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IL CASTELLO DELL'AMORE

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In quel castello non c'ero mai stato prima: ci sono andato solo per l'insistenza di Angela. Sapete come vanno queste faccende: quando una donna si mette in mente qualcosa è ben difficile farle cambiare idea, soprattutto se è innamorata.

Aveva cominciato a parlarmene con tantissimo anticipo, mi pare già la notte di capodanno. "Per San Valentino mi devi portare al castello Brini-Maniscalchi. Faranno una festa mascherata. Sarà bellissimo. E' un posto davvero molto romantico."

Nulla da dire sulle serate romantiche, anzi. Stare con Angela mi piace sempre - figuriamoci quando l'atmosfera fa la sua parte per mettere in risalto il nostro amore. Ma per le feste in maschera non sono mai stato entusiasta. Proprio non mi va giù dovermi organizzare il travestimento e magari stare scomodo tutta la sera, solo per fare qualcosa di diverso e perché lo fanno tutti gli altri.

"Sempre che tu mi voglia ancora bene, naturalmente", aggiunse lei vedendo la mia faccia scettica. "Guarda che ci tengo così tanto che per andarci sono disposta a trovarmi un altro cavaliere." Ovviamente scherzava, ma afferrai subito il messaggio.

Quel fatidico giorno Angela mi convinse che la cosa migliore era partire appena dopo pranzo, per prendercela con tutta calma. E non solo perché il castello distava da noi oltre un'ora di macchina.

"Papà e mamma mi hanno raccomandato di tornare a casa entro le dieci. Magari facciamo anche le undici, così riusciamo a vedere i fuochi d'artificio: ma non più tardi. Sai come sono i miei genitori."

Ebbene si, lo sapevo. Emisi un grugnito, che rappresentava molto bene il mio pensiero senza obbligarmi a esprimere idee o opinioni che avrebbero potuto innescare tra noi una discussione, sgradevole e soprattutto inopportuna quel giorno.

"E poi", proseguì, "vorrei fare un bel giretto per il paese. E' così bello. Con quelle viuzze medioevali in salita, con quel non so che… e tutti quei negozietti di artigianato!"

Così, anziché al parcheggio vicino al castello, decidemmo di lasciare la macchina in basso, all'inizio del paese, e da lì iniziare la nostra passeggiata. Il tempo era bello. Il castello dominava dalla cima della collina con grazia ed eleganza rinascimentale; ma era una presenza discreta, non autoritaria, perché il benevolo corso della storia non l'aveva mai costretto ad armarsi di torri o bastioni fortificati. Le stradine e le scalinate, belle ma scomode nella loro pavimentazione arcaica, si trasformavano spesso in vicoli senza dartene a vedere.

Talvolta, mentre seguivo Angela da un negozietto all’altro, finivamo in un cortile o in un sottoscala, senza che fosse ben chiaro il confine tra la proprietà pubblica e quella privata.

“Sembra che tu conosca proprio bene questo paesino, a giudicare da come ti ci muovi”, osservai mentre per una bassa porticina in fondo a gradini stretti e ripidi scendevamo in una botteguccia - di cui dalla strada era visibile solo l'insegna in legno - ricavata in una specie di grotta.

“Certamente. E ne dovresti anche sapere il perché.”

Girando e rigirandomi nella testa il nome del castello Brini-Maniscalchi, la questione mi tornò in mente.

“Ora ricordo. Il tuo ex abitava da queste parti."

Mi fece un cenno di conferma col capo.

"Era un conte, o un duca, e ti portava a spasso per il paese e nel suo castello, se non sbaglio."

"Sbagli. Nel castello ci sono stata, ma Franco non era il conte: era solo un suo amico. Altrimenti forse starei ancora con lui."

"Non è che hai organizzato tutto solo per rivederlo?"

"Ma sei geloso, per caso? Guarda che non hai proprio nessun motivo di esserlo. Di lui, poi, meno che mai. Perché io la mia scelta tra voi due l'ho già fatta da tempo, e non me ne sono pentita. Comunque", aggiunse Angela che ha sempre avuto la straordinaria capacità di scrutare i miei pensieri, "puoi stare certo che non ci rovinerà la festa. Bisogna entrare in coppia; e quindi, se ci fosse, sarebbe anche lui in dolce compagnia. Ma pedante e pignolo com'è, dubito che abbia trovato un'altra disposta a sopportarlo. E poi", concluse, "visto che è una festa mascherata c'è sempre la possibilità di non riconoscerci."

Angela riprese tranquillamente la contemplazione dei gingilli e soprammobili, in legno ed in ceramica, esposti per la vendita. E anch'io mi tranquillizzai.

Benché non avesse rinunciato a chiedere informazioni su prezzi e come è fatto questo e a cosa serve quell'altro, mi sorpresi a notare che quel giorno, fatto quasi miracoloso, non aveva ancora acquistato nulla; né, come mi disse più tardi, aveva intenzione di farlo.

Nel negozio, oltre a noi, in quel momento era presente solo una vecchiettina, seduta in silenzio su una seggiola in un angolo e con lo sguardo perso nel vuoto. Di sicuro non poteva essere lei la padrona, pensai. Sarà stata la mamma, o un'amica. Una presenza solo di compagnia, non certo per sorvegliare la merce: un malintenzionato avrebbe potuto svuotarle il locale sotto il naso senza che se ne accorgesse.

"Scusi, sa dirmi quanto viene questo?", le chiese Angela evidentemente immersa in altri pensieri.

La vecchia girò appena la testa verso di lei. "Mi dispiace, non lo so. E poi io non ci vedo più bene… sa, alla mia età! Dovrebbe chiederlo a mia figlia quando torna." E continuò: "E' davvero una bella giornata oggi. Godetevela. Sembra già primavera. In tanti anni non mi ricordo proprio un altro inverno così mite. Ma probabilmente siete qui per la festa… Ne ho sentito parlare molto, sapete. Da giorni in paese non si parla d'altro. E voi mi sembrate proprio due fidanzatini.”

Sembrava che quella donna fosse rimasta lì, immobile da chissà quanto, in attesa che qualcuno rompesse un malvagio incantesimo rivolgendole la parola; e ora, avendo riacquistato la favella dopo anni di attesa, si sentisse in dovere di riversare con gratitudine, su chi gliela aveva restituita, tutti i pensieri inespressi per tanto tempo per via di quel sortilegio. Però devo dire che dava l'impressione di essere simpatica, e anche buona.

“Dovete essere davvero innamorati, voi due. Io queste cose riesco a vederle, sapete. Anzi, a sentirle: perché ormai della vista mi è rimasto ben poco. Ma ho come un sesto senso. Certe cose le capisco al volo: le percepisco nell'aria. Vedo che siete una coppia felice, e che lo resterete ancora per tutta la vita. Si, tutta la vita insieme, come vi siete promessi l'un l'altro anche prima di sposarvi, quella sera d'estate sulla spiaggia, chiamando la luna piena e tutte le stelle a vostri testimoni.”

Rimanemmo entrambi sorpresi nell’ascoltare queste parole. Angela sembrava contenta e quasi commossa, come se di nuovo, in presenza di quella specie di maga, stessimo rinnovando la nostra promessa d’amore. Io invece, non lo nego, provavo un certo fastidio, come se fossimo stati spiati da una persona estranea nei momenti più importanti ed intimi della nostra vita.

Mentre la vecchia continuava a parlare di argomenti più generici, ripensavo a quella serata sulla spiaggia; alla nostra emozione di allora, che adesso si rinnovava negli occhi di Angela; e alla inspiegabile astinenza di lei, in quel giorno di San Valentino, dal comprare un qualunque oggetto ricordo, per quanti ne continuasse a guardare e ad esaminare con attenzione.

“ … Quelle sono spille portafortuna. Sono quelle con l’immagine del castello e della madonna, non è vero?" La vecchia parlando continuava a fissare nel vuoto; ma erano proprio quelle le spillette che stavamo esaminando.

"Dicono che tengano lontane le sventure. Ma questa è superstizione, date retta a me: è l’amore che protegge da ogni male.”

Le parole della vecchia, aumentando in me il dubbio - se non la convinzione - che avesse dei poteri misteriosi, mi infastidivano e mi turbavano, infondendomi un pressante desiderio di uscire al più presto da quel negozio; ma mi diedero anche una specie di illuminazione sui pensieri di Angela. Quel giorno, a differenza del solito, voleva che fossi io a comprarle qualcosa. Anche una stupidaggine. Magari proprio quella spilletta portafortuna, a ricordo di un bel San Valentino trascorso insieme e al contempo di quella promessa scambiata sulla spiaggia; e magari, così per scaramanzia, perché proteggesse il nostro amore per tutta la vita, come ci piaceva pensare e sperare, tenendo lontana da noi ogni sventura.

"Sono molto belle", dissi. "Ne prendiamo due." Porsi alla vecchia il denaro dovuto ed ella, sempre con lo sguardo nel vuoto, mi ringraziò sorridendo. La lasciammo seduta al suo posto, tornata immobile e silenziosa come una statua di sale ripiombata nel suo incantesimo.

Usciti in strada indossammo subito le spillette, una per ciascuno. Di certo appuntarle ai nostri vestiti ebbe degli effetti immediati e sorprendenti: il nostro bisogno l’uno dell'altra divenne talmente forte che proseguimmo avvinghiati stretti stretti e, in questo amoroso abbraccio, dimenticandoci del mondo intero. Non sentimmo più la fatica della salita, e in breve arrivammo alla nostra meta.

"Guarda, hanno messo l'acqua nel fossato! Non l'avevo mai visto così", mi disse Angela. Io non l'avevo proprio mai visto, né con né senza acqua; ma giudicai che sarebbe stato più appropriato popolarlo di coccodrilli, magari finti, anziché di paperelle e cigni.

Angela, con quella sua nuova vitalità inesauribile, mi trascinò verso l'entrata. Ormai intorno a noi si vedeva solo gente in maschera.

"L'affitto del costume è incluso nel biglietto", mi spiegò. "Neanche troppo caro, visto che comprende anche la cena e, ovviamente, la visita di buona parte del castello." Pagammo l'ingresso ad un gendarme col pennacchio, ma poi fummo costretti a separarci per la scelta del costume.

"Speriamo di riconoscerci, una volta mascherati", mi disse lei.

"Io porterò ben in vista la nostra spilletta", le risposi prima di lasciarla per seguire una guardia svizzera disarmata che mi accompagnò, insieme ad altri, nella sala vestizione dei cavalieri.

Non c'era molta varietà di scelta nel travestimento: in buono stato erano rimasti solo costumi da Zorro, a decine, e i pochi altri erano chiaramente in condizioni molto peggiori, o di taglie particolari, o troppo scomodi o stravaganti. Volentieri e senza esitazione scelsi Zorro, ottenendolo in cambio di un mio documento di identità. Mi cambiai, richiusi a chiave i miei abiti civili in uno degli appositi armadietti, mi appuntai la spilla sul petto e uscii nella sala delle feste.

Dov'era Angela? O forse era più corretto chiedersi: quale era?

C'erano svariate persone, alcune in coppia e altre in gruppi più numerosi, tutte mascherate; ciononostante l'enorme sala dava quasi l'impressione di essere vuota. Forse perché era priva di mobilio, se non per qualche tavolo apparecchiato a buffet e qualche sedia, chiaramente non in stile. Una buona parte del pavimento e delle pareti, spoglie dei quadri, era stata ricoperta da una specie di panno protettivo, sicché la bellezza originaria di quella sala maestosa rimaneva nella sua architettura, nel soffitto decorato e nelle ampie finestre con vista panoramica.

Mi tolsi subito la mascherina dagli occhi, per vedere e farmi vedere meglio. La sala andava riempiendosi ad un buon ritmo, alimentata dai due spogliatoi. Mi diressi verso quello delle dame, scrutando con attenzione ogni volto femminile spaiato che incontravo, nella speranza di riconoscerci Angela, di cui cominciavo già a sentire la mancanza.

Come davanti alla toilette delle donne all'aeroporto, un piccolo gruppo di uomini, tutti con la stessa ansia ma simulando indifferenza e ignorandosi reciprocamente, aspettava davanti a quella porta. Attesi anch'io nervosamente per dieci interminabili minuti, prima di ritornare in me ricordandomi dei normali tempi di preparazione di Angela. Allora, rassegnato, decisi di ingannare l'attesa con qualcosa da mangiare.

Ascoltavo con interesse la musica pseudomedioevale di sottofondo, ed osservavo la gente che continuava ad affluire, constatando che la nostra spilletta era stata adottata come portafortuna anche da altri, soprattutto Zorri. Nel frattempo proseguivano i preparativi per l'organizzazione della festa, che ufficialmente avrebbe preso avvio al tramonto: alcuni inservienti in costume accendevano le lampade ad olio, mentre altri preparavano la pedana e gli strumenti per un'orchestrina che più tardi avrebbe accompagnato balli lenti con musiche romantiche.

"Ero sicura di trovarti qui." La mia Angela mi sorprese alle spalle in veste di cappuccetto rosso. Non aveva avuto bisogno di trucco o ritocchi per sfoggiare un sorriso da bambina. "Vieni, facciamo un giro per il castello", disse requisendomi una pizzetta e prendendomi per mano.

Ci dirigemmo d'istinto verso il sole che, già basso sull'orizzonte, appariva di colore e dimensioni tali da sembrare anch'egli mascherato. Uscimmo perciò da una porta finestra su una terrazza panoramica; ma rientrammo quasi subito, per via delle fastidiose folate d'aria e soprattutto di un gruppo di ragazzi e ragazze che col loro comportamento - fatto di voci sguaiate, spintoni, battute e gesti volgari fino all'oscenità - toglievano ogni poesia a quello spettacolo.

"Vieni", mi disse, "ti porto io in un angolino romantico … se mi ricordo come arrivarci."

La seguii. Su per una specie di ampia scala a chiocciola che doveva portare al piano di sopra, Angela provò invano ad aprire una bassa porticina verde dall'aspetto robusto.

"Signorina, non si può entrare là dentro: è privato", le disse con fermezza un gendarme baffuto accorso al rumore della porta scossa invano con energia.

"Ah, mi scusi", rispose Angela con aria innocente. Ma doveva avere in mente qualcos'altro perché, con passo sempre molto deciso, mi riportò subito nella grande sala. Nella foga andò a infrangersi contro un centurione romano alto almeno una spanna più di me, ma fortunatamente con l'armatura di plastica.

"Angela!"

"Franco!"

Dagli istanti di imbarazzato silenzio capii che era proprio lui, il suo ex. Ma Angela si riprese egregiamente, e in modo tale da troncare drasticamente sul nascere, in lui, qualunque possibilità di nostalgia o rammarico per i tempi passati.

"Ciao, ti presento mio marito". Ci scambiammo una stretta di mano e poi tornai a stringere quella di Angela, come due teneri fidanzatini.

"Anche tu qui a goderti la festa?", continuò Angela.

"Veramente non me la sto godendo molto. Faccio parte dell'organizzazione, e ti assicuro che è ed è stata una faticaccia. Sai, un po' me la sono cercata: perché è stata soprattutto una idea mia. Un chiodo fisso da quando sono stato eletto consigliere comunale, l'anno scorso. E col fatto di essere amico del giovane conte le trattative tra i padroni del castello ed il comune sono toccate a me. Un duro lavoro di persuasione e di mediazione, perché il comune non voleva stanziare i fondi, e i conti erano diffidenti. A proposito, eccoli là: sono quei due signori con la parrucca ed il vestito settecentesco, originali dell'epoca, naturalmente."

"Si vede", commentò Angela, "sono bellissimi."

"Già, e anche la loro mentalità è all'incirca di quel periodo. Se non fosse stato per i loro figli non se ne sarebbe fatto nulla. E dire che alla fine si è raggiunto un accordo vantaggioso per tutti, ma soprattutto per loro: si faranno una tale pubblicità, che il castello diventerà ancora più richiesto per banchetti e feste private. E quasi tutte le spese sono state sostenute dal comune o da altri sponsor privati: spese non da poco, soprattutto per la ristrutturazione e la sicurezza. Pensate che è stato rifatto tutto l'impianto antincendio, e che per la sorveglianza è stato installato un circuito di telecamere nascoste a raggi infrarossi."

"Addirittura a raggi infrarossi!?", esclamai. Trovavo piuttosto interessante quello che stava dicendo, e soprattutto ciò di cui era a conoscenza e che avrebbe ancora potuto ancora dirci.

"Proprio così: per occasioni come queste, alla luce delle candele. In questi casi una normale telecamera è inefficace. Non potete immaginarvi il terrore del conte Maniscalchi di subire danni alla sua proprietà; ma secondo me non poteva ottenere maggiori garanzie. L'ingresso è a numero chiuso, e per giunta conosciamo nome e cognome di chi entra con invito o affitta un costume; poi c'è un nutrito servizio d'ordine, molti in borghese oltre a quelli mascherati da gendarmi; e soprattutto una assicurazione coi fiocchi contro furti, incendi e danneggiamenti, compresi atti vandalici."

Sta Scherzando, Commissario?

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