Читать книгу Un’Impresa da Eroi - Морган Райс, Morgan Rice - Страница 10

CAPITOLO UNO

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Il ragazzo se ne stava in piedi sul poggio più elevato della Landa Inferiore, nel Regno Occidentale dell’Anello, e guardava verso nord, osservando il primo dei soli che sorgeva. Fin dove giungeva il suo sguardo non si vedeva che una distesa ondeggiante di verdi colline, simili alle gobbe di un cammello, che salivano e scendevano in un susseguirsi di valli e picchi. L’arancio dei raggi del primo sole indugiava nella bruma mattutina facendo brillare quei promontori e donando alla luce una magia che combaciava con lo stato d’animo del giovane.

Raramente si alzava così presto, né era solito allontanarsi così tanto da casa; e mai era salito così in alto, ben sapendo che ciò avrebbe suscitato la collera di suo padre. Ma quel giorno non gli importava. Quel giorno non aveva intenzione di curarsi di quel milione di regole ed incombenze che l’avevano oppresso nei suoi quattordici anni di vita. Perché quel giorno era diverso. Quel giorno si sarebbe potuto compiere il suo destino.

Il ragazzo, Thorgrin del Regno Occidentale della Provincia del Sud del clan McLeod, da tutti conosciuto semplicemente come Thor – il più giovane di quattro fratelli, il meno favorito di suo padre – aveva vegliato tutta la notte, in attesa di quel giorno. Si era girato e rigirato, con lo sguardo offuscato, nell’attesa, nel desiderio che il primo sole sorgesse. Perché un giorno come quello arrivava solo una volta nel giro di molti anni, e se avesse perso quell’occasione, sarebbe rimasto in quel villaggio, condannato ad occuparsi del gregge di suo padre, per il resto dei suoi giorni. Il solo pensiero gli era intollerabile.

Giorno della Coscrizione. Era il giorno in cui l’Esercito del Re attraversava le province e raccoglieva volontari per la Legione del Re. Per tutta la sua vita Thor non aveva sognato altro. La vita significava per lui una sola cosa: far parte dell’Argento, l’elite di cavalieri del re, adorni delle migliori armature e dotati di armi di prima scelta ovunque nei due regni. Nessuno poteva accedere all’Argento se prima non aveva fatto parte della Legione, la compagnia di scudieri dai quattordici ai diciannove anni. E non vi era altro modo di accedere alla Legione se non essere figli di un nobile o di un valoroso guerriero.

Il Giorno della Coscrizione era l’unica eccezione, un evento raro che capitava a distanza di anni, quando la Legione era a corto di componenti e gli uomini del re pattugliavano il territorio a caccia di nuove reclute. Tutti sapevano che solo pochi cittadini comuni sarebbero stati scelti, e che ancora meno sarebbero stati quelli effettivamente ammessi a far parte della Legione.

Thor se ne stava lì, ad osservare assorto l’orizzonte, in attesa di un minimo segno di movimento. L’Argento, lo sapeva, sarebbe passato per di lì – l’unica strada che conduceva al suo villaggio – e voleva essere il primo ad avvistarli. Nel gregge raccolto attorno a lui, le pecore protestavano emettendo un coro di fastidiosi belati, nel tentativo di sollecitarlo a riportarle a valle, dove il pascolo era migliore. Thor cercava di non pensare al rumore, e alla puzza. Doveva concentrarsi.

Ciò che gli aveva permesso di sopportare tutto questo – tutti quegli anni a prendersi cura del gregge, a fare da servo a suo padre e ai suoi fratelli più grandi, ad essere quello che riceveva le minori attenzioni e il maggior carico di lavoro – era l’idea che un giorno avrebbe abbandonato quel luogo. Un giorno, quando l’Argento fosse giunto, lui avrebbe sorpreso tutti quelli che l’avevano sottovalutato e sarebbe stato selezionato. Con un unico repentino gesto sarebbe salito sulla loro carrozza e avrebbe detto addio a tutto questo.

Il padre di Thor, ovviamente, non l’aveva mai preso in considerazione come possibile candidato per la Legione; a dire il vero non l’aveva mai considerato come possibile candidato per alcunché. Al contrario, suo padre riservava tutto il suo affetto e le sue attenzioni ai tre fratelli maggiori di Thor. Il primogenito aveva diciannove anni e gli altri venivano in successione con solo un anno di differenza, mentre Thor era ben tre anni più giovane di loro. Probabilmente perché più vicini di età tra di loro, o forse perché si assomigliavano ed erano tutti completamente diversi da Thor, i tre stavano sempre insieme, a malapena consapevoli dell’esistenza del fratello minore.

Quel che era peggio, erano più alti e robusti e forti di lui, e Thor, che sapeva di non essere basso, ciononostante si sentiva piccolo accanto a loro: aveva la sensazione che i muscoli delle sue gambe fossero deboli in confronto alle loro, che sembravano barili di quercia. Il padre non faceva niente per bilanciare la situazione, niente di ciò, piuttosto sembrava goderne lasciando che Thor si occupasse delle pecore e affilasse le armi, mentre i suoi fratelli potevano allenarsi. Non era mai stato espressamente detto, ma era implicito che Thor avrebbe trascorso tutta la sua vita dietro le quinte, costretto a guardare i suoi fratelli che compivano grandi imprese. Il suo destino, se fosse stato per suo padre e i suoi fratelli, era di rimanere lì, inghiottito da quel villaggio, a dare alla propria famiglia il sostegno che richiedeva.

Ancora peggiore era il fatto che Thor percepiva che i suoi fratelli, paradossalmente, si sentivano minacciati da lui, forse addirittura lo odiavano. Thor poteva scorgerlo in ogni loro sguardo, in ogni gesto. Non capiva come, ma era in grado di suscitare in loro una sorta di paura o gelosia. Forse perché era diverso da loro, non gli assomigliava e non parlava con i loro vezzi; non si vestiva neanche come loro, dato che il padre riservava il meglio – indumenti viola e scarlatti, armi dorate - per i suoi fratelli, mentre a Thor venivano lasciati gli stracci più grezzi.

Ciononostante, Thor faceva del suo meglio con ciò che aveva, trovando un modo per rendere adatti i suoi abiti: legava la tunica con una fascia attorno alla vita e, ora che era giunta l’estate, aveva tagliato le maniche cosicché le sue braccia sode potessero essere carezzate dall’aria. A questo si abbinava un paio di pantaloni di lino sgualciti, l’unico paio che aveva, e stivali fabbricati con la pelle più scadente e stretti agli stinchi. Non avevano niente a che vedere con la pelle di quelli indossati dai suoi fratelli, ma lui li faceva andare bene. Indossava la tipica uniforme da pastore, ma ne mostrava a malapena l’atteggiamento. Thor era alto e slanciato, la mascella fiera, il mento nobile, zigomi alti e occhi grigi, come un guerriero fuori posto. I suoi capelli dritti e castani formavano delle onde sulla testa, terminando giusto dietro le orecchie, e i suoi occhi luccicavano come fanno certi pesci quando guizzano sotto la luce.

I fratelli di Thor avrebbero avuto il permesso di dormire quella mattina, avrebbero ricevuto un pasto sostanzioso e sarebbero stati mandati alla selezione con le armi più belle e la benedizione di loro padre, mentre a lui non sarebbe stato neanche consentito di partecipare. Aveva tentato di sollevare il discorso una volta con suo padre. Non era andata bene. Il padre aveva sommariamente messo fine alla conversazione, e lui non ci aveva più riprovato. Non era giusto.

Thor era determinato a rifiutare il destino che suo padre aveva definito per lui: non appena la carrozza reale fosse comparsa, sarebbe corso di nuovo a casa, avrebbe affrontato suo padre e, che gli piacesse o no, si sarebbe presentato agli Uomini del Re. Avrebbe partecipato alla selezione come tutti gli altri. Suo padre non poteva fermarlo. Avvertì un nodo nello stomaco al pensiero.

Il primo sole saliva, e quando anche il secondo sole iniziò a sorgere, nel suo bagliore verde menta, aggiungendo un strato di luce nuova al cielo viola, Thor li scorse.

Rimase lì in piedi, con la pelle d’oca, completamente elettrizzato. Laggiù, all’orizzonte, avanzava la sagoma sfuocata di una carrozza trainata da un cavallo, le ruote che sollevavano polvere al cielo. Il battito del suo cuore accelerò quando un’altra comparve, poi un’altra ancora. Anche da laggiù le carrozze dorate scintillavano alla luce dei soli, come pesci argentati che guizzano dall’acqua.

Fino a quel momento ne aveva contate dodici: non poteva aspettare oltre. Con il cuore che gli martellava nel petto, dimenticando il gregge per la prima volta nella sua vita, Thor si voltò e si buttò a capofitto giù dalla collina, determinato a non fermarsi per niente al mondo, non prima di essersi presentato.

*

Thor quasi non si fermò neppure per prendere fiato, mentre scendeva rapido dalla collina, attraverso gli alberi, incurante dei rami che lo graffiavano. Raggiunse una radura e vide il suo villaggio distendersi sotto di lui: un sonnacchioso paese di campagna, pieno di storia, con case di argilla bianca dai tetti di paglia. Non vivevano che qualche dozzina di famiglie lì. Il fumo saliva dai comignoli, rivelando che molti erano già in piedi per preparare la colazione. Era un luogo idilliaco situato ad una giornata di cammino dalla Corte del Re, la giusta distanza per scoraggiare i passanti. Semplicemente un altro villaggio di contadini al confine dell’Anello, un altro ingranaggio nella ruota del Regno Occidentale.

Thor si lanciò veloce a coprire l’ultimo tratto, fino alla piazza del villaggio, sollevando la polvere nella foga della sua corsa. Polli e cani fuggivano dalla sua traiettoria e una vecchia donna, rannicchiata davanti ad un pentolone di acqua bollente fuori dalla propria casa, gli sibilò contro.

“Rallenta, ragazzo!” gridò stridula quando lui le passò accanto, gettando della terra sul fuoco.

Ma Thor non si sarebbe fermato, né per lei né per nessun altro. Svoltò in una via secondaria, poi in un’altra, girando e svoltando lungo strade che conosceva a memoria, fino a che raggiunse casa.

Era piccola, dal vago aspetto di abitazione come tutte le altre, con i suoi muri d’argilla e il tetto di paglia secca. Come la maggior parte, aveva un unico vano diviso, con il padre che dormiva da una parte e i suoi tre fratelli dall’altra; diversamente dalle altre, aveva un piccolo pollaio sul retro, ed era qui che Thor era relegato a dormire. All’inizio aveva dormito accampato con i suoi fratelli, ma nel tempo loro erano diventati più grandi, più meschini e più boriosi, e avevano lasciato intendere di non volergli lasciare spazio. Thor ne era stato inizialmente ferito, ma ora apprezzava quello spazio tutto suo, preferendo stare ala larga dalla loro presenza. Era una semplice conferma del suo essere un esule all’interno della famiglia, cosa che già sapeva.

Thor corse fino alla porta d’ingresso e si proiettò all’interno senza fermarsi.

“Padre!” urlò ansimando, ormai senza fiato. “L’Argento! Stanno arrivando!”

Suo padre ed i tre fratelli stavano seduti, chini sul tavolo apparecchiato per la colazione, già vestiti di tutto punto. Alle sue parole saltarono in piedi e sfrecciarono verso l’uscio, passandogli accanto e urtandogli le spalle nella foga di raggiungere la strada.

Thor li seguì all’esterno e tutti rimasero lì a scrutare l’orizzonte.

“Io non vedo nessuno,” rispose Drake, il più grande, con voce profonda. Con le ampie spalle, i capelli tagliati corti come i suoi fratelli, gli occhi castani e le labbra sottili e sprezzanti, guardò Thor con cipiglio, come al solito.

“Neanche io,” gli fece eco Dross, solo un anno più giovane di Drake e sempre pronto a stare dalla sua parte.

“Stanno arrivando!” replicò Thor. “Lo giuro!”

Suo padre si voltò verso di lui e lo afferrò severamente per le spalle.

“E come diavolo fai a saperlo?” chiese.

“Li ho visti.”

“Come? Da dove?”

Thor esitò. Suo padre l’aveva in pugno. Ovviamente sapeva che l’unico posto da dove Thor aveva potuto scorgerli era la cima di quel poggio. Ora Thor non era certo di quale fosse la risposta migliore da dare.

“Sono salito sul poggio.”

“Con il gregge? Sai che non devi portarlo così distante.”

“Ma oggi era diverso. Dovevo vedere.”

Suo padre lo guardò torvo in volto.

“Entra immediatamente e prendi le armi dei tuoi fratelli, e lucida i foderi, così che siano al meglio prima dell’arrivo degli uomini del re.”

Finito che ebbe con lui, il padre si voltò verso i suoi fratelli, che erano tutti in piedi in mezzo alla strada e guardavano in lontananza.

“Pensi che saremo scelti?” chiese Durs, il più giovane dei tre e tre anni abbondanti più grande di Thor.

“Sarebbero sciocchi a non farlo,” disse il padre. “Si trovano a corto di uomini quest’anno. La raccolta è stata magra, altrimenti non si sarebbero presi la briga di venire. Basta che stiate ben dritti in piedi, voi tre, tenete il mento alto e il petto in fuori. Non guardateli dritti negli occhi, ma neppure distogliete lo sguardo. Siate forti e sicuri di voi. Non mostrate titubanza. Se volete entrare nella Legione del Re, dovete comportarvi come se già ne faceste parte.”

“Sì padre,” risposero i tre ragazzi in coro, mettendosi in posizione.

L’uomo si voltò e lanciò uno sguardo truce a Thor.

“Cosa stai facendo ancora lì?” chiese. “Va’ dentro!”

Thor era combattuto. Non voleva disobbedire al padre, ma doveva parlargli. Il cuore gli martellava nel petto mentre tentava di capire cosa fare. Decise che era meglio obbedire e prendere le spade, per poi affrontare il padre. Disobbedire direttamente non gli sarebbe stato d’aiuto.

Thor corse in casa e uscì dal retro, raggiungendo il ricovero delle armi. Trovò le tre spade dei fratelli, bellissimi oggetti tutte e tre, dotate delle più belle else d’argento, doni preziosi per i quali suo padre aveva faticato per anni. Le afferrò, meravigliandosi come sempre del loro peso, e corse di nuovo attraverso la casa portandole con sé.

Balzò di fronte ai suoi fratelli e porse a ciascuno la sua spada, poi si voltò verso il padre.

“Cosa, non sono lucidate?” disse Drake.

Il padre si girò a guardarlo con disapprovazione, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Thor parlò.

“Padre, per favore. Ho bisogno di parlarti!”

“Ti ho detto di lucidare le armi.”

“Padre, ti prego!”

Il padre gli restituì un’occhiata furente, combattuto sul da farsi. Sicuramente vedeva la determinazione sul volto di Thor, perché alla fine disse: “Ebbene?”

“Voglio essere valutato. Con gli altri. Per la Legione.”

La risata dei suoi fratelli risuonò alle sue spalle, facendolo arrossire in volto.

Ma il padre non rise; al contrario il suo cipiglio si rilassò.

“Davvero?” chiese.

Thor annuì con decisione.

“Ho quattordici anni. Sono idoneo.”

“Quattordici anni è il limite”, disse Drake con tono denigratorio, guardandolo dall’alto verso il basso. “Se ti prendessero saresti il più giovane. Credi davvero che sceglierebbero te sopra qualcuno come me, di cinque anni più vecchio?”

“Sei un insolente,” disse Durs. “Lo sei sempre stato.”

Thor si voltò verso di loro. “Non lo sto chiedendo a voi,” disse.

Si rigirò verso il padre, che nuovamente aggrottò la fronte.

“Padre, per favore,” disse. “Dammi una possibilità. È tutto ciò che chiedo. So che sono giovane, ma mi farò valere, con il tempo.”

Il padre scosse la testa.

“Tu non sei un soldato, ragazzo. Non sei come i tuoi fratelli. Tu sei un pastore. La tua vita è qui. Con me. Compirai il tuo dovere, e lo compirai per bene. Non bisogna sognare troppo. Abbraccia la tua vita e impara ad amarla.”

Thor si sentì spezzare il cuore mentre vedeva la sua vita crollargli davanti agli occhi.

No, pensò. Non può essere vero.

“Ma padre…”

“Silenzio!” urlò, un grido così stridulo da fendere l’aria. “Con te ho finito. Eccoli che arrivano. Fatti da parte. E farai bene a comportarti come si deve, mentre sono qui.”

Il padre fece un passo in avanti e con una mano spinse Thor da parte, come un oggetto che fosse meglio non vedere. Il suo palmo nerboruto colpì il petto di Thor.

Si sollevò un forte rimbombo e la gente del villaggio si riversò dalle case, allineandosi lungo la strada.

Una nuvola di polvere avanzava, annunciando l’arrivo della carovana, e un attimo dopo infatti erano lì: una dozzina di carrozze ad un cavallo che avanzavano con il rumore di un potente tuono.

Giunsero al villaggio come un esercito, fermandosi accanto alla casa di Thor. I loro cavalli stavano fermi sul posto, scalpicciando e sbuffando. Ci volle un bel po’ di tempo perché la nuvola di polvere calasse a terra, e Thor cercò ansiosamente di sbirciare di soppiatto le loro armature, i loro armamenti. Non aveva mai visto l’Argento così da vicino prima d’ora, e il cuore gli batteva forte.

Il soldato sul primo cavallo smontò dal suo stallone. Eccolo lì, un vero, effettivo membro dell’Argento, ricoperto di cotta di maglia luccicante, una lunga spada alla cintura. Sembrava sulla trentina, un vero uomo, la barba corta, cicatrici sulla guancia e il naso ingobbito dalla battaglia. Era l’uomo più considerevole che Thor avesse mai visto: largo il doppio degli altri, con un espressione in volto che ne lasciava intendere la forza.

Il soldato saltò giù in mezzo alla strada sporca e i suoi speroni tintinnavano mentre si avvicinava alla fila di ragazzi.

Da un capo all’altro del villaggio stavano decine di ragazzi, sull’attenti e pieni di speranza. Far parte dell’Argento significava una vita di onori, battaglie, fama, gloria, ma anche di terre, titoli e ricchezze. Significava la migliore sposa, la terra di prima scelta, una vita di gloria. Significava onore per la tua famiglia, ed entrare nella Legione era il primo passo.

Thor aveva studiato le grandi carrozze dorate, e sapeva che potevano portare solo un certo numero di reclute. Era un grande regno, e loro avevano tanti paesi da visitare. Sussultò, rendendosi conto che le sue possibilità erano ancora più remote di quanto si fosse immaginato. Avrebbe dovuto battere tutti questi altri ragazzi – molti di loro combattenti notevoli – oltre ai suoi tre fratelli. Iniziò a scoraggiarsi.

Thor riusciva a malapena a respirare mentre il soldato camminava in silenzio, osservando le schiere di speranzosi. Iniziò dall’estremità opposta della strada, poi proseguì lentamente in senso circolare. Thor conosceva tutti gli altri ragazzi, ovviamente. Sapeva anche che alcuni di loro segretamente non ambiva ad essere scelti, sebbene le loro famiglie volessero mandarceli. Avevano paura, sarebbero stati dei soldati di scarso valore.

L’orgoglio di Thor gli bruciava dentro. Sentiva di meritare di essere scelto, tanto quanto ciascuno di loro. Solo perché i suoi fratelli erano più vecchi, più grandi e più forti non significava che lui non dovesse avere il diritto di stare lì ed essere scelto. Si sentiva bruciare di odio nei confronti di suo padre, e quasi avvampò quando il soldato gli si avvicinò.

Il soldato si fermò, per la prima volta, di fronte ai suoi fratelli. Li guardò dall’alto in basso, e sembrò colpito. Allungò una mano, afferrò uno dei loro foderi e lo strattonò, come per metterne alla prova la resistenza.

Sorrise.

“Non hai ancora usato la tua spada in battaglia, vero?” chiese a Drake.

Thor vide Drake nervoso per la prima volta nella sua vita. Deglutì.

“No, mio signore. Ma l’ho usata molte volte nelle esercitazioni, e spero di…”

“Nelle esercitazioni!”

Il soldato rise fragorosamente e si voltò verso gli altri soldati, che gli fecero eco, sghignazzando in faccia a Drake.

Drake arrossì. Era la prima volta che Thor vedeva Drake imbarazzato: di solito era Drake a mettere gli altri in imbarazzo.

“Bene, allora dovrò sicuramente dire ai nostri nemici di avere paura di te, te che brandisci la tua spada nelle esercitazioni!”

Il gruppo di soldati rise di nuovo.

Il soldato si voltò poi verso gli altri fratelli.

“Tre ragazzi dello stesso stampo,” disse, grattandosi la barbetta sul mento. “Può tornare utile. Siete tutti di buona stazza. Però non ancora collaudati. Avrete bisogno di molto allenamento, se volete essere all’altezza.”

Fece una pausa.

“Credo che si possa trovare del posto.”

Fece un cenno verso l’ultima carrozza.

“Entrate, e fatelo in fretta. Prima che cambi idea.”

I tre fratelli di Thor scattarono verso la carrozza, raggianti. Thor notò che anche suo padre era radioso.

Lui invece era desolato, mentre li guardava andare.

Il soldato si voltò e proseguì verso la casa successiva. Thor non riuscì più a trattenersi.

“Signore!” gridò.

Suo padre si voltò e gli lanciò un’occhiataccia, ma a Thor non interessava più.

Il soldato si fermò, la schiena rivolta verso di lui, e lentamente si voltò.

Thor fece due passi in avanti, il cuore che gli batteva all’impazzata, e spinse il petto in fuori più che poteva.

“Non mi avete considerato, signore,” disse.

Il soldato, sorpreso, guardò Thor dall’alto in basso, come se si trattasse di uno scherzo.

“No?” chiese, e scoppiò a ridere.

Anche i suoi uomini risero. Ma Thor non se ne curò. Questo era il suo momento. Ora o mai più.

“Voglio entrare a far parte della Legione!” disse Thor.

Il soldato si avvicinò a Thor.

“Tu? Ora?”

Aveva un aspetto divertito.

“Hai compiuto il quattordicesimo anno?”

“Certo signore. Due settimane fa.”

“Due settimane fa!”

Il soldato sghignazzò, e cos fecero gli uomini dietro di loro.

“In questo caso i nostri nemici sicuramente tremeranno al solo vederti.”

Thor si sentiva bruciare per l’affronto. Doveva fare qualcosa. Non poteva permettere che finisse così. Il soldato gli voltò le spalle per andarsene, ma Thor non poteva accettarlo.

Fece un passo avanti e urlò: “Signore! Sta facendo un errore!”

Un sussulto di orrore si diffuse tra la folla, mentre il soldato si fermava e si girava lentamente. Ora si stava facendo più serio e accigliato.

“Stupido ragazzo,” disse suo padre, prendendo Thor per le spalle, “Torna dentro!”

“No!” gridò Thor, divincolandosi dalla presa di suo padre.

Il soldato avanzò verso Thor, e suo padre si ritrasse.

“Sai qual la punizione per l’insulto all’Argento?” disse il soldato seccamente.

Il cuore di Thor gli martellava nel petto, ma sapeva che non poteva più tornare indietro.

“La prego di perdonarlo, signore,” disse suo padre. “È un ragazzino e…”

Il soldato si voltò nuovamente verso Thor.

“Rispondimi!” disse.

Thor deglutì, incapace di parlare. Non era così che le cose dovevano andare nella sua testa.

“Insultare l’Argento significa insultare il Re in persona,” disse Thor umilmente, recitando ciò che aveva imparato a memoria.

“Sì,” disse il soldato. “Il che significa che posso darti quaranta frustrate, se voglio.”

“Non è mia intenzione insultare, signore,” disse Thor. “Voglio solo essere preso. Per favore. È tutta la vita che lo sogno. Per favore. Lasciatemi entrare nella Legione.”

Il soldato rimase immobile, e lentamente la sua espressione si ammorbidì. Dopo un po’ scosse la testa.

“Sei giovane, ragazzo. Hai un cuore valoroso. Ma non sei pronto. Torna da noi quando sarai svezzato.”

Detto questo, si voltò e si allontanò rapidamente, guardando a malapena gli altri ragazzi. Risalì velocemente a cavallo.

Thor rimase lì, mortificato, a guardare mentre la carovana si rimetteva in moto. Tanto veloci come erano arrivati, se n’erano già andati.

L’ultima cosa che Thor vide furono i suoi fratelli, seduti sul retro dell’ultima carrozza, che lo guardavano con disapprovazione e scherno. Li stavano portando via davanti ai suoi occhi, via da lì, verso una vita migliore.

Thor si sentiva morire dentro.

Mentre l’eccitazione svaniva attorno a lui, gli abitanti del villaggio rientrarono di soppiatto nelle loro case.

“Ti rendi conto di quanto stupido sei stato, sciocco ragazzino?” disse seccamente il padre di Thor afferrandolo per le spalle. “Ti rendi conto che avresti potuto mettere a repentaglio le possibilità dei tuoi fratelli?”

Thor si liberò scontrosamente dalle mani di suo padre, che gli rispose con un ceffone sul viso.

Thor sentì il bruciore del colpo e fissò suo padre con cipiglio. Una parte di lui, per la prima volta, avrebbe voluto rispondere con un altro colpo. Ma si trattenne.

“Va’ a prendere le me mie pecore e riportale a casa. Ora! E quando torni, non aspettarti che ti prepari la cena. Farai a meno di mangiare stasera, e penserai a quello che hai fatto.”

“Può darsi che io non torni per niente!” gridò Thor, voltandosi e andandosene furente, allontanandosi dalla sua casa, in direzione delle colline.

“Thor!” gridò suo padre, mentre alcune persone si fermavano a guardarli.

Thor allungò il passo e si mise infine a correre, spinto dal desiderio di andarsene il più lontano possibile da quel posto. Si rese conto a malapena che stava piangendo, con le lacrime che gli solcavano il volto, mentre ogni sogno che avesse mai coltivato veniva infranto.

Un’Impresa da Eroi

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