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IV.

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È giunta anche da noi ora questa moda di prolungare la dimora in villa sino ai primordi dell'inverno, e i primi freddi si soffrono coraggiosamente in campagna, nei casoni dai vasti ambienti, con sì provvida cura destinati dagli avi nostri a riparo e sollazzo pei tempi estivi. Ma di ciò ne conforta il pensiero di essere delle persone molto chic e di condurre vita inglese e per questo, forse, degli agi cittadini si lascia generosamente il monopolio ai forestieri e specialmente agli inglesi. Ma, in qualunque epoca avvenga, è sempre gaia la rientrata della società fiorentina nei suoi quartieri d'inverno. Subito, senza attendere la pedantesca epoca fissa del prossimo carnevale, s'inaugura l'êra di alcune piccole riunioni intime, ove ogni beltà regnante fa il novero dei suoi fedeli, e dove si dispongono le avvisaglie delle fazioni campali della stagione. Ma il luogo ove ferve più palese la nuova manifestazione della vita elegante fiorentina è indubbiamente: le Cascine.

Quivi si tengono le prime riunioni, si fissano i giorni pei tiri a quattro, coi drags o coi mails, quelli del tiro a quattro alla Daumont, quelli delle mezze gale o delle gran gale. Si rivedono zelantemente le buccie ai nuovi attacchi, e, ahimè, anche al contenuto dei nuovi attacchi! Si constata se la campagna ha data una ruga di più alla signora tale o dei colori troppo vivi alla signora tal'altra. Si segnala la comparsa di una nuova stella, l'americana o l'inglese dall'enorme assegno dotale, ovvero della piccina d'un'illustre famiglia paesana, che, a somiglianza d'una farfalluccia testè liberata dalla sua crisalide, ha lasciato in villa le gonnelline corte della ragazzetta e aspetta, con un gran batticuore, il primo gran ballo della stagione.

Si è generalmente lieti di ritrovarsi in quell'epoca e tutti hanno fretta di farsi vivi. Nel viale a destra, quello che costeggia l'Arno, e dove si accaparra sì a lungo il tepore e la gaiezza del sole, aumenta ogni giorno il concorso dei legni e della folla. Oggi, per esempio, in questo giorno ch'è dei primi di dicembre e che non ha nè nubi, nè vento, nè freddo, sono quasi le Cascine delle grandi epoche, le più belle dell'anno. Sembra una rassegna della grande armata mondana, tanto il viale brulica di equipaggi. A destra le vecchie foglie morte ed accartocciate prolungano negli alberi il lutto del morto estate, mentre la tunica di Nesso dell'edere poderose dà loro la scalata, coll'ingordo verde che le riveste e le consuma. Lontano, sotto le arcate sforacchiate dei viali negletti, erra qualche coppia sentimentale cui la folla non attira; passa qualche chiuso brougham di convalescente, qualche carrozza signorile, il cui percorso è prestabilito da un marito vecchio e geloso, qualche equipaggio colle assise nere e un carico di bimbi e di governanti in lutto grave. E ogni tanto il trotto di qualche cavaliere solitario, che vuol gustare davvero, non distratto, il piacere di cavalcare, echeggia sonoro sul terreno.

La banda militare suonava, sul piazzale c'era ingombro di carrozze. Quella della duchessa d'Accorsi stava ad uno dei posti migliori. Non l'equipaggio di gala, bensì la giardiniera colle stoffe e le vernici verde olivo. Poco lungi, dietro la giardiniera, era fermo parimenti un leggiadro tandem da giovanotto, ma il groom soltanto stava a custodia del magnifico trotteur; il padrone, Dino di Follemare, era sceso, appena aveva visto arrestarsi la giardiniera e stava ora alla portiera di questa.

La duchessa Ginevra era sola nel legno. Donna Marina passeggiava nel viale dei pedoni, con una sua amica inglese. Sua madre l'avrebbe chiamata più tardi, all'ultimo giro.

Il posto della giovane era attualmente occupato da un cane accovacciato in dormiveglia sur uno scialle persiano. Fido compagno della Duchessa, quell'orribile Tom era un piccolo bull terrier bassotto, arcigno, dal muso nero, grottescamente feroce.

Sul sedile dirimpetto giaceva un vaghissimo mazzo di perus japonica. Una primizia anche a Firenze, in dicembre, quei boccioli di un cupo scarlatto, che parevano mettere una chiazzatura sanguigna sul verde dei cuscini.

La Duchessa era vestita di velluto grigio, con una guarnizione di grèbe, non di ultima moda, ma che pareva fatta apposta per lei, coi suoi riflessi splendidamente argentei. Il suo fitto velo di garza chiara, rialzato, le faceva quasi un diadema sul pallore giallastro della sua fronte.

Presso alla sua portiera non stava solo Dino Follemare. Parecchi fra i più noti frequentatori del Club, alcune fra le più notevoli personalità dell'aristocrazia fiorentina le avevano già fatto d'attorno un po' di corteo. Anche là ella teneva circolo, dominando ed avvivando sempre la conversazione col mordace suo spirito, coll'impunità da tanto tempo acquisita anche ai suoi detti. La conversazione era libera, viva, non pietosa a chi n'era oggetto. E veramente, di fianco a quella formidabile giardiniera, gli altri equipaggi non facevano lunghe soste. Le signore paventavano per istinto e per esperienza i commenti spietati di quel crocchio, la libertà del linguaggio su tutto e per tutto, quei decreti senza appello sull'eleganza o sulla bellezza. Provavano lo sgomento istintivo dello sguardo, spesso sì beffardamente sagace di lei. E lo sentivano tanto da scordare il diritto che avrebbero avuto di giudicare lei. Ma che! Tutte s'erano abituate ormai a quell'eterno spettacolo del tandem di Dino Follemare fermo, in attesa, dietro la carrozza della Duchessa. Al più, qualche mamma sospirava pensando che Dino sarebbe stato un sì bel partito, un tempo, prima che si fosse sì nobilmente rovinato per tener dietro al lusso di cavalli di casa d'Accorsi. E certamente, se n'erano fatti e se ne facevano sempre dei bei matrimoni alle splendide feste della Duchessa! E ci si divertiva tanto: erano, curioso a dirsi, tanto scelte! Perciò, quasi tutte le signore, passando, salutavano con grande spesa di sorrisi gentili.

Varie carrozze s'erano già successe nello spazio prossimo alla giardiniera, quando giunse e si fermò un elegante calèche inglese, dalle morbidissime oscillazioni, molto apprezzate dagli intelligenti. All'interno stava una signora vestita di bruno. L'occhialino della Duchessa fu tosto in moto, e nel crocchio fu uno scappellare rispettoso e generale.

— La contessa Serramonti, che novità! — disse la Duchessa, dopo aver mandato ad Elena un saluto ed un sorriso, scelti nella gamma dei suoi migliori.

— È vero, viene di rado, — osservò Gino Casabello.

— Oh! — ribattè Gincora ridendo, — non è già una sfaccendata della nostra specie; ha meglio a fare, sapete.

— Ma no, — disse Sacha Dzworkoff, un russo malato di petto che veniva ogni anno a svernare a Firenze ed era diventato più fiorentino del vero, — no, non ha nulla di meglio a fare, pur troppo.

— Oh per quello! — osservò Guido d'Aspano, che non capiva perchè gli altri ridessero del patetico «pur troppo» di Dzworkoff — è una donna assai occupata, è una delle più assidue frequentatrici...

— Del monde où l'on s'ennuie — interruppe il piccolo russo con tanta foga, che la fine della sua frase gli morì in un lieve accesso di tosse.

— Vi prego di osservare, — disse la Duchessa ridendo, — che viene sempre anche da me. Suvvia, Sacha, non calunniate una donna tanto esemplare. Fareste infinitamente meglio a tentare di farvi sposare da lei. Sarebbe una buona occasione per voi di far giudizio o di pagare i vostri debiti.

— Oh, Duchessa! Sapete quanto il freddo mi è proibito per la mia salute, e mi suggerite il Polo Nord in moglie. Volete proprio la mia morte, allora?

Là Duchessa rise di cuore a quell'uscita di quel capo scarico, dicendogli che era un monello incorreggibile, e ch'egli e tutti loro non sapevano nulla di nulla. Invece di dir tante freddure sul conto di quella cara Elisa, dovrebbero andare pietosamente a consolare la sua solitudine.

— Uhm, — ribattè Dzworkoff, — saremmo un po' in ritardo, per l'appunto. Guardate. Un cavaliere si accosta alla sua portiera.

— È vero, — sclamò Ginevra. — E un bel giovane anche! Curiosa!

Per un momento nel crocchio fu silenzio. Tutti osservavano, attenti, il giovane che, montato su un morello di elegantissime forme, veniva a presentare i suoi omaggi alla Contessa. La salutò con una certa grazia innata e naturalmente distinta, trattenendo con molto garbo ed abitudine della sella, il cavallo irrequieto.

Roberto Rescuati era ciò che si chiama un bel cavaliere, forte ed elegante ad un tempo. S'indovinava in lui una consuetudine antica e la passione di quell'esercizio.

Elisa era venuta appositamente alle Cascine per vedere il suo protetto, a cavallo.

Gli fece i suoi cordiali mirallegro, provando vero piacere a vederlo sì bello e sì disinvolto.

— Lo scriverò alla mamma, — soggiunse con un sorriso di approvazione indulgente. — Siete sotto lo sguardo di giudici competenti, e vedo che vi approvano.

Senza muovere il capo, colla coda dell'occhio accennò il gruppo di sportsmen che stavano osservando Roberto.

La fresca e rosea epidermide del volto del giovane si colorì vivamente, sotto l'impressione genuina dell'amor proprio soddisfatto.

— Com'è fanciullo! — pensò Elisa con una specie di commossa indulgenza.

La Duchessa frattanto aveva lasciato cadere il suo occhialino.

— Una bella creatura, quel cavallo! — sentenziò.

— Stupendo! — disse Guido d'Aspano. — Non sono venti giorni che è arrivato dall'Inghilterra. L'ho visto da Huber. Neri Speroni ne andava pazzo. Huber ne chiedeva cinquemila franchi. Ma Speroni l'avrebbe rovinato subito, mentre invece mi pare che il suo acquisitore sia un discreto cavaliere.

— So chi è, — disse Dino di Follemare. — È alloggiato alla Pace e desina al Doney. Di provincia... delle Marche, che so io. Ressuati... Rescuati, o qualcosa di simile.

— Rescuati Melli, forse? — chiese la Duchessa.

— Precisamente.

— Oh, conosco! Ho incontrato un Rescuati all'estero, in Germania! Simpaticissimo. Suo padre, mi figuro. Eccellente famiglia. Si trattiene?

— Credo di sì. Ha preso una scuderia nella mia casa di via della Scala, — rispose Brandino Berardi. — Pare un giovane per bene, benchè discretamente provinciale.

La Duchessa ebbe un sorriso silenzioso e passeggero. Ancora una volta, dietro il suo occhialino, il suo sguardo si trattenne, sagace, sul giovane.

— Decisamente è una bella creatura quel morello. Neri è stato uno scimunito a non prenderlo. Coprite Tom, Dino, e dite al cocchiere che si muova. Fa freddo qui. A stasera, nevvero? — soggiunse con uno sguardo di saluto generale, mentre la carrozza si metteva in moto.

Passando davanti al cocchio di Elisa, le mandò ancora uno dei suoi saluti speciali, che la Contessa ricevette senza nulla aggiungere alla correttezza un po' sostenuta di quello da lei reso. Poi Elisa disse dolcemente a Roberto:

— E così, quando si fa questa presentazione alla duchessa d'Accorsi?

— Come! — diss'egli altamente meravigliato — è quella la duchessa d'Accorsi?

— Sì, — disse Elisa, — ma perchè?

Egli si mise a ridere.

— Perchè, ecco. Avevo sentito certe storie! Scusi sa, ma proprio non capisco! Se è vecchia quanto il brodo, e brutta come.... Oh, lo direbbero così bene laggiù, da noi. Ma scusi, — soggiunse con un subito timore d'essere stato imprudente e scortese, — quella signora è forse una sua amica intima?

Ella ebbe un rapido, altero cenno di diniego.

— Oh no... no...

S'avvide, dall'aria attonita di lui, di essere stata troppo vibrata nel suo: no.

— Ci vediamo, — soggiunse con maggior pacatezza, — ci incontriamo di spesso, ma non siamo in relazione molto stretta. Ha una figlia alla quale sono molto affezionata, una cara giovane. La Duchessa riceve molto, ed ha molto spirito; vi sarà certamente utile per tutto ciò che riguarda la società. Per ciò avevo pensato di presentarvi.

— Oh! quando crede — mormorò il giovane, ma con accento sì poco entusiasta che Elisa ne rimase un po' scoraggiata. Era a Firenze da un mese, Roberto, ed ella non aveva ancora potuto scrivere a Tecla ch'egli fosse il beniamino delle signore. Sino a quel tempo aveva frequentato più che altro le scuderie, e, certo in quei pressi, aveva acquistate le sue nozioni elementari sul conto della società fiorentina.

— Ebbene, allora diciamo la settimana ventura, eh? Vi pare?

Gli parlava dolcemente, dandogli del voi, mentre egli le dava del lei, come era convenuto tra loro.

Egli s'inchinò pensando: Ouff! e non sapendolo ben nascondere. Proprio, non ne aveva voglia di quella presentazione. E quella cara Contessa ne aveva sempre una. O non l'aveva fatto trottare per tre ore, non più tardi di ieri, dagli Uffizi a Pitti per veder dei chilometri di tele dipinte! E l'altro giorno, quella lettura al Circolo... Misericordia!

Ella s'accorse di qualcosa. Uno sgomento l'invase. Ma Dio mio! come fare con quel benedetto ragazzo, che non s'interessava a nulla!

Sbagliava. Ma Roberto era abituato a far da sè, e quella specie di tutela, per quanto gentile, gli pesava alquanto. Glielo aveva detto la mamma, un po' troppo detto forse, che la contessa Elisa avrebbe fatto, detto, pensato per lui. Gli pareva finito, dopo tutto, il tempo dei precettori. E di quello non se ne poteva fare certo un compagno.

Contuttociò, la presentazione alla Duchessa ebbe luogo nella quindicina e Ginevra fu gentilissima per Roberto, che invitò subito ai suoi famosi lunedì sera. Il giovane ci andò una volta e non si divertì punto. Ci tornò, ma dopo parecchie settimane, una sera che si ballava e che c'era anche Elisa. Questa ebbe un momento di contentezza intima quando lo vide schierarsi al posto per i lancieri vicino a Marina Negroni. — che bella coppia, pensò in cuor suo. — E se fosse il cominciamento?

Una bella coppia veramente: alti entrambi di statura, robusti, freschi. Un'analogia, quasi, una somiglianza nella calma delle loro parole, dei loro gesti, delle mosse. A più d'uno colpì lo sguardo quella strana armonia d'aspetto e una vecchia amica della Duchessa si credette in dovere di fargliela rilevare.

— Guarda un po', Ginevra, come stanno bene assieme tua figlia e quel nuovo. Chi è?

— Chi? Ah! il protetto di Elisa Serramonti. Sì, non c'è male.

— Pure, non ha l'aria di uno dei soliti suoi fidi. È ricco? Di buona famiglia?

— Conte Rescuati. Cinquantamila franchi di rendita.

— Ah! un partito, allora. Ma andrebbe benissimo per Marina.

— Oh! sai che di ciò non m'impaccio. Marina sa il fatto suo... Ma non credo che sia il caso...

Si arrestò, ridendo.

L'altra rise pure, ma un po' incerta.

— Come? — disse poscia con un sogghigno pieno di malizia interrogatrice.

— È qui da qualche tempo? — soggiunse.

— Oh, non so... un mese, due, tre... L'abbiamo trovato qui. Pare ch'ella faccia la sua educazione.

— Oh! — disse l'altra.

E di nuovo sulla sua bocca sdentata (era vecchietta assai quella cara contessa Flora Bandi Corvini) un lampo passò, maligno, fugace, ove pareva ricapitolarsi tutta la sua esperienza di tanti anni mondani.

— Quella cara Marina! — disse, dopo un momento. — Ma sarebbe un'occasione eccellente, anzi un'opera buona!...

— Mia cara Flora — rispose la Duchessa ridendo — Flora le opere buone le fa per conto suo e non di seconda mano. Del resto, come sai, la contessa Elisa è al disopra di ogni maligna interpretazione dei suoi atti. Ella santifica tutto ciò cui mette mano. Che direste di un'altra tazza di thè, mia cara Flora?

La cara Flora prese il thè, che le recò per ordine superiore e colla sua solita grazia rassegnata, Dino di Follemare.

Rimase ancora un'oretta, poi se ne andò. In anticamera vide la contessa Elisa, alla quale Roberto Rescuati offriva il braccio per scendere le scale.

Tenne dietro da presso a quei due. Udì che Elisa rimproverava dolcemente Roberto.

— Perchè venite via sì presto? Tornate.... Alla Duchessa dorrà di vedervi partire. V'accerto che posso benissimo rientrar sola. È la mia abitudine.

— Ma mi annoio, sa? Tanta gente che non conosco! E quel dover ballare... Poi... ho un impegno.

— Coi vostri nuovi amici?

— Già... coi miei nuovi amici. Neri Speroni e... gli altri.

Elisa ebbe un piccolo senso di contrarietà. Quel Neri Speroni... E gli altri... gli amici di Neri Speroni!...

— Oggi mi ha scritto la mamma — disse a Roberto, con una dolcezza accentuata d'intonazione.

— Davvero! — rispose il giovane. — Sta bene?

— Sì, e mi domanda tanto di voi.

— Ah! povera mamma! È un secolo che le devo scrivere. Anch'io, domani o doman l'altro senza fallo... Se le scrive, glielo dica.

Ma Elisa sapeva che Tecla non avrebbe sì presto lettera di suo figlio. Roberto non era assiduo corrispondente. Come aveva detto, aveva spesso degli impegni.

Ma dell'indole precisa di questi impegni non aveva creduto dover informare la sua protettrice. E questa pensava in cuor suo: Non è ancora il cominciamento, in ogni caso.

E dietro loro, soletta (ah! non soleva esser così un tempo) la contessa Flora Bandi Corvini, col suo riso silenzioso, pensava: Contuttociò.... voleva dir qualcosa Ginevra!

L'ultima primavera

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