Читать книгу Spezia - Robert A. Webster - Страница 4
-1- Paura e Delirio
ОглавлениеRotha sbirciò dalla porta del capanno. Sorrise, poi si portò alcune ciocche di capelli neri dietro le orecchie e scese i gradini di legno scricchiolanti per raggiungere i suoi figli. “Ravuth, tu e tuo fratello andate a prendere il tror bek per la zuppa” disse.
L’adolescente alzò lo sguardo da dove lui e il fratello minore erano seduti a giocare, quindi grugnì in segno di protesta.
“Adesso, Ravuth” aggiunse la madre, agitando un dito.
“Okay, vieni Oun” disse Ravuth alzandosi in piedi e prendendo il fratello per mano prima di dirigersi verso la giungla.
L’aria era umida, e Ravuth si passò il braccio sulla fronte coperta di sudore. Il ragazzo si voltò verso il villaggio e alzò lo sguardo sui Monti Cardamomi. “Vorrei essere un uccello per poter volare sopra le montagne, sarebbe bello lassù” commentò sorridendo a Oun “e scommetto che ci sia molto tror bek.”
Oun sembrava entusiasta e annuì, dato che gli piaceva molto quella verdura che ricordava un cocomero rotondo, dalla polpa bianca e croccante. A Ravuth venne un’idea.
***
Era il 1975 e la Cambogia era in subbuglio, all’insaputa del villaggio isolato. Il paese viveva la fine di una guerra ma l’inizio di un incubo, un periodo di genocidio che avrebbe sortito effetto su tutti i cambogiani.
***
Diverse perle di sudore rigavano il viso di Ravuth. Le piaghe sulle mani gli pungevano come il sale quando venivano bagnate dal sudore quando il ragazzo stringeva la maniglia usurata del macete. Sollevò nuovamente il braccio dolorante e infierì sul fogliame. La sete e la spossatezza minacciavano di avere la meglio su di lui, ma doveva proseguire per il fratellino.
“Ci siamo persi, vero Ravuth?” La paura nella voce di Oun lo fece tremare.
Ravuth portò lo sguardo sul piccolo volto ricoperto di terra. Era colpa sua se si erano persi; non avrebbe mai dovuto abbandonare il sentiero già battuto. Sua madre gli aveva detto diverse volte di non allontanarsi mai dal percorso, ma Ravuth credeva di saperla più lunga.
I ragazzi conoscevano la giungla attorno al villaggio dove la loro famiglia aveva vissuto per generazioni, cibandosi di diverse piante e animali. Raccogliere frutta e verdura nella giungla rappresentava un compito giornaliero che l’adolescente Ravuth e suo fratello minore Oun portavano avanti da anni. Il percorso era sempre lo stesso. Eppure quel giorno i ragazzi avevano deciso di esplorare una nuova area dove avrebbero forse trovato più verdure.
Ravuth e Oun avevano trascorso più di un’ora ad aggirarsi nel sottobosco denso e spietato. Ravuth raccolse tutte le energie rimaste e sorrise “Ce la caveremo” disse con finta spavalderia. “Possiamo riposarci qui e poi ripercorrere i nostri passi”.
“Guarda, Ravuth” disse Oun indicando una strana pianta incastonata in ridotte formazioni rocciose. “E guarda il buco accanto alle rocce. Potrebbe essere l’entrata di una caverna”.
I due s’avvicinarono alla pianta, quindi Ravuth si piegò per spiare nella grotta.
“Che cosa c’è dentro? Quant’è grande?” Domandò Oun.
“Non lo so, è buio quindi non vedo molto bene” rispose Ravuth con la testa e le spalle all’interno della cavità. “Però posso spingermi all’interno e controllare”.
“Assolutamente no” ribatté Oun preso dal panico “Andiamocene e basta, non sappiamo cosa ci sia lì dentro”.
Ravuth diede retta al fratello minore, quindi si alzò in piedi.
L’attenzione di Oun si spostò poi sulla pianta, la quale era sradicata. La sommità del vegetale era costituita da un baccello tondo a bulbo dorato con disco ondulato. Il suo lungo fusto sottile circondato da grandi foglie verdi assomigliava nella forma e nelle dimensioni alla lattuga cinese, con una piccola radice bianca a forma di carota. “Non ho mai visto questa pianta prima d’ora, che cos'è?” Chiese Oun porgendola a Ravuth.
“Non lo so, nemmeno io l’ho mai vista. La porto a casa, madre lo saprà. Forse ha un buon sapore” disse, annusandone la sommità.
In base a ciò che i genitori avevano insegnato loro sin da piccoli circa l’identificare piante velenose, Ravuth sapeva che il vegetale era commestibile. “È amara” disse Oun prenendone un morso e facendo una smorfia. “Forse sarà più buona cotta”.
Improvvisamente udirono diversi ramoscelli spezzarsi, e la flora circostante si agitò. Un giovane esemplare di maschio di tigre terrorizzò i ragazzi quando avanzò attraverso la sterpaglia solo per fermarsi a qualche metro da loro.
Le Tigri Indocinesi si aggiravano nelle giungle circostanti ai Monti Cardamomi. Si sono mantenute a distanza dagli umani il più a lungo possibile, considerandoli fastidiosi e dall’aspetto non appetitoso. Tuttavia, in quell’occasione, due piccoli esemplari di bestie disturbarono quella tigre nel proprio luogo preferito per prendere il sole.
Ravuth si ficcò subito in tasca la pianta singolare, e lui e Oun brandirono i maceti, puntandoli verso la giovane tigre.
La tigre ringhiò e si spostò avanti e indietro di fronte ai ragazzi.
“Indietreggia lentamente” ordinò Ravuth al fratellino, tutti i suoi muscoli erano pronti a reagire.
I due fratelli terrorizzati indietreggiarono in direzione del fitto sottobosco, tutto mentre la tigre si aggirava ringhiando e guardandoli con disprezzo.
Quando gli umani furono lontani dalla propria caverna, la tigre si diresse verso la stessa, sollevò la zampa e asserì il proprio dominio marcando il territorio. Rivolse poi un’ultima occhiata ai ragazzi prima di rientrare nella grotta.
Ravuth e Oun guardarono la tigre addentrarsi nella cavità prima di affrettarsi nella giungla.
Incespicarono sul terreno della giungla per venti minuti fino a quando raggiunsero una radura dalla vegetazione a loro familiare. Si fermarono per riprendere fiato, sorridendo. “Tror bek! Fantastico, adesso so dove siamo” disse Ravuth con fare sollevato.
“Bene, prendiamone un po’ e andiamo a casa” aggiunse Oun, ancora più felice.
***
I ragazzi raggiunsero il villaggio nel tardo pomeriggio, inzaccherati. Si aspettavano di ricevere un rimprovero dalla madre, invece trovarono tutti i paesani radunati all’interno della grande capanna di legno che fungeva da fulcro del loro villaggio. Confusi, Ravuth e Oun si spostarono con fare furtivo oltre il capanno e andarono a casa. Sapevano che il padre era partito per *Koh Kong di prima mattina per vendere le proprie cianfrusaglie, e si aspettavano che avrebbe fatto ritorno solamente il giorno seguente. Ciònondimeno videro la sua bicicletta fuori dalla baracca di legno antico. Salirono gli scalini, entrarono in casa e notarono una grande borsa di tela nera quadrata sul tavolo. Incerti sulla situazione, riposero la strana pianta e le altre verdure in una ciotola, diretti verso la capanna comune.
“Cosa sta succedendo?” Domandò Oun.
“Non lo so. Sono confuso anch’io. Perché padre è a casa così presto? E mi chiedo che cosa ci sia in quella borsa sul tavolo” chiese Ravuth.
I fratelli si diressero verso la capanna comune. Dall’ingresso videro la madre seduta a terra. Il padre, con espressione terrorizzata e con le lacrime che gli rigavano il viso sporco, si rivolgeva agli abitanti del villaggio, scioccati. Ravuth e Oun si sedettero a terra accando a Rotha.
“Cosa succede? Perché padre sembra così spaventato e perché è coperto di graffi? Perché sta parlando con tutti come se fosse il capo del villaggio invece di Ren?” Domandò Ravuth.
Il ragazzo guardò la madre, la quale sussurrò con fare impaurito “Ren è morto, e tuo padre sta raccontando ciò che è successo a Koh Kong, quindi fa silenzio e ascolta. Ha quasi finito, e ve lo spiegherà più tardi”. Nonostante Rotha fosse intimorita, cercò di sembrare calma per il bene dei propri ragazzi.
Ravuth si guardò attorno con fare perplesso, e vide i figli di Ren dall’altra parte della stanza, raccolti attorno alla loro madre in lacrime, nel tentativo di consolarsi l’un l’altro. Allo stesso modo si erano radunate altre famiglie i cui cari non erano ritornati. Ravuth e Oun si erano persi la maggior parte di ciò che il padre aveva detto ai compaesani, ma in base alle espressioni dei presenti si resero conto che doveva trattarsi di qualcosa di serio. Una volta terminato, il padre dei ragazzi raggiunse loro e Rotha.
“Padre, cos’è successo?” Domandò Ravuth.
“Abbiamo tutti molto lavoro da fare” disse suo padre, Tu, sconvolto. “Andiamo a casa così vi spiego”.
La famiglia uscì dalla capanna comune nello stesso momento in cui anche gli altri presenti fecero lo stesso.
***
I fratelli e il padre sedettero su un Kam-ral, un tappeto di paglia, e mentre Rotha medicò le ferite dell’uomo, Tu raccontò la storia terribile ai figli.
“Sono andato con Ren e gli altri al confine tra la Tailandia e la Cambogia per vendere la bigiotteria che abbiamo realizzato. Inizialmente sembrava tutto normale. Ci siamo fermati al valico di frontiera, dove solitamente lasciamo le nostre biciclette”.
Tu trasalì quando Rotha gli applicò del balsamo urticante su un graffio profondo, quindi proseguì con il racconto.
“Al valico non c’erano militari. Solo diversi giovani uomini e donne che indossavano il kheaw aeu chout e krorma (pigiama nero con sciarpe rosse e bianche abbinate). Erano immobili in prossimità del cantiere di una grande barriera al posto di blocco. Imbracciavano dei fucili e ordinavano ai lavoratori di costruire una palizzata. Dalla parte tailandese del confine i soldati armati sembravano agitati, quindi sono rimasto a sorvegliare le biciclette mentre Ren andava a controllare di che cosa si trattasse; allo stesso tempo gli altri si sono spostati alla fermata dell’autobus turistico. Ho visto Ren avvicinarsi a un ragazzo che quando l’ha visto gli ha puntato il fucile contro.
Ren sembrava spaventato, e il ragazzo gli ha detto di essere un soldato degli Khmer Rossi, che ora governano la Cambogia”.
Tu guardò i propri figli e disse loro
“Il ragazzo sembrava avere la tua età, Ravuth.”
Oun e Ravuth videro il padre tremare quando disse “Un altro giovane soldato ha urlato qualcosa quando si è avvicinato un autobus turistico, quindi gli Khmer Rossi si sono affrettati in direzione del mezzo, in attesa che si fermasse. Hanno spinto giù dal bus un gruppo di stranieri terrorizzati, colpendoli e facendo cadere a terra alcuni dei loro effetti personali. Gli stranieri sono riusciti a riaproppriarsi di alcuni di essi prima che gli Khmer Rossi li spingessero al di là del confine cambogiano, verso la terra di nessuno. Ho visto poi i soldati tailandesi puntare le armi al gruppo di stranieri, agli Khmer Rossi e al gruppo di nostri paesani che sono accorsi in loro aiuto, quindi sono rimasto dov’ero”.
Tu prese la borsa nera dal tavolo e disse “Ho visto che i turisti avevano abbandonato diversi oggetti, quindi mi sono avvicinato all’autobus vuoto e li ho raccolti. Ne ho già visti di questo tipo, li avevano altri turisti”.
Aprì la borsa da cui estrasse una fotocamera Polaroid, mostrandola ai figli incuriositi.
“Sono tornato alla mia bicicletta, ho sistemato la borsa sul manubrio e ho continuato a osservare ciò che stava succedendo al confine. Il gruppo si è avvicinato ai soldati tailandesi, poi si è fermato. Gli Khmer Rossi hanno spinto in avanti gli stranieri tremanti e hanno urlato qualcosa ai tailandesi, ma non sono riuscito a sentire di che cosa si trattasse. I turisti sono corsi verso i soldati, i quali, senza abbassare le armi, li hanno lasciati passare prima di chiudere i ranghi, correndo dietro agli Khmer Rossi. Tutti loro si sono poi voltati e hanno ripreso a marciare attraverso la terra di nessuno, diretti al territorio cambogiano, ridendo e scherzando”.
“Stai bene papà?” Domandò Ravuth quando il padre si fece silenzioso e si sfregò gli occhi.
Tu annuì e disse loro
“Ren e i paesani sembravano andare d’accordo con gli Khmer Rossi. Ridevano e scherzavano tra loro nel ritornare dalla parte cambogiana del confine. Mi sono sentito sollevato, e stavo per unirmi a loro, sperando che non mi avessero visto prendere la macchina fotografica.”
Tu poi disse con voce tremante “Il mio sollievo è mutato in terrore quando il giovane soldato Khmer si è spostato dietro Ren, gli ha puntato la canna del fucile alla nuca e ha premuto il grilleto”.
Ravuth e Oun trasalirono.
Tu scosse il capo “Ren non si è accorto di nulla; stava parlando con un altro Khmer Rosso quando gli è esplosa la faccia. Ho visto la pallottola uscirgli dalla testa e cadere a terra” disse Tu, asciugandosi le lacrime.
Rotha gli portò un bicchiere d’acqua, e mise le mani sulle spalle del marito.
Tu bevve l’acqua in un unico sorso, si ricompose e poi proseguì
“Mi sono nascosto dietro il capanno delle guardie di confine, e sentivo i soldati Khmer Rossi ridere e chiacchierare, mentre i nostri amici e vicini li supplicavano affinché non li uccidessero. Sapevo di dovermene andare, anche se significava lasciarli soli” sospirò “Non c’era niente che potessi fare”.
Rotha si allontanò dalla zona adibita a cucina, mentre Tu proseguì il proprio racconto. “Mi sono spostato in bicicletta di qualche metro dalla capanna di confine, mi sono strappato via la bigiotteria e ho pedalato il più velocemente possibile. Non ero molto lontano quando ho sentito qualcuno urlare di fermarmi. Ero terrorizzato, e ho ignorato il comando, continuando a pedalare. Ho sentito degli spari e una pallottola mi ha sfiorato l’orecchio”.
I ragazzi si guardarono, e poi spostarono l’attenzione sul padre sconvolto, il quale continuò a raccontare. “Ho pedalato freneticamente, virando via dalla strada e dirigendomi verso i campi e poi nella giungla, fino a quando il percorso si è fatto troppo accidentato per proseguire in bicicletta. Mi sono nascosto nel fitto sottobosco, dietro un ammasso di alberi. Ho aspettato per quella che mi è sembrata un’eternità, e quando non ho visto traccia degli Khmer Rossi sono tornato sui miei passi, ho recuperato la bicicletta e sono corso a casa”.
“Cosa sono gli Khmer Rossi?” Domandò Ravuth.
Tu scosse il capo. Il padre era all’oscuro di quanto stesse accadendo in Cambogia, sapeva solamente che avrebbero dovuto avere paura e arrangiarsi in qualche modo, quindi rispose “Non lo so, figliolo. Ma dobbiamo restare nascosti fino a quando non scopriremo che cos’è successo. Saremo al sicuro nel cuore della giungla, e stasera organizzeremo i nostri averi per trovare una nuova casa. Domattina abbatteremo la struttura e la ricostruiremo altrove” disse Tu. Ai ragazzi era chiaro che il padre fosse preoccupato, confuso e spaventato.
“Questa cos’è?” Interruppe Rotha, reggendo la pianta che Ravuth aveva posato sopra il tror bek.
“Non lo so, madre. L’abbiamo trovata per strada, e pensavamo che tu sapessi cosa fosse. Forse potremmo mangiarla, vero Oun?” Disse Ravuth, guardando il fratello in cerca di appoggio.
“Sì” disse Oun senza prestargli molta attenzione, guardando all’interno della borsa nera dove si trovava la macchina fotografica.
“Non ho mai visto niente di simile” disse Rotha, ispezionando la pianta singolare.
Rotha venne ignorata; i due giovani sembravano più interessati alle istruzioni e alla dimostrazione della macchina fotografica Polaroid che stava impartendo il padre.
Rotha raggiunse il contenitore di acqua piovana, riempiendovi una citola di acqua e posandola accanto a un’altra che ribolliva con all’interno delle verdure e un piccolo pollo. Studiò la pianta, e in base alla forma delle foglie e al loro colore dedusse che fosse commestibile. Quindi ne staccò una foglia, l’assaggiò, trasalì e inserì il resto nella ciotola bollente. Poi infilzò il bacello dorato da cui trasudò una linfa bianco latte che assaggiò. Rotha non capiva come mai avesse un sapore dolce mentre la foglia era amara, ma più tardi avrebbe sperimentato con il nuovo ingrediente. Rotha notò che il bacello rotondo luccicava in modo strano, e il suo colore dorato sembrava un mosaico smagliante di sfumature vivide; l’effetto che l’olio creava sull’acqua.
Venne disturbata da un improvviso flash, e quando alzò lo sgaurdo notò l’espressione malefica dei figli e ancora più dispettosa del marito, il quale reggeva la Polaroid dopo averle scattato una foto. I meccanismi della Polaroid ronzarono quando una pellicola venne espulsa dal davanti. Tu rimosse la fotografia dal dispositivo, eliminò il primo strato e posò la foto sul tavolo affinché si sviluppasse.
Rotha frignò quando il marito si concentrò nuovamente, premette il pulsante e scattò un’altra foto di lei, ripetendo il processo di sviluppo della stessa. Tu indicò poi affinché si radunassero tutti insieme, scattando una foto della moglie e dei figli. Si alternarono a scattare le foto fino a quando terminarono le sei pellicole disponibili.
Osservarono le fotografie svilupparsi sotto la solitaria lampadina, sorpresi quando le immagini apparvero sulle pellicole. La famiglia guardò le prime fotografie che avessero mai visto, e per un momento si dimenticarono della tragedia che aveva colpito il loro villaggio. Rotha rimosse una scatola di foglie di banano dalla mensola, posandola sul tavolo. In tutte le capanne erano presenti scatole come quella, coperte dalla resina ricavata dalla linfa della corteccia dell’olio di palma, finitura che dava alla scatola una lucentezza resistente. Le confezioni, della dimensioni di una scatola da scarpe, oltre a venir vendute ai turisti, venivano utilizzate degli abitanti del villaggio per conserave ninnoli e altri oggetti inusuali. La donna aprì la scatola e vi posò le fotografie all’interno.
“Potrete guardarle dopo mangiato. Ravuth, prepara i piatti così posso servire la zuppa” disse.
Rotha stava per chiudere la scatola quando vide la pianta sul tavolo. Ne recise parte del gambo e ripose il bacello marrone-dorato nella scatola, chiudendone poi il coperchio.
La famiglia si accomodò per cenare. Rotha servì la strana pianta nel brodo, e si trovarono tutti d’accordo sul fatto che avesse un pessimo sapore, era troppo amara. Fortunatametne il pollo e il tror bek bilanciarono il tutto, e dopo la zuppa, riposero i loro averi in previsione del trasloco del giorno successivo. Il rumoroso generatore a due tempi del villaggio si spense alle 8 di sera, quando andarono a letto.
***
Delle urla e dei colpi di arma da fuoco svegliarono improvvisamente la famiglia all’alba.
Scoppiò il panico. Tu, Rotha e i figli uscirono sulla veranda da dove videro un gruppo di giovani soldati Khmer Rossi marciare nel villaggio, sparando in aria con degli AK-47 e strepitando. Stavano calpestando i materiali di cui erano fatte le abitazioni, i cui residenti si erano riversati sui portici o ai piedi delle scalinate.
Una ragazza, circa dell’età di Ravuth raggiunse gli scalini della loro abitazione e urlò loro di affrettarsi alla capanna comune. Puntò il fucile a Tu e urlò “Adesso!”
La famiglia obbedì agli ordini, dirigendosi verso la capanna comune insieme agli altri paesani terrorizzati, ordinando loro d’inginocchiarsi. Avanzò un soldato degli Khmer Rossi, che sembrava avere sui 18 anni. Gli abitanti del villaggio trasalirono. Il soldato trascinava Dara con una corda, un’abitante di mezz’età che era andata a Koh Kong il giorno prima insieme a Tu e gli altri per vendere la bigiotteria.
“Dara è viva, Rotha” sussurrò Tu. “Pensavo li avessero uccisi tutti”.
Dara aveva una pessima cera, aveva le guance e gli occhi gonfi e del sangue secco sulle labbra e sul naso. Gli abitanti guardarono il soldato tirarla come un cane. Gli altri Khmer Rossi si spostavano avanti e indietro insieme al comandante che stava parlando.
Quest’ultimo spiegò di Pol Pot, il Fratello Numero Uno, il loro leader, e di come gli Khmer Rossi controllassero la Cambogia. Disse “Ogni cittadino *Khmer adesso appartiene ad Angka, (l’Organizzazione). Siete di nostra proprietà, e se volete vivere dovete dimostrare il vostro valore”.
Descrisse loro il ruolo che i bambini avrebbero ricoperto dopo essere stati addestrati da Angka affinché diventassero soldati per l’organizzazione. Non avrebbero più avuto bisogno dei genitori, dato che gli adulti sarebbero diventati umili servi, quindi sarebbero stati inferiori a loro. Angka sarebbe stata la loro famiglia. Il comandante proseguì per più di un’ora con il suo discorso ben preparato.
Gli abitanti ascoltarono con fare terrorizzato, disorientati dalla gioventù indottrinata. Dara ondeggiò quando si mise in piedi a malapena. Di tanto in tanto il ragazzo le tirava la vestaglia per ottenere la sua attenzione.
Una volta terminato il discorso del comandante, quest’ultimo concentrò la propria attenzione su Dara e disse, rivolgendosi agli abitanti.
“Questa donna ci ha condotti da voi. È debole, e non accettiamo i deboli”. Strinse poi il cappio attorno al collo di Dara, trascinandola a sé. Afferrò quindi il nodo, sollevandole il mento e tagliandole la gola con un piccolo coltello affilato. Dara era troppo debole per opporre resistenza, e lo sputo, il sangue e l’aria le gorgogliarono nella gola quando la donna si abbandonò a peso morto. Il comandante gettò il cadavere a terra, si piegò e pulì la lama sui vestiti di lei. Tuonò degli ordini agli altri soldati, indicò il corpo di Dara e lanciò un avvertimento severo agli abitanti.
“Obbedite ad Angka o morirete!”
Gli abitanti del villaggio guardarono terrorizzati gli altri soldati urlare verso di loro di prendere i propri averi e di fare ritorno.
Gli abitanti sconvolti lasciarono quindi la capanna comune, diretti verso le proprie abitazioni per fare i bagagli, il tutto mentre i soldati Khmer Rossi ronzarono attorno alle famiglie terrorizzate, sollecitandole.
Rotha, Tu, Ravuth e Oun andarono alla loro capanna. Tu parlò con Rotha, la quale, nonostante fosse scossa dagli eventi, era d’accordo con lui. Tu, con voce tremante, disse ai figli
“Dovete scappare e nascondervi nella giungla. Quando ce ne saremo andati, tornate indietro e restate qui al villaggio. Vi raggiungeremo quando avremo capito che cosa sta succedendo, e quando la situazione sarà sicura”.
I ragazzi, per quanto spaventati, accettarono, sperando che si sarebbe trattato di poco tempo.
Rotha guardò fuori e vide gli Khmer Rossi allontanarsi dalla loro capanna per controllare un’altra famiglia, e non ne vedeva altri nelle vicinanze.
“Svelto, Ravuth! Vai tu per primo” sussurrò lei.
Ravuth scese cautamente gli scalini e percorse di corsa la breve distanza che separava la loro casa dalla giungla. Si nascose quindi dietro un gruppo di alberi, e si guardò indietro in attesa del fratello.
Vide Oun ai piedi degli scalini, ma verso di lui si stava dirigendo un soldato, che si fermò accanto al fratello. Il ragazzo agitò il fucile verso Rotha e Tu, ordinando loro di scendere immediatamente. Il cuore di Ravuth batteva all’impazzata quando si nascose dietro il largo tronco dell’albero.
Le grida degli Khmer Rossi svanirono, quindi Ravuth sbirciò da dietro l’arbusto. Vide la madre, il padre e il fratello venir condotti verso la capanna comune. Si rese conto di non essere stato visto, quindi costeggiò il villaggio, nascondendosi grazie agli alberi e alla vegetazione della giungla per osservare ciò che stava accadendo all’interno dello stesso.
I compaesani restarono nella capanna comune per un’altra ora prima di uscire e aggirarla.
I soldati selezionarono quattro anziani dal gruppo di persone. Ravuth sperò che li avrebbero fatti restare al villaggio. Pensava che si sarebbero potuti prendere cura di lui fino a quando i suoi genitori e Oun avrebbero fatto ritorno.
Sul viso del comandante si fece strada un ghigno quando i suoi soldati spinsero i quattro anziani a terra e spararono loro alla testa.
Gli abitanti urlarono dalla paura mentre gli Khmer Rossi puntarono i fucili sulla folla caduta nel panico e urlarono “Fate silenzio o morirete!”
Il comandante si rivolse alla folla “State zitti!” Esclamò, e attese fino a quando ebbe la loro completa attenzione. “Queste persone erano così vecchie da non poter produrre nulla per l’Angka. Le loro vite non portano alcun beneficio all’Angka e le loro morti non sono una perdita”.
I paesani, tremanti e spaventati, sembravano degli avviliti rifugiati. Incespicarono lungo il tragitto che portava a Koh Kong per unirsi all’esodo della popolazione rastrellata e destinata ai campi di lavoro.
Gli Khmer Rossi lasciarono che gli abitanti portassero con sé i loro miseri averi, che avrebbero sottratto loro alla fine del viaggio.
Restarono solamente due soldati. Ravuth li guardò trascinare il cadavere di Dara dalla capanna comune, gettandola insieme agli altri. Presero poi una tanica di benzina dal capanno in prossimità del generatore, e ne versarono un po’ sulle abitazioni e sui cadaveri. Ridacchiarono nell’appiccare il fuoco, incendiando le capanne e incenerendo i corpi. Quegli assassini senza pietà erano adolescenti, che non mostravano alcun tipo di rimorso per le loro azioni. Un soldato si divertì a colpire con un bastone le teste dei cadaveri ardenti, e alzò lo sguardo sulla vegetazione della giungla quando captò un movimento. Urlò qualcosa a un suo commilitone, il quale imbracciò il fucile e corse verso il nascondiglio di Ravuth, fermandosi però sui propri passi.
“Te lo sei immaginato. Qui non c’è nessuno” disse il giovane.
“Sono sicuro di aver visto qualcuno” disse l’altro con fare indignato.
“Vuoi addentrarti nella giungla per cercare meglio?”
“No. Non so cosa ci sia lì dentro, forse è un animale selvatico. Andiamo, raggiungiamo gli altri”.
“Okay. Perché hai paura, andiamo” lo prese in giro l’altro ragazzo. Si voltarono e tornarono di corsa al villaggio per seguire il resto della truppa.
Ravuth tremava. Indietreggiò ulteriormente nel fitto sottobosco. I militari degli Khmer Rossi erano arrivati solo a qualche centimetro dal suo viso.
Ravuth ritornò al villaggio al tramonto, avendo troppa paura di muoversi nel caldo opprimente del giorno. Era stordito, confuso e assetato. Avanzò nel villaggio deserto, oltrepassando i cadaveri fumanti, e raggiunse la propria casa. Nonostante gli Khmer Rossi avessero incendiato diverse capanne e quella comune, l’abitazione della propria famiglia era rimasta relativamente incolume. Quando entrò apprese che non era rimasto molto, in parte perché l’abitazione era stata saccheggiata, e in parte perché era stato portato via dai suoi genitori. Ravuth si accovacciò e si mise a piangere. Restò nella propria casa per tutta la notte, domandandosi che cosa fosse successo e che cosa potesse fare. Quando giunse il giorno, la luce filtrò nella stanza, e il ragazzo vide la scatola fatta di foglie di banano fare capolino da un buco nelle assi del pavimento in un angolo della stanza. Si rese conto che i propri genitori avevano tentato di nasconderla dai soldati. Ravuth prese in mano la scatola e l’aprì. All’interno si trovava la strana pianta, insieme a qualche piccolo articolo di bigiotteria sotto alle fotografie della sua famiglia. Estrasse quindi le foto, e con le lacrime agli occhi le accarezzò una a una, chiedendosi che cosa fosse successo ai propri cari.
Ravuth si sentiva solo, impaurito e confuso. Ripose le foto nella scatola, uscì dalla capanna e si aggirò nel villaggio in cerca di cibo, acqua o oggetti utili rimasti. Oltrepassò i macabri resti, andando di capanno in capanno e raccogliendo quanto di valido. Trovò un machete, mangiò, e bevve un po’ di acqua. Avvolse i resti di cibo in una foglia di banano e incanalò un po’ di acqua in alcune zucche da un contenitore raccogli-pioggia. La sua conoscenza delle piante commestibili e delle fonti di fluidi gli avrebbe permesso di sopravvivere nella giungla. Ravuth prese la scatola, il machete e altri oggetti che aveva trovato nel villaggio, quindi lo attraversò, diretto verso la strada che portava a Koh Kong.
***
Ravuth avanzò nella giungla per due ore. Aveva percorso quella strada diverse volte con il fratello e il padre, ma nel momento in cui Tu raggiungeva la strada e procedeva in bicicletta insieme ad altri paesani, i fratelli facevano ritorno al villaggio. Uscì dalla giungla, inoltrandosi sulla strada a lui non familiare, camminando sul ciglio, nel caso avesse incrociato delle ronde di Khmer Rossi. La sua lunga camminata verso la periferia della cittadina fu senza sorprese, non vide né traffico né persone. Lungo il tragitto notò diverse case di legno distrutte e depredate.
Una volta raggiunta la periferia di Koh Kong, Ravuth proseguì verso il centro città, il quale era inquietante, data l’assenza di persone. Avanzò per qualche chilometro fino a quando arrivò alla baracca della polizia di frontiera. Si nascose dietro al capanno quando vide un soldato degli Khmer Rossi appoggiato alla recinzione costruita da poco, che delimitava il confine con la Tailandia.
I tratti apatici del bambino soldato installarono rinnovata paura in Ravuth. Si allontanò furtivamente dal posto di blocco e ritornò al centro città deserto. Ravuth entrò in un piccolo café abbandonato, e rifornì le proprie riserve di cibo e acqua con i pochi avanzi rimasti. Si accomodò per ponderare sulla propria situazione.
Giunse la notte, e Ravuth non aveva ancora deciso il da farsi. Udì un veicolo avvicinarsi. Terrorizzato, si nascose sotto un tavolo mentre un vecchio pick-up si fermò davanti al café in cui entrarono sei Khmer Rossi.
Ravuth tremava dalla paura, e restò immobile mentre i giovani soldati attivarono un piccolo generatore per illuminare il locale prima di accomodarsi. Ravuth si era nascosto sotto a un tavolo nell’angolo buio del café.
Un soldato aveva portato con sé diverse bottiglie di whisky Mekong, che consumò insieme agli altri.
Ravuth ascoltò i giovani Khmer Rossi vantarsi delle loro atrocità del giorno, di chi avevano giustiziato, descrivendone dettagliatamente il modo. Parlarono del loro bottino di guerra e di che oggetti avessero sgraffignato. Uno di loro disse qualcosa che stimolò l’interesse di Ravuth.
“Il mio gruppo è andato direttamente a *Choeung Ek, e abbiamo selezionato chi tra loro potrebbe diventare un giovane cittadino Khmer Rosso o un bravo combattente” disse.
“Oggi abbiamo radunato quattro gruppi, sono andati alla provincia di Koh Kong per ingrossare le nostre fila” disse un altro.
“La maggior parte dei nostri erano anziani indesiderabili, quindi ce ne siamo sbarazzati” disse un terzo, aggiungendo “Ma ci siamo divertiti a rieducarli”. Mostrò agli altri il machete sporco di sangue con un ghigno in volto.
I dettagli raccapriccianti che si scambiarono i ragazzi proseguì per poco; Ravuth li udì poi biascicare e ridacchiare quando il forte whisky sortì il proprio effetto sui giovani.
Trenta minuti più tardi i soldati barcollarono fuori dal café e salirono sul mezzo che partì con una sgommata.
Ravuth uscì da sotto al tavolo. Le luci erano accese, quindi si guardò attorno nel café ora silenzioso. Si mise in cerca di informazioni circa Koh Kong e Choeung Ek. Non sapeva nulla di nessuno dei due luoghi, e poiché non sapeva né leggere né scrivere, ripose nella scatola i volantini che trovò nel locale.
Ravuth trascorse la nottata al café, e all’alba del giorno successivo se ne andò da Koh Kong, diretto verso la giungla, dove avrebbe atteso la propria famiglia. Non si rese conto di essere seguito fino a quando approcciò una strada all’esterno di Koh Kong e una voce dietro di lui gridò “Tu…Fermo lì!”
Ravuth si voltò, e una giovane ragazza soldato gli puntò contro una pistola automatica che cercò di bilanciare sul manubrio della bicicletta. “Vieni qui!” Sbottò lei.
Ravuth avanzò verso la ragazza dal viso sudicio, che lo guardò. Nonostante sembrasse più giovane di Ravuth, a quest’ultimo vennero i brividi lungo la schiena quando la guardò negli occhi.
“Perché non sei con gli altri? Dov’è il tuo villaggio?” Scattò lei.
Ravuth tremò quando giunse le mani e implorò “Mi dispiace molto, mi hanno lasciato indietro quando mi sono fermato per riposare”.
La ragazzina rivolse un’occhiataccia a Ravuth. “Seguimi” ordinò, scendendo dalla bicicletta per invertirne il senso di marcia.
Ravuth era terrorizzato quando vide altri quattro Khmer Rossi avvicinarsi in bicicletta. Andò nel panico, afferrò il machete che aveva sistemato alla cintura e lo scagliò con tutta la propria forza al braccio della ragazza. La ragazza non riuscì a reagire per proteggersi dato che stava faticando a reggere il manubrio della bicicletta. Strillò dal dolore quando la lama le affondò nella carne e raggiunse l’osso. Fece cadere la pistola e Ravuth la spinse via dalla bicicletta, si sistemò frettolosamente il machete alla cinta, salì sulla velocipede e accelerò lungo i terreni induriti delle risaie. Si diresse verso i Monti Cardamomi e verso la sicurezza della giungla, seguito dalle pallottole che lo sfiorarono mentre pedalava per salvarsi la vita.
Pedalò per ciò che gli sembrò un’eternità, fino a quando non udì più i colpi di pistola. Ravuth si fermò all’esterno della giungla, celò la bicicletta nella vegetazione e si nascose dietro a un gruppo di alberi. Sbirciò per controllare se i suoi inseguitori fossero nei paraggi. Ravuth vide quattro puntini in lontananza, diretti verso di lui. Aveva un po’ di vantaggio, ma sapeva di dover trovare riparo nella densa vegetazione. Ravuth corse attraverso la giungla, trovando brevi percorsi che seguì fino a quando raggiunse il terreno accidentato e impraticabile.
‘Non mi troveranno mai’ pensò, correndo attraverso il denso sottobosco.
Ravuth era esausto, aveva attraversato di corsa per tre ore quella sezione della giungla a lui non familiare. Raggiunse una radura dove le chiome degli alberi erano talmente fitte da schermare la luce solare, facendone filtrare appena. Si nascose lì, sapendo di essere al sicuro; non vide i suoi inseguitori, quindi si sedette ai piedi di un gigante Dipterocarpo, stando allerta.
Ravuth restò lì per due giorni, sfamandosi grazie all’abbondante vegetazione circostante. Si rese conto di essere sfuggito ai propri inseguitori, quindi si mise in cerca del proprio villaggio.
Ravuth si sentiva al sicuro nella giungla, e camminò tutta notte alla luce della luna. Si riposava durante le giornate cocenti e umide, cacciando e cercando il cibo dal tardo pomeriggio fino al tramonto.
Era perso senza una direzione da seguire, a differenza dell’area nei pressi del proprio villaggio, di cui conosceva la maggior parte dei sentieri e della vegetazione. All’alba del decimo giorno fece capolino da dietro una fila di alberi, trovandosi in un terreno aperto. In una conca poco profonda era stato realizzato un terrapieno, circondato da una rete metallica.
Vide diverse file di tende da bivacco, insieme ad alcune tende da campo di tipo militare di diverse dimensioni. Ravuth vide delle persone aggirarsi dietro alla recinzione; alcuni gruppi stavano cucinando grazie a dei focolari. Ravuth captò i profumi tipici del cibo cambogiano, e gli venne l’acquolina in bocca. ‘Dev’essere uno dei posti di cui parlavano gli Khmer Rossi. Mi chiedo se la mia famiglia sia qui’ pensò. Si aggirò furtivamente attorno alla recinzione metallica, osservando con attenzione i presenti nel campo fino a quando raggiunse il cancello anteriore. Ravuth si sentiva esposto all’aperto, quindi si nascose in un angolo buio, mettendosi in osservazione.
Ravuth vide diversi veicoli militari e soldati andare e venire durante il giorno. Notò che il personale militare non era composto da Khmer Rossi. Erano adulti, e indossavano divise mimetiche. Ravuth fece avanti e indietro lungo il perimetro della recinzione, osservando le dinamiche del campo. Occasionalmente si arrampicò per avere una visuale migliore dalla giungla, ma non vide nessuno dei membri della propria famiglia, né dei compaesani. Scese la notte, quindi Ravuth approcciò la recinzione, trovò un punto sollevato, e con le mani scavò un piccolo fosso sotto la rete metallica. Si spinse attraverso il passaggio, e strisciò verso la tenda più vicina. Ravuth si rannicchiò, guardò avanti, cercò d’individuare un’area adeguata e...
“Chi sei tu?” Disse un uomo in un linguaggio con cui Ravuth non era familiare “Alzati e voltati”.
Una forte luce dietro Ravuth lo confuse. Era terrorizzato, e non comprendeva le istruzioni impartite dell’uomo, quindi si alzò istintivamente in piedi, accecato dalla luce.
*Vedi Appendice