Читать книгу Sette Pianeti - Massimo Longo E Maria Grazia Gullo - Страница 5
ОглавлениеSecondo Capitolo
Sopra le loro teste pendeva una spada di roccia
- Prepariamoci, potremmo non ricevere fiori al nostro arrivo! - esclamò Oalif, il più spiritoso del gruppo.
Questo era composto da quattro esponenti dei pianeti che si opponevano al dominio di Carimea, scelti per la loro storia e le loro capacità psico-fisiche. Insieme formavano una squadra capace di affrontare qualsiasi missione, sia sotto il punto di vista fisico che strategico. Il loro compito era quello di difendere la pace, non solo militarmente, ma anche attraverso azioni di intelligence e di coordinazione fra i popoli.
Il Consiglio della Coalizione dei Quattro Pianeti li aveva insigniti del titolo di Tetramir, in virtù del quale gli venivano riconosciute, dai vari governi, autorità e funzioni speciali fino al completamento del loro obiettivo.
La piccola navicella commerciale attraversava i grandi anelli grigi di Bonobo e si dirigeva verso il Mare del Silenzio.
Le navicelle di questo tipo, progettate per il trasporto delle merci, erano a forma di parallelepipedo con il davanti smussato per dare un minimo di aerodinamicità e delle piccole ali richiudibili appena necessarie per uscire dall’atmosfera. Dietro, un enorme portellone, che si apriva come un fiore in tre parti, serviva per il carico e lo scarico delle merci. Lente e ingombranti, atterravano e decollavano perpendicolarmente al terreno, senza necessità di spazio per la manovra, come tutte le altre navicelle.
- Identificatevi - giunse dalla radio la voce metallica delle sentinelle del pianeta.
- Siamo mercanti, signore - rispose Oalif.
- Lo vediamo, ma chi e cosa si trova a bordo? Avete la licenza?
- Settimo da Oria, signore.
- Numero di licenza! - insistette la sentinella.
- 34876.
- Non siete sulla nostra lista, cambiate subito direzione, nessun permesso di atterrare in quella zona.
- Il segnale è debole signore, non la sento, numero licenza 34876 - ripeté Oalif facendo finta di non sentire.
- Permesso di atterrare in quella zona negato!
- Non riceviamo signore - insistette il Bonobiano e poi rivolto ai membri dell’equipaggio - Siamo dentro gente! Stiamo attraversando la nebbia del Mare del Silenzio!
Pilota di grande esperienza e grande conoscitore del pianeta natio, Oalif era un Bonobiano, ma non rientrava nei canoni di semplicità e mitezza usualmente attribuiti a questa razza. La sua tribù di appartenenza non si era mai piegata agli Anic e per questo aveva pagato un prezzo altissimo. Durante l’ultima grande guerra, perso il controllo del pianeta, erano stati costretti all’esilio e, ospitati dai pianeti della Coalizione, organizzavano la ribellione interna per la riconquista del pianeta.
Il corpo di Oalif era ricoperto da peli neri che lasciavano intravedere la pelle chiara, il contorno degli occhi verdi e gli zigomi erano glabri, aveva una folta barba che finiva a punta sul petto, i capelli lunghi e raccolti a coda sulla nuca.
Oalif era perfetto per questa missione ma purtroppo sarebbe dovuto rimanere a bordo per non attirare sguardi indiscreti. Era infatti ricercato, il suo viso era noto e non sapevano chi e cosa il gruppo avrebbe incontrato.
La navicella atterrò in una verdissima radura assolata attraversata da un grande fiume dalle acque basse e trasparenti che lasciavano intravedere il fondale composto da una grande varietà di sassi dai colori vividi, come in un quadro impressionista.
- Il modo migliore per nascondere qualcosa è alla luce del sole, Oalif appena scendiamo attiva i pannelli di mimetizzazione e grazie, sei stato magnifico - si complimentò Ulica l’Eumenide.
- È incredibile questo posto, la nebbia che lo circonda una volta dentro svanisce e i raggi di KIC 8462852 riscaldano come in piena estate - fece notare appena fuori dalla navicella Zàira di Oria.
- Muoviamoci abbiamo poco tempo per trovare un rifugio prima di sera, Mastigo non ci darà molto tempo per trovare il monastero - ordinò Xam del Sesto Pianeta, quarto componente del gruppo.
- Inoltriamoci lungo il fiume - propose Zàira - la foresta che lo circonda ci coprirà mentre calcoliamo il percorso migliore.
Si addentrarono nella vegetazione, Xam e Zàira facevano strada mentre Ulica calcolava la direzione da seguire per giungere ad un villaggio Bonobiano dove contavano di ristorarsi e trovare informazioni sul monastero di Nativ, il loro obiettivo.
Xam, guerriero del Sesto Pianeta, umano, durante le ultime guerre si era distinto per coraggio e umanità.
Era un giovane adulto, alto e dal fisico scultoreo, aveva la pelle chiara e i capelli ricci, corti e nerissimi come i suoi occhi, le sue lunghe labbra si nascondevano sotto una folta barba densa di riccioli. Sui pantaloncini aderenti indossava una cintura multifunzione altamente tecnologica, ideata dal suo popolo per far fronte a situazioni di difesa o sopravvivenza. Il resto del suo corpo era coperto da un gel usato dai Sistiani per mantenere la temperatura corporea stabile in qualsiasi condizione meteorologica.
Zàira, sua coetanea, era di Oria, il pianeta dall’atmosfera ridotta. Una bruna corazza naturale la ricopriva, partendo a punta dalla fronte, per allargarsi lungo tutta la schiena sino alla coda, era il tratto distintivo della sua razza. Una corta e fitta peluria bianca copriva il resto del suo corpo, tranne il viso dai tratti umani in cui spiccavano i suoi meravigliosi occhi grigio verdi. Sulla fronte, ai lati della corazza, aveva due lunghissimi ciuffi di capelli bianchi che legava dietro la testa e finivano in una treccia che le arrivava fino alle spalle.
Ulica, la più giovane del gruppo, scienziata e matematica di alto livello, era di Eumenide. Fine ed elegante come una farfalla, il suo corpo era ricoperto da un velo naturale, color verde acqua e trasparente come ali di farfalla.
Aprendo le braccia spiegava delle ali vere e proprie che le permettevano di planare. Arricciate e adagiate sui dorsi di entrambi le mani, quasi a sembrare una decorazione, sottili lingue di seta si allungavano a piacimento per essere utilizzate come lazzo o frusta.
La ricerca durò più del previsto a causa di un malfunzionamento del rilevatore di posizione causato dagli strani effetti sulla strumentazione che si verificavano nel Mare del Silenzio. L’imprevisto li fece allontanare dal fiume portandoli fuori strada e causando un ritardo di alcuni giorni alla loro tabella di marcia.
Accortisi finalmente del problema, ritornarono sui loro passi e costeggiarono il fiume finché scorsero una radura. I loro occhi si affacciarono su una serie di piccole capanne disposte in cerchio, con al centro un trespolo usato per cucinare in comune la cacciagione. Le pareti erano costruite con tronchi di bambù gigante, legati insieme e sigillati con fango e stralci d’erba. Le coperture, costituite da intrecci di foglie di palma, in cima avevano un foro, che fungeva da camino, ricoperto da un ulteriore cono intrecciato.
Con loro grande sorpresa, si accorsero che il villaggio si trovava più vicino del previsto al luogo in cui erano atterrati.
Tutti gli abitanti, alla vista degli stranieri, fuggirono per ogni dove, infilandosi nelle proprie abitazioni, sembravano palle di biliardo colpite dal boccino a inizio partita.
Si trovavano davanti una delle poche tribù bonobiane che non si era voluta piegare al volere degli Anic, rifugiandosi in quel luogo impervio.
Non sfuggirono alla vista delle sentinelle, passò solo qualche istante e davanti a loro si presentarono dei guerrieri armati di lance.
- Siamo venuti in pace - si affrettò a dire Xam.
- Anche noi vogliamo pace - affermò il più panciuto dei guerrieri, che probabilmente era il loro capo.
- Per questo vogliamo che andiate via!
- Non cerchiamo guai, abbiamo bisogno del vostro aiuto, Oalif ci ha parlato del vostro coraggio.
- Oalif ci ha lasciati tanti anni fa. Cosa siete venuti a fare?
- A cercare il monastero di Nativ.
- Perché?
- Siamo qui per una missione di pace che coinvolge tutti i popoli.
- Molti inneggiano alla pace ma poi portano la guerra.
- Ma noi, come puoi vedere, non siamo Anic. Sono Xam dei Tetramir, avrete sentito parlare di noi…
- Xam del Sesto Pianeta?
Xam annuì.
- Andate a chiamare il saggio - ordinò il guerriero panciuto.
Xam non si aspettava di vedere uscire dalla capanna un compagno di tante battaglie e lo chiamò per nome:
- Xeri! Ecco dov’eri finito, pensavo ti avessero fatto sparire.
- Xam? Cosa ci fai qui, amico mio? È morta solo la mia anima di combattente: ho visto troppi giovani amici morire.
- Sono felice di vederti - esclamò Xam abbracciando il vecchio amico.
- Anch’io, ma cosa vi porta qui? Dov’è Oalif?
- Se avesse saputo che ti trovavi qui non saremmo riusciti a trattenerlo sulla navicella. Cerchiamo il monastero di Nativ.
- Allora non vi serve andare lontano, vi basta alzare gli occhi. Si trova sull’isola fluttuante.
I Tetramir alzarono lo sguardo al cielo e videro che, proprio sopra le loro teste, pendeva una spada di roccia enorme con in cima degli alberi che nascondevano la vista dell’interno dell’isola.
- Come facciamo ad arrivarci?
- Non è vicina come può sembrare, non fatevi ingannare, nessuno è mai riuscito a raggiungerla. Molti hanno provato inutilmente ad arrivarci - continuò Xeri - La distanza che vi separa dall’isola rimarrà sempre la stessa in qualsiasi modo cerchiate di raggiungerla, è come se si trovasse in un’altra dimensione. Guardatevi intorno, non proietta alcuna ombra sul terreno.
Non ebbero il tempo di riportare gli occhi sul loro amico, che un sibilo colpì la loro attenzione. Videro cadere a terra Xeri, Xam accorse per soccorrerlo ma comprese che era troppo tardi.
- Tutti al riparo - urlò.
- Alle armi - gridò il capo guerriero.
Di nuovo le palle di biliardo si sparpagliarono, ma questa volta le buche si trovavano nel sottobosco della giungla.
La battaglia infuriava, i soldati di Mastigo erano arrivati più velocemente del previsto. Alcuni piccoli erano rimasti pietrificati per la paura al centro del villaggio.
- Dobbiamo fare qualcosa - disse Xam, ma non ebbe il tempo di finire la frase che l’Oriana si era già precipitata su di loro per proteggerli con la sua corazza avvolgendoli.
Xam coprì il suo spostamento facendo fuoco, mentre Ulica, salita rapidamente su un albero grazie alle sue estensioni di seta, planò silenziosa sui soldati di Mastigo nascosti fra le sterpaglie, come un falco sulla sua preda, e li colpì a morte.
Smessi i colpi le femmine accorsero a recuperare i piccoli fra le braccia di Zàira che giaceva a terra colpita, Xam e Ulica si precipitarono da lei.
La piazza era vuota, un vento si alzò fortissimo, come un piccolo turbine si diresse verso il centro del villaggio senza distruggere nulla lungo il proprio tragitto. Zàira, Xam e Ulica sentirono i loro movimenti irrigidirsi e, come trattenuti per magia, non riuscirono a sfuggirgli. Volteggiarono per diversi secondi prima di essere depositati sul limite di un costone di quell’isola galleggiante.
Per un momento Ulica si sentì sospesa nel vuoto. La testa ancora le girava come quando da bambina per gioco, tenendo per mano le amiche, ruotava a più non posso, ma si riprese e cercò i suoi compagni di viaggio.
Xam aveva già trovato Zàira, che aveva perso i sensi, e le stava accanto in ginocchio: i suoi occhi scuri erano pieni di tristezza, un debole per quell’Oriana l’aveva sempre accompagnato.
Ulica si avvicinò a loro e, concreta come sempre, cominciò a controllare Zàira per capire cosa fare, le tastò il polso e disse:
- Battito lento ma normale, il suo corpo sta cercando di minimizzare lo sforzo per recuperare.
La girò lentamente per vedere dove l’avessero colpita, le scostò il vestito che portava legato dietro il collo e le lasciava scoperta la schiena per permetterle di arrotolarsi se necessario e la cingeva sui fianchi fino a metà coscia.
- È ferita sul fianco destro, dietro la schiena, fortunatamente di striscio, la sua corazza l’ha protetta.
Non aveva perso molto sangue, il laser aveva cauterizzato in parte la ferita che non era profonda.
- Non sembra abbia colpito organi vitali o sarebbe già morta - continuò Ulica.
Xam la guardava attonito, quell’uomo indomito che durante la battaglia non stillava una goccia di paura e pietà per i suoi nemici, abituato ai campi di battaglia dove l’orrore della guerra e del sangue erano cosa comune, non riusciva a parlare.
Fece cenno con la testa che era d’accordo.
- Dobbiamo trovare un posto per curare la ferita - suggerì Ulica.
Xam aveva già preso in braccio Zàira e si avviava verso quello che sembrava un tempio, sulla cima di una collina verdissima.
La sua vicinanza e il suo profumo gli riportarono alla mente quando da ragazzi Zàira lo tirò fuori dal Canyon dei Cristalli su Oria, era accaduto in uno dei i pochi periodi in cui lasciava l’accademia, per lui unica famiglia conosciuta.
Durante le vacanze, quasi tutti gli amici di corso rientravano nelle proprie famiglie. Non tutti i ragazzi avevano questa fortuna: alcuni erano orfani, come Xam; altri rimanevano perché le proprie famiglie erano troppo occupate dalle loro ambizioni lavorative; altri ancora, invece, appartenevano a famiglie dove realmente il troppo carico di lavoro non permetteva il loro rientro. Per tutti loro venivano organizzati dei campi estivi e spesso la meta era Oria.
Su questo pianeta, l’atmosfera era rarefatta a causa delle sue piccole dimensioni che comportavano una bassa forza gravitazionale. Tutti coloro che non erano Oriani dovevano indossare un piccolo compensatore d’aria per ottenere un’ossigenazione ottimale, senza si sarebbero sentiti come sopra la vetta di una montagna che supera gli ottomila metri.
Il soggiorno al campo estivo di Oria era scandito da una moltitudine di impegni ma alla fine delle attività giornaliere, Xam si ritrovava a bighellonare nei dintorni del campus, nelle cui vicinanze si trovava la fattoria del padre di Zàira e fu lì che la conobbe.
Quell’estate la loro amicizia si fece più solida. Come tutti gli adolescenti amavano mettersi nei guai più o meno grandi. Zàira, infatti, quell’estate raccontò a Xam di un luogo che a lei sembrava incantato, non svelò tutto in verità, tenne segreta una parte per non rovinare la sorpresa e soprattutto nascose che gli adulti lo vietavano per la sua pericolosità.
Fu così che trascinò l’amico in quell’avventura nel deserto. Chiese a Xam di indossare gli scarponi più pesanti che possedesse e non volle che portasse degli amici con sé, sarebbe dovuto rimanere un luogo segreto.
Camminarono a lungo, Xam non riusciva a capire perché, in quella giornata di caldo torrido, Zàira gli avesse fatto indossare quei maledetti scarponi.
Zàira non era mai stata una grande chiacchierona, percorsero un bel po’ di strada in silenzio finché Xam stanco le chiese:
- Quanto manca ancora?
- Non fare la schiappa, siamo quasi arrivati - rispose Zàira.
- Spero ne valga la pena!
- Vedrai che sarà così. Ci basterà arrivare in cima a quella salita.
- Allora vediamo chi arriva per primo - gridò Xam iniziando a correre.
Zàira si precipitò all’inseguimento, cercando in tutti i modi di fermarlo, ma Xam preso dalla corsa non la sentì.
Riuscì a placcarlo solo sulla cima del costone.
Xam, disteso a terra a faccia in giù, stupito, si voltò verso di lei:
- Perché mi sei saltata addosso?
- Non hai notato niente? - disse Zàira indicando con il dito - Ti ci volevi tuffare dentro?
- Wow, avevi ragione, è incredibile!
Davanti agli occhi di Xam si presentò un panorama fantastico, un grande canyon si apriva innanzi a loro.
Non era molto largo, ma non si riusciva a vederne il fondo. I fianchi apparivano con delle sfumature orizzontali brillanti, il colore vicino alla sommità era chiaro e dorato come la sabbia, più si guardava verso il basso più il colore sfumava avvicinandosi al rosso granata. Era diviso in due zone: una, più lontana da loro, piena di gruppi di cristallo di ametista che riflettevano il colore della roccia, l’altra piena di grandissimi fiori a calice dentro i quali ci si sarebbe potuti sdraiare comodamente in due. I calici si muovevano instancabilmente come un mantice per permettere alla pianta di incamerare una maggiore disponibilità di ossigeno, dando vita ad un danzante effetto scenografico.
Xam, stranamente, sentiva il suo corpo più leggero del solito, guardava meravigliato, tutta quella strada gli aveva fatto venire fame.
- Bene, veramente un bel posto per fare uno spuntino, spero che nel tuo zaino ci sia qualcosa di buono.
- Pensi sempre a mangiare - sorrise Zàira che
tirò fuori dallo zaino una fune, si sedette a terra, si tolse gli scarponi e li legò ad alcuni arbusti, dopodiché si avvicinò al canyon.
Xam non si rendeva conto di cosa la sua amica stesse combinando.
Non ebbe il tempo di domandarglielo che vide Zàira lanciarsi nel vuoto. Il terrore lo assalì e corse sull’orlo del precipizio per vedere che fine avesse fatto.
Si sporse dal costone e vide Zàira ridere e svolazzare.
In quell’istante avrebbe voluto ucciderla per la paura che gli aveva procurato, ma allo stesso tempo si sentì sollevato e felice di vederla.
Zàira si avvicinò velocemente al bordo e atterrò vicino Xam.
- Ma cosa ti è saltato in mente? Pensavo ti fossi spiaccicata sulle rocce. Potevi avvertirmi! - disse un po’ stizzito.
- Se te lo avessi detto mi sarei persa la tua espressione, avresti dovuto vederti! - rise divertita.
- Brava! - rispose ironicamente Xam sentendosi preso in giro.
- Scusami, non volevo spaventarti - aggiunse Zàira rendendosi conto che forse aveva esagerato.
- Lascia stare, piuttosto cosa ci fai con quelle bombolette d’aria in mano?
Domandò Xam sorridendo, pensando a come non riuscisse a restare arrabbiato con lei.
Erano delle comuni bombolette d’aria utilizzate di frequente su Oria e servivano per ripulire i radiatori dei trattori che si riempivano di sabbia.
- Mi danno la spinta finale che mi serve per rientrare. L’aria compressa mi aiuta ad accelerare e superare di slancio il piccolo aumento di attrazione gravitazionale vicino al costone.
- Come riesci a volare?
- Magia…
- Dai non scherzare!
- In verità, in questo punto del canyon, la somma tra l’attrazione gravitazionale così bassa e le correnti ascensionali create dai fiori giganti, ci permette di volare. Dai, togliti gli scarponi e seguimi.
- Tu sei matta! - esclamò sapendo che non avrebbe resistito a seguirla in quel volo.
- L’importante è stare lontani dalla zona con i cristalli. Non avrai mica paura, vero? - stuzzicò l’orgoglio dell’amico Zàira.
Xam si sedette a terra, si tolse gli scarponi e li legò insieme a quelli di Zàira e solamente in quel momento si accorse che stavano fluttuando, senza si sentì ancora più leggero, riusciva a malapena a tenere i piedi per terra.
- Metti in tasca queste - disse l’Oriana porgendogli due bombolette estratte dallo zaino - La prima volta ci tufferemo insieme.
Si avvicinarono sul ciglio tenendosi per mano e senza esitazioni, come solo i ragazzi possono fare, si tuffarono.
Volarono per un po’ insieme, finché Xam prese dimestichezza con il volo, poi Zàira svelò un’altra sorpresa.
Trascinò Xam vicino ad uno dei fiori che li aspirò dentro. Caddero in un soffice tappeto di stami profumati. I fiori, che all’esterno erano di un blu intenso, all’interno erano gialli o rosa chiaro con degli enormi stami color arancio. Xam non ebbe il tempo di sorprendersi, che entrambi furono delicatamente sputati fuori dal fiore. I due amici iniziarono a ridere a crepapelle.
Zàira cercò di spiegare, tra una risata e l’altra, che l’interno del fiore emanava un fluido esilarante.
A quel punto Xam era pronto per volare da solo e abbandonò la mano di Zàira che un momento prima stringeva fortissimo.
Il divertimento era al culmine e Xam continuava ad entrare ed uscire dai fiori.
Zàira cercò di avvicinarlo, aveva dimenticato di dirgli di non esagerare, il fluido esilarante poteva fargli perdere il contatto con la realtà.
Non passò molto tempo che questo accadde, Xam aveva perso il controllo e si avvicinava pericolosamente alla zona vietata.
Zàira pensò di dover intervenire prima che fosse troppo tardi, le punte dei cristalli sulla parete lo avrebbero ucciso. Xam però si muoveva alla sua stessa velocità per cui sarebbe stato impossibile raggiungerlo. Così tirò fuori dalle tasche le sue due bombolette e le utilizzò per accelerare. Raggiunse l’amico, che rideva non rendendosi conto del pericolo, un attimo prima che si schiantasse sulla parete e lo trascinò via.
Lo riportò nella zona dei fiori e non lo mollò più fino alla fine del volo, appena si trovarono sulla giusta corrente ascensionale, si fece consegnare le sue bombolette e, tenendolo fra le sue braccia, lo riportò al riparo sul ciglio del canyon.
Si rendevano conto di aver rischiato la vita ma non riuscivano a smettere di ridere. Rimasero sdraiati a terra stretti, vicini uno di fianco all’altro e attesero felici la fine dell’effetto del fluido esilarante prima di rientrare a casa.