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I.

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Nel salotto non c'ero che io; io, in piedi, nell'atteggiamento nervosissimo dell'aspettazione, guardando dei quadri di cui conoscevo tutto, l'autore, il tema, il valore artistico, la provenienza, la data in un angolo.

Geltrude, la cameriera, entrò dallo studio e mi disse:

—Il signore ha una visita; ma si sbrigherà sùbito, e la prega di pazientare un istante.—

La cameriera attraversò la sala ed uscì dalla porta che metteva al sèguito dell'appartamento: io mi posi a sedere sul divano color foglia morta. Vecchio salotto, dove regnava un ordine insoffribile, quello del signor Pietro Folengo! V'era lo scaffaletto da ninnoli, con dei minerali preziosi e degli uccelli imbalsamati; v'era il piano, a coda; v'era la tavola con dei mostri cinesi, degli albi di famiglia e dei libri regalati dai giornali cui il signor Folengo era abbonato; v'eran quegli oggetti e quei mobili volgari, che disposti in qualunque modo, messi sotto qualunque luce, formano sempre un solo tipo di casa, producono sempre una sola impressione. Tuttavia, dopo i quadri, io passava in rivista accuratamente quelle cose notissime, rilevando la maniera sciatta con cui le si eran collocate, e così ligia alle regole di riscontro ch'io mi volsi per vedere se non vi fossero anche due caminetti, l'uno di faccia all'altro.

Il gusto informatore della disposizione era indubitabilmente del signor Pietro Folengo; e il visitatore meno atto all'osservazione poteva giudicare che il padrone di casa doveva essere inclinato meglio alle cifre che alla meditazione, meglio al commercio che all'arte; se poi, di questo padrone si guardava il ritratto—attaccato alla parete principale e naturalmente di fianco a quello della sua signora e, più naturalmente, al disopra di quel di sua figlia,—il signor Pietro Folengo appariva, senza speranza alcuna, ragioniere, amministratore; uno di quei terribili uomini i quali vi parlan della Borsa, dei corsi d'acqua, d'edilizia e di cambiali, allo scopo di divertirvi. Il signor Folengo aveva una fisonomia senza significato, per natura e per arte; poichè s'era lasciato crescere i favoriti, lunghi e bianchi, che lo facevan rassomigliare a centinaia d'altri, servitori o ministri, cocchieri del vecchio stampo o ambasciatori e plenipotenziarî: sulla sua fronte, non troppo alta, ma levigata come di marmo, nessun pensiero aveva fatta presa; la computisteria gli era stata leggiera; egli ignorava perfettamente l'esistenza di Dante e di Raffaello.

Dallo studio venivan le voci del visitatore e del Folengo; la prima, tenue come d'un implorante, la seconda, calma, con chiaroscuri studiati, che indicavan gl'incisi dei quali il Folengo usava abbellire il discorso; ad ora ad ora giungeva anche il fruscio di carte spiegate; qualche colpo di tosse, che aveva un perchè; finalmente udii che il visitatore si congedava, col solito: «Allora, siamo d'accordo; io le farò avere i documenti….» La porta che dallo studio metteva all'anticamera s'era chiusa dietro le spalle dell'incognito; la porta che dallo studio metteva al salotto dov'io mi trovava, veniva aperta per dare adito al signor Folengo.

Io m'era alzato. Il signor Pietro, basso e largo, severamente abbigliato di nero, colla faccia illuminata da un sorriso breve, mi veniva incontro a mani aperte.

—Caro signor Sergio!—egli disse.—Mi perdoni la lunga attesa: sa, queste benedette faccende; l'amministrazione….

Così dicendo, sedette egli pure sul divano e mi fece accomodare presso di lui.

—Ora, sono tutt'orecchi,—continuò.—Mi pare che nel suo viglietto di ieri mi chiedesse udienza per affari, anch'ella….

—Per affari!—dissi, brutalmente colpito.—Per affari, no: per cose di sommo rilievo, sì.

—Dunque, affari;—perseverò testardo il signor Folengo,—è question di nomi. Sto a sentirla.—

M'avvidi ch'egli sapeva già di che cosa io volevo parlargli; ma, in quel momento, io rappresentava un postulante, e per sistema, il signor Pietro non faceva mai un passo verso questa categoria d'uomini. S'io non avessi trovato sùbito le parole adatte, egli avrebbe aspettato anche un quarto d'ora, con olimpica serenità, senz'offrirmi il modo d'entrare in argomento.

Guardai fuori della finestra chiusa, riparata da tendine bianche; oltre la quale si vedevan gli alberi del giardino, spogli di fronde, sotto il cielo bigio d'ottobre; alcuni colombi selvatici s'erano appollajati sui rami e tubavan malinconicamente. Non faceva ancor freddo; ma il mese era assai triste, e l'ora—tra le cinque e le sei del pomeriggio,—piena di memorie.

—Io non sono un grande oratore,—dissi sorridendo,—e per questo non userò circonlocuzioni. Che cosa pensa ella di me, signor Folengo?—

Qui avevo deluse le aspettazioni del mio interlocutore, e me n'ero accorto sùbito dall'impaccio in che la domanda l'aveva gettato. Il signor Pietro pensava di me ogni bene, e per questo avevo osato chiedergli la sua opinione; ma è sempre difficile dichiarare una simpatia senza limiti a una persona, la quale è tutto il nostro opposto per idee, per passato, per modo d'intender la vita; anche più difficile era nel nostro caso, in quanto il signor Folengo sapeva benissimo dov'io tendeva, ed era per ciò in obbligo d'esprimersi senza frasi, senza generare in me il sospetto ch'egli dicesse per dire, per cavarsela.

—Io non giudico—egli rispose—dalle parole, ma dai fatti. Certo, io so come di lei si sia molto parlato in altri tempi e con diversi criterî; e so pure come, se si volesse giudicarlo dalle sue opinioni….

—Lei non mi farà torto—interruppi—di credere che le opinioni espresse in un salotto o in un caffè sieno le mie….

—No,—disse gravemente il signor Folengo.—So appunto che la gioventù nostra ha questo vezzo pericoloso di mettere innanzi delle idee che nella pratica della vita non vorrebbe mai applicare. Perciò, io mi tolgo affatto da questo campo e, come le dicevo, baso il mio giudizio sulla vera essenza della sua indole, per quello ch'io ne ho intravisto.

Respirò a lungo e proseguì:

—A rassicurarla immediatamente, le affermo che il mio giudizio su di lei è ottimo.

Questa volta respirai io. La pomposità delle frasi che ascoltavo, andava persuadendomi sempre più vero quanto io aveva presentito: il signor Folengo sapeva lo scopo della mia visita; non solo, ma aspettandosela da un giorno all'altro, aveva preso ragguaglio d'ogni cosa che mi riguardava, del mio stato finanziario, de' miei amori morti, delle mie abitudini, de' miei difetti; notavo quasi con vergogna ch'io era vilissimo in quell'istante e che se il signor Folengo m'avesse imposta l'abjura d'ogni credenza più antica, la rinuncia ad ogni orgoglio più accarezzato, io avrei abjurato, io avrei rinunciato, pur d'effettuare la mia speranza.

—È ottimo in questo senso,—riprese il Folengo;—che ella è di gran lunga migliore di quanto vorrebbe sembrare; che ella ha dato troppo peso a sciagure intime e ha troppo generalizzati i suoi casi, scambiando l'uomo e il mondo per gli uomini e il mondo che le furono d'attorno lunghi anni. Ora, questo non è; ella è assai giovane; ha maniera di ricredersi, e nonostante certe sentenze scettiche delle quali s'è imbevuto, ella a ricredersi volge ogni speranza, ogni forza d'animo.

Io restava in silenzio, perchè intuivo che l'orazione del signor Folengo non sarebbe così presto finita; mi pareva il discorso prendere un atteggiamento troppo diplomatico, e aumentarmi le difficoltà non piccole della mia domanda; ma riservavo un'interruzione che avrei fatta non appena se ne fosse offerta l'opportunità.

—Si vorrebbe da lei,—continuò il mio giudice,—una maggior coerenza fra le azioni e le parole, una schietta ribellione a tutti i dogmi che l'infracidita società nostra va infiltrando nei giovani. Ma già, questo vien dall'esperienza, dalla critica, è frutto dell'età più vecchia.—

Pausa. Il signor Folengo,—la cui testa cominciava a entrar nella penombra della camera, mentr'io rimaneva ancora in luce, colla finestra di contro—si portò all'indietro col corpo, quasi prendesse la rincorsa, e giunse inaspettatamente alla conclusione, per esaurimento delle frasi magnifiche.

—Insomma, caro signor Sergio, io non ho che a finire come ho cominciato. Ella è per me gentiluomo irreprovevole, al quale è onore proferir dell'amicizia e dal quale è ambizione ottenerla…. Del resto, io non so rendermi ragione di quest'inchiesta non aspettata; sono sorpreso….

Notai che il signor Folengo s'era sorpreso un po' tardi, quando cioè aveva comodamente espressi i pochi pensieri che la mia persona e la mia vita gli suggerivano.

—Era necessario,—interruppi,—per ambedue; io la ringrazio assai del concetto ch'ella nutre di me, e spero di poterne sempre esser degno….

Guardai di nuovo fuor della finestra; i colombi selvatici erano spariti dagli alberi. Udii la pendola sul caminetto suonar lentamente le cinque ore e la mezza.

—Ora, al fatto,—disse il signor Folengo con uno sguardo scrutatore.

Ne' suoi occhi grigi lessi la sicurezza che la mia risposta doveva essere la buona, e avvertii un impercettibile moto in lui, come di preparazione.

—Il fatto è semplice e grave,—risposi.

Mi alzai, mi posi di fronte all'uomo, e dissi con voce quasi tremante:

—Ho l'onore, signor Folengo, di chiederle la mano della signorina

Lidia sua figlia….—

Vi fu un silenzio che giudicai spaventevole. Il signor Folengo si levò adagio, sempre tenendo gli occhi fissi ne' miei, uscì dalla penombra, e rispose:

—Una simile domanda fatta all'improvviso…. Io sono lusingato….—

Mi morsi le labbra; l'istinto vittorioso aveva costretto l'uomo a trincerarsi e a guardarsi da una promessa immediata; le parole uscivan dalla bocca del signor Folengo meccaniche; egli si dimenticava la sua professione di fede in me; gli proponevo un affare, secondo lui, ed egli mi trattava da uomo d'affari. Però, scorgendomi forse impallidire, aggiunse tosto:

—Debbo dichiararle ch'io non ho nulla, nulla in contrario al suo voto; anzi ho molta propensione a vederlo esaudito, e sono commosso…—

Non era commosso per niente. Si allontanò alcun poco da me e premette il campanello elettrico.

—Avvertite donna Teresa che ho bisogno di parlarle,—disse alla cameriera sopraggiunta.—E portate la lampada.—

Mentre Geltrude usciva, il signor Folengo mi tornò vicino.

—Perchè meglio si persuada ch'io accolgo la sua domanda con viva simpatia, voglio sùbito comunicarla alla mia signora,—fece con tono affettuoso.

Io m'inchinai, ed essendo sopravvenuto un silenzio molesto, il Folengo occupò quell'intervallo nell'accomodare e nello spostare alcuni oggetti sulla tavola, che non ne avevano bisogno; alla prima ansia era succeduta in me la riflessione e con essa la calma speranzosa; non trovavo a' miei desideri alcun ostacolo degno di essere discusso.

Donna Teresa comparve, seguita dalla cameriera che posò la lampada sul caminetto e si ritirò. Donna Teresa, allevata alla scuola del marito, ebbe uno sguardo istintivo e ricostruì, evidentemente, a grandi tratti, la conversazione avvenuta fra me e il signor Folengo.

Il salotto si riempiva di solennità. Donna Teresa mi venne incontro e mi strinse la mano; la piccola e grassoccia signora non aveva rinunciato a una certa eleganza; i suoi capelli eran tuttavia neri, e la sua carnagione, eburneamente lumeggiata dalla lampada, appariva senza rughe nè grinze; il color delle labbra era rinforzato da una leggiera tinta di carmino abbastanza gradevole. Solo, nel suo corpo difettava l'eleganza naturale, che l'assiduità allo specchio non insegna mai; le forme tozze prorompevano, in odio alla fascetta strettissima; attorno al collo l'adipe formava un monile, e sui fianchi si espandeva con insolenza.

Noi ci eravamo seduti di nuovo. I coniugi Folengo occupavano il divano ed io, di fronte a loro, in una poltrona bassa, aspettavo con ritornata angoscia la ripresa della orazione.

—Ti ho fatto chiamare,—disse il signor Folengo,—perchè il signor Sergio ci presenta l'opportunità di stringere assai notevolmente i legami della nostra amicizia.—

Donna Teresa dimostrò con un cenno della testa che tale opportunità le gradiva.

—Per esprimermi chiaramente, il signor Sergio mi ha domandata la mano di Lidia.

Donna Teresa balzò dal divano con un'agilità imprevedibile e mi si precipitò incontro, colla faccia trasformata dalla gioja. Senz'aspettare un gesto di suo marito, e parlando per istinto, come l'altro aveva per istinto tergiversato, esclamò:

—Grazie, signor Lacava! Mille volte grazie di simile onore! Lei effettua la mia più cara speranza!—

Presi la mano di donna Teresa, toccato dall'effusione ingenua della buona signora.

—Ella mi rinfranca,—dissi, alzandomi dalla poltrona.—Io mi sento appoggiato dalla fiducia che le ispiro….

—Ma certo, ma certo!—rinforzò donna Teresa.—Forse mio marito non le aveva espresso?… Forse ella temeva?…

—Vedi, cara amica,—mormorò il signor Folengo tranquillamente, senza muoversi dal suo posto.—Vedi: io mi sono dichiarato assai favorevole; ma io non sono il solo arbitro, e prima di me, e prima di te, c'è Lidia, la cui volontà deve essere libera….

—Lidia!—esclamò donna Teresa con un'occhiata di trionfo.—Lidia! Non ci son che le mamme per saper certe cose…. Io annuncerò immediatamente la felice novella a Lidia….—

Stava per avvicinarsi al campanello elettrico, quando il signor

Folengo, levatosi dal divano, la fermò con un cenno.

—Tu vuoi?—disse.—Così, sùbito, senza prender tempo?…

—Ma certo, ma certo!—ripetè donna Teresa—non vedi com'è pallido questo povero giovane? Io so quel che faccio…. È una tortura inutile che noi infliggiamo loro.—

L'indice di donna Teresa si posò due volte sul bottone del campanello. Il signor Folengo, vistasi levata la direzione diplomatica delle trattative, riprese il suo posto, con un sospiro di sollievo.

—Sì, sì, forse è meglio!—disse come tra di sè.—Io sono contento.

—La signorina Lidia sùbito qui!—ordinò donna Teresa a Geltrude comparsa.

Quindi, ripresemi le mani:

—Caro, caro figlio mio!—disse.—Non dubiti di nulla. Io so quel che faccio!—

La signora Folengo assumeva un aspetto di franchezza che non le avevo conosciuto prima; una leggiera onda sanguigna le aveva imporporato il viso, e la commozione sollevava a ritmo il suo largo seno.

L'uscio fu toccato lievemente, poi girò sui cardini senza romore, schiudendo il passaggio a Lidia. Io non dimenticherò mai com'ella apparve in quell'istante, coi capelli biondi pettinati all'indietro, in modo da scoprir la fronte pura. Lidia vestiva un abito grigio e portava un grembiale nero; l'abito indicava forme così giovanili e così recenti di maturanza da ispirar piuttosto sollecitudine tenera che ammirazione; il suo viso era un po' pallido, ma freschissimo, e ne aumentavan l'impressione di giovanezza rigogliosa gli occhi turchini, la bocca dalle labbra rosse e ben delineate; aveva piccolo naso, con narici rosee, e piccolissime orecchie; il collo, per quanto appariva dall'abito, era d'una bianchezza alabastrina; il petto non troppo esile nè povero; le mani magre, con dita affusolate.

L'espressione interrogativa ch'era sul viso della fanciulla all'entrar nel salotto, sparve non appena Lidia mi scorse, e fu cancellata da un tenue rossore.

—Buona sera, signor Lacava!—ella mi disse.

Per la prima volta dacchè ci conoscevamo, io le tesi la mano, ch'ella strinse, gettando un'occhiata dubitosa a suo padre.

—Vieni!—le disse donna Teresa, avvicinandola a sè.—Vieni dalla tua mamma.—

Lidia s'accostò alla poltrona, dove la madre s'era seduta; non so quel che passasse allora nell'animo della giovane, ma certo l'insolita accoglienza doveva assai turbarla. I suoi occhi andavan senza posa da me a suo padre, e da suo padre alla signora Folengo. Questa la serrò fra le braccia, e la fece sedere vicinissima a sè. Io solo rimaneva in piedi, appoggiato al piano-forte.

—Che cosa avviene dunque?—domandò Lidia, non potendo trattenersi.

—Cara!—esclamò donna Teresa, prendendole la testa e baciandola sui capelli.

—Noi ci siamo radunati qui,—cominciò il signor Folengo con voce solenne,—per parlar del tuo avvenire.

—Stai bene oggi? Hai la mente lucida?—cominciò a sua volta la signora.—Ti senti di poter rispondere e decidere con chiarezza?

—Ma sì, senza dubbio….—rispose Lidia, guardandomi come per invocare il mio ajuto.

—Ebbene….—disse la signora Folengo con precipitazione,—ebbene il signor Sergio Lacava ti ha chiesto in isposa, noi abbiamo acconsentito, e aspettiamo la tua risposta.—

Alle prime parole, Lidia sobbalzò, mentre un rossore intenso le saliva fino alla radice dei capelli; poi nascose la testa con rapidità sul petto di sua madre.

—Oh mamma!—disse.

E scoppiò a piangere con una violenza nervosa irrefrenabile.

—Io credo—osservai—che la signorina: si trovi a disagio davanti a me; sarebbe stato forse meglio….—

Donna Teresa mi troncò la parola con un moto del capo.

—Via,—fece poi a Lidia,—non essere bambina. Tu ci metti in pena…. Lo so; non eri preparata; è un assalto di nervi; andiamo, alza la testa….

Lidia obbedì e prese dalle mani di sua madre il fazzoletto per asciugarsi gli occhi; ella guardava con tanta fissità il viso di donna Teresa, da svelar la paura d'incontrare i miei sguardi. L'attitudine era cosi fanciullesca e così bella a un tempo, che i signori Folengo e io sorridemmo insieme.

—Forse—disse il signor Folengo—noi esercitiamo su Lidia una pressione involontaria. Vuoi prender tempo? Vuoi pensare prima?

—Oh no!—proruppe inavvertitamente la fanciulla, tenendosi immobile.

—Allora?

—Allora, è presto detto,—fece donna Teresa, volgendosi a me.—Lidia è contraria a questo matrimonio….—

La fanciulla allungò le mani verso donna Teresa e tentò l'atto di chiuderle la bocca.

—Ah!—esclamò ridendo la signora.—Dunque, vieni qui. Dunque, sì?

—Sì!—rispose Lidia, che aveva nascosto nuovamente il capo fra le braccia della madre.

Io avventai alla fanciulla uno sguardo quasi violento di desiderio e d'amore. Da quell'istante, ella era tutta mia.

Il Designato

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