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CAPITOLO TERZO

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La Principessa Lenore non riusciva a credere a quanto fosse bello il castello mentre i domestici lo trasformavano in vista del suo matrimonio. Era passato da pietra grigia a rivestimenti in seta blu e tappezzerie eleganti, con promesse incastonate in catenelle e ninnoli penzolanti. Attorno a lei, una dozzina di domestiche si stava occupando di abiti e decorazioni, ronzandole intorno come uno sciame di api operaie.

Stavano facendo tutto per lei ed era davvero grata per questo, nonostante sapesse che, in quanto principessa, avrebbe dovuto aspettarselo. Lenore aveva sempre trovato straordinario che altre persone fossero pronte a fare così tanto per lei, semplicemente per chi era. Era un’amante del bello più di chiunque altro, ed eccoli lì, tutti a fare del loro meglio con la seta e il pizzo per rendere il castello fantastico…

“Sei perfetta,” disse sua madre. La Regina Aethe impartiva ordini al centro di tutto ed era splendente mentre lo faceva, con indosso un abito in velluto nero e gioielli preziosi.

“Lo credete davvero madre?” chiese Lenore.

Sua madre la guidò davanti al grande specchio che le sue domestiche avevano sistemato lì. In quel riflesso, poteva vedere quanto fossero simili, dai capelli quasi corvini alla corporatura alta e sottile. A eccezione di Greave, tutti gli altri fratelli somigliavano al padre, ma Lenore era senz’altro tutta sua madre.

Grazie agli sforzi delle domestiche, brillava fra seta e diamanti, aveva i capelli intrecciati con nastri blu e il suo vestito era ricamato d’argento. Sua madre fece qualche minima modifica e poi le dette un bacio sulla guancia.

“Sei perfetta, proprio come dovrebbe essere una principessa.”

Detto da sua madre, era in pratica il miglior complimento che potesse ricevere. Le aveva sempre detto che, in quanto sorella maggiore, il suo compito era essere la principessa di cui il reame aveva bisogno e avere un aspetto e un atteggiamento coerente con quel ruolo, in ogni momento. Lenore faceva del suo meglio, sperando che fosse abbastanza. Non sembrava bastare mai, ma cercava comunque di essere sempre all’altezza delle aspettative.

Ovvio, questo aveva anche permesso alle sue sorelle più piccole di diventare… qualcos’altro. Lenore sperava che anche Nerra ed Erin fossero lì con lei. Oh, Erin si sarebbe lamentata di doversi intrappolare in un vestito; mentre Nerra avrebbe forse dovuto abbandonare l’evento a metà per i suoi problemi di salute, ma Lenore non poteva pensare a qualcun altro che desiderava fosse lì così tanto.

Beh, una persona c’era.

“Fra quanto arriverà?” chiese a sua madre.

“Dicono che il seguito del Duca Viris sia arrivato in città questa mattina,” rispose la regina. “Suo figlio dovrebbe essere con loro.”

“Davvero?” All’improvviso, Lenore si precipitò alla finestra e fuori sul balcone, sporgendosi oltre a esso, come se ridurre quel pezzetto di distanza rispetto alla città le permettesse di vedere il suo promesso sposo mentre arrivava. Guardò fuori, oltre le isole collegate dal ponte che componevano Royalsport, ma da quell’altezza era impossibile distinguere gli individui; riusciva solo ad avvistare i cerchi d’acqua concentrici che separavano le isole e gli edifici che si ergevano al centro. Poteva vedere gli uomini che uscivano dalla caserma con la bassa marea, per dirigere il traffico fra i canali; le Case, delle Armi e dei Sospiri, del Sapere e dei Commercianti, ciascuna s’innalzava al cuore del proprio distretto. Le case della gente povera giacevano sulle isole ai confini della città, mentre quelle più grandi della popolazione benestante erano adagiate più vicino, alcune persino su piccole oasi private. Il castello svettava sopra a quel microcosmo, ovviamente, ma ciò non significava che Lenore potesse individuare l’uomo col quale si sarebbe sposata.

“Arriverà,” la rassicurò sua madre. “Tuo padre ha organizzato una battuta di caccia domani mattina, come parte dei festeggiamenti, e il duca non rischierebbe mai di perdersela.”

“Suo figlio verrà per la battuta di caccia di mio Padre e non per vedere me?” chiese Lenore. Per un attimo, si sentì nervosa come una bambina invece che una donna dalle diciotto estati. Era solo troppo facile immaginare che lui non la volesse, che non la amasse, in un matrimonio combinato come quello.

“Quando ti vedrà, si innamorerà di te,” promise sua madre. “Come potrebbe essere il contrario?”

“Non lo so, Madre… non mi conosce neanche,” disse Lenore, sentendo il nervosismo minacciarla di prendere il sopravvento.

“Presto vi conoscerete, e…” la regina si interruppe quando qualcuno bussò alla porta della stanza. “Avanti.”

Un’altra domestica entrò, questa era vestita in modo meno sgargiante delle altre; era a servizio del castello e non direttamente della principessa.

“Vostra maestà, vostra altezza,” esordì, con una riverenza. “Mi hanno mandata a dirvi che il figlio del Duca Viris, Finnal, è arrivato e vi sta aspettando nel grande atrio, se avete tempo di incontrarlo prima del banchetto.”

Ah, il banchetto. Suo padre aveva dichiarato una settimana di banchetti e oltre, con tanto di intrattenimenti, aperti a tutti.

“Se ho tempo?” disse Lenore, ma poi si ricordò come si facevano le cose a corte. Era una principessa, dopotutto. “Certo. Per favore, dì a Finnal che sarò giù fra un attimo.”

Si girò verso sua madre. “Mio Padre può permettersi di essere così generoso con il banchetto?” chiese. “Non ho… Non mi merito una settimana intera e oltre di banchetti, e ci farà dilapidare un sacco di soldi e scorte alimentari.”

“Tuo padre vuole essere generoso,” spiegò sua madre. “Dice che la caccia di domani porterà abbastanza prede da sfamare tutti.” Rise. “Mio marito si crede ancora un cacciatore leggendario.”

“Ed è un’ottima opportunità per organizzare le cose, mentre le persone sono prese dal banchetto,” ipotizzò Lenore.

“Anche,” confermò sua madre. “Beh, se ci sarà un banchetto, dobbiamo assicurarci che tu sia pronta per l’occasione, Lenore.”

Le ruotò rapida attorno per qualche altro secondo, e lei sperò di essere abbastanza bella.

“Allora, scendiamo a vedere il tuo futuro marito?”

Lenore annuì, incapace di placare l’eccitazione che le stava in pratica esplodendo in petto. Camminò con sua madre e la sua schiera di domestiche, giù per le scale del castello, diretta verso l’atrio che dava sulla grande sala da pranzo.

Il castello brulicava di persone, tutte indaffarate con i preparativi del matrimonio, molte stavano anch’esse procedendo verso la grande sala. Il castello era un luogo di angoli tortuosi e stanze che si aprivano l’una nell’altra; l’intera struttura a spirale, molto simile alla disposizione della città, era finalizzata a ostacolare gli invasori, che avrebbero dovuto affrontare livelli su livelli di difese. I suoi predecessori l’avevano però reso qualcosa di migliore di una roccaforte in pietra grigia, e ogni stanza era stata dipinta con colori così luminosi che sembravano inglobare il mondo esterno. Beh, forse non il mondo della città, gran parte del quale fin troppo triste e composto da pioggia, fango, fumo e vapori irrespirabili.

Lenore si fece strada giù attraverso una galleria da passeggio, che aveva dipinti dei suoi predecessori affissi lungo una parete, ognuno più d’impatto e raffinato del precedente. Da lì, scese su una scala a chiocciola che conduceva, mediante una serie di stanze dei ricevimenti, all’atrio che precedeva la grande sala. Si fermò insieme a sua madre fuori dalla porta, in attesa che le domestiche la aprissero per annunciarle.

“La principessa Lenore del Regno del Nord e sua madre, la regina Aethe.”

Entrarono, e lui era lì.

Era… perfetto. Non c’era altra parola per descriverlo quando si girò a guardare Lenore, dedicandole l’inchino più elegante che avesse visto da tempo. I corti capelli scuri formavano dei ricci meravigliosi, i suoi tratti erano fini, quasi impeccabili, e aveva una corporatura snella e atletica allo stesso tempo, racchiusa in un panciotto abbottonabile con spacco di colore rosso e delle brache grigie. Sembrava forse di un anno o due più grande di lei, ma era eccitante più che spaventoso.

“Vostra maestà,” esordì guardando la madre di Lenore. “Principessa Lenore. Sono Finnal di Casa Viris. Posso soltanto dirvi che non vedevo l’ora di arrivare a questo momento. Siete ancora più graziose di quanto avessi immaginato.”

Lenore avvampò, e non era solita farlo. Sua madre le aveva sempre detto che non stava bene. Quando Finnal le porse una mano, la prese con quanta più grazia possibile, sentendo la forza che racchiudeva e immaginando come sarebbe stato se le avesse usate entrambe per tirarla a sé e baciarla, o anche qualcosa di più…

“Dopo di voi, non credo di essere io quella graziosa,” disse lei.

“Se brillo, è solo grazie alla luce che emanate,” rispose. Così bello, riusciva anche a fare complimenti tanto poetici?

“Quasi non riesco a credere che, fra appena una settimana, saremo sposati,” affermò Lenore.

“Credo sia perché non siamo stati noi ad aver negoziato il matrimonio per mesi,” replicò Finnal, rivolgendole un sorriso splendente. “Ma sono felice che i nostri genitori l’abbiano fatto.” Si guardò intorno nella stanza, verso la madre di lei e le domestiche al suo seguito. “È quasi un peccato che non possa avervi tutta per me, Principessa, ma forse è anche un bene. Temo che potrei smarrirmi nei vostri occhi e poi vostro padre si arrabbierebbe con me per essermi perso gran parte del suo banchetto.”

“Riuscite sempre a fare complimenti così carini?” chiese Lenore.

“Solo quando sono meritati,” rispose.

Quasi si sentì travolgere dal pensiero di lui mentre gli era in piedi accanto, davanti alla porta che dall’atrio conduceva alla grande sala. Quando i domestici la aprirono, poté vedere il banchetto in pieno svolgimento; udì la musica dei menestrelli e vide gli acrobati dedicarsi all’intrattenimento più in là nella sala, dove sedeva la gente comune.

“Dovremmo entrare,” disse sua madre. “Tuo padre desidera senza dubbio mostrare la sua approvazione a questo matrimonio, e sono certa che voglia vedere quanto sei felice. Lo sei, Lenore?”

Guardò il suo promesso sposo negli occhi e poté solo annuire.

“Sì,” rispose.

“Ed io farò il possibile affinché restiate tale,” disse Finnal. Le prese la mano e se la portò alle labbra; e il calore di quel contatto la pervase. Si ritrovò a immaginare tutti gli altri posti che avrebbe potuto baciare e lui sorrise di nuovo, come consapevole dell’effetto che stava avendo su di lei. “Presto, mio amore.”

Suo amore? Lo amava davvero, dopo così poco che lo conosceva? Poteva amarlo quando c’era stato solo quel fugace momento di contatto? Lenore sapeva che era assurdo pensare che fosse possibile, era qualcosa che si leggeva nelle poesie, ma in quel momento ne era convinta. Oh, se lo era.

Sorridendo, avanzò in perfetta armonia con Finnal, consapevole che insieme dovevano sembrare qualcosa di leggendario a chi guardava, muovendosi come una cosa sola, uniti insieme. Presto lo sarebbero stati davvero, e quella prospettiva le bastava mentre si univano al banchetto.

Niente, pensò, avrebbe potuto rovinare quel momento.

Il regno dei draghi

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