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IL SONNO PERDUTO
ОглавлениеMi ero preparato per la notte, pigiamino e poi sotto le coperte, come se si trattasse di una notte normale. Avevo fatto finta di dimenticare che erano già tre notti che passavo insonni: eppure ormai l’esame l’avevo sostenuto e per giunta con un buon risultato. Niente. Non so per quanto tempo mi girai e mi rigirai nel letto, finché decisi di alzarmi. Cominciai a fare qualche giro della casa, mi preparai una camomilla e pensai a cosa altro potevo escogitare per riuscire ad addormentarmi.
La notte prima l’avevo passata soprattutto con internet: dopo giorni se non settimane di prigionia nello studio della stessa materia, era stato eccitante navigare da un argomento all’altro a briglia sciolta, sentendomi libero di spaziare e di vagare per il mondo del sapere e del frivolo. Ma farlo tutte le sere sarebbe stato troppo costoso; e poi adesso il mio obiettivo non era più lo svago, ma il sonno. Perciò optai per la televisione.
Facendo zip tra un canale e l’altro trovai delle lezioni universitarie, forse di ingegneria o di fisica: non ci capivo niente. Lui era corpulento e con una folta barba grigio-scura, ma soprattutto aveva un tono di voce monòtono (o monotòno, come diceva lui) che mi sarei dovuto addormentare per forza. E invece niente, i miei occhi continuavano a rimanere irrimediabilmente aperti anche se non capivo un accidente ed il mio cervello era in catalessi.
Rifeci non so quanti giri di tutti i canali del televisore, fermandomi alla fine su una maga Isidra chiromante astrologa e non so che altro. Aveva un aspetto interessante, biondo rossastro tinto e trucco pesante ma soprattutto sguardo profondo e penetrante. La vista era il mio unico senso veramente sveglio, altrimenti mi sarei accorto subito che anche la sua voce penetrava in profondità. Quello sguardo risvegliò i miei pensieri. Avevo sempre trovato ridicole le televeggenti, ma adesso mi sembrava che una magia sarebbe stato un possibile modo per ritrovare il sonno. Cominciai ad ascoltarla e ne rimasi affascinato: nessuno poteva vedermi né sentirmi, ed allora perché non provare a chiamare il numero in sovraimpressione? Lo feci. Ma che stupidaggine, forse era una trasmissione registrata ed Isidra in realtà se la stava dormendo beatamente!
Ed invece no. Proprio in quel momento aveva terminato con l’ascoltatrice precedente, il suo telefono squillò ed al tempo stesso la vidi e la sentii rispondermi dal televisore e dalla cornetta. Altro che stereofonia ed effetti speciali: questa era proprio magia.
“Qual è il tuo problema, giovanotto?”
Era una vera maga: sapeva che ero un giovanotto senza che avessi pronunciato una sola parola!
“Mi scusi la banalità, ma da tre notti non riesco a dormire. Le ho provate tutte: Cosa posso fare?”
La magia del suo sguardo, che mi seguiva mentre mi spostavo da una parte all’altra del letto, sembrava perforare lo schermo.
“Quando perdi qualcosa, innanzitutto la vai a cercare dove pensi di averla persa, non è vero?” Io annuii, e lei proseguì. “Ora mi pare di capire che tu hai perduto il sonno, perciò dovresti sforzarti di pensare a dove potresti averlo perso, ed andarlo a recuperare. Se ti serve, fatti aiutare da qualcuno senza paura; ma non pensare che togliere il sonno a un altro possa aiutarti a ritrovare il tuo. Se proprio non dovessi riuscire a trovarlo entro domani pomeriggio, allora puoi pensare a rivolgerti ad un dottore: ma io sono convinta che, se ti farai aiutare, lo ritroverai prima. Anche tu devi esserne convinto. Un ultimo consiglio: diffida di quel cialtrone chiacchierone del canale accanto, lui è l’unica persona a cui non devi dare retta, va bene?”
“D’accordo, se lo dice lei.”
“Non ho altro da dirti. Datti da fare subito senza perdere tempo, e buona fortuna.”
Ciò detto, riattaccò.
Spinto non dal desiderio di andare contro i suoi consigli ma dalla curiosità di verificare le sue facoltà di veggente, per prima cosa mi sintonizzai sul canale successivo. Qui alcune scatolette di pastiglie in primo piano erano accompagnate da una voce incessante che ne declamava le virtù e le lodi.
“... La soluzione di tutti i vostri mali. Mali d’amore; sfortuna al gioco; malesseri e problemi di salute che il vostro medico non riesce a comprendere; l’insonnia; e soprattutto il malocchio. Mali per cui dareste qualunque cosa per liberarvi. Basta una telefonata al numero che vedete...”
Era un signore dall’aria bonaria, di cui forse avrei potuto anche fidarmi senza il consiglio appena ricevuto. Lo trovai più freddo e superficiale della maga Isidra: mi bastò poco per decidermi a spegnere il televisore, vestirmi ed uscire per fare quello che dovevo fare.
La notte era fredda, quasi pungente. Seguendo il percorso dell’autobus, nell’illusione che prima o poi ne sarebbe passato uno, mi incamminai a piedi in direzione dell’università. Era lì che pensavo di andare. Il mio sonno l’avevo perso sullo studio, e forse l’avrei ritrovato chissà come in qualche aula, o in biblioteca o nella sala degli studenti.
Nella strada deserta vidi un poveraccio che frugava tra i cassoni dell’immondizia in cerca di chissà cosa. Mi ricordai del consiglio della maga, di farmi aiutare. Mi avvicinai - non troppo e con prudenza - e gli domandai: “Hai per caso trovato il mio sonno?”
Lui interruppe un attimo la sua ricerca, mi guardò qualche istante con aria più inespressiva che sorpresa e tornò alla sua ricerca.
Parecchio più avanti fui attratto da un’insegna pulsante che non avevo mai notato di giorno. Mi sembrava un indizio di altre persone deste. Man mano che mi avvicinavo ricevevo altre conferme del fatto che si trattava di un locale notturno: voci, odori fumosi e calore fuoriuscivano a zaffate dalla porta semichiusa, come uccellini da una gabbia aperta. Entrai. Su un palco un cabarettista si esibiva in uno spettacolo che doveva essere molto divertente, a giudicare dai continui scrosci di risa del pubblico.
Chiesi alla guardarobiera se per caso lì c’era il mio sonno, ma lei mi rispose che senza il numerino non era autorizzata a darmi nulla. Si avvicinò un signore elegante che sembrava il gestore del locale e chiesi anche a lui se aveva trovato il mio sonno. Ridacchiò divertito e mi rispose: “Aspetti un attimo, vado a informarmi se non l’abbia trovato qualcun altro”. Si avvicinò al palco e, dopo uno scroscio di risa, disse al cabarettista qualcosa a bassa voce. Lo spettacolo proseguì con una raffica di battute improvvisate sulla mia richiesta e sull’insonnia in genere. “Qualcuno ha trovato il sonno di quel signore? Si, dice che ha perso il sonno ed è venuto a cercarlo qui! Ma non vede che siamo tutti svegli? Tenetevelo stretto il vostro sonno, signori miei: ai giorni nostri, con questa delinquenza, non si sa mai cosa può succedere. A proposito di insonnia;...”
Il gestore nel frattempo era tornato da me. “Mi dispiace, sembra che nessuno dei presenti l’abbia visto. Comunque, visto che si trova qui ed è sveglio, se vuole può accomodarsi a quel tavolo laggiù. Dopo questo spettacolo ne abbiamo un altro con due ballerine tutte da vedere.”
Lo ringraziai, ma avevo cose più importanti da fare e ripresi la mia strada.
Proprio nel mentre passava un autobus. Lo rincorsi e lo presi al volo. A bordo non c’era nessuno a parte l’autista, che ringraziai perché mi era sembrato avesse indugiato alla fermata per farsi raggiungere. Attaccai bottone con lui nonostante un grosso cartello dicesse che era vietato, e scoprii con piacere che egli era più loquace di me.
“Sa, già non è bello guidare un autobus di notte, ma portare a spasso un autobus vuoto è davvero deprimente. Le dico questo perché lei mi sembra una brava persona, perché non ho con me una lira né un oggetto di valore e perché sull’autobus c’è un nuovo sistema di sicurezza collegato direttamente con la polizia. Altrimenti mi guarderei bene dal parlare con chiunque.”
“Sa cosa le dico? Io non riesco proprio a dormire. Forse lei quando fa i turni di notte ha lo stesso problema, e magari conosce qualche rimedio sicuro. Non ha qualche consiglio da darmi?”
“Tutto quello che posso dirle è che nulla favorisce il sonno come l’amore. Cosa dico amore: il sesso. L’amore, al contrario, spesso non fa dormire, specie se non è corrisposto. Guardi, su questa strada ci sono tante belle fanciulle che potrebbero farla sognare per un prezzo non eccessivo. Vuole che mi accosti?”
L’università era vicina. Dovevo provarle tutte. “Si, grazie. Proverò il suo consiglio.”
Vicino ad un piccolo falò due ragazze vestite succintamente mostravano in maniera provocatoria le loro bellezze.
“C’è qualcosa che possiamo fare per te, giovanotto?”
“Beh, io non riesco proprio a dormire stanotte. Non so se potete aiutarmi.”
“Cosa? Tu vieni da noi perché vuoi dormire? Questo è un insulto bello e buono. Vattene al diavolo, va', e non farti più vedere da queste parti.” Aggiunsero a queste parole alcune espressioni colorite e poco fini, alcune per me assolutamente nuove o incomprensibili, in diversi dialetti e lingue.
Arrivai all’università. Come non averci pensato prima! L’ingresso alla facoltà era ovviamente sbarrato, e per quanto cercassi varchi perlustrando tutte le finestre e le porte secondarie, non riuscii a trovare nessun appiglio per entrare.
Vicino alla porta dormiva un barbone, il solito barbone. Rinunciai alla tentazione di svegliarlo per chiedergli qualcosa: sarei tornato l’indomani mattina coi cancelli aperti, per riprendere la ricerca.
Tornai verso casa lentamente, riflettendo. Ebbi modo di apprezzare alcuni angoli della mia città come non li avevo mai visti, nel silenzio della notte e nella ovattata atmosfera notturna. Mi soffermai in particolare sul ponte a guardare il fiume, increspato dal vento e con gli argentei riflessi della luna. Ogni pensiero sparì dalla mia mente e fui invaso da una grande pace e serenità.
Ero in questo stato d’animo quando mi sentii chiamare da una voce femminile. Era un volto giovane e grazioso che emanava una luce ed una bellezza che uguagliavano quelle lunari. Era infagottata in un cappottone pesante, le cui spalline con bordini colorati mi fecero pensare a qualche associazione di volontariato. Ripensai alle altre ragazze che avevo incontrato quella sera e meditai su come l’abbigliamento succinto non abbia niente a che fare con la bellezza.
“Ehi, che fai? Non avrai mica intenzione di buttarti giù dal ponte, giovane come sei!”
“No, no. Stavo solo ammirando il panorama e meditando. Stanotte non riesco a dormire. Ho perduto una cosa molto importante che non riesco a ritrovare.”
“E ti è caduta nel fiume?”
“No, questo penso proprio di no. Anche se non ho proprio idea di dove sia.”
“Senti, ripensa un po’ all’ultima volta che l’hai vista, o che l’hai utilizzata. O all’ultima volta che ...”
Mi stava illuminando. Non era all’università l’ultima volta che mi ero imbattuto nel mio sonno, ma nella mia stanza da letto.
“Ora mi viene in mente. Deve essere a casa mia.”
“Andiamo subito a cercarla, allora.” Mi prese sotto braccio e fece per incamminarsi. “Da che parte? Mi guidi tu?”
Facemmo una deliziosa passeggiata notturna, a braccetto come vecchi amici. Non sembrava proprio che mi considerasse una persona bisognosa di aiuto. Mi raccontò tante cose di lei, ed io di me. La trovavo una ragazza adorabile: peccato, pensai, che avesse un marito e due figli piccoli. Strano, poi, che se ne andasse in giro così da sola di notte: ma in fondo era la stessa cosa che stavo facendo anch’io.
Finalmente arrivammo a casa mia, ed appena entrati pensai per prima cosa di offrirle un bicchiere di limoncello di quello buono, fatto in casa dal mio babbo, per scaldarci un po’.
“Dopo, dopo. Prima dobbiamo cercare una cosa importante. Dove hai detto che pensavi di cercarla?”
“Sotto il letto, o sul comodino, o da quelle parti.”
“Va bene. Dimmi di che cosa si tratta, così ti aiuto anch’io a cercarla.” Mi ero già sdraiato sul letto con la testa penzoloni per ispezionarne la parte sottostante. “Come, non te l’ho detto? È il mio sonno quello che ho perso.”
“Il tuo sonno? Tu te ne vai in giro di notte per la città e poi te ne stai a testa in giù sotto il tuo letto per cercare il tuo sonno? Questa sì che è buona. ... Il tuo sonno ... Sei proprio forte! ...” Proruppe in una risata sonora e sincera, e sembrava non riuscire a contenersi. Ed io, per vederla ridere, mi contorsi ancora di più, persi l’equilibrio e scivolai giù dal letto picchiando la testa sul pavimento. Che male!
Le risate continuavo a sentirle, sebbene attutite: mi sembrava però che venissero dalla strada. Appena mi ripresi dalla botta e fui in grado di alzarmi a sedere, rovistai con lo sguardo la stanza per trovarci una ragazza, ma invano. Scoprii invece di essere in pigiama e che il letto era tutto disfatto. La maga aveva ragione: avevo ritrovato il mio sonno prima del pomeriggio, senza bisogno dell’aiuto di un dottore. Doveva esser stato tutto un sogno, tranne probabilmente la botta in testa di cui continuavo a risentire.
Bene, ora mi aspettava un’altra giornata di riposo dopo la fatica dell’ultimo esame. Già pensavo a come potermi organizzare la serata, con una bella passeggiata da casa all’università, magari al calar della sera e cercando quella insegna pulsante che non avevo mai visto. Poi sarei andato sul ponte ad ammirare il paesaggio e a meditare un po’, poi .... Beh, dipende: se vedo che mi viene sonno torno subito a casa e mi metto a dormire.