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Nel buio

Un volo irregolare di cornacchie attraversa il prato già in ombra.

Dalla finestra osservo le sagome scure dei pini e il contorno delle colline che definisce il paesaggio.

Mattia dorme beato dopo una giornata avventurosa: il viso colorito, la bocca appena schiusa, gli occhi che cedono al sogno le immagini della giornata, ed io qui, alla finestra, a guardare la luce della luna che lentamente rischiara lo sfondo del cielo e disegna la linea nitida del castello e del piccolo borgo.

Davanti al pollaio due caprioli sono immobili nella luce: si muovono lenti, a tratti incrociano le piccole corna, fingono la lotta, si allontanano correndo in cerchio come in un ballo antico, sbilanciando all’indietro il corpo agile, consci della finzione, del gioco.

Sveglio Mattia, lo chiamo piano, gli stringo la mano: fa una smorfia, apre gli occhi, li richiude infastidito.

“Ci sono i caprioli, giocano sotto la luna!”.

Mi si attacca al collo, mi stringe, guarda verso la finestra: la luna fa brillare l’erba del prato, l’ombra scura del pollaio si stende sul terreno.

Gli occhi sbarrati, la bocca aperta, la fronte appoggiata sul vetro, Mattia guarda fuori, si volge verso di me, sorride emozionato nel lungo silenzio.

Stiamo così, vicini, immersi in questa luce lunare, unici testimoni dell’incanto.

Ora i due animali si rincorrono accanto allo steccato, le ombre scure attraversano l’erba, si allungano, scompaiono sul pendio erboso.

Sento le guance calde del bambino sul collo, il respiro regolare del sonno: ora sognerà di correre sul prato, di toccare il manto dei caprioli, di lasciare le sue piccole impronte nell’erba bagnata.

Domani non saprà più se è stato un sogno.

Alla roccia

Arranchiamo sulla salita che porta alla roccia.

Quando mio figlio era piccolo, salivo spesso con lui fino al pianoro di tufo dove i fossili di antichi animali marini spuntavano tra la polvere e le pietre.

Oggi i fossili non ci sono più e parte della roccia è crollata, ma da lassù si vede la casa, il prato e il Boiro che, come un nastro luminescente, segna i confini.

Mattia è veloce, si arrampica agile tra i cespugli di timo e ginepro, ogni tanto si volta, dubbioso delle mie capacità.

“Ci riesci, nonna?”.

“Guarda avanti e sta zitto per favore. Pensa a te!”.

Quel piccolo mostro presuntuoso cammina sulla mia terra da due giorni e si sente già padrone!

Sediamo sui gradini di tufo a guardare le galline, puntini bianchi e rossi nel verde dell’erba e le oche, pietre immobili nel cortile. Mattia tace finalmente, il sole gli arrossa le orecchie, sembrano di carta velina trasparente. Osservo la linea dolce della nuca, la lieve curva della fronte così familiare, così cara e sento la tenerezza che so di nutrire per lui.

Ora si alza e comincia a lanciare piccoli sassi nel vuoto sottostante; si sforza, si contorce, si avvita su sé stesso perché il lancio sia più efficace: per sicurezza lo tengo per la maglia, lui si volta, è contento, ride.

Il volo delle cornacchie lo immobilizza, il loro grido improvviso fende l’aria: mi viene vicino, guardiamo insieme lo stormo nero che macchia il cielo, un’ombra scura come un pensiero improvviso, il silenzio tagliato in due dall’urlo acuto: attraversano lo spazio, poi planano verso la torre del castello e scompaiono nel grigio scuro delle mura.

“Non ti portano via, sta tranquillo, non sono mica aquile!”.

Cosa mi è venuto in mente di parlare di aquile!

Per tutto il tragitto si informa su dove sono i loro nidi, se qualche volta passano di qua e se portano via i bambini anche se le finestre sono chiuse e le luci accese.

Chiamo in aiuto Harpo. “Con lui vicino non può succederci niente”.

Entriamo in casa ad aspettare la sera.

Una lite

Mattia irrompe nel gruppetto delle galline agitando una vecchia scopa.

Ancora una volta mi chiedo perché sia così profonda nei bambini la necessità di tormentare il prossimo, qualunque esso sia.

“Possibile che tu non lasci quietare nessuno? Ti piacerebbe che ti prendessero a scopate? Prova un po’ a ragionare con quella testolina vuota, santo cielo!”.

Sono irritata, non sopporto che il gioco diventi una sofferenza per gli altri, esigo rispetto, anche per le galline!… Mi guarda, finge indifferenza ma so che è mortificato.

Mi chiedo se è così che si può insegnare l’amore per ciò che abbiamo attorno o se bisogna solo aspettare che tutto ciò di cui abbiamo goduto negli anni diventi parte di noi e quindi insostituibile, intoccabile.

Forse è così, ma il problema è che il mio tempo è ormai ridotto e vorrei accelerare il percorso. Quindi: “Non lasciare a tutti i costi la tua impronta su ciò che vedi e incontri, non è il caso di rincorrere le galline ma nemmeno di portarti via le pietre del fiume o, ancor peggio, i piccoli pesci che ti punzecchiano le dita quando sei in acqua, non modificare nulla, per favore, se non è strettamente necessario”.

Ora è offeso, sale in camera, fruga con attenzione nella sua valigia.

“Se pensi di scappare di casa, non fai nulla di originale. Tuo padre ci ha provato una volta. Aveva più o meno la tua età, non andava ancora a scuola. Lo avevo rimproverato, come ora ho fatto con te: lui ha preparato un sacchetto con tre scatole di pelati, mi ha salutato e si è avviato alla vecchia quercia. È rimasto seduto là almeno due ore, poi è rientrato e mi ha detto di aver cambiato idea ma solo perché aveva dimenticato l’apriscatole. Quindi, se vuoi andare, vedi di organizzarti meglio!”.

Gli occhi sgranati, completamente spiazzato, confuso dal racconto che vorrebbe conoscere nei particolari, mi guarda silenzioso, non sa cosa dire… finalmente.

Scendiamo in cucina, preparo una caraffa di acqua fresca e limone mentre comincia inesorabile il mulinello delle domande.

Alba

Il sole non è ancora spuntato.

Dalla finestrina del bagno guardo un cielo lungo e luminoso dietro le forme scure delle colline.

Dovunque silenzio, solo, a tratti, l’abbaio lontano di un cane cade sulla valle ancora in ombra.

Non so se svegliare Mattia e mostrargli quest’alba quieta che sembra irradiare pace ed annunciare una giornata serena.

L’onda di luce si srotola lentamente sui crinali, si irradia sui pendii scoscesi e poi, improvviso, rapido come una saetta, il sole appare ad inondare di luce la casa e il prato.

Troppo tardi per svegliarlo.

Resto alla finestra accecata dalla luce, grata di questo dono mattutino che dà inizio al mio giorno.

Complice l'estate

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