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V.

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Perciò non mi ero mosso, sentendo replicatamente picchiare all'uscio; perciò non mi ero sollevato dalla poltrona vedendo quel bel bambino biondo, coi riccioli spioventi attorno al collo e i grandi occhi interroganti e il sorriso ancora più interrogante degli sguardi, affacciatosi all'uscio cautamente da lui aperto.

—Dormi?—mi domandò.

E non vedendomi muovere, era entrato saltandomi addosso, gettandomi le braccia al collo per baciarmi.

—C'è la mamma di là, in salotto, dalla tua mamma. Io mi annoiavo, e sono venuto da te. Mi mandi via?

—No.

—Stai così zitto! Che hai?

—Niente.

Lo sollevai tra le braccia, lo baciai, lo misi a terra, stirandomi tutto per scacciare il torpore che mi aveva invaso; osservandolo con intenso piacere, mentre lo tenevo per le mani un po' discosto, quasi lo vedessi allora per la prima volta.

Bello, sano, forte, con quei lunghi capelli e lo svelto vestito alla marinaia, più che bambino, mi pareva già uomo, tanta espressione d'intelligenza aveva negli occhi e nella fronte, tanta pienezza di energia mostrava nell'atteggiamento della persona.

—Oggi è vacanza!—mi disse, accompagnando le parole con un vivacissimo atteggiamento della testa.

—Non ami la scuola?

—Sì; ma mi piace pure fare il chiasso e andare attorno con la mamma o col babbo.

Moveva rapidamente gli sguardi in giro per la stanza, come se volesse abbracciare ogni cosa con una occhiata; poi si era fermato ad osservare i libri che riempivano gli scompartimenti degli scaffali.

—Li hai letti tutti?—domandò, additandomeli.—Anche il babbo ne ha molti—non tanti—e me li darà quando sarò grande. Ma io voglio piuttosto le sciabole, le pistole, le lance, i fucili appesi alla panoplia—si dice così?—nello studio del babbo. Voglio essere generale io, andare in Africa e ammazzare tutti gli abissini che hanno scannato a Dogali i nostri soldati.

—Chi te l'ha detto?

—Il babbo; lo leggeva nel giornale e io stavo a sentire. E poi ho visto i ritratti…. le figure. Come sono brutti gli abissini! Senti. Ho messi in fila i miei soldatini di piombo, ne ho più di cinquanta, e ho detto:—Voi siete abissini!—Poi, presa la mia sciabola di latta, piff! paff! gli ho buttati per terra e gli ho lasciati là.

—E se gli abissini, quando andrai in Africa, ammazzeranno te?—replicai per provocarlo.

Fece una spallucciata sdegnosa, aggrottando le sopracciglia, stringendo le labbra, e arditamente rispose:

—Prima ne ammazzerò almeno un centinaio! Non sarò solo; comanderò tanti soldati, su un bel cavallo come quello del re.

E moveva le gambe per imitare lo scalpito del cavallo, ergendo la vita, facendo il gesto di infrenarlo per le redini, quasi in quel momento stesse proprio sul dorso di un focoso animale.

Io lo guardavo stupito. Che rigoglioso sviluppo di facoltà in quella creaturina di sette anni! Come le mosse della persona, la prontezza della parola ne mostravano la ferma volontà, la coscienza di potere, la sicurezza di sottomettere tutto alla sua forza! Non riflettevo in quel momento che poteva trattarsi di una spavalderia di bambino; pensavo soltanto che io non ero mai stato capace di sentire e di immaginare qualcosa di simile, e non ne ero capace neppur ora!

Si era avvicinato al tavolino dov'erano ammucchiati tutti i miei lapis, le carbonelle, i pennelli, accanto ad una scatola di colori per acquarello; li esaminava attentamente.

—Faccio un pupazzo?

E senza attendere il mio permesso, aveva intinto un pennello, sorridendo della propria arditezza, mentre prendeva un foglio di carta e se lo aggiustava dinanzi. Mutò pensiero a un tratto:

—Fammelo tu, ma bello! Un soldato con cappello da bersagliere.

—Un'altra volta,—risposi:—Oggi sono occupato.

—Allora me ne vado.

Era corso verso una pianta di bambù. Ne accarezzava le foglioline, ne piegava gli esili rami.

—Come si chiama questa pianta?

—Bambù.

—Quella di cui si fanno le mazzettine?

—Sì.

—Me ne farai una? Bisogna che la pianta cresca, è vero? perchè il fusto s'ingrossi. Mi hanno chiamato?

—Mi è parso.

Mi tese la mano, con agile atto di persona matura, e, nel socchiudere l'uscio, affacciò la testa tra i battenti per rammentarmi:

—Con cappello da bersagliere, hai capito?

Che misera creatura ero io, se sentivo di valere assai meno di quel bambino di sette anni!

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