi e femmine hanno pari diritti. E aveva bisogno di un lavoro, preferibilmente uno con degli orari che le permettessero di prendersi cura di Annie.

Clay la guardò severamente per un attimo prima di lasciarsi andare ad un ennesimo sorriso.

"Sei fortunata: non sono io che mi occupo di assunzioni e licenziamenti, quindi per ora nessun problema. Parlerò con papà e cercherò di spiegargli la situazione."

Ancora una volta le strizzò l’occhio. ”Ma, se dipendesse da me, ti metterei sulle mie ginocchia e ti sculaccerei per bene, per non avermi detto niente!”

"Oh, grazie, signore!" Era così sollevata che dovette reprimere l’impulso di gettargli le braccia al collo per la gioia.

Fu solo più tardi, molto più tardi, quando si trovava già sotto le coperte, che le ritornò alla mente la frase: ”Ti metterei sulle mie ginocchia e ti sculaccerei per bene.” pronunciata da quella voce profonda, e si sentì scuotere da un brivido. Non ne aveva parlato con Annie, ma sapeva che la sorella l’avrebbe capita. Era una delle poche persone al mondo a conoscere la sua ossessione per le sculacciate. Annie sapeva tutto dei siti web che Bianca frequentava a tarda notte, per soddisfare questa sua insana passione. E forse Annie avrebbe anche capito se le parole di Clay erano tendenziose, oppure no.

Con questo pensiero in mente si addormentò, pensando a quell’uomo e a come sarebbe stato essere sculacciata da lui. Era bello, con mani grandi e forti, abbastanza grandi da lasciarle delle impronte sul tutto il sedere. Si immaginò rovesciata sulle sue ginocchia con quelle enormi mani che le facevano diventare rosse le chiappe, mentre con la sua voce da baritono la rimproverava per qualche misfatto immaginario. Si addormentò con un sorrisetto sulla faccia, aspettando con ansia il mattino, quando avrebbe rivisto il suo bel caposquadra.

Papà Prende Le Redini

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