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CAPITOLO SETTE

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Gianni, l’indovino italiano, condusse i quattro amici attraverso il muro di mattoni incantato. Quando furono passati attraverso il velo emergendo dalla parte opposta, Oliver sussultò nel vedere cosa lo aspettava.

Non aveva mai visto niente del genere. La versione italiana della Scuola degli Indovini era il posto più stravagante in cui fosse mai stato. Diversamente dalla scuola di sorella Judith in Inghilterra, che aveva l’atmosfera di un monastero, e diversamente dalla sua negli Stati Uniti, che per certi aspetti sembrava una navicella spaziale del futuro, questa aveva lo stile di un palazzo reale. Oliver quasi si aspettava di vedere un re passare leggiadro attraverso le porte, o una fila di suonatori di corno che annunciassero il loro arrivo.

“Da questa parte,” disse David, riportando ciò che Gianni stava dicendo.

Entrarono velocemente nella grande scuola. Qui l’opulenza era ancora maggiore. C’erano colonne e statue di marmo dappertutto, senza parlare della cupola che faceva da soffitto, dipinta con intricati motivi. A Oliver vennero in mente tutti gli artisti dell’epoca del Rinascimento, come Da Vinci e soprattutto Michelangelo, che dipingeva affreschi enormi sui soffitti degli edifici religiosi. Si chiese se alcuni di quegli artisti avessero visitato la scuola.

Mentre attraversavano frettolosamente i corridoi, Oliver si sentì pervaso da una strana sensazione di dejà vu. Non riusciva a capire, ma era come se fosse già stato in quel posto.

“Tutto bene?” gli chiese Hazel.

Oliver annuì. “Ho solo una strana sensazione, tutto qui. Come se fossi già stato in questo posto.”

Hazel aggrottò la fronte. “Magari è proprio così. Un altro te, intendo. In una diversa linea temporale.”

Oliver meditò sulle sue parole. Ovviamente era possibile che una diversa versione di lui fosse stata in quel posto prima d’ora, ma questo non lo sollevava dalla strana sensazione di familiarità che stava provando. Qualsiasi diverso Oliver, proveniente da una diversa linea temporale, avrebbe avuto ricordi diversi. Non era possibile che lui vi avesse accesso.

Era un totale mistero. Eppure, a ogni passo che faceva, si sentiva sempre più come se avesse percorso prima lo stesso tragitto.

Oliver cacciò quei pensieri dalla testa. Era impossibile. Probabilmente stava solo pensando a un libro di storia che aveva letto, o a un documentario che aveva guardato. Forse stava ricordando un sogno. Qualsiasi fosse la risposta, non aveva tempo da sprecare pensandoci adesso. Doveva restare concentrato su Esther, sul trovare l’Elisir per salvarle la vita.

Gianni li portò fino a una grande porta laccata e vi tamburellò contro le nocche. Girò la testa e disse qualcosa a David. David riportò subito in inglese il messaggio agli altri: “Questo è l’ufficio del preside.”

Oliver deglutì. Non poteva fare a meno di sentirsi nervoso ogni volta che incontrava un nuovo potente e riverito indovino. Rispettava il professor Ametisto più di chiunque altro nell’universo, e incontrare i suoi corrispettivi nella storia era sempre un’esperienza che lo intimidiva e innervosiva.

Gianni aprì la porta e fece strada all’interno dell’ufficio. Era una stanza enorme, più simile alla sala da ballo di un palazzo che all’ufficio di un preside. C’erano grandi dipinti con cornici d’oro appesi alle pareti verde scuro, e un enorme caminetto in marmo. Dal soffitto pendevano dei candelabri e l’aria era punteggiata dall’odore di mandorla.

Quando furono entrati, Oliver vide una grossa scrivania, dietro alla quale sedeva una donna estremamente elegante. Sebbene fosse anziana, era molto appariscente e c’era un’energia giovanile che brillava nei suoi occhi. Aveva la stessa pelle olivastra e gli occhi scuri di Gianni. Folti capelli neri e lucidi le ricadevano ondulati sulle spalle.

“Oliver Blue?” chiese, la voce morbida e ritmata, con un forte accento italiano.

“Sì,” balbettò lui, un po’ intimorito dalla forte presenza della donna.

“Prego. Sedetevi.” Indicò loro una riga di sedie e sorrise, i denti bianchi e l’espressione invitante. “Tutti quanti.”

Oliver era sopraffatto da tutto, ma fece come la preside aveva detto. I suoi amici si sedettero accanto a lui.

“Sono la preside della Scuola degli Indovini di Roma,” annunciò la donna. “Lucia Moretti. Lasciate che vi dia prima il benvenuto.”

“Grazie,” balbettò Oliver. Si sentiva un po’ confuso davanti a una donna così elegantemente potente.

La preside continuò. “Ho saputo che siete stati in grado di attivare l’antico portale che si dice porti all’Elisir. Devo dire che sono piuttosto sorpresa che vi abbia condotto qui.” C’era una scintilla di eccitazione nei suoi occhi. “Pensate un po’: la chiave per trovare l’Elisir è sempre stata sulla soglia della mia porta.” Sorrise a Oliver. “Non mi sorprende che dopo tutti questi secoli sia stato tu, fra tutti, a riuscire a riattivare il portale, Oliver Blue.”

Oliver si accigliò, confuso. Cosa intendeva dire?

“Non capisco,” disse. “Cosa intendete dire con ‘io fra tutti’?”

“Ma come, perché sei il figlio di Margaret Oliver e Theodore Blue!” esclamò. “No?”

Sentendo nominare i suoi genitori, Oliver sentì il cuore che iniziava a battere forte. Walter e Hazel sobbalzarono visibilmente sulle loro sedie. Essendo due dei migliori amici di Oliver, sapevano benissimo quanto disperatamente stesse cercando i suoi genitori.

“Lei conosce i miei genitori?” chiese Oliver, quasi senza fiato per lo shock.

“Certo che sì,” rispose la preside. Un piccolo cipiglio le fece corrugare le sopracciglia. “Sono piuttosto celebri da queste parti. Ma tutte queste cose tue le sai.”

“A dire il vero no,” si affrettò a correggerla Oliver. “I miei genitori mi hanno dato in adozione. Non so niente di loro.” La sua voce era ansimante adesso, come se volesse arrivare rapidamente al punto conclusivo di quella conversazione. “Sono qui? A Roma? Lei sa dove posso trovarli?”

L’espressione di Lucia Moretti di fece seria e delusa. “Scusa. Temo di aver parlato a sproposito.”

“Per niente,” rispose Oliver rapidamente. “La prego, mi dica tutto quello che sa. Non ho nessuna pista da seguire. Solo i loro nomi e il fatto che hanno studiato ad Harvard. Oh, e il quaderno di mio padre.”

Le sopracciglia della preside si inarcarono. “Un quaderno?” chiese. “Posso vederlo?”

“Certamente.” Oliver prese il quaderno da Hazel, che lo teneva per lui nella sua borsa, e lo porse velocemente alla preside. Qualsiasi cosa quella donna conoscesse riguardo ai suoi genitori, lui voleva saperlo.

La preside Moretti sfogliò il quaderno. “Oliver, sai che cos’è?”

Lui scosse la testa.

“È una formula,” disse lei. “La formula dell’Elisir.”

Oliver sussultò. “Cosa?! Intende dire che la cura è rimasta sempre con me?”

“Aspetta. Rilassati,” disse lei. “Non andare troppo avanti. Quello che intendo dire è che si tratta di un tentativo di creare una formula dell’Elisir. I tuoi genitori erano umani, Oliver. Sei cosciente di questo, vero? Non avevano poteri da indovino. Quindi i viaggi nel tempo erano del tutto fuori portata per loro. Però frequentavano i circoli degli indovini. Volevano vedere di cosa gli indovini fossero capaci. Qui c’è la prova che tuo padre stava tentando di creare un suo Elisir. Con esso sarebbe stato capace di viaggiare nel tempo, attraverso le linee temporali e i mondi paralleli alternativi. Ma non è completa. Non ci è riuscito.”

Un vero e proprio esercito di emozioni si sprigionò dentro a Oliver. Non poteva assorbire tutte le informazioni che aveva appena ricevuto. Pensare che i suoi genitori mortali avessero tentato di svelare i segreti del viaggio nel tempo era molto strano per lui. Per quale motivo avrebbero dovuto voler viaggiare nel tempo? Gli indovini viaggiavano nel tempo per compiere il destino dell’universo, per proteggere le linee temporali che l’universo comandava, per sventare le malefatte degli indovini malvagi che tentavano di creare scompiglio. Ma gli umani non avevano bisogno di viaggiare nel tempo. Era già piuttosto pericoloso per un indovino, figurarsi per un umano. Era a dir poco un’impresa suicida.

Oliver non sapeva se sentirsi sollevato che la formula di suo padre fosse incompleta o no. Se Teddy Blue fosse riuscito a creare l’Elisir, allora sarebbe stato capace di salvare la vita di Esther. Ma dato che non ci era riuscito, forse questo di per sé aveva salvato la vita a lui stesso.

La preside Moretti chiuse il quaderno di colpo. “Oliver, sai che nulla accade per coincidenza. Il portale ti ha portato qui per un motivo, perché in qualche modo questo è il luogo dove l’Elisir verrà scoperto. Credo che questo quaderno sia il primo passo. Il secondo passo viene da me.”

Oliver aggrottò la fronte, curioso. “Cosa intendete dire?”

“Sono una matematica, Oliver,” disse la donna. “La migliore mente che l’universo abbia mai conosciuto. Ho una mente che ha trovato un degno rivale solo in Einstein.” Tamburellò le dita sulla scrivania e i suoi occhi brillarono per l’eccitazione. “Ti servono le mie istruzioni. Ti serve la mia conoscenza. Se ti fornisco l’adeguata formazione, insieme saremo capaci di completare la formula.”

“Ma non ho tempo,” disse Oliver. “Non sto cercando l’Elisir per svelare i viaggi nel tempo, ma perché il professor Ametisto mi ha detto che è l’unica cosa in grado di salvare la mia amica che soffre della malattia dei viaggi nel tempo! La mia amica sta morendo.” La sua voce si spezzò vedendo apparire nella propria mente l’immagine di Esther. D’istinto strinse la mano sull’amuleto. “Non ho tempo di mettermi a studiare qui.”

La preside esitò. Piegò la testa di lato e guardò Oliver per un momento. “Capisco.”

Sembrava delusa che Oliver avesse rifiutato la sua offerta di dargli degli insegnamenti. Non aveva avuto intenzione di insultarla. In qualsiasi altro momento e luogo, sarebbe scattato di corsa all’occasione di poter studiare alla Scuola degli Indovini di Roma, apprendendo tutto il genio matematico che la preside Moretti possedeva. Ma non aveva proprio tempo.

Hazel era preoccupata e si torturava le mani in grembo. Guardò Oliver con espressione colma d’ansia. “Non è la nostra ultima possibilità, però, vero?” chiese. “L’Elisir non è mai stato creato. Il portale ci ha portati qui perché è qui che possiamo trovare i pezzi del puzzle che ci servono per crearlo. La mente della preside Moretti è di certo uno di quei pezzi.”

“Capisco quello che intendi dire,” ammise Oliver. “Ma di certo Esther morirà prima che io arrivi a imparare tutto quello che serve.”

“C’è un rituale,” disse la preside di colpo, interrompendo la loro conversazione.

“Un rituale?” chiese Oliver. Non gli piaceva il suono di quelle parole. Gli sembravano minacciose. Addirittura pericolose.

La preside Moretti annuì lentamente. “È… come posso dire… una procedura complicata. Una cosa che non ho mai fatto prima. Ma potrebbe essere la vostra unica speranza.”

Oliver si fece ancora più nervoso. Le parole della preside non gli davano alcun conforto.

“Di cosa si tratta?” chiese, sentendo la propria voce che tremava.

“Trasferirò tutta la mia conoscenza e le mie abilità in te,” spiegò lei. “Così saprai tutto ciò che so io. Avrai accesso ai miei ricordi, anche a quelli inconsci che ho dimenticato da tempo. Poi credo che sarai in grado di usare quella conoscenza per finire la formula per l’Elisir. Cosa dici?”

Era una cosa terrificante per Oliver. Ma Esther aveva bisogno di lui. E anche la scuola. Inoltre, la preside Moretti aveva detto che sarebbe riuscito a vedere i suoi ricordi. Lei conosceva i suoi genitori. Forse i suoi ricordi lo avrebbero portato un po’ più vicino al trovarli?

“Farà male?” chiese Oliver.

Le labbra della preside Moretti si piegarono di lato in un’espressione preoccupata. “Non penso che sarà un’esperienza piacevole,” gli spiegò. “Credo che sarà una specie di shock per il sistema.

Oliver guardò i suoi amici.

Walter annuì con fare rassicurante. Lo stesso fece Hazel, anche se l’espressione che aveva nello sguardo tradiva un poco la sua paura. Oliver guardò David. Si fidava di lui, implicitamente.

“Penso che sia una buona idea,” disse il ragazzo.

Deglutendo a fatica e mandando giù il nodo che aveva in gola, Oliver si rivolse alla preside Moretti. Annuì. “Ok. Lo farò. Farò il rituale.”

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